Revisione di Edizione diplomatico-interpretativa del Lun, 21/12/2020 - 21:39

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F. Guitton.

Tuttol dolor cheo mai portai fugioia . E lagioia neente apol
(d)olore del meo cor lasso acui morte socchorgha . Che p(ri)a del pia
cer poco puo noia  Epoi po forte troppo . hom dar tristore. Maggio
conuen che pouerta si porga . E lo ritornatore chalentratore . adomque
lasso i(n) pouerta tornato . Elmio richo aq(ui)stato . Che mai facesse alcun
delmeo paraggio sofferta deo che pur uiua aoltraggio d(i) tutta
gente delmio forsennato . non credo gia senon uol me dinnagio .
 
Aj lasso che maluidi amaro amore . la soura natoral uostra belle
ssa . Elonorato piacente e piacere . E tutto bene chen uoi somma
grandessa . Euidi peggio il dibonaire core . Chumilio[1] lauostra al
tera altessa en far ni dui dun core ⸶e⸷ dun volere . p(er)cheo piu como
mai portai richessa . Chalorichor damor nullaltro apare . nerai
n apo fare . richor como niquanto homo basso . niuostra par ra
ina amore passo . dumque chil meo dolor po pareggiare . che
qual piu p(er)de aq(ui)sta jnuerme lasso .
Ai com pote homo che non auita fior durare contra dimal tu
tto forgrato . sicomeo lasso ostal dogni tormento . che selopiu
for tom fosse amassato . siforte esicoralmente i(n)dolciore  come dolor
enme Gia trapassato fora d(e) uita controgniar gomento co
me ui lasso uiuo diuita fore . (?Ai?) morte  ωillania fia e pechato
che simai desdegnato p(er)che uedi morir opo mi fora Ep(er)chio pio
souente e forte mora ma mal tuo grado eo pur morro forsato del(le)
mie man seo mei no(n) posso ancora .
Malo piu chaltro emen lasso conforto che seo p(er)desse onor
tutto eauere amici tutti e dele membra parte . Simico(n)for
terea p(er) ωita auere . Eq(ui) no(n) posso poi dime torto eritornato i(n)
uoi forsa e sauere . Che no(n) fu amor meo gia daltra p(ar)te . du
qua diconfortar como podere . poi sauere no(n) maiuta . edolor
me puristri(n)gie elcore pur co(n)uen matteggi esi faccieo . Che p(er)
com mimostra adito edel mal meo sigabba edeo puruiuo
adisnore credo malgrado delmondo e di deo.
 
Aibella gioia noia e dolor meo . Che punto fortunal lasso fu qu
ello deluostro dipartir crudel mia morte . Ede neente il dolor
meo pardeo . ωer che me al uostro amor crudele efello . Cheseo
tormento duna parte forte Euoi dalaltra piu stringie chiauello
come lapiu distretta i(n)amorata . Che mai fusse ap(ro)uata . Che bealta
oualore o auere pofar bassom in donnalta . capere ma nulla deste
cose en me trouata dumque damor coral ful benuolere .
 
Amor merce p(er)deo uiconfortate  e dame no(n) guardate che picciolo
p(er)mia morte dannaggio ma p(er)lauostra amor sansa paraggio
eforse anche p(er)o miritorniate simai tornare deggio i(n) allegransa .
 
Amor amor pio che ueneno amaro non gia uede chiaro . chise
mette i(n) poder tuo uolontero . Che p(ri)mo emeço ne grauoço[2] (et)
fero elafine debentuttolcontraro u prende laude (et) blasmo one mistero.

 
[1] verghetta orizzontale sopra la <l>?
[2] non sono sicuro di questa ‘ç’
F. Guitton
 

Tutto  ̓ l dolor ch’eo mai portai fu gioia
e la gioia neente apo ̓ l dolore
del meo cor, lasso, a cui morte socchorga,
ché, pria del piacer, poco può noia;
e poi pò forte troppo hom[1] dar tristore:
maggio conven che povertà si porga
e lo ritornadore, ch’a l’entratore.
Adomque, lasso, in povertà tornato
e ‘l mio richo aquistato
che mai facesse alcun del meo paraggio,
sofferrà deo che pur viva a oltraggio
di tutta gente del mio for sennato?
Non credo già se non vol me dinnagio.
Ai lasso, che mal vidi amaro amore
la sovra natoral vostra bellessa
e l’onorato piacente e piacere
e tutto bene ch’è  ̓ n voi somma grandessa,
e vidi peggio il dibonaire core
ch’umiliò la vostra altera altessa
en far ni dui d’un core e d’un volere,
perch’eo più c’omo mai portai richessa.
C’a lo richor d’amor null’altro apare,
né raina pò fare
richor, como ni quanto homo basso,
ni vostra par raina amor è passo.
Dumque ch’il meo dolor pò pareggiare?
Ché qual più perde aquista in ver me lasso.
Ai com pote homo, che non à vita fior,
durare contra di mal tutto for grato,
sì com’eo, lasso, ostal d’ogni tormento?
Ché se lo più fort’om fosse amassato
sì forte e sì coralmente in dolciore,
com’è dolor en me già trapassato
fora de vita contro ogni argomento.
Come vi lasso vivo di vita fore?
Ai morte villania fia e pechato
che sì m’ài desdegnato,
perché vedi morir opo mi fora
e perch’io pio sovente e forte mora;
ma mal tuo grado eo pur morrò forsato
delle mie man, s’eo mei non posso ancora.
Mal ò più ch’altro e men lasso conforto
ché s’eo perdesse onor tutto e avere
amici tutti e dele membra parte,
sì mi conforterea per vita avere;
e qui non posso poi di me torto
e ritornato in voi forsa e savere
che non fu, amor meo, già d’altra parte.
Duqua di confortar com’ò podere?
Poi savere non m’aiuta e dolor
me pur istringie el core,
pur conven m’atteggi, e sì facc’eo,
che per com mi mostra a dito e del mal meo
si gabba ed eo pur vivo a disnore,
credo, mal grado del mondo e di deo.
Ai bella gioia, noia e dolor meo
che punto fortunal lasso fu quello
del vostro dipartir, crudel mia morte,
ed è neente il dolor meo par deo,
ver’ che m’è al vostro amor crudele e fello,
che s’eo tormento d’una parte forte
e voi da l’altra più stringie chiavello
come la più distretta inamorata
che mai fusse aprovata;
che bealtà o valore o avere
pò far bass’om in donn’alta capere,
 ma nulla d’este cose en me trovata
dumque d’amor coral fu ‘l benevolere.
Amor mercé, per deo, vi confortate
ed a me non guardate
ché picciolo per mia morte dannaggio
ma per la vostra amor sansa paraggio
e forse anche però mi ritorniate
si mai tornare deggio in allegransa.
Amor, amor, pio che veneno amaro
non già vede chiaro
chi se mette in poder tuo volontero:
che primo e meço n’è gravoço et fero
e la fine de ben tutto ‘l contraro
vi prende laude et blasmo one mistero.

 
[1] dopo ‘hom’ sembra esserci un punto metrico, ma è verosimilmente un errore.