Revisione di Egidi, 1940 del Dom, 12/05/2019 - 13:53

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    O cari frati miei, con malamente
bendata hane la mente
nostro peccato e tolto hane ragione!
E certo apresso ciò per gran neiente
nond'apella om giomente,
chè d'omo non avem più che fazone.
Che se descrezione,
arbitro, poder, cor, senno e vertute
noi fue dato in salute,
a nostra dannazion lo convertemo;
chè tutto adessa avemo
fatta descrezion, malvagio ingegno,
arbitro, servo di peccato tutto,
defensore e sostegno
e campion di disragion, podere,
cor che contra piacere
ha tutte cose oneste e graziose
ed ha per dilettose
quelle tutte che legge e Dio disdegna,
e saver che disensegna
dritto, Dio, e malvagità n'aprende,
vertò, ch'ogne vertù pena dar sotto
e vizi cria e in poder li stende.
    Demonio a Dio e corpo ad alma avemo
e lo secol tenemo
patria propia, somma, eternale.
E ciò è, lassi!, unde bendati semo,
per che ciascuno remo
tenem, vogando quanto potem ver male.
Or chi è ora leale,
chi fedel, chi benigno, chi cortese
non m'è certo palese;
ma chi è malvagio e chi galeadore
e chi per disamore
e per malvagità e falseza ingegna
amico o frate, veggione a comuno.
E quel per maggior regna
e maggiormente orrato e pro è fatto,
che mei sa di baratto,
treccando e galeando ad ogne mano;
e se soave e piano
umile Dio temendo alcun se trova
che non baratto mova,
misero, vile, codardo è tenuto;
per che d'offender lui vago è catuno,
e soi vicin tutti peten trebuto.
    Ma non galea alcun tanto, nè mira,
nè davante se tira,
non segualo penser noia ed affanno:
soperbia, cupidezza, invidia e ira
tanto no volle e gira,
che nostre menti poso alcun non hanno.
Vergogna porta e danno
e travaglio vi ha più chi più ci tene,
e mal vi ha più che bene
chi più ci ha di piacere e men di noia;
ch'onne mondana gioia,
tarda, corta, leggera, è de nòi mesta;
la fine, u' pende tutto, è sola doglia.
Ma noia è sempre presta,
lunga, grave, esol ha fine a morte!
Ov'è solazo in corte,
u' poso in zambra, u' loco, u' condizione,
ove, quando stagione,
dove puro piacer paresse un punto?
Legno quasi disgiunto
è nostro core in mar d'ogne tempesta,
ove pur fugge porto e chere scoglia,
e di correr ver morte ora non resta.
    O struggitor di noi, se qui è gravezza,
ov'è donqua allegrezza?
Forse 'n inferno, ove corremo a prova?
E siem più stolti ch'apellam stoltezza,
se de tanta mattezza
alcun si parte, poi verità ritrova;
e mirabile e nova