Commento

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Classificazione dei manoscritti I testimoni DIKMN2 presentano diverse varianti comuni, per esempio ai vv. 1, 10, 12, 15, 24, 25, 39 e 53. AN e CR – i quali presi singolarmente presentano un numero elevato di varianti comuni – risultano correlati dall’utilizzo delle stesse lezioni ai vv. 4 e 38. I manoscritti V e a – e a volte anche M – oscillano tra questi due gruppi, riportando a volte le lezioni del primo e altre le lezioni del secondo. In assenza di errori congiuntivi, non è possibile dare vita ad uno stemma sicuro; Pattison ipotizza un probabile rappruppamento:[1]

[Va]                [(AN) (CR)]               [M{D(IKN2)}]

 

Struttura e note al testo Il componimento è vers di argomento cortese. È ripartito in otto coblas doblas – di sette versi ciascuna – e due tornadas – di due versi ciascuna; presenta il seguente schema rimico e gonico: a8 a8 a8 b8 a8 a8 b8. Le coblas presentano le rime – a: -en e b: -ar, con retrogradazione di queste ultime (coblas I, II e V, VI: aaabaab; coblas III, IV e VII, VIII: bbbabba). Anche le due tornadas presentano la stessa alternanza rimica (ab:ba).
Le prime sette coblas sono caratterizzate ciascuna da una parola-chiave che si ripete nei primi sei versi (I nou, II novel, III amar, IV Amor, V rire, VI gaug, VII domna), mentre il settimo e ultimo verso anticipa la parola chiave della cobla seguente (coblas capfinidas: I e II renovelar/renovel; II e III amar/amars; III e IV Amors/Amor; IV e V rizen/rire; V e VI gaug/gaug; VI e VII midons/domna; VII e VIII nou/nou). La cobla VIII ripresenta al primo verso nou, che è regolarmente annunciato all’ultimo verso della cobla VII, e genera – di verso in verso – la serie completa di parole-chiave; l’ultima parola di questa serie, midons (v. 56), genera a sua volta domna in ciascuno dei quattro versi delle tornadas.
 
1-14. Raimbaut apre il componimento ritornando, in maniera insistente, sui temi del nuovo (nou-novel) e del rinnovare (renovelar). Quando un componimento inizia con una serie di ripetizioni, vi è, solitamente, l’intento ideologico di esprimere una poetica. In questo caso, il poeta vuole affermare la novità del suo trobar in relazione al suo radicale rinnovamento interiore e attraverso questa vuole offrire, a chi lo «intende», un componimento che mostri un nuovo modo di vivere. Il motivo del renovelar può essere rintracciato in altri componimenti di Raimbaut, come Aissi mou un sonet nou (BdT 389, 3)[2]: lì la novità del trobar consiste nella scelta dello stile leu, assoluta novità da parte di Raimbaut, che da sempre prediligeva il trobar clus e il trobar car, ovvero un componimento chiuso riservato a pochi eletti – la donna amata e pochi altri trovatori della sua corte – e caratterizzato da uno stile ricercato e dall’utilizzo di parole rare e preziose (cfr. Er resplan la flors enversa[3], BdT 389, 16). Questo tema, già presente nella tradizione trobadorica, è evidente – per esempio – in Guglielmo IX, Molt jauzens mi prenc en amar (BdT 183, 8),[4] vv.31-36: Pus hom gensor non pot dir trobar, / ni huelhs vezer, ni boca dir, / a mos obs la vueill retenir, / per lo cor dedins refrescar / e per la carn renovelar, / que no puesca envellezir (“Poiché nessuno può trovare una signora più gentile, né occhi vedere, né bocca dire, la voglio tenere soltanto per me, per rinnovare il cuore nell’intimo e per rinnovale la carne, perché non possa invecchiare”).
1. Il sostantivo talen derivante dal latino TALENTUM – proveniente a sua volta dalla parabola evangelica dei talenti (“monete”) – acquisì dapprima il senso figurato di “don de nature; état d’esprit”[5], fino ad accogliere il significato di “désir, envie, sentiment, intention”.
1-2. Il poeta mette in contrapposizione la coppia cor-talen e la coppia saber-sen, creando un contrasto tra ciò che è irrazionale e ciò che è razionale; tale dittologia è evidente anche in Bernart de Ventadorn Chantars no pot gaire valer (BdT 70, 15),[6] v.7: «la boch’e.ls olhs e.l cor e.l sen». Altri elementi – che verranno proposti nel corso del commento – legano il componimento di Bernart al componimento in questione.
4. Pattison preferisce lectio facilior di AN e CR, vers. DIKMN2a presentano verset, lezione accolta da Milone e da questa edizione. Milone: «non stupisce d’altra parte in Raimbaut – soprattutto in rapporto al nou trobar, al rinnovamento dello stile – il raro diminutivo verset, da interpretare qui non come ‘versetto’ della Bibbia o della liturgia, ma come ‘piccolo vers, canzonetta’».[7] Per dare maggior peso a questa soluzione, pensiamo ai versi che aprono Aissi mou un sonet nou (BdT 389, 3) e Una chansoneta fera (BdT 389, 40).
5. Secondo Pattison, «this verse indicates a deliberate attempt at the obscurity of the trobar clus; however, the poem is not particularly difficult».[8] Raimbaut si rivolge ai fis amans, agli eletti che sono in grado di intendere il discorso d’amore e, attraverso esso, rinnovarlo. Occorre rivolgere l’attenzione, in particolare, sul termine enten, nel quale sono presenti due dimensioni: una dimensione intellettuale, con il significato di ‘intendere, comprendere, capire’, e una dimensione affettiva, con il significato di ‘tendere verso qualcuno o qualcosa’. Di conseguenza, questa parola può essere intesa con un doppio significato: può esprimere sia ‘tendere verso la mia buona nuova parola’ che ‘comprendere la mia buona nuova parola’. Questo dato è davvero interessante, perché collega questo rimante al testo di Bernart de Ventadorn, Chantars no pot gaire valer (BdT 70, 15).
7. Pattison riprende AN: qu’us vieills en deu renovellar («for an old man should be renewed by them»). Secondo Milone, la lezione di AN sembra una glossa correttiva a c’om viels di DIKMN2a – lettura facilior di c’om miels de CRV. Viels e miels sono paleograficamente interscambiabili, ma viels – nel contesto in cui si trova – è una lectio facilior che probabilmente è stata prodotta in maniera ossimorica in relazione a nou, parola-chiave della cobla, e a renovelar, a fine verso. Il senso complessivo della cobla affermerebbe l’ipotesi di Milone: il rinnovamento interiore spinge il poeta ad un nou trobar; chi ha la capacità di comprendere il discorso d’amore potrà essere rinnovato ed il rinnovamento sarà perfezionato grazie al nous motz. Raimbaut si propone ancora una volta come maestro d’amore (vedi la parodia dell’ensenhament in Assatz sai d’amor ben parlar[9]). Milone, collegandosi al quomielhs di C, congetturerà que miels. Come è evidente, per quest’edizione critica si segue il ragionamento di Milone, decidendo di non utilizzare la congettura, ma lasciando c’om miels. In questo contesto, ovviamente, om non vuole significare ‘qualsiasi uomo’, ma ‘l’uomo che – in particolare – può intendere queste nuove parole e può rinnovarsi’.
8-10. Mentre Pattison traduce «for I have a new thought with the old», Milone sostiene che è l’ardimen ad essere “nuovo accanto al vecchio pensiero”. La traduzione italiana di quest’edizione riprende la traduzione di Pattison, ma se ne distacca al verso 10. Pattison: «franc seems to modify ardimen. This makes v. 9 parenthetical. The variety of ms. readings here makes a choice difficult». Milone: «in realtà la soluzione è molto più semplice e prevede solo l’integrazione di una -s flessionale alla lezione di AN e di a: franc[s] de novel; è il soggetto (eu) che rinnova la propria capacità propositiva (vv. 8-9) e torna ad essere francs ‘libero’».[10] La confusione rimane nella tradizione manoscritta (Ana franc de novel ab, CR y franh de novelh, DIKMN2 farai de novel, V faz de novel ab). La nostra traduzione, per quanto riguarda il v. 10, segue le diverse soluzioni di Pattison e Milone, poiché ritiene che franc si riferisca al ‘nuovo pensiero’. Infatti, l’ardimen, che ha un’importanza particolare nella sfera dell’amore, oltre a sottolineare il sentimento amoroso, ha il compito di «liberare la strada dagli impedimenti che ostacolano l’amore nella sua opera di perfezionamento dell’uomo»[11]. Quindi, è possibile ipotizzare che, grazie al rinnovamento dell’ardimen, il pensiero divienga nuovamente libero.
11. A differenza di Pattison, che sceglie la lezione e chantem «and let us sing» riportata dalla maggior parte dei testimoni, Milone preferisce la lectio difficilior conservata unicamente da M, en chantan («mentre canto»), che in questa occasione non segue DIKN2 ed è sostenuto da e chante A e da e chant N. Milone: «es tracta d’un gerundi en funció adverbial (en lloc d’una subordinata de simultaneïtat) introduït per la preposició en, un tipus de construcció molt estesa a tota l’àrea galloromana que tot i la seva particularitat, pot haver induït a l’error a copistes provinents d’altres àrees».[12] El novel temps clar, “la nuova chiara stagione” sta ad indicare la primavera, che con la sua euforia coinvolge il soggetto che ama e che canta.
12-14. Questi tre versi presentano delle problematiche per quanto riguarda la ricostruzione del testo (cfr. Collazione). Pattison ricostruisce il testo ignorando DIKMN2 e a:

 

quel novels fruitz (AN) naison desen (CR e V)
el novels critz (AN e V) on jois s’empren (R)
eill auzeill intron en amar (AN).

 

Secondo Milone, Pattison ha sottovalutato a, che invece presenta una lezione corretta grammaticalmente, sintatticamente difficilior e coerente con il piano stilistico del nou trobar di Raimbaut. Milone: «nais dont deisen “nato da dove discende” è la chiave dei vv. 12-13, con dont < DE-UNDE, soluzione appunto difficilior che mette in crisi gli altri (nais dont > mais | mas don DIKMN2, nais/nas e AN, nais-<d>on = naison/naisson CR e V). […] un’ulteriore conferma è data da CR els auzels qu’intran (dels><d>els), che potrebbe anche spiegare la lezione di AN come un risultato finale di un processo di normalizzazione grammaticale e di semplificazione sintattica».[13] D’accordo con il ragionamento di Milone, per questa edizione critica si è ritenuto opportuno scegliere le lezioni di a, che fa emergere l’immagine della foglia – legata al tema del renovelar – come inizio di una nuova chiara stagione, dalla quale discende il nuovo canto d’amore. Mentre Milone utilizza il termine fuelhs, qui viene lasciata la lezione di a foils. DIKMN2, utilizzando la parola “uccello”, annullano completamente la metafora sopra indicata e rendono difficoltoso il raggiungimento di un senso logico della frase.
15-28. Il poeta delinea una sorta di investitura da parte di Amore, che viene personificato: è grazie ad Amore che può amare senza contegno, in maniera esclusiva, a tal punto che non solo è incapace di raccontarlo, ma addirittura non è in grado di comprendere la profondità di questo amore. Questo sentimento, più tardi, verrà definito da Dante con il termine Trasumanar, ovvero l’incapacità di saper raccontare per verba la Bellezza, poiché il solo ricordarla indebolisce la mente. Questo riguardo di Amore nei confronti del poeta rallegra Raimbaut all’inizio di questa seconda sezione (v. 15); il poeta – in maniera circolare – dopo aver espresso la sua gratitudine, termina questa sezione con l’immagine del cuore ridente.
15. Di fronte alla scelta della lezione, Pattison segue il testimone solitario N che conserva la parola chiave amar della cobla, mentre Milone, ancora una volta, si affida al testimone a. Milone: «l’ipotesi è confermata in primo luogo da CR Doncs amors, con amors (parola-chiave della cobla successiva) facilior rispetto ad amars; e poi da V domna mais e da DIKMN2 don aman, tutte soluzioni paleograficamente vicine alla lezione di a».[14] Secondo questa ricostruzione, la lettura proposta da Milone è Doncs amars me fai alegrar, accolta da questa edizione critica.
16-17. Pattison segue AN e CR e propone qu’ieu am plus. Milone, seguendo in questo caso IK, opta per la lezione que am. Quest’edizione ancora una volta accoglie a e la maggior parte della tradizione manoscritta che, utilizzando varianti differenti, riproducono la lezione qu’ieu. Dando fede a testimoni diversi, in Pattison troviamo al v. 16 pensar e al v. 17 comtar; viceversa in quest’edizione.
20. Pattison – fedele a AN – utilizza c’ad ops d’amar, che – secondo Milone – come unica argomentazione a favore ha la comparazione con Bernart de Vertadorn, Can l’erba fresch’elh folha par[15] (BdT 070, 39), vv. 23-24: c’anc no vi cors melhs talhatz ni depens | ad ops d’amar sia tan greus ni lens. Gli altri testimoni concordano per un’altra lezione – qu’al mielhs d’amar – utilizzata per quest’edizione.
22-28. Secondo Pattison, la cobla IV presenta le difficoltà testuali più grandi, fino al punto che si vede obbligato ad abbandonare il suo testo-base A, per poter dare al testo un significato accettabile.
23-24. Milone afferma che la soluzione di Pattison è insoddisfacente: D’amor mi dei ieu ben lauzar | mas c’ad Amor guizerdonar | non puosc, qu’Amors m’a si‧m ten car; per questo motivo opta per uno scioglimento diverso: D’Amor me dei ieu ben lauzar | mas que Amor gazardonar | non puesc[a], Amor, sim ten car. Milone: «la preposizione (ad/az/as) rappresenta il solito riempitivo incongruo escogitato dalla tradizione manoscritta che, non riconoscendo la dialefe, si difende così dalla presunta».[16] Per quest’edizione, si decide di adottare la risoluzione di Pattison, cercando di valorizzare la sua soluzione attraverso un uso diverso della punteggiatura (vd. il commento al v. 25).
25. Pattison legge dat Amors – Amore ti dona – con un pronome enclitico di seconda persona singolare, mentre Milone ricostruisce il verso leggendo dat m’a Amors per son chauzimen, trasponendo il m’a (A e CR) che tutti gli altri testimoni avevano anticipato nel verso precedente. In quest’edizione è stata utilizzata la lezione privilegiata da Pattison, con l’unica differenza che dat viene utilizzato come participio passato legato a m’a del v. 24.
29-48. La quinta cobla sottolinea più volte il concetto del riso d’amore, ribadito dagli insistenti poliptoti (rire, ri, ris, rizian). Come nella cobla precedente Amore aveva generato un cuore ridente, così anche la donna amata dal poeta gli provoca altrettanto, persino nel sonno, e suscita una gioia tale da rendere ricchi Raimbaut, i suoi parenti e gli infelici e fomenta il desiderio di possederla. Raimbaut chiama in causa Dio e una compagnia iperbolica di quattrocento angeli, elemento che deve sicuramente essere paragonato ai cinquecento alunni dell’amore in Assatz m’es belh (BdT 389, 17),[17] vv. 22-28: Don d’amar dic – qu’am si ses tric | lieys qu’amar deg, – quelh miels adreg, | s’eron cert cum l’am finamens, | n’irion sai – preguar hueymai | quels essenhes cum aprendens | de ben amar, – e neus preguar | m’en venrian dompnas cin cens (“Ecco perché dico di amare, perché amo in modo così ineccepibile colei che devo amare, che gli amanti più abili, se sapessero con quanta delicatezza la amo, verrebbero a supplicarmi di insegnare loro come studenti l’arte di amare, e pregando arriverebbero anche cinquecento donne”). Il riso di Dio viene utilizzato come termine di paragone: il sorriso della donna, paragonato spesso ad una figura celestiale, è un topos che ricorrerà più volte nella letteratura successiva.
31. Midons identifica la donna del trovatore. È un nome di genere maschile – ‘mio signore’ – che discende dal latino MĪ DOMINUS e che evidenzia la tipica metafora feudale[18]: il rapporta tra il poeta e la sua donna è paragonato al rapporto tra il signore e il suo vassallo. I trovatori, quindi, si rivolgono alla propria donna con questo termine maschile.
32-33. Pattison propone que ris de Dieu m’es vis, so‧m par (“che mi sembra essere il riso di Dio, così appare a me”) e afferma: «Most of the mss. have the reading I have adopted, with its awkward repetition of m’es vis, so‧m par, stylistically not as good as either CR or AN. But the scribe of the source of CR had a propensity for smoothing out all the difficulties, hence I believe that he departed from the original here in an attempt to better it. On the other hand, AN apparently do not make sense».[19] A parte i manoscritti AN che, risolvendo il problema con una sorta di censura religiosa, eliminando la comparazione tra il riso della donna e quello di Dio, e a, che presenta una completa confusione, tutti i manoscritti aggiungono un monosillabo superfluo: la ‘maldestra ripetizione’ – come la denomina Pattison – fa emergere che l’intera tradizione è messa in crisi da diëu e siëu dieretici e che questo mancato riconoscimento fa credere ai copisti di trovarsi di fronte ad una doppia ipometria. Pattison, dunque, adotta la lezione riportata da DIKMN2, lasciando il monosillabo superfluo; Milone, al contrario, trova la soluzione nei manoscritti CR, che si limitano ad aggiungere l’aggettivo belh sia al v.32 che al v.33 per correggere questa falsa ipometria. Accogliamo la soluzione di Milone.
40-42. Questi tre versi esprimono l’appagamento del desiderio, il raggiungimento del gaug entieramen. Il sintagma gaug entier, non a caso, chiude la lirica Lonc temps ai estat cubertz (BdT 389, 31),[20] v. 50.
42. Pattison legge da AN de (N ab) midonz que ben lom pot (N poc) dar. Gli altri testimoni, in sostituzione a ben, riportano la lezione tot/tost. Dal momento che tot sembra la letio facilior, in quanto riperizione dell’entieramen del v. 41, Milone opta per la letio difficiliotost – e in quest’edizione viene sostenuta la scelta di Milone.
46. Il sintagma ses vestimen sottolinea la vanità dell’aspetto materialistico, donando al poeta una ricchezza spirituale. Lo stesso motivo è rintracciabile in Bernart de Ventadorn, Tan ai mo cor ple de joya[21] (BdT 70, 44), v. 13: «Amar posc ses vestidura».
48-49. Ancora una volta, Pattison segue A (N tace dal v. 43 alla fine) c’ades mius veig inz dompna estar | vostre bel nou cors covinen. Per quanto riguarda mius, presente anche in a, si dovrà leggere come aggetivo mius, aggettivo possessivo come mieus di M; tutti gli altri testimoni riportano mi < MIHI. Per quanto riguarda inz, assente in CR e a, è presente nella stessa posizione in V e si trova postposto a domna in altri manoscritti. Secondo Milone, la sua sospettosa mobilità fa pensare al solito riempitivo, mentre la soluzione è suggerita da CR, che lega il vocativo domna in dialefe con estar, ed è confermata da a che ignora la dialefe e compensa la falsa ipometria con la ripetizione di mi.[22] Anche questa volta l’opzione di Milone ci è sembrata la più adeguata.
Il sintagma cors covinen è frequente nella poesia trobadorica e, ancora una volta, collega questo componimento a Chantars no pot gaire valer, cobla VI, vv. 41-42: «Bel’e conhd’, ab cors covinen, | m’a faih ric ome de nien». L’espressione mi estar covinen significa ‘essere a me conveniente, adatto, adeguato’: “essere proprio mia, fatta proprio per me, la vostra bella nuova persona”.
50-57. Il poeta si rivolge ai suoi lettori quasi come a dei messaggeri, affinché riportino i suoi sentimenti alla donna amata. Il termine ferm è una parola portante, che sembra quasi aprire e chiudere il componimento: infatti, lo ritroviamo nella seconda e nell’ultima cobla come a tessere il filo conduttore di questo nuovo amore solido, costante, «fermo», tale da essere inscalfibile e mai incerto.
57-60. La tornada è il punto in cui avviene l’invio a qualcuno: alla donna amata o ad un giullare? Il termine ioglar potrebbe far pensare che Raimbaut si stia riferendo ad un giullare, ma in realtà, si tratta di un senhal, ovvero un soprannome che rimanda ad un’altra identità. Raimbaut si rivolge in dodici canzoni su quaranta ad un interlocutore o un’interlocutrice (tredici, se consideriamo Escotatz, mas no sai que s’es, dove il trovatore attribuisce il senhal a sé stesso):

  1. BdT 389, 01 Ab nou cor et ab nou talen, vv. 58-59: «Ja Dieus mais domna no‧m presen: | sol gart ma domna e mon Joglar. || Dieus gart ma domna e mon Joglar | e ja mais domna no‧m presen» (vv. 57-60);
  2. BdT 389, 5 Als durs, crus, cozens lauzengiers[23], v. 67: «Joglar, s’eu ja cautz sabata, | qui no‧us ve pauc a cavalgat, | ni sap per que se debata» (vv. 67-69);
  3. BdT 389, 11 Ara‧m so del tot conquis[24], v. 70: «Joglar, Dieus que‧us fetz tan be | e creis vostre pretz quec dia, | vos capdel si co‧us cove» (vv.70-72);
  4. BdT 389, 12 Ara no siscla ni chanta[25], v. 45: «Ai! domna prezans, | ar penz qe‧us acol – en baizans. || Joglar, vostr’enans | voil, e Dieus lo vol – mil aitans» (vv. 43-46);
  5. BdT 389, 16 Er resplan la flors enversa[26], v. 51: «Doussa dona, amors e jois | nos ajusten malgrat dels crois || Joglar, granre n’ai meins de joi | car no‧us vei e‧n fas semblan croi» (vv. 49-52);
  6. BdT 389, 18 Assatz sai d’amor ben parlar[27], v. 57: «Mas be‧l sabra mos bels Joglars | qu’ilh val tant e m’es tan coraus | que ja de lieis no‧m venra maus. || E mon vers tenra, qu’era‧l paus, | a Rodes, don son naturaus» (vv. 57-61);
  7. BdT 389, 19 Ben sai c’a sels seria fer[28], v. 67: «Can la candela‧m fetz vezer | vos baizan rizen, a! cal ser! || Joglar, ades mati e ser | me tira‧l cors vostre vezer» (vv. 65-68);
  8. BdT 389, 20 Ben s’eschai qu’en bona cort[29], v. 47: «Joglars, per que‧m desazaut? | ma domna e vos mi faitz baut»;
  9. BdT 389, 27 Entre gel e vent e fanc[30], v. 60: «Domna, renovell nostre jais | si‧us platz; que viu, si be‧m fas gais, | ab manz durs doloiros pantais. || Joglar, vos avetz pro oimais, | et ieu planc e sospir et ais» (vv. 57-61);
  10. BdT 389, 30 Joglar, fe qed eu dei[31], v. 1: «Joglar, fe qed eu dei | a Dieu ni a ma donna ni a mei, | qazutz son en esfrei | q’ar mais ancor non vei | lieis a cui totz m’autrei | per ar e per totz tems» (vv. 1-6);
  11. BdT 389, 33 Parliers…[32], v. 49: «Jotglar, Dieus nos gart d’enguen | sitot olh non fan deman» (vv. 49-50);
  12. BdT 389, 39 Si‧l cors es pres[33], vv. 4, 9, 14, 19, 24, 29: «et aprop Dieu m’en fi en mon Joglar, | qu’en els ar es tot del meu desliurar» (vv. 4-5); «quar de vostra dona que‧us te tan quar, | per nuilha re tenetz pres son Jotglar» (vv. 8-9); «tuit devon dir – fe que dei mon Jotglar! – que vos etz sel que fai donas raubar» (vv. 14-15); «non agratz pro raubat en mon Jotglar?» (v. 19); «si per dreg fos, non agratz mon Jotglar (v. 24); qu’als non mi da c’apela son Jotglar» (v. 29);
  13. BdT 389, 28 Escotatz, mas no sai que s’es, v. 30: «e sui fols chantaire cortes, | tan qu’om me n’apela Joglar» (vv. 29-30).

Nel componimento che stiamo analizzando, Raimbaut lascia intendere che Joglar e la donna del poeta siano due personaggi differenti; anche in 8, e in 10 si rivolge in modo esplicito sia alla domna amata che a Joglar. In 6 ilh e lieis si riferiscono al vero oggetto del desiderio, del quale il fin aman nulla può rivelare senza venir meno all’imperativo cortese del celar: Joglar – amica e confidente – sarà l’unica depositaria del segreto. In 2, la lode a Joglar chiude una lunga invettiva contro i durs, crus, cozens lauzengiers: l’amica fedele e sincera è contrapposta ai nemici della fin’amor: enoios, vilans, malparliers. Anche in 3 e in 11 la dedica al senhal non contiene alcuna allusione ad un coinvolgimento amoroso. In 4, 5, 7 e 9 è evidente la differenza di tono tra la prima tornada – indirizzata alla donna amata – e la seconda – indirizzata a Joglar. In 12, Raimbaut sembra offrire qualche sottile indizio di un rapporto d’amore con Joglar, ma si tratta di un gap.
Nella vida[34] di Raimbaut d’Aurenga, presente come unicum in N2, si legge:
 
Et amet longa sason una domna de Proensa, que avia nom ma domna Maria de Verfuoil, et apellava la “son Joglar” e[n] sas ch‹i›ansos. Longamen la amet e ella lui. E fez maintas bonas chansos d’ella e mainz autres bons faics.
 
[“E amò per lungo tempo una signora di Provenza, che aveva nome madonna Maria de Vertfuoil; e la chiamava son Joglar nelle sue canzoni. A lungo l’amò ed ella amò lui. E fece molte buone canzoni per lei e moltre altre azioni onorevoli”].
 
Non abbiamo alcuna notizia di questa Maria di Vuertufuel; fu, molto probabilmente, un’invenzione del biografo. Friedrich Diez[35] identifica in Joglar la Comtessa de Dia, che secondo la vida «enamoret se d’En Rambaut d’Aurenga, e fez de lui mantas bonas cansos» (“si innamorò di Raimbaut d’Aurenga, e compose su di lui molte buone canzoni”). Carl Appel[36] segnala le incongruenze delle identificazioni con Maria de Vertfuoil e con la Comtessa, rimanendo convinto del fatto che il senhal si riferisca non ad una confidente, ma alla donna amata:
 
Si, dans les autres piéces, l’auteur veut faire croire que Joglars et son amie soient deux personnes différentes, ce n’est évidentemment qu’une ruse pour égarer les lausengiers, ruse, du reste, que Raimbaut n’est pas seul à employer […] Peut-être le senhal se rapportait-il d’abord à Raimbaut et fut-il ensuite le nom d’amour des deux amants, ainsi que nous voyons plusieurs fois qu’un senhal servait en même temps pour deux amis ou deux amants. Et nous avons la preuve que Joglar désignait aussi bien le poète que la dame.
 
Secondo Adolf Kolsen[37], il senhal può alludere non ad una domna ma ad un amico di Raimbaut: «vielleicht Giraut de Bornelh»; nell’ultima cobla di BdT 389, 5, vv- 57-61, Raimbaut si rivolge a Palharet (probabilmente «a minstrel of Raimbaut’s entourage like Levet»)[38] affinché porti la sua canzone a ‘n Giraut, de cuy ai peccat, a Perpinhah part Laucat. Kolsen, che in altra sede[39] aveva identificato in ‘n Giraut il trovatore Giraut de Bornelh – anche se come fornisce la sua vida[40], a Giraut hom de basa far, non spettava il titolo en – completa l’ipotesi attribuendo a quest’ultimo anche il senhal. Pattison avanzò altre possibili identificazioni per l’amica e confidente Joglar: una delle sorelle di Raimbaut, Tiburga, sposata con Bertran dels Baus, o l’altra sorella Tiburgueta, sposata con Ademar de Murviel, o ancora la contessa di Rodez (cfr. BdT 389, 18).[41]
Nel 1949, in Neuphilologische Mitteilungen, M. Aimo Sakari, infine, propose – con molta probabilità – di riconoscere nel misterioso senhal di Joglar la trobairitz Azalais de Porcairagues; dalla sua breve vida, tramandata da I, K e d, apprendiamo che:[42]
N’Azalais de Porcarages[43] si fo de l’encontrada de Monpeslier, gentils domna et enseignada. Et enamoret se d’En Gui Guerrejat[44], qu’era fraire d’En Guillem de Monpeslier. E la domna si sabia trobar, e faz de lui mantas bonas cansos.
L’unica canzone della trobairitz che ci è pervenuta – Ar me al freit tems vengut[45] (BdT 43, 1) – presenta numerose allusioni a BdT 389, 27: oltre all’esordio invernale (Raimbaut: «Entre gel e vent e fanc | e giscl’e gibr’e tempesta»; Azalais: «Ar em al freg temps vengut, | que‧l gels e‧l neus e la faingna») e all’invio a Joglar comune ad entrambe le canzoni – rendendo questo senhal reciproco –, nella lirica di Alazais va segnalato in particolare il v. 14 – «d’Aurenga me moc l’esglais» – che richiama l’esglai due volte evocato da Raimbaut, ai vv. 23 e 34 («e‧l cors, qu’est esglai mi presta; so don me nais aquest esglais»). Per quanto riguarda la sesta cobla, se quest’ultima presenta – nell’ultima copia conservata – delle rime leggermente sgradevoli, è perché la cobla originale è stata sostituita dalla stessa Azalais per evocare – dopo il 1173 – la morte del suo amico Raimbaut. Ancora, Sakari, esprime l’idea che «Raimbaut visait dans la Bederesca (c’est-à-dire ‘la Biterroise’), Alazais, celle de Béziers» [46] A questo punto, secondo Sakari, Azalais, corrispondente cortese e letterario di Raimbaut, risponde perfettamente a ciò che è noto di Joglar dai canti del trovatore e, nel momento in cui manda la sua canzone a Raimbaut, chiamata Joglar, non possono esserci dubbi. La tesi di Sakari viene discussa e accettata da M. Delbouille, che aggiungerebbe: «selon toute vraisemblance le senhal Joglar est né du texte de la chanson XXIV de Raimbaut».[47] Nel componimento XXIV (BdT 389, 28), il termine joglar appare una sola volta e viene utilizzato come un nome comune; qui, Raimbaut imputa la follia di cui soffre alla signora che lo fa languire e che lo ha reso un cantante sciocco, al punto che viene chiamato joglar da coloro che l’ascoltano.

 

[1] Pattison 1952, p. 186.
[2] Pattison 1952, p. 125; Milone 1998, p. 57 e p. 127.
[3] Pattison 1952, p. 199.
[5] FEW, 13, p. 36.
[6] Appel 1915, p. 85.
[7] Milone 2003, pp. 169-254.
[8] Pattison 1952, p. 187.
[9] Pattison 1952, p. 134.
[10] Milone 2003, p. 203.
[12] Milone 1998, p. 121.
[13] Milone 2003, p. 205.
[14] Ibidem., p. 206.
[15] Appel 1915, p. 219.
[16] Milone 2003, p. 207.
[17] Pattison 1952, p. 121.
[18] Per ‘metafora feudale’ s’intende «il trasferimento nel rapporto amoroso del vincolo di soggezione e fedeltà assoluta che nella società feudale univa il vassallo, l’“uomo ligio”, al suo signore» (LAZZERINI 2001, p. 48).
[19] Pattison 1952, p.187.
[20] Pattison 1952, p. 164; Appel 1928, p. 38; Riquer 1975, p. 442; Milone 1998, p. 91 e p. 176.
[21] Appel 1915, p. 257.
[22] Milone 2003, p. 209.
[23] Appel 1929, p. 393; Pattison 1952, p. 190.
[24] Pattison 1952, p. 167; Milone 2003, p. 227.
[25] Pattison 1952, p. 113.
[26] Pattison 1952, p. 199; Milone 1983, p. 45; Milone 1998, p. 63 e 137.
[27] Pattison 1952, p. 134; Milone 1998, p. 73 e 159.
[28] Pattison 1952, p. 142; Milone 1998, p. 79 e 166.
[29] Pattison 1952, p. 138.
[30] Pattison 1952, p. 115.
[31] Appel 1897, p. 412; Appel 1928, p. 102; Pattison 1952, p. 179.
[32] Pattison 1952, p. 181.
[33] Appel 1929, p. 473; Pattison 1952, p. 177.
[34] Boutière-Schutz 1973, p. 441.
[35] Diez 1829, p. 56.
[36] Appel 1897, pp. 417-420.
[37] Kolsen 1921, pp. 549-552.
[38] Pattison 1952, p. 194.
[39] Kolsen 1894, p. 49.
[40] Boutière-Schutz 1973, p. 39.
[41] Pattison 1952, pp. 57-61.
[42] Boutière-Schutz 1973, p. 341.
[43] oggi Portiragnes, 10 km a sud-est di Béziers. (cfr. Sakari 1949, p. 25).
[44] Gui Guerrejat, figlio di Guillaume VI de Montpellier, era cugino da parte di padre di Raimbaut d’Aurenga (cfr. Sakari 1949, p. 36).
[45] Sakari 1949, p. 185; Riquer 1975, p. 460; Rieger 1991, p. 481.
[46] Delbouille 1957, p. 50.
[47] Delbouille 1957, p. 59.