Commento

Versione stampabilePDF version

 

1.
ferm voler. I critici rimandano concordemente al f. v. di BdT 29,17 (ferms uoler A B D H L). «Il f. v. è una frase assai frequente nei trovatori [...]. Qui l’abbiamo ancora al v. 36; e la vedremo poi dar come l’intonazione alla sestina (v. 1). Anche il Petrarca, o fosse reminiscenza trobadorica, o fosse incontro fortuito, dice: “Del mio fermo voler già non mi svoglia” (Ball. 4 a in v.); e: “Lo mio fermo desir vien dalle stelle” (Sestina 1 a , st. 4 a )» (Canello). «La frase, cara ai trovatori, diviene in Arnaut originale per il particolare accento dato all’aggettivo ferm, attributo distintivo della sua forte, immobile passione d’amore (IX, 45; XIV, 25; XV, 3; XVII, 26, 36; XVIII, 1; ecc.)» (Toja). «F. v. è costante e stabile desiderio/amore» (Eusebi). Il sintagma fu usato da molti trovatori tra l’ultimo quarto del XII secolo e la prima metà del XIII secolo. Guilhem de Saint Liedier lo usa in 234, 16 (11, 2 «Mon ferm voler ves tal que, si.m sal sains ni messa» e in 27, 5 «Trop m’i fetz en fols plais mon ferm voler desbatre»). In entrambe le occorrenze il poeta afferma la costanza del suo desiderio verso la donna amata. In Gaucelm Faidit ferm voler è presente in 167,7 (42, 4 «Si tot no l’aus mon ferm voler retraire») e in 167,62 (26, 3 «Non a fin cor d’amar ni ferm voler»). Nella prima occorrenza il poeta teme di manifestare il suo fermo volere all’amata e nella seconda rimprovera a chi si fa sopraffare dai lauzengiers la mancanza di vero desiderio e di ferma volontà. Tra i poeti contemporanei ad Arnaut Daniel il sintagma ricorre in Raimon Jordan 404,12 (31, 4 «lo ferm voler don ai greu espavensa») dove il ferm voler è realtà dolorosa e spaventosa, poiché il poeta è così devoto alla donna amata che da questo legame dipende la sua stessa vita, in Arnaut de Mareuill 30,8 (29, 5 «Al ferm voler don vos am e×us desire») dove il poeta chiede alla donna di giudicare la costanza del suo desiderio, in 30,21 (13, 2 «Fin cor e ferm voler») in cui dice di avere dalla sua la speranza, un cuore fedele e un desiderio irremovibile. Ferms volers è utilizzato in 30, 17 (28, 4 «Qu’en autra part non es ferms mos valors») dove il poeta dichiara all’amata che il desiderio e l’amore che prova per lei sono tali che il suo fermo volere non sarà mai rivolto altrove. Peire Vidal utilizza una volta il sintagma in 364,30a (33, 5 «Mon ferm voler, donn’, ai tant en vos mes») in cui dichiara l’impossibilità di allontanarsi dall’amata poiché in lei ha riposto il suo fermo desiderio. In Aimeric de Peguilhan si presenta un’occorrenza del sintagma in 10,8 (48, 6 «Ves Amor, qu’ab ferm voler») dove il ferm voler è degli ‘occhi’ e del ‘cuore’ che elevano l’onore e il benessere dell’amante. Pons de Capduoill ne fa uso in 375,18 (13, 2 «Si.l ferm voler, q’ieu ai») e, in posizione di incipit come nella sestina, in 375, 23 (1, 1 «Tant m’a donat fin cor e ferm voler»). In entrambi i casi ferm voler è usato per affermare che la forza del desiderio non lo allontanerà mai dall’amata. Il Monge de Montaudon utilizza una sola volta il sintagma in 305, 6 (19, 3 «Aitals vos son, ab ferm voler») in cui il poeta afferma che il fermo volere rende fino il suo cuore di amante; in Guillem de Cabestany ricorre in 213,6 (4, 1 «E foron ferm en vos tuich miei voler») dove si legge che tutti i desideri dell’amante sono ben saldi nell’amata. Guilhem de Saint Gregori lo utilizza due volte: nel contrafactum della sestina 233,2 (29, 5 «Q’ab ferm voler met bon pretz dinz sa cambra» e 35, 6 «S’ab ferm voler de tot bon pretz non s’arma»). Nel primo verso il poeta fa un uso metaforico di cambra per dire che nel buon prevost soggiornano fermamente tutte le virtù; nel secondo incita Mon-Berart ad armarsi di buon pregio con fermo volere per non perdere l’anima. In Guiraut de Calanson ferm voler ricorre in 243,7 (5, 1 «Q’ieu de mon ferm voler») e in Uc de Saint Circ 457,20 (16, 2 «Un jorn ferm lor voler»). In Guilhem de la Tor ferm voler è usato in 236,6 (13, 2 «Que.m fez, c’ab ferm voler») per affermare con forza il desiderio dell’amata dalla quale però è stato deluso. In Guilhem Figueira abbiamo una sola occorrenza del sintagma in 217,4b (22, 3 «Li oill e.l cors, qi son ferm d’un voler») nella stessa accezione usata da Aimeric de Peguilhan poiché il fermo volere è anche qui degli occhi e del cuore. In Peire Bremon Ricas Novas ferms volers è in 330,5 (45, 5 «Que mos ferms volers m’abriva») usato nel senso di costante e stabile desiderio verso l’amata. Gli ultimi trovatori ad aver utilizzato il sintagma sono Guiraut Riquier che vi ricorre in 248,7 (34, 3 «E portz qu’ab ferm voler»), Cerveri de Girona in 434,11 (17, 4 «mon ferm voler, on no pren maylls ne pics»), dove si scorge un’affinità con i versi di Arnaut Daniel poiché la ferma volontà del poeta non può essere scalfita da nulla e genera sincere parole d’amore e in 434a,71 (6, 1 «ab fi, ferm, franc voler humil») dove il poeta si augura di poter raggiungere il piacere sperando nella leale, umile, ferma e franca volontà del suo cuore; Austorc d’Aurillac in 40,1 (40, 5 «quar bon secors fai Dieus a ferm voler»); Bernart-Elyas in 52,4-131,1 (37, 5 «n’Elyas, fis e fermz volers»). Infine ferm voler è in 461,18 (8, 1 «d’un ferm voler[ab pl]azer d’una vida»).
intra: Come già il Böhmer, Canello accoglie nel testo entra anziché intra «ottenendo così una perfetta assonanza con verga » (Canello). «Riteniamo che entra sia la lettura giusta, e non intra della vulgata, perché entra : verja si adegua a una griglia di assonanze che oppone chiaramente ongla : oncle e arma : ch’ambra».
2.
escoissendre: «Si osservi come, presso AB, la falsa interpretazione ies escondre abbia determinato la commutazione di ies in mais » (Perugi).
4.
non l’aus batre. Non si può imporre ad Arnaut il silenzio e, a dispetto del maldicente, egli raggiungerà il suo fine, con le debite precauzioni (Lavaud, Toja).
5 a frau: «Vale: ‘di frodo, di nascosto’» (Toja). « A f. per evitare la maldicenza del lauzengier che non osa punire e per alludere a una clandestinità tristaniana» (Eusebi).
6 aurai: «Crediamo ch’esso vada risolto in aura + i (cf. ai = a + i in IX 76), ciò che pare sia stato sentito anche dai copisti di CRGQ» (Canello). «Tuttavia il riscontro è falso e l’interpretazione [di Canello] urta contro la legge del Tobler (la correzione appartiene a Lavaud, che traduce “là où je n’aurai [pour m’épier] nul oncle”)» ( Perugi).
8 vergier e cambra sono le cornici dell’amore, i simboli dell’unione sperata tra il poeta e la dama. Un duplice sfondo, dunque, quello in cui viene inscenata la vicenda amorosa nei versi di molti trovatori; da un lato una cornice di tipo naturale e paesaggistico, il giardino, dall’altra uno sfondo di tipo architettonico, la camera, riduzione metonimica di una realtà ben più ampia e simbolica ossia il palazzo o il castello. La ricorrenza di questi due elementi è evidente negli esempi di seguito riportati: Aimeric de Peguilhan ” qu’eu la tengues en cambra o en vergier ” in “Lanquand chanton li auzeil en primier” v. 30; Bertran de Born ” qan serem sol dinz cambra o en vergier ” in “Eu m’escondisc, dompana que mal non mier” v. 5; Daude de Pradas “e retendeysson li vergier ” in “Belha m’es la votz altana” v. 5; Guilhem de Saint Leidier “bosc mi semblan, e prat, vergier , rausel” in “Aissi cum es bella cill de cui chan” v. 42; Jaufre Rudel “dinz vergier o sotz cortina” in “Quand lo rius de la fontana” v. 13. Anche se il quadro-tipo paesaggistico risulta almeno numericamente privilegiato, non mancano esempi in cui ritorna il motivo della camera, inoltre raramente la camera.Certamente diversi sul piano oggettivo, i due luoghi deputati all’amore sono accomunati sul piano simbolico dall’idea di chiusura e di separatezza rispetto al mondo circostante. Si instaura, così, una sorta di opposizione tra esterno ed interno, dove l’interno si carica di aspetti positivi, essendo il luogo della gioia, del piacere e dell’intimità amorosa dei due amanti; di contro l’esterno assume un valore negativo essendo simbolo della società, del giudizio altrui, di forze che si oppongono all’amore (si ricorda che l’amore cantato dai trovatori è di tipo extra-coniugale e quindi adultero). La chiusura rassicurante e la relazione tra l’interno inteso come spazio fisico e l’interiorità del poeta, possono essere evidenziate nel gioco fonico che ricorre tra le due parole rima intra e cambra nella sestina di Arnaut Daniel. Pur non trattandosi di una vera e propria rima, il richiamo fonico è certamente presente e dalla superficie del significante rinvia alla sfera del significato, dove si esprime la relazione tra interno-interiorità ed il luogo che fa da cornice alle vicende amorose. Se da un lato questo aspetto di chiusura è rassicurante e trasforma il luogo -cambra- in un rifugio, un nascondiglio d’amore, non mancano possibili sensi negativi. La camera, infatti, diviene anche simbolo di un castello- fortezza inespugnabile. La chiusura implica, in tale prospettiva, non più protezione ed intimità, ma separazione. L’inespugnabile fortezza non è che il simbolo dell’amore stesso, della donna che il poeta sogna, desidera ardentemente ma non può raggiungere. (A tal proposito si noti il verso 3 della cobla 6 della sestina in cui la donna diviene “tors e palais e cambra”). 10In questo senso di irraggiungibilità, nel desiderio inappagato del poeta, si cela il senso profondo della lirica trobadorica. La poesia provenzale si costruisce sulle aspirazioni del poeta, sul suo desiderio d’amore inappagato, ma egli stesso si compiace del suo sogno irrealizzabile (rimandiamo al concetto di paradosso amoroso elaborato da Leo Spitzer). 11Il poeta sogna, desidera la sua dama irraggiungibile, si dispera, ma se ciò non accadesse la sua poesia, forse, non avrebbe senso e, forse, non esisterebbe. Questo senso di separazione, di irraggiungibilità rapportato al verg(i)er ci rimanda al mito del giardino- Paradiso perduto. Il giardino dei poeti, dei trovatori spesso assume i caratteri specifici del Paradiso Terrestre. Quest’ultimo rappresenta la perfezione perduta, la gioia serena cui l’uomo ambisce senza riuscire a raggiungerla. Il paradiso terrestre è quell’ ortus conclusus , quel locus deliciarum irraggiungibile e perfetto. Ancora una volta il luogo diviene simbolo dell’amore ed in un’ottica tutta cristiana dietro i profumi, le essenze dei fiori, nelle acque limpide delle sorgenti si cela l’immagine della Vergine Maria, la dama delle dame, destinataria di un amore perfetto e supremo. L’origine del mito del giardino- Paradiso che attraversa tutta la cultura europea è da ricercarsi nelle Sacre Scritture. ( Genesi II, 8 ” plantaverat [...] Dominus Deus Paradisium voluptatis a principio, in quo posuit hominem quem formaverat [...] ut operaretur et custodiret illum.) Il giardino dei trovatori è la trasfigurazione dal piano sacro- cristiano a quello profano del paradiso terrestre, il luogo in cui è custodito il segreto dell’origine della vita e dove, per volontà divina, si è realizzato il primo incontro tra uomo e donna. Il vergier diviene, dunque, simbolo dell’incontro, dell’intimità e custode del segreto d’amore. Il giardino luogo di delizie, immagine della donna, suscita il desiderio del poeta il quale, inappagato, trasferisce le proprie emozioni nei suoi versi. Ma dietro le bellezze, i profumi e le dolcezze paradisiache del giardino si cela l’influenza di un’altra tradizione, proveniente dall’oriente, che ha origine nelle pagine del Corano.( Lo stesso termine Paradiso deriva dall’antico iranico in cui il termine pairidaeza indicava i favolosi giardini dei sovrani orientali: grandi recinti attraversati da corsi d’acqua, coltivati con arbusti aromatici, alberi da fiore e da frutto e popolati da animali ed uccelli ornamentali ). Il giardino del Corano, a differenza del Paradiso terrestre, è più concreto e senza proibizioni. La sua bellezza non poteva essere eguagliata da alcun giardino esistente sulla terra e al suo interno vi sono numerose donne tutte belle, buone e vergini ed abbondano cibi e bevande deliziose. Il giardino coranico e quello biblico presentano delle analogie date dalla presenza dell’ombra, dei frutti (desiderabili e gustosi) e dell’acqua; quest’ultima rappresenta una fonte di vita. I fiumi del Corano sono corsi incorruttibili in cui scorre latte, miele e vino, mentre l’Eden è attraversato da un fiume che si divide poi in quattro corsi che bagnano la terra. Inoltre nel giardino coranico vi sono fontane e troni ornati di oro e gemme e nel complesso il luogo, nella sua architettura e bellezza, promette estasi eterna. Ancora una volta il giardino diviene trasfigurazione della donna in tutta la sua bellezza e con i suoi profumi inebria il poeta che sa di non poterla raggiungere. La camera ed il giardino da luogo-cornice d’amore, a simbolo dell’amore stesso ed infine intesi come trasfigurazione della donna (castello inespugnabile e giardino delle delizie perduto) sono elementi significativi e funzionali per la lirica trobadorica. Pur nella sua semplicità, il giardino cela una dimensione più profonda, impossibile da riassumere e da esprimere nel modo più completo: esso stesso ha dato vita a varie tradizioni, orali e scritte, tramandate attraverso la memoria. Quest’ultima ha custodito racconti mitologici che rinviano ad un intreccio di culture, di testi scritti ,di leggende popolari, di tradizioni etniche, racconti legati all’immaginario personale e collettivo.
Cambra «È propriamente la ‘camera da letto’» (Canello).
13 fraire ni oncle: «Sono espressioni convenzionali, personaggi-pretesto, come il marit o il gilos , ed esprimono un ostacolo materiale all’amore. Fraire e seror , con simile valore, sono in J. Rudel, Belhs m’es l’estius »(Toja). «Qui fratello o zio della donna oggetto del desiderio,  i peggiori ostacoli all’ingresso nella cambra » (Eusebi).
14 ni ongla : Lezione preferibile diplomaticamente a neis l’ongla , perché presente in tre codici su quattro della prima famiglia e in nove su quattordici della seconda. È preferibile anche per convenienza logica «poiché il tremito della paura, invece di apparire per ultimo nell’unghia (all’estremità delle dita, che si estendono e irrigidiscono), vi apparisce anzi alle prime» (Canello). A neis l’ongla «il Canello preferì la lezione ni ongla. Essa è diplomaticamente più documentata, ma più scialba. Preferisco seguire il Bartsch, l’Appel e il Lavaud. Nel verso il poeta esprime realisticamente il tremito della paura diffuso in tutte le membra, nessuna eccettuata, sino all’estremità delle dita (ongla). Si ricordi il verso dantesco: “Non avea menbro che tenesse fermo” (Inf., VI, 24). Il Canello traduce sciattamente: “io fremo in ogni membro e nell’unghia” (p. 137), senza dar risalto alla forte negazione» (Toja).
16 Ongla è in posizione di rima solo nella sestina e nei suoi contrafacta . Arnaut Daniel si ricollega a Marcabruno che utilizza il termine all’ interno del verso in Bels m’es quan la rana chanta (v. 28 Lo bec o l’ongl o l’ala ) da cui ha ripreso anche il bec nella rappresentazione del lauzengier . Sempre all’interno del verso ongla è in 184, 2 (1, 1 Carn-et-ongla, da vos no×m voill partir e 17, 3 Carn-et-ongla, vos ai, e dompna gaia ) e la forma onglas è in 96,8 (9, 1 Car si tot el ha maiors onglas qe ors ) e in 434,15 (6, 1 e las onglas e×l pel e×ls corns mudar).
19 vv. 12-13 Le lezioni que e trop hanno dalla loro A, B e la maggioranza dei mss. Se le si adotta, si deve rapportare arma e cors al poeta. Canello rapporta queste espressioni alla dama e, secondo Lavaud, la traduzione assume un senso bizzarro: «puisse-je être près de son corps, non de son âme». Canello traduce arbitrariamente «comme s’il y avait sinon » (Lavaud). «Il Canello, p. 263, accetta la lezione del Bartsch, ricomposta sugli elementi di BCI: nol sia prop . Non sembra necessario ricorrere a una congettura, quando i mss. danno due esplicite lezioni queill sia trop e nol sia trop , ambedue ben documentate. La prima, preferita dal Lavaud, è così da lui tradotta: “telle peur j’ai qu’à elle soit trop de mon âme”. È illogico che il poeta tema che la sua donna appartenga troppo alla sua anima. È vero l’opposto: che Arnaut, cioè, ha timore che ciò non avvenga, e perciò, ne desidererebbe anche la vicinanza fisica (cfr. v. 13: Del cors li fos, non de l’arma ). La sola lezione che dia senso è, perciò, quella di CMMcSSgUcg′g″: tal paor ai nol sia trop de l’arma , seguita anche dall’Appel, che va tradotta: ‘tale paura ho di non essere abbastanza suo con tutta l’anima’» (Toja). «La traduzione del Toja è la più arbitraria perché trop non è ‘abbastanza’ e inoltre no = que , è cioè puramente espletivo, non negativo; del resto anche prop IKR è manifestamente un’innovazione facilior . Per conto nostro il glossema dana sembra dar ragione al Lavaud; d’altra parte abbiamo già dimostrato come arma è preceduto da un semplice articoloide in proclisi. È ovvio che es’arma , come aquest’arma al v. 20, si riferisce all’anima del poeta (cfr. ancora derta armaa, che doveva leggered’et’armaconeta=esta). Tutto sommato, è dunque l’interpretazione del Lavaud quella che più ci convince. [...] Anche l’evidenza raccolta ci sembra confermare la validità della nostra interpretazione. Un unico dubbio residuo: che l’oscillazioneque·l sia/no·l siaceli uniu siadativo femminile assoluto» (Perugi). «Propè lezione di IKRVe.Ag. e credo, come già Bartsch e Canello, che sia la buona lezione. È naturalmente il v. 14 a far preferireprop, verso che si congiunge in consecuzione a quello precedente con la formulazione augurativa della concessione di entrare nellacambra. E non si capisce come chi opta pertrop, dal Lavaud al Perugi, non abbia sfruttato ilmasconcessivo-avversativo di 14 ABH» (Eusebi).
20 ‘tale paura ho che non le sia troppo dell’anima’ oppure ‘tale paura ho di non esserle vicino all’anima’. In entrambi i casi si fa riferimento all’anima come “contenuto” del corpo, cioè come essenza della persona più intima, profonda e vicina a Dio.
21 E’ evidente la contrapposizione cristiana tra corpo e anima: il corpo è sede delle passioni, della carnalità e delle emozioni, l’anima della fede, dell’intelligenza e della riflessione. Qui Arnaut in un certo senso si oppone alla superiorità che la religione affida all’anima, desiderando penetrare, piuttosto, nel corpo della donna amata. Mentre i cristiani infatti sceglierebbero di entrare nell’anima dell’altra persona per poter albergare il più vicino possibile a Dio, Arnaut sceglierebbe il corpo, sede delle passioni e dell’amore carnale.
22 car :Per Eusebi invece « qu’ar non car , come suggeriscono le grafie di CFGHMQUc, il criterio della lectio difficilior e la convenienza della puntualizzazione temporale» (Eusebi).
23« Ésser carn i ungla es expresión muy frecuente en catalán para designar a quienes son muy amigos, inseparables» (Riquer).
24 seror de mon oncle: «La sorella dello zio d’Arnaldo è la madre sua; onde si vede attribuito qui ad o. il senso etimologico diavunculus = ‘zio materno’» (Canello). «La ‘sœur de l’oncle’ du poète n’est autre que sa propre mère» ( Lavaud). «È una delle più ardite espressioni del prezioso linguaggio perifrastico e metaforico di Arnaut: la s. de mon o. è, evidentemente, sua madre. Oncle qui conserva il significato originario di avunculus , zio materno» (Toja).
25In questo caso arma sembra usato più che come semplice e necessaria rima, che per qualche significato specifico. Ad ogni modo, qui per anima si dovrebbe intendere semplice l’essenza più profonda dell’uomo e come tale la più vera e importante.
26« Que tan DEM, coniugato alla commutazioneC’aixi V, sembra alludere a un fonetismo etan nell’originale» (Perugi).
27«L’esistenza della dialefe è postulata dalla variante di H e dall’inversione operata da M, ma cfr. anche le scrizioni volgra esser di SgU ed anche volgra star di V» (Perugi). 28 seca verga : «Non è ben chiaro a cosa alluda qui Arnaldo; [...] noi crediamo che l’allusione tocchi forse l’albero della scienza del bene e del male, che si disseccò per la prima colpa dell’uomo, e diede poi i semi (tre granelli) onde, attraverso molti prodigi, s’ebbe l’albero della croce e della salute del mondo. Su questo legno della croce o della redenzione s’ebbe nel medio evo una leggenda, [...] dalla quale s’ebbe anche una tardiva redazione provenzale [...]. Secondo una versione greca, anziché i tre granelli, si piantano tre tizzoni i quali dopo quaranta giorni verdeggiano; e che, secondo un altro gruppo di versioni, Iddio concede a Seth, anziché i granelli, un ramo, il quale poi rigermoglia; cosicché parrebbe che a una di queste due versioni, e probabilmente a questa seconda alludesse Arnaldo. Giova però ricordare che P. de Corbiae chiama Maria Vergine verga secca frug fazens ; e che nei Gautz di G. Folqueys c’è un luogo il quale in parte conforterebbe la spiegazione del Galvani (cioè che Arnaut “allude alla verga di Aronne”). Ivi infatti si vuol mostrare che nella verga di Aronne [...] è raffigurata la Vergine [...]. Infine, questa secca verga potrebbe essere anche quella di S. Giuseppe che sola fiorì fra quelle dei pretendenti alla mano di Maria [...]» (Canello). Lavaud cita Canello e ripropone le tre possibilità: il ramo dell’albero della vita; la mano di S. Giuseppe; la stessa Vergine Maria. «Comme l’a vu Canello, les deux vers 25 – 26, entendus ainsi, resument les deux époques de l’Histoire du monde, sous le Nouveau et sous l’Ancien Testament» (Lavaud). Toja appoggia la preferenza di Lavaud per l’interpretazione di s. v. come Maria Vergine e aggiunge: «Questo significato allegorico è ben spiegato da un passo di S. Bernardo ( Sermo de Adv. Dom. , II, 4, in Migne, PL., 183, c. 42): “Quoniam Virgo Dei Genitrix virga est, flos filius eius…. flos in quem prospicere desiderant angeli, flos ad cuius odorem reviviscunt mortui…” [...] Adamo e Maria riassumono così due ere della storia dell’umanità: l’antico e il nuovo Testamento, l’età apertasi col peccato e quella iniziatasi con la redenzione» (Toja). «II nostro contributo si limita alla citazione di Leys iv 248: ” Una reyal vergua sera / que de la razitz ysshira / de Jesse gitans una flor/ que s’en pujara sus l’aussor; / aysso mostrec que de Maria / nostre senhor Dieus nayssheria / del sem del rey David fizel / pels sieus montar lassus el cel” (il lacerto serve a illustrare l’impiego dell’Allegoria)» (Perugi).
29Leggiamo mogron con A B , perché rispetto ad esso il forondegli altri (meno C) ha l’aria di una glossa, che facilmente poteva venire in mente a parecchi copisti, indipendentemente l’uno dall’altro. Oltracciò crediamo che l’ hyssiron di C lo conforti, poiché anch’esso è una glossa e ci conferma nell’ipotesi che glossa sia il foron ; o è una mala lezione, racconciata poi alla meglio, e allora si vede che essa solo in mogron e non in foron poteva avere la sua ragione ed origine» (Canello). 30«La variante ipometra presente in MSgV (e solo in M rimediata mediante q’inz el ) parrebbe alludere a una dialefe nell’originale» (Perugi). 31Anche qui Arnaut si riferisce alla dicotomia corpo-anima, evidenziando però una concezione per cui entrambe concorrono ognuna a suo modo alla conoscenza. Mentre, infatti, nell’anima risiedono le verità intelligibili che conducono a Dio, anche il corpo diviene strumento di conoscenza attraverso i sensi. Questo verso vuole sottolineare come né corpo né anima, elementi costitutivi dell’essere umano, mai in nessun tempo e in nessun luogo, hanno conosciuto un amore come il suo verso la donna amata. 34 ni es en arma : Lavaud ritiene vi sia una gradazione discendente, che Canello non individua: «un amour pareil non seulment n’a pas esisté dans un corps et ne s’est pas manifesté au dehors, mais il n’a même pad été conçudans une âme, dans le for intérieur d’une créature» (Lavaud). La lezione del primo emistichio oscilla tra q ( u ) anc fos en cor (Appel, Lavaud, Bartsch-Koschwitz, Piccolo) e fos anc en cor(Canello, Crescini). La prima si fonda su AIKN², quattro codici, ma che valgono per due testimonianze, per la grande affinità del gruppo IKN²; la seconda ha l’autorità di 5 mss., ERSSga, tra i quali è a, copia tarda, ma spesso conservatore di buone lezioni. Nel complesso la lezione accertata dal Canello sembra la più persuasiva, anche perché mette meglio in risalto la opposizione dei concetti ( anc en cor …. ni eis en arma). In quanto alla lezione della seconda parte del verso, scartata quella scialba e incerta del Bartsch, combinata su B e C ( Non cuit qu’anc fos mais en core ni en arma ), rimane da scegliere tra ni es en arma di AUVc (Appel) e no ( n ) eis en arma di HIKN²RSga (Canello, Crescini). Nonostante la leggera prevalenza numerica delle testimonianze a favore della seconda, è preferibile la prima, non solo per l’autorità di A e per la conferma di UVc, mss. del secondo gruppo, ma anche perché la lectio difficilior meglio esprime la gradazione concettuale, come rilevarono l’Appel e il Lavaud (cfr. Appel, Chrest ., Gloss ., ne [ ni ] es [ eis ] = neys , e neppure). Il Canello ha tradotto, senza rilievo: “o in un’anima”. Arnaut vuol significare che un amore così perfetto, come il suo, non crede sia mai stato in un corpo (amore fisico) e in un’anima (amore spirituale)» (Toja). «Canello risolve Non cuig fos anc en cors, non eis en arma , interpretando non eis ‘e neanche’: il testo dei successori differisce solo per ni eis . Per conto nostro la ricostruzione di Cuiat in apertura di verso comporta la necessità di intendere ne = no come risposta all’interrogazione retorica ( ni esAUVc è una chiara innovazione, così come le varianti offerte singolarmente da C, M e dal contaminato B, quest’ultimo già preferito dal Bartsch [...] )» (Perugi). 36«La vulgata legge On qu’ill estei, fors en plaza o dinz cambra . Si noti lo schietto limosinismo pla ‘piazza’, documentato per esempio dal Meyer nel Daurel et Beton : e con ciò siamo lieti di aver sviluppato quei dubbi residui, e rivelatori, che impedivano di considerare certa la differente ricostruzione proposta nel tomo i» (Perugi). « On qu’eu estei : cfr. xvi, 33-35, luogo parallelo che induce a rifiutare qu’ill estei , ‘lei sia’» (Eusebi). 37 enongla : «Pare una creazione d’A. Daniel» (Canello). « Enongla . Il Lex ., IV, 374, dà il solo esempio di Arnaut. Il vocabolo ha tutta l’apparenza di ununicum coniato dal poeta nel suo realistico linguaggio fisico e visivo» (Toja). «El verbo enonglar parece inventado por Arnaut Daniel. A pesar de la diferente matización semántica, lo traduzco por el castellanoauñar , que registra el diccionario de Casares como sinónimo de ‘apezuñar’, que define como ‘hincar en el suelo los bueyes las pezuñas cuando suben una cuesta’» (Riquer). 38Chiaro è in questo caso il riferimento alla concezione cristiana per cui l’anima, essendo l’entità più prossima a Dio, dopo la morte fisica dell’individuo salirà nel Regno dei Cieli, mentre il corpo morirà restando sotto terra. 39 sa chanson : Ritenuta da Canello lezione migliore di son cantar , sebbene appoggiata da più codici, perché «esso è dato da quattro dei sette codici [della seconda famiglia] che hanno il vero rispetto alla disposizione delle due ultime parole di questo verso» e perché la parola chansson applicata alla sestina poteva essere considerata dai copisti un errore da correggere in cantar , mentre è estremamente difficile supporre che si sia verificato il contrario (Canello). 40 41 d’ongla e d’oncle : «Cet ordre des deux termes est bien le meilleur “parce qu’il respecte la loi de l’evoi qui est de reproduire exactement l’ordre des vers et des rimes de la dière partie de la strophe” (Canello); mais on voit aussitòt que cet ordre traditionnel des rimes (ici de la dernière str.) 4, 5, 6 demeurant à la base de l’evoi amenait nécessairement l’aance 1, 2, 3 pour les termes accouples – par rétrogradation – à ce de ces rimes. Aussi le formule de succession des six termes-rimes dans l’evoi n’est-elle pas la même que dans le reste de la pièce, et l’o a: 1,4 – 2,5 – 3,6» (Lavaud). 43In questo caso, l’interpretazione del termine arma non è univoco, in quanto essa dipende dalla trascrizione che si decide di dare anche agli altri termini. Alcuni identificano in quell’arma il sostantivo anima, considerando “verg’a” due parole distinte e dando però in questo modo una resa del periodo difficile da comprendere: “per il piacere di colei che ha l’anima della sua verga” . “Arma” non sarebbe quindi altro che l’anima cristiana. Altri invece lo interpretano come forma verbale di armare, considerando “verg’a” come un’unica parola “verga” e rendendo il verso “per il piacere di colei che arma della sua verga”. In questo ultimo caso quindi “arma” non avrebbe nulla a che fare con l’entità teologica di anima. 45 a grat de lieis : «j’écris (avec les mss. A B) a grat et non ab grat ; je crois qu’on a à faire ici à la préposition a marquant la destination, bien distincte de ab,‘avec’. Arnaut transmet son chant non pas avec la permission ou l’agrément, mais pour l’agrément, en vue du plaisir et de l’approbation de celle qu’il aime, à son ami Désiré. Celui-ci n’est pas le vrai destinataire; il doit faire parvenir la chanson qu’Arnaut ne peut ou n’ose remettre lui-même. De l’ensemble de la pièce et non pas seulement du v. 16, il semble résulter que l’approche de sa dame était, momentanément du moins, interdite à A. Daniel (à la suite de quelque maladresse, aggraveé par les propos d’un lausengier ? cf. str. 1). – Par suite de ce qui precède, ajouter la locution a grat à celles que signale Levy, IV, 171, et supprimer ab grat admis par lui d’après ce seul passage» (Lavaud). 47v. 38-39 desirat : designa Bertran de Born, secondo una glossa di H (v. diplomatica), ripresa da una chiosa del Barbieri. In tal caso la tornada sarebbe da rendere ‘Arnaut invia la sua canzone di zio e unghia, per il piacere della donna amata, all’amico Desirat’. Tuttavia non si può escudere che il verso si riferisca alla dama Canello: «Nel secondo caso, il v. 38 sarà da intendere della donna amata, e nel verga saremmo indotti a vedere un’allusione oscena; nel primo caso, che a noi pare più probabile, la donna designata nel v. 38 sarebbe una confidente e amica della donna amata. Una mediatrice cortese fra il poeta e la sua donna. E verga sarebbe allora da intendere per ‘padrona’, come ‘scettro’ per ‘regnante’». «On peut faire [a Canello] là-contre deux objections: d’abord son Desirat désigne trés vraisemblablement B. de Born; par suite, le v. 38 s’applique à la dame même d’Arnaut. D’autre part, vergane se trouve nulle part avec le sens bizarre que lui prête Canello. – Une seconde interprétation, proposée aussi par Canello, consiste à voir cette fois dans son Desirat la protectrice [...]. Je crois devoir rejeter cette interprétation moins parce que cette façon de parler est choquante (la pièce I montre qu’A. ne s’effraire pas pour si peu) que parce qu’elle est ici très inattendue, étant donné le ton du reste de la pièce. – L’interprétation que je propose rapporte sa verga à la dame elle-même: ‘elle a l’âme de sa verge’, c’est-à-dire l’âme aussi dure que la verge ou la baguette dont elle se sert, à la fois réelle (houssine pour le cheval) et métaphorique (marquant la domination de l’amour) [...]. Son Desirat = a son Desirat , le cas oblique des noms propres pouvant s’employer sans préposition comme complem. indirect [...]». Qui Lavaud cita la chiosa latina di Barbieri e scrive «B. de Born est en bon termes avec une dame surnomée ‘Mieux-que-Bien’(A mon Melhz-de-be deman… dans Domna pois, v. 47) ; A. Daniel aime et chante la même dame (VII, 67 et XVII, 33) [...]. B. de Born confie, pour le porter à Richard, duc d’Aquitaine, son sirvéntes Belh m’es quan vei camjar à un Arnautz juglars (v. 42); A. Daniel, de son côté, envoie sa chanson IV à un Bertrand (v. 49). B. de Born reproduit, dans le sirventés Non posc mudar , le rythme et les rimes d’une chansond’Arnaut (XVII) composée précisément pour ‘Mieux-que-Bien’», non giustificando il fatto che Canello non si sia attenuto a questa spiegazione. Infine, Lavaud nota « Cui pretz… intra : cui est au génitif, mais je construis directementcui pretz intra en c. et non, comme Canello, en cambra cui (dans la chambre de qui) p. intra . Le mérite ou plutôt (c’est ici la nuance exacte) la réputation de ‘Désiré’ entre, se répand jusque dans la chambre des dames. – On pourrait être tenté de comprendre que cette expression ‘son prix, son mérite entre’ revien à dire que ‘Désiré’ y entre lui-méme, mais le v. 8 s’oppose à cette interprétation» (Lavaud). «Sono versi di difficile interpretazione. La chiave si trova nell’enigma di Desirat , per il quale sono state prospettate le seguenti possibili soluzioni: [1] Desirat come senhal di Bertran de Born, amico di Arnaut. L’interpretazione si fonda sulla notizia riferita da G. M. Barbieri ( Origini cit., p. 97) che “Bertran de Born e Arnaldo Daniello furono così amici, che insieme si chiamavano l’un l’altro Dezirat “. Non è provato se la fonte del Barbieri fosse Miquel de la Tor, o come vede il Bertoni il ms. H, posseduto dal Castelvetro, che ha questa nota marginale: [ Dezirat ]idest a ’n Bertran de Born, ab cui se clamaua Deszirat . Il De Lollis, concordando col Mussafia, ritenne che “il Libro slegato del Barbieri fosse semplicemente un estratto di H”, poi precisò che la chiosa dalla quale il Barbieri ricavò la notizia relativa a Desirat si trovava fra le note di cui il compilatore della maggior parte di H aveva qua e là corredato il testo [...]. [2] Desirat come senhal riferito a una donna, la stessa amata da Arnaut, o altra persona. Il Canello difese, non senza dubbi, la prima ipotesi di questa seconda interpretazione [...]. Non è, infatti, accertata la solidità della notizia riportata dal Barbieri; non si può provare che la donna chiamata da Arnaut col senhal Mieills-de-ben (VII, 67 e XVII, 33) sia, come crede il Canello (p. 3), la stessa cantata da Bertran de Born in Domna pos de mi no· us cal , v. 47: A mon Mielhs-de-be deman . Il fatto che questo nome si trovi anche in Folquet de Marseilla e Gaucelm Faidit, come già sapeva il Canello (p. 3 n. 1 e p. 278), lascia pensare a un senhal poetico comune. [...] Non è, poi, assolutamente certo che ilBertran di Arnaut, IV, 49, sia Bertran de Born e nemmeno può essere prova sicura dell’amicizia fra i due poeti l’imitazione della canzone XVII del Daniel (ritmo e rime) da parte del trovatore di Hautefort. Fondatamente, perciò, il Kolsen dubitò delle prove addotte dal Lavaud, rilevando che la notizia del Barbieri può essere poco degna di fede, come spesso lo sono quelle delle Biografie provenzali e che, comunque, nelle poesie di Bertran de Born non si trova mai il Versteckname di Desirat . Confermando la sua tesi sulla priorità dell’attività poetica e, conseguentemente, della fama di Arnaut rispetto a Bertran de Born, il Kolsen credette che questi abbia imitato Arnaut nell’anno 1188, quando, per la sua canzone Non posc mudar un chantar non esparga (ed. Stimming, 29, 3 n. 19) prese da quella di Arnaut (XVII, Sim fos Amors de joi donar) oltreché la costruzione e le finali di rima, il senhal della donna, Mieills-de-ben . Affaccia, poi, l’ipotesi cheBertran , citato nel congedo della canzone IV di Arnaut, sia Bertran de Baux († 1181), in possibile relazione di amicizia anche col Daniel, come col cognato Raimbaut d’Aurenga e con Giraut de Bornelh. Ipotesi accettabile, ma non certamente più sicura di quella che vorrebbe sostenere l’amicizia fra Arnaut e Bertran. Le pagine del Kolsen conformano la nostra opinione che non si può provare, come voleva il Lavaud, cheDesirat sia Bertran de Born, pur non volendo escludere del tutto una possibile amicizia tra i due trovatori. L’interpretazione più prudente e veridica sembra, perciò, essere quella felicemente proposta, ma, com’è avvenuto altre volte, poi non accettata dal Canello, che, cioè, la donna amata da Arnaut e Desirat siano una stessa persona. [...] Scartando l’ipotesi apocalittica del Canello, verga non può riferirsi che alla donna amata. [...] Concludendo, il congedo della canzone è rivolto da Arnaut alla sua inflessibile amata ( Desirat ) per conquistarla e farle piacere ( a grat de lieis ), nella speranza di poter avere accesso nella sua camera, dove per ora entra solo Madonna» (Toja). 49«La vulgata legge A grat de lieis que de sa verg’a l’arma, / son Desirat, cui pretz en cambra intra . Variano tuttavia le interpretazioni, soprattutto in rapporto al significato diDesirat . [...] Tutto sommato, dunque, la critica precedente prospetta un testo unico [...] e due interpretazioni opposte. La prima è rappresentata dal Lavaud. [...] L’altra è rappresentata, con divergenze abbastanza notevoli, da Canello e Toja. [...] Da parte nostra osserviamo che: [1] al v. 38 le varianti A grat sidonz GQ:Grat de sidons M, oltre a segnalare l’intersezione sottesa, confermano che qui si parla della donna amata dal poeta; [2] desirat alterna con desirar ABN²Sa, variante che allude a un nome comune anziché proprio come, senza eccezioni, intende la vulgata. Ma se ciò è vero, allora bisogna dar ragione al Bartsch che, unico, ritenne arma verbo anziché sostantivo; [3] il v. 39 cela una diffrazione che è necessario almeno tentar di razionalizzare. A questo proposito è sulla lezione capres de ERSSga che bisogna fermare l’attenzione. Lo strano capres corrisponde al cumulo grafico tràdito da FIKNN²a per A. Daniel 15.12 dove, ricordiamo, l’originale leggeva la particella negativa cap . Che anche in questo verso il fattore dinamico sia analogo, ci sembra provato dal de che altrimenti riuscirebbe impossibile esplicare a livello di etiologia. Supponiamo, a titolo di ipotesi di lavoro – giacché più salda certezza non sembra possibile conseguire – che anche qui l’originale avesse qui·n capres de chambra : il glossema interlineare si sarebbe saldato con cap già all’altezza dell’archetipo, producendo capresc’ab pretz (donde cui [ pretz / iois ] ABGQUc) oltre alla commutazione di de , ormai divenuto incomprensibile, in en . Si tratta, torniamo a ribadire, di un semplice tentativo, basato sulla parziale analogia con la diffrazione di 15.12. Se si accoglie questa ipotesi è il poeta stesso che, con l’ironia che gli è propria, denuncia l’impotenza del suo desiderio, ‘che non entra in nessuna camera’ (e si rilevi l’antitesi coi vv. 35-6); quanto a verja , è la stessa di fronte alla quale trema il ragazzo al v. 11 e con la quale, metaforicamente, al v. 15 l’oggettiva impossibilità di conseguire l’amore agognato flagella il cuore del poeta: qualcosa del genere aveva inteso il Lavaud, sia pure fuorviato dalla smania di un troppo minuto realismo. Ultima conseguenza della nostra proposta sarebbe naturalmente l’arma = li arma , col dativo pronominale in proclisi, ma è proprio qui che i mss. non ci favoriscono (si desidererebbe infatti il consueto ventaglio di varianti ill , lh ecc.). Concludiamo che l’aporia resta per il momento irrisolvibile» (Perugi). «Mi allontano qui da tutti gli editori che mi hanno preceduto e che hanno rispettato la lettura della tradizione: a grat de lieis ( de si Perugi) … son Desirat ( desirar Perugi). Quanto all’ambiguo de sa verj’a l’arma , credo che la polisemia grammaticale (di lei di lui) e lessicale (verga sesso) sia da mantenere» (Eusebi). «Sigo la lectura de Canello, Lavaud, Toja y Wilhelm, apoyada en buenos cancioneros y que para mí es clarísima. Perugi lee A grat de si qui de sa verja l’arma Son desirar, cui prez en chambra intra , “per il piacere di quella che della sua verga…”, y deja sin traducir el último verso. Eusebi introduce una nueva y osada lectura, basada en la palabra cledisat , ‘enrejado’, que no aparece en ninguno de los veinte manuscritos que transmiten este texto, y cree que así se hace “evidente con quanta concretezza Arnaut Daniel voglia alludere nella tornada alla retrogradatio cruciata della sestina” (véase también el artículo de Eusebi en “Cultura neolatina”, XLII, 1982, págs. 181-199). En la edición de Eusebi los dos últimos versos son: a Grant Desiei, qui de sa verj’a l’arma, / son cledisat qu’apres dins cambra intra lo que traduce: “a Gran Desio, che della sua verga ha l’anima, canto contesto a graticcio che, appreso, in camera entra”. Aun sin ser partidario de esta solución, añadiré que el catalán cledissa , en el sentido de ‘revestimiento de barras y rama que se ponía como abrigo en los castillos de madera y otras máquinas defensivas’, está bien documentado en catalán medieval» (Riquer).