Revisione di MUSICA del Sab, 23/11/2013 - 16:16

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Edizione diplomatico-interpretativa delle melodie

 
Le edizioni musicali
 
Introduzione alle edizioni musicali.
Dal 1925 sono state proposte varie edizioni musicali di Ia nus hons pris, espressione di opinioni profondamente diverse di autorevoli studiosi: Frederick Gennrich, Jean Beck, Hans Tischler e Archibald Thompson Davison in collaborazione con Willi Apel.
Una visione sinottica delle quattro edizioni pone in rilievo le divergenze sull'interpretazione della monodia medievale maturate attraverso lo scorso secolo.
L'argomento fondamentale del dibattito sulle melodie dei trovieri si gioca sull'interpretazione del ritmo e della durata delle note. La notazione quadrata in cui è tradita la melodia della canzone offre infatti precise indicazione diastematiche, ma oscure indicazioni mensurali. I manoscritti K, X e N, non riportano alcuna indicazione ritmica, notano promiscuamente il punctum e la virga, che nella musica polifonica corrispondono rispettivamente a una durata breve e una lunga. La scuola medievale di Notre Dame aveva formulato un sistema notazionale per cui era possibile estendere il carattere mensurale anche alle monodie: tra queste, per primo al discantus, di cui solo la parte del tenor era scritta mentre le altre voci erano sottintese, si applicò una notazione modale, che poi si estese ad altri generi, tra cui il cantus planus.
L'interpretazione di questo tipo di notazione, applicato anche ad alcuni testi della musica profana in volgare, nello specifico al repertorio trovierico e trobadorico, non è affatto unanime. É evidente però che il canzoniere O riporta una notazione mensurale, suscettibile di una lettura modale, per questo in sede critica gli studiosi hanno privilegiato la lezione di questo manoscritto.
Interpretare il modo non è come sciogliere un'abbreviazione, ma comporta operazioni più incerte: anzitutto la scelta della chiave e ancor più la scelta della suddivisione nella battuta sono aspetti delicati, e che infine assumeranno sempre un valore convenzionale e non mimetico. Il trascrittore dovrà poi scegliere se inquadrare i gruppi neumatici in un ritmo binario o ternario: una legatura di due note potrà essere interpretata sia come due crome, sia come una terzina formata da una semiminima più una croma; una legatura di tre note sia come due semicrome più una croma, sia come una terzina di crome[1]. Alcuni editori scelgono di non scrivere il valore del tempo ad inizio rigo, altri di abolire ogni indicazione mensurale, la divisione delle battute e il valore di durata delle note. Ogni edizione dovrebbe comunque spiegare e argomentare esaustivamente i criteri seguiti.
Beck porta a galla questioni preziose per una prospettiva complessiva del componimento del re Riccardo:
nella sua introduzione argomenta su diversi casi in cui un canto, trascritto da un copista straniero, muta il modo ritmico in cui era scritto originariamente; questa trasposizione avviene per via delle differenti strutture delle lingue romanze, a cui diversi modi si addicono più o meno agevolmente.
Il cambiamento del modo di una melodia è una pratica corrente: vari sono gli esempi di modifiche rimiche, come nello Chansonnier Cangé, in cui sono presenti Jeux partis ritmati con modi diversi. Ne consegue che la versificazione non determina, sola, il modo.
Il problema che Beck pone è fondamentale, e se ne intuisce l'importanza che assume nell'interpretazione della tradizione della melodia di Ia nus hons pris: l'assioma che gli spartiti con annotazione modale aiutino a comprendere quelli scritti con una notazione quadrata amensurale è da giudicare con cautela, perché a una stessa versificazione possono corrispondere non solo varie interpretazioni del modo, ma una notazione modale differente.
L'accordo dei teorici nel considerare la notazione mensurale un'innovazione che dal discantus si estende a tutti i generi, anche al cantus planus, invita a riflettere. Il modo V, - ex omnibus longis et perfectis – costituito da due longae perfette, è applicato a tropi e prose ritmate, perché corrisponderebbe a una concezione isosillabica del canto medievale[2].
Con queste premesse, e considerando il carattere amensurale della melodia nei manoscritti KNX, si ravvisa la necessità di un'edizione che non lasci nell'ombra del ritmo di O le melodie che riportano forse non solo un'informazione per difetto, ma testimoniano uno livello parallelo della melodia: l'applicazione del modo potrebbe essere una costrizione di una concezione ritmica in un sistema di notazione nuovo. Inoltre il modo che si legge potrebbe non corrispondere a quello originario, ed essere un'interpretazione del copista, che nel caso dello Chansonnier Cangé è non solo un ottimo notatore, ma anche un abile musicista, in grado di trasporre melodie e sanare errori del copista, e certamente capace di sostituire un modo o dare una veste ritmica a un canto che originariamente non l'aveva, proprio come farebbe un musicista moderno che dovesse mettere su un pentagramma un a solo di un artista poco ortodosso. Il fatto che ci sia pervenuto un manoscritto che riporta una notazione evidentemente mensurale come quella di O, non esclude che la canzone sia stata concepita come un canto a ritmo libero, declamatorio, simile a quello gregoriano, secondo l'interpretazione che dà della monodia trovierica uno studioso dell'autorità di Hendrik van der Werf[3].
Se, al contrario, il compimento fosse in origine perfettamente inquadrabile in uno schema modale, cosa che in ogni caso non è possibile accertare, sarebbe comunque possibile che il modo applicato alla canzone sia frutto dell'interpretazione del notatore, e un'edizione ritmicamente neutra rappresenterebbe un livello della tradizione, certamente incompleto, ma non di minor valore rispetto ad O.
Dare piena autorità al ritmo di O appare allora incauto, perché dove gli altri manoscritti tacciono, attestano un non-ritmo. Inoltre sostanziali varianti melodiche che accomunano KNX, e non sono presenti in O, sono state obliterate in questa aspirazione positivista che ha puntato i riflettori sullo Chansonnier Cangé.
Considero la varietà della tradizione un valore aggiunto, e oltre al ritmo mensurale di O è possibile ascoltare un'altra melodia, anzi numerose altre interpretazioni della melodia, che possono essere comunque esaminate criticamente dal confronto di KNX, senza votarsi al «religioso rigore diplomatico»[4].
 
 
Edizioni di Frederick Gennrich
Gennrich edita tre volte la melodia della rotrouenge: compare infatti con questa definizione per la prima volta nel 1925 in Die altfranzösische Rotrouenge : literarhistorisch-musikwissenschaftliche Studie II. Questa definizione ebbe e continua ad avere grande fortuna, ma suscitò anche delle perplessità. Infatti Gennrich, inserisce il componimento di Riccardo nel suo studio sulla rotrouenge in lingua d'oïl per via della sua struttura: una strofa (a) costituita da due versi di dieci sillabe, divisi in otto piedi, eseguita due volte, seguita da una strofa (b) che termina con il ritornello: la parola-refrain «pris». Una rotrouenge si compone di due o più strofe che ricalcano una stessa melodia, più un ritornello[5]. Stando all'edizione del testo di Gennrich, e non volendo contestare l'identificazione di un refrain in una sola parola, considerandolo anzi un'arguzia del filologo, si potrebbe annoverare la canzone tra le rare rotrouenges. Le riserve nascono semplicemente dal fatto che l'edizione è basata su un solo testimone, ancora una volta il celebre Chansonnier Cangé. Confrontando le varianti di KNX osserviamo che la melodia della seconda strofa è decisamente mutata rispetto alla prima, e anche volendo ipotizzare un errore congiuntivo che riporti le note alla stessa altezza diastematica, - come fa Tischler - le due strofe ancora non coinciderebbero. L'identificazione del refrain in una sola parola potrebbe allora contribuire a riconsiderare la tesi che fa di Ia nus hons pris una rotrouenge, o a limitare questa definizione al componimento tradito nel manoscritto O.
La seconda edizione è 1955, in Altfranzösische Lieder - Tübingen, M. Niemeyer, sostanzialmente identica alla prima[6]; la terza edizione, che propongo in sinossi con gli altri editori, è di pochi anni successiva e appare in Exempla: altfranzösischer Lyrik: 40 altfranzösische Lieder - Darmstadt, F. Gennrich, 1958: questa non si discosta dalle precedenti, con la particolarità che l'indicazione del tempo all'inizio del rigo è scomparsa.
 
Le note sono scritte in chiave di violino semplice nella versione del 1925, da leggere un'ottava sopra nelle edizioni successive. Le battute riportano un ritmo ternario ma a base binaria: 6/4. Il ritmo è identificato principalmente con il III modo, l'ossatura della notazione della canzone è: longa perfecta (= 3 brevis), brevis brevis alterata (= 2 brevis).
Sono quindi rintracciabili tre suddivisioni nel piede che corrispondono a tre "posizioni" nella battuta: la prima della durata di 3/4, la seconda della durata di 1/4, la terza della durata di 2/4.
In notazione moderna: la virga, in prima posizione assume il valore di una longa perfecta e vale 3/4; in terza posizione la longa è imperfecta e vale 2/4 . La brevis – rappresentata dal punctum - in seconda posizione vale 1/8, in terza posizione diventa alterata e vale 2/4. In finale di strofa sia virga che punctum arrivano a valere 3/4.
Il III modo è visualizzato quindi: minima puntata – semiminima – minima.
I gruppi neumatici sono segnalati con legature di valore o semplicemente collegate con uno o più tratti di unione tra i due gambi. Gennrich trascrive i gruppi neumatici composti da due note: 1/4 + 2/4 in prima posizione; 1/8 + 1/8 in seconda posizione ; 1/4 + 1/4 in terza posizione; 1/4 + 2/4 in finale di strofa. Le pliche sono considerate come un semplice gruppo neumatico.
I gruppi neumatici di tre note sono invece trascritti: 1/16 + 1/16 + 2/4 in prima posizione; 1/16 + 1/16 + 1/4 in terza posizione.
 
 
Edizione di Archibald T. Davison & Willi Apel
L'edizione della canzone è in Historical Antology of Music, un'opera pubblicata nel 1949, nell'ambito di un progetto molto più ampio, quello di un'antologia che passa in rassegna i generi musicali dal medio evo fino al '900. Nella piccola sezione dedicata alla musica dei trovieri è trascritta, nella versione tradita dallo Chansonnier Cangé, Ja nus hons pris, classificata come ballade. Evidentemente la definizione di Gennrich non deve aver entusiasmato Davison, che come esempio di rotrouenge[7] preferisce citare Pour mon coeur di Guillaume de Vinier, per il quale rinvia proprio al volumetto dello studioso tedesco.
Questa edizione non sembra aver sofferto un travaglio esegetico, dal momento che nel commento ai componimenti antico francesi si legge: «modal rhytm can be applied in most cases, usually without much ambiguity.»[8]. Questa sicurezza è argomentata con il fatto che stavano sorgendo, nello stesso periodo, la musica polifonica della scuola di Notre Dame e la poesia trovierica, - anche se la prima notazione modale precede di circa due secoli la sua applicazione ai testi volgari -.
Nonostante rinviino all'edizione di Beck, Davison e Apel si discostano dal ritmo binario, mostrandosi però in accordo con il filologo francese sul valore isosillabico dei neumi. Principale scopo dell'antologia è di essere fruibile sia da studiosi che da studenti ed esecutori, e pertanto cerca di rendere gli spartiti adatti a diversi gradi di abilità di lettura.   
 
Ne risulta una partitura poco articolata, isosillabica, in chiave di violino (da leggere un'ottava sopra), in battute da 3/4, senza specificazione di tempo ad inizio di rigo, con equipollenza tra i neumi virga e punctum, (= 1/4; in finale di verso = 2/4). Questi all'occorrenza possono assumere la una durata di 2/4 anche all'interno della frase musicale, come all'ultimo verso, la cui veste ritmica mette a dura prova il trascrittore.
I gruppi neumatici di due note sono, tra loro, di uguale durata (= 1/8), ma in fine di strofa si allungano fino a riempire tutta la battuta (1/4 + 2/4, con legatura). Le pliche sono considerate come un semplice gruppo neumatico. I gruppi neumatici da tre note sono legati in una terzina di crome (occupano quindi la durata di 1/4), mentre in finale di verso si allungano e si sciolgono dal ritmo terzinato (1/8 + 1/8 + 1/4).
 
 
Edizione di Hans Tischler
La più recente edizione, ed anche la più completa, si trova nella monumentale opera di Tischler, Trouvère lyrics with melodies[9] (1997). Si trovano qui in sinossi i quattro manoscritti: O e K per esteso, per X ed N riporta invece solo le varianti rispetto a K. La canzone viene qui definita una chanson de croisade.
Tischler offre in molti passaggi varianti ritmiche, e specifica i punti in cui l'interpretazione è discordante con il dato paleografico.
 
Per il ms. O, la trascrizione si basa su una lettura modale della melodia, prevalentemente secondo il III modo, le cui modalità sono già state spiegate nel paragrafo dedicato all'ed. Gennrich. Per K invece il ritmo è isosillabico, seppure imbrigliato in una veste mensurale. I gruppi neumatici sono collegati fra loro con i normali tratti di unione tra i gambi, ben distinti dai neumi designati con note singole. L'andamento ternario è espresso in 6/8: Nella trascrizione di O, questa suddivisione spezza a metà la battuta; i primi tre ottavi (prima posizione) sono occupati dalla longa perfecta, (Tischler specifica in nota quando è un punctum a occupare questa posizione) o da un gruppo neumatico; i restanti tre ottavi sono divisi in altre due posizioni, la seconda posizione della durata di 1/8, la terza della durata di 2/8: esse corrispondono rispettivamente a una brevis e a una brevis alterata.
I gruppi neumatici di due note sono trascritti come una coppia di ottavi se in terza posizione, come 1/8 + 2/8 (con parentesi di unione) se in prima posizione.
Il ritmo terzinato di questa suddivisione rende i gruppi neumatici di tre note semplici da gestire, evitando di passare da un andamento binario ad uno ternario: ogni nota del gruppo neumatico assume valore di 1/8, (terzine da 1/16 se in seconda posizione). In finale di strofa il ritmo terzinato si scioglie e il gruppo neumatico è espresso con 1/16 + 1/16 + 1/8 lasciando 1/8 alla pausa.
Per K(NX) la suddivisione in 6/8 rappresenta uno schema più libero, dove ogni ottavo è un'entità ritmica individuale. Le note hanno la metà del valore rispetto alla notazione di O, e di conseguenza è dimezzato anche il numero delle battute. L'interpretazione modale viene meno e ogni neuma, virga, punctum o gruppo neumatico ha la stessa durata (=1/8); la sillaba finale di strofa raddoppia il suo valore e occupa quindi 2/8.
I gruppi neumatici di due note valgono 1/16 ciascuna (variante: legati o divisi), e i gruppi neumatici di tre note da una terzina di sedicesimi (variante: legati o con le prime due note divise dalla terza) .
Ogni decasillabo si articola quindi in 12 pulsazioni, 9 sillabe isocrone (=1/8), una da 1/4, e una pausa (= 1/8) che chiude il verso.
Le pliche sono segnalate con un trattino che barra il gambo della seconda nota.
La trascrizione è in chiave di violino, da leggere un'ottava sopra.
 
 
Edizione di Jean Beck
Jean Beck si basa esclusivamente sul testo del manoscritto O: edita la canzone di Riccardo Cuor di Leone nel 1927, nel volume dedicato allo Chansonnier Cangé (Bibl. Nat. Fr. 846), nella serie Les Chansonniers des Troubadours et des Trouvères della collana Corpus Cantilenarum Medii Aevi. Al primo tomo, dedicato principalmente alle edizioni fotografiche, si affianca il secondo, dove le trascrizioni delle melodie ed edizioni interpretative dei testi contenuti nel codice sono precedute da un'ampia introduzione. Vale la pena riassumerne alcuni passi al fine di comprendere le sue scelte nella trascrizione della melodia.
Per Beck, l'unico modo di comprendere il ritmo della musica medievale passa attraverso lo studio delle fonti, dalle quali, su base statistica, è possibile desumere delle norme generali. Uno dei punti fondamentali dell'introduzione è questo:
«L'analisi ritmica dei tropi, sequenze, organa, conductus e mottetti scritti in notazione mensurale, che indica esattamente la durata delle sillabe cantate, porta ad una prima constatazione: non c'è, nella canzone latina o francese del medio evo alcun rapporto obbligatorio tra le sillabe che portano l'accento tonico delle parole, da una parte, e i tempi forti della misura musicale, all'interno del verso, dall'altra.»[10]
Questo evidenzierebbe la continuità con la prassi della poesia latina, che sacrifica l'accento tonico di parola alle esigenze del metro. Anche i modi non sarebbero altro che la sopravvivenza dei metri classici[11]. Il III modo, che forma la struttura ritmica della melodia di Ja nus hons pris, ha infatti un andamento dattilico, (longabrevisbrevis[12]), e piega sistematicamente l'accento di parola al ritmo del canto[13].
Una sola regola lega il ritmo e l'accento tonico: la sillaba tonica della rima deve cadere su un tempo forte.
Il passaggio dalla poesia quantitativa a una poesia basata sull'accento e sul numero delle sillabe ha portato a una concezione isosillabica, cioè in cui le sillabe avevano una stessa durata.
Beck si avvale dell'opinione «d'un des meilleurs connaisseurs de la musique polyphonique», Friedrich Ludwig[14], secondo il quale i modi della ritmica primitiva medievale sarebbero stati il V, dove tutte le sillabe si equivalgono in un'unità costituendo un andamento binario (longa perfecta - longa perfecta), e il VI, ad andamento ternario, (brevis brevis brevis – brevis brevis brevis), proprio in virtù dell'equipollenza della durata delle singole note.
Sarebbero le prime forme del discantus, i tenori dei mottetti, caratterizzati dal V modo, i testimoni di questo ritmo primordiale.
Sulla base delle dichiarazioni dei musicisti e dei testi stessi, Beck si schiera contro una ternarietà assoluta, che reputa «une merveille d'ingéniosité arithmétique» dei mensuralisti: una perfezione teorica non deve corrispondere necessariamente alla pratica.
Allargando la prospettiva ad una visione mondiale e interculturale della pratica musicale, Beck sostiene che la ternarietà della scuola mensuralista medievale sia schiacciata dal numero di esempi di ritmo binario: la ternarietà teorica segue nei fatti una logica binaria.
Contro la tesi della necessaria ternarietà della musica medievale Beck trae dal Tropario di Burgos e dai Mottetti di Bamberg svariati esempi tra Organa, tenori di mottetti, prose ritmate, e ne evidenzia il ritmo isocrono del V modo - ex omnibus longis et perfectis - che consiste in una serie di sillabe neutre, cantate su note di uguale durata: questo, di marginale applicazione nella trascrizione delle canzoni dei trovatori, predomina nelle composizioni antiche e forma le assi del sistema ritmico medievale.
Tenendo presente le citazioni prese da testi teorici medievali[15] - che avvalorano la tesi di una concezione binaria del ritmo - possiamo comprendere la sua scelta di trascrivere la melodia in uno schema binario:
 
Lo spartito non riporta l'indicazione del tempo, ma fa corrispondere ogni battuta al valore convenzionale di 2/4. Divide il decasillabo in quattro piedi dattilici: il piede sarà diviso in tre "posizioni", di cui la prima lunga, la seconda e la terza brevi. In base alla posizione che il neuma occupa nel dattilo Beck assegna un valore di durata: il punctum e la virga valgono 1/4 se in prima posizione, 1/8 se in seconda o terza posizione, 2/4 se in finale di strofa. I gruppi neumatici sono segnalati con legature di valore o semplicemente collegate con uno o più tratti di unione tra i due gambi, a seconda se queste siano crome o semicrome; i gruppi di due note hanno valore uguale fra loro: ogni nota ha una durata di 1/8 se occupa la prima posizione del dattilo, 1/16 ne occupa la seconda o la terza posizione; in finale di strofa, in prima posizione, la seconda nota si allunga e assume il valore di 1/2. Le pliche sono considerate come un semplice gruppo neumatico, nonostante Beck nell'introduzione si soffermi sulla sua peculiare natura liquiescente, che descrive come un glissando in finale di nota. I gruppi di tre note non si presentano mai sotto forma di terzine, ma la terza nota vale il doppio delle altre due: le prime due note valgono 1/16 e la terza 1/8, o eventualmente 1/2, se precede una pausa.
 

 
[1] O valori proporzionalmente equivalenti.
[2]  «Si donc nous trouvons, dans un manuscrit écrit au treizième siècle par un copiste versé dans les               complications de la musique mesurée, des Tropes et des Proses rythmés, indubitablement en cinquième Mode, ex omnibus longis et perfectis, c'est qu'il faut bien y voir la tradition de l'ancien rythme fondamental de la poésie du Moyen Age, basé sur la valeur isochrone des syllabes.», J. Beck, Chansonnier des troubadours et des trouvères II, p.51. Cfr. anche infra: Edizione di Jean Beck.
[3]    Questi, (in H. van der Werf, The extant troubadour melodies: transcriptions and essays for performers and scholars - Gerald A. Bond text editor, Rochester, published by the author, 1984), scettico nei confronti di un'interpretazione modale, ironizza sul fatto che, se avessero seguito un tale schema notazionale, gli abili amanuensi avrebbero commesso un'enorme quantità di sviste ed errori. Avrebbe infatti riscontrato diverse incongruenze che Tischler e Gennrich, nella trascrizione di O, sono stati obbligati a ignorare o specificare in nota.
 
[4] M. Caraci Vela, La filologia musicale : istituzioni, storia, strumenti critici – Lucca, Libreria musicale italiana, 2005
[5] Per le caratteristiche testuali della Rotrouenge Cfr. supra “Sulla Rotrouenge” (p.12).
[6] Per le differenze Cfr. Infra: Note all'edizione di Gennrich, nel confronto sinottico delle trascrizioni.
[7] «the characteristic feature of which seems to be the repetition of the same melody fore all the lines of the stanza except the last , or last two: aaaab/aaabB» Archibald T. Davison, W. Appel. Historical Antology of Music - Cambridge, 1949.
[8] Ibid. Da notare però, come Davison non abbia messo interpretato il ritmo in chiave modale
 
[9] H. Tischler, Trouvère lyrics with melodies : complete comparative edition - American Institute of musicology, Hänssler-Verlag, 1997, vol. XII, n. 1079.
 
[10]  J.Beck, Chansonnier des troubadours et des trouvères II p. 36 (traduzione mia)
 
[11]  Ibid. p. 37
[12]  Nel De perfectura notarum leggiamo infatti: «Nota quod due breves valent unam longam et quatuor semibreves valent unam longam».
[13] J.Beck, Chansonnier des troubadours et des trouvères II p.38
 
[14] F. Ludwig, Zeitschrift der internationalen Musikgesellshaft XI, pp. 37 ss. e Repertorium, pp. 53 ss.
 
[15]  «Intellege quod pes integrum (una unità di misura) intellegitur in qualibet longa in quinti modi.» ( o «longa apud priores organistas duo tantum habuit tempora, sic in metris» (Walter Odington, in Coussemarker, Scriptores, I, 235).