Revisione di INTRODUZIONE del Gio, 17/04/2014 - 20:00

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1. La terza crociata e la prigionia di Riccardo: le allusioni politiche

La canzone che Riccardo I Cuor di Leone (Oxford, 8 settembre 1157 – Châlus, 26 marzo 1199), conte di Poitou, duca d'Aquitania e re d'Inghilterra (1189-1199), scrisse durante la sua prigionia ha sempre suscitato grande interesse, legato alla figura del suo autore, che sin dall'adolescenza era accompagnato da una fama di formidabile soldato e uomo di grande carisma. Il suo nome lo precedeva in terra santa, e quando finalmente il 20 aprile 1191, dopo quattro anni di attesa dalla richiesta di un suo intervento, arrivò nel porto di Acri fu accolto con grande calore dalle truppe crociate.
Le imprese di Riccardo nella terza crociata sono narrate con perizia di dettagli in una cronaca scritta nel primo ventennio del XIII secolo, Itinerarium Peregrinorum et Gestae Regis Ricardi Angliae1, il cui autore fu a lungo identificato con Geoffrey de Vinsauf, ma che fu poi attribuita a Richard de Templo, canonico della Santa Trinità a Londra, ed è su questo racconto che principalmente si basano le informazioni qui raccolte.
Il lungo ritardo di Riccardo era dovuto anche ai contrattempi in Sicilia – aveva infatti fatto valere con le armi i suoi diritti e le sue pretese con il re Tancredi – e ad una tempesta che l'aveva sospinto fino alle coste di Cipro, la cui importanza strategica, unitamente alla brusca diplomazia di Isacco Angelo, lo persuasero a conquistare. Ma soprattutto il re aveva titubato a lungo in patria, diffidando del re di Francia Filippo Augusto: nessuno dei due avrebbe lasciato incustoditi i propri domini in occidente per timore che l'altro potesse approfittare dell'assenza per estendere i propri confini. La decisione di partire insieme, il 4 luglio 1190, è indicativa di quanto i rapporti fossero tesi, e di quanto i territori in Inghilterra e in Francia non fossero consolidati da una stabile giurisdizione.
Riccardo arrivò ad Acri con una flotta ed un esercito di gran lunga più grande di Filippo, che aveva già molti vassalli impegnati in terra santa, e il suo sbarco, che riaccese gli animi degli assedianti ormai stanchi, ebbe una risonanza molto più grande di quella del re francese, il quale non amava affatto gli sfarzi.
Il clima generele alla vigilia della crociata sembrava tuttavia disteso, tanto che Filippo Augusto diede il suo assenso affinché Riccardo fosse libero di sposarsi con chi volesse: l'inglese aveva ripudiato il fidanzamento con Alice, sorella del re francese, a causa della cattiva reputazione che la voleva amante di Enrico II; le condizioni politiche e le alleanze che si stavano costituendo non permettevano però a Filoppo di inimicarsi Riccardo, ed è possibile immaginare l'astio che divideva i due sovrani.
Eleonora d'Aquitania raggiunse il figlio prediletto, che in quel momento si trovava ancora in Sicilia, accompagnando Berengaria di Navarra, che Riccardo sposò poco dopo, durante il suo soggiorno a Cipro.
Filippo intanto si era diretto a Tiro, dove lo aspettava il cugino Corrado di Monferrato, la cui morte avrà un risvolto decisivo nella vicenda della detenzione di Riccardo.
Ricongiunte le forze ad Acri, era già chiaro quale condottiero sarebbe stato il protagonista degli eventi. Durante l'assedio, che continuava a colpi di catapulta contro le mura della città, si aprivano le dispute su chi avrebbe regnato in terra santa: Corrado di Monferrato era il candidato di Filippo Augusto, Guido di Lusignano quello di Riccardo. Quando l'11 luglio gli ufficiali di Saladino capitolarono, e i cristiani occuparono la città, nacquero liti sull'assegnazione degli alloggi; marginale aneddoto, ma prezioso per apprendere le dinamiche che seguirono: il duca d'Austria e condottiero dell'armata tedesca, Leopoldo V di Babenberg, fece innalzare il suo stendardo accanto a quello di Riccardo. I soldati inglesi, sprezzando il vessillo che aveva osato equipararsi al loro, lo tolsero dalla sua sede e lo gettarono in un fossato. Leopoldo non dimenticò l'affronto ricevuto.
Un concilio moderato da un ambasciatore della santa sede in cui si radunarono i condottieri nominò Guido regnante in terra santa; alla morte di questi sarebbe succeduto Corrado. Filippo Augusto, che mai era si era prestato con fervore all'intervento in terra santa, decise di ripartire al più presto, spinto anche dai continui malanni che avevano accompagnato il suo viaggio. Prima della partenza, Riccardo ottenne da Filippo Augusto una promessa di non aggressione, almeno finché non fosse tornato dalla Palestina. È questo il serement a cui il re fa riferimento al verso 21 di Ja nus hons pris: Filippo infatti durante la prigionia di Riccardo non mantenne, come si vedrà, l'accordo2.
Dopo la presa di Acri, il cammino di Riccardo verso Gerusalemme fu ricco di successi, ma obbligato a tergiversare per non restare sguarnito della flotta e non riportando vittorie decisive, il fronte compatto dei cristiani si andò sfaldando, le diserzioni cominciarono numerose, il fervore si spense: Corrado rifiutò a lungo di inviare il suo aiuto da Acri ad Ascalona, finché non fu nominato re. Poiché Riccardo aveva ricevuto notizia dal priore di Hereford sulle usurpazioni protratte dal fratello minore Giovanni, detto “senza terra”, si risolse a tornare in patria al più presto. Convocò un altro consiglio generale per scegliere chi tra Guido e Corrado avesse diritto alla corona: all'unanimità fu proclamato il candidato di Filippo Augusto, e Riccardo dovette accettare una decisione che certamente non auspicava. Pochi giorni dopo Corrado di Monferrato venne accoltellato e ucciso da due sicari dello sceicco Sinan, noto come il Vecchio Uomo delle Montagne, forse in collera perché Corrado aveva depredato una nave che trasportava sue preziose merci, o per evitare uno stabile insediamento crociato in Palestina. Nacquero immancabilmente sospetti che il re inglese fosse implicato nell'assassinio.
Quando il 2 settembre 1192, Riccardo, ammalato e pressato dalle notizie sul malgoverno del fratello, firmò il trattato di pace che segnò la fine della terza crociata, i soldati erano spossati e Gerusalemme non era stata liberata, ma i pellegrini cristiani avevano libero accesso ai luoghi santi; i crociati controllavano le città costiere a sud di Giaffa.
Il 9 ottobre Riccardo partì da Acri per tornare in patria, ma intorno all'11 novembre per il maltempo fu costretto a rifugiarsi a Corfù. Qui lasciò la nave regia e, temendo di essere un facile bersaglio, ripartì immediatamente a bordo di una nave corsara, in incognito e portando con sé una scorta di soli quattro uomini. Risalendo l'Adriatico la nave fece naufragio nei pressi di Aquileia, da dove il re proseguì via terra, costretto a passare attraverso i territori austriaci, nei quali sapeva che non sarebbe certo stato accolto calorosamente. Il 20 dicembre 1192, mentre si riposava in un'osteria, Riccardo fu riconosciuto e fatto prigioniero dal duca d'Austria Leopoldo, che aveva covato l'odio contro di lui dall'episodio della presa di Acri. L'accusa per legittimare l'arresto fu l'assassinio di Corrado, di cui molti lo ritenevano il mandante.
Nell' Itinerarium Peregrinorum et Gestae Regis Ricardi è riportata a riguardo una lettera apocrifa inviata a Leopoldo in cui lo sceicco di Sinan testimonia la totale estraneità di Riccardo al misfatto, il che invita a considerare con sguardo critico le dinamiche narrate nelle testimonianze.
Durante il periodo di prigionia il re inglese fu rinchiuso in diversi luoghi, in particolare nella fortezza di Trifels sul Reno, dal suo nemico l'imperatore Enrico VI, a cui Leopoldo aveva ceduto il prigioniero nel marzo 1193. Era questa la fortezza che divenne famosa come la Tour ténébreuse, attorno al quale si diffuse la leggenda che narrava di come Blondel de Nesle, non sopportando la noncuranza generale in cui era lasciato il re inglese, che forse era realmente il suo mecenate, vagò per l'Europa finché non lo trovò grazie ad un jeu parti che i due avevano composto insieme: quando uno dei due intonò il canto e l'altro completò la strofa, Blondel fu certo del luogo dove colui che aveva a lungo cercato era tenuto prigioniero3.
Qui Riccardo era informato degli avvenimenti che scuotevano l'Hexagone: questo ha un riscontro anche nella canzone, fitta di allusioni politiche4, con cui il re mirava a riunire i vassalli, divisi o ribelli, ad affrettarsi a raccogliere il denaro necessario a pagare il riscatto.
Non a caso redarguisce i suoi uomini e i suoi baroni «englois, normant, peitavin et gascon» (v.8): egli sapeva che Filippo Augusto, che si adoperava per protrarre la detenzione, aveva attaccato i territori del Vexin normanno – dove Gilberto di Vascoeuil gli consegnò senza combattere lo strategico castello di Gisors – e aveva conquistato l'Artois insieme ad alcuni porti sulla Manica. É a lui che Riccardo si rivolge, quando si lamenta del patto non onorato e dei tumulti che tormentano le sue terre, chiamandolo «mes sires» (v.20): era infatti formalmente vassallo del re di Francia. Ma questi non era il solo ad approfittare dell'assenza dell'inglese: dall'Inghilterra il fratello Giovanni diffondeva la notizia della sua morte, in Aquitania il conte di Périgord5 e alcuni baroni in Guascogna si erano ribellati. Ademaro di Angoûleme era passato dalla parte di Filippo e aveva attaccato i possedimenti di Riccardo in Poitou.
Al verso 25 (secondo la lezione dei mss. C ed O; v.31 secondo U, Za, P ed S) il re prigioniero richiama all'ordine «angevin et torain», definendoli «bacheler», ovvero giovani aspiranti cavalieri, schernendo la loro abilità in battaglia6: le due regioni, l'Anjou e la Turenna, erano roccaforti dalla cui fedeltà dipendeva la solidità dei confini.
Infine gli amati compagni menzionati al verso 31 (di C ed O; v.25 di U, Za, P ed S), sono stati identificati con Goffredo di Perche, marito della nipote di Riccardo, e Guglielmo di Cayeux7, sulla fedeltà dei quali il re aveva ragione di dubitare8.
Riccardo fu rilasciato il 4 febbraio 1194, dietro pagamento di un esorbitante riscatto.
Morì nel Limousin, trafitto da una freccia vagante, il 26 marzo 1199.

 

2. Struttura metrica

6 coblas doblas - composte da 5 décasyllabes e 1 hexasyllabe che termina con il mot-refrain «pris» -, più due tornade: la prima composta da due décasyllabes in rima con le ultime due strofe e un hexasyllabe (con mot-refrain); la seconda tornada è composta invece da un décasyllabe in rima con le ultime due strofe e un hexasyllabe, in rima con il mot-refrain.
Ogni cobla è composta da due strofe musicali, ognuna della lunghezza di due versi (che in O ricalcano quasi la medesima melodia, ciò che non accade nei mss. KXN), una terza strofa costituita da un verso (cantato su una diversa melodia), e l'hexasyllabe finale. Stando alle indicazioni di Tischler, la prima tornada segue la melodia degli ultimi tre versi e la seconda tornada segue la melodia degli ultimi due versi.
f, che non riporta le due strofe finali, lascia irrelata la rima delle tornade.
N ed X, riportano solo due "coblas" doblas e una "cobla" singular, relata alle tornade, per la lacuna della cobla VI (di CO, V di PSZaU). K, che non conserva neppure le tornade è formato solamente da due "coblas" doblas e da una "cobla" singular.

 

3. Ordine delle strofe

Considerate le lacune e il discordante ordine delle strofe, propongo, seguendo l'esempio di altri editori, uno schema di riepilogo. Le strofe sono numerate secondo la lezione di CO9:
 

Mss. strofe tornade
O: 1 2 3 4 5 6 7 8
N: 1 2 3 4 6 7 8
K: 1 2 3 4 6
X: 1 2 3 4 6 7 8
C: 1 2 3 4 5 6 7 8
U: 1 2 3 4 6 5 7 8
P: 1 2 3 4 6 5 7 8
Za: 1 2 3 4 6 5 7 8
f 1 2 3 4 7 8
S [4] 6 [5]

 

4. La Rotrouenge

Le caratteristiche di una rotrouenge sono difficili da circoscrivere in pochi e univoci caratteri, poiché la sua classificazione non si basa né su criteri tematici – ne comprende infatti una vasta gamma10 - né sulla supposta, ma tutto sommato non certa, implicazione con la danza; nemmeno è possibile ricorrere ai criteri formali del testo, poiché una rotrouenge si compone su uno schema molto diffuso (generalmente strofe zadjalesche – 3 décasyllabes con la stessa rima + 1 in rima col refrain – seguiti da un refrain11). Le caratteristiche sarebbero da ricercare nella struttura della melodia, come sostiene Gennrich12. Bec pone invece un interrogativo alla base del problema: si domanda se nel medioevo il termine rotrouenge non servisse per indicare ogni componimento di una certa lunghezza, dotato di un refrain, che non fosse però ascrivibile al virelai o alla ballata. La presenza di un refrain dopo le strofe è il solo tratto formale che la distingue dalla canso. In merito alla classificazione del componimento di Riccardo Cuor di Leone, Bec ammette che si tratta di una canzone «un peu particulière» ma che presenta aspetti di sirventese.
La rotrouenge si distingue dalla canso poiché non è strutturata secondo le tre parti articolate in pedes e caudas, ma presenta invece una conseguenza lineare di versi a cui segue un refrain. Elemento caratterizzante della rotrouenge – ma comune anche alla ballata – è l'uso frequente del verso a ritmo dispari, (7+4, 5+4) a cui però Riccardo non ricorre.
Dal punto di vista musicale si tratta di un sistema di strofe che ricalcano la stessa melodia, alle quali una cauda prefigura e introduce il refrain. É questa cauda, che mirabilmente si distacca dalla ripetizione – quando non melodica per lo meno concettuale13 – della canzone, cambia registro, e si unisce infine alla melodia che costituisce il refrain. Gennrich in questo agisce coerentemente nella sua l'interpretazione modale della melodia e – come farà successivamente Tischler – non frappone alcuna pausa tra ultima strofa e l'esametro finale. Dal momento che il discorso sulla rotrouenge riguarda necessariamente l'ambito musicale, le conclusioni sono rimandate alla seconda parte dello studio, nel paragrafo dedicato alle edizioni di Gennrich, quando saranno ormai esplicitati gli elementi formali della melodia e la complessità della tradizione manoscritta.

 

5. La teoria della doppia redazione

I manoscritti P ed S, e soprattutto il manoscritto f, presentano numerose lezioni provenzali: da qui una lunga tradizione sostenne che il componimento fosse stato scritto originariamente in questa lingua, o che due versioni, una in francese e una in provenzale fossero da attribuire alla mano di Riccardo.
Sulla ricostruzione della catena di falsificazioni, più o meno consapevoli, che fecero di Riccardo un trovatore, ha scritto esaustivamente L. Spetia in «Riccardo Cuor di Leone tra oc e oïl»14 da cui prevalentemente qui si attinge per riassumere schematicamente i principali canali attraverso i quali si affermò questa teoria.
All'origine della tesi di una redazione occitana ci fu Jean de Nostredame15, che mirava ad aggiungere prestigio alla lirica in lingua d'oc e alla Provenza, di cui era originario. La prima testimonianza di Riccardo nel novero dei trovatori risale infatti alla Table de Carpentras, compilata da Nostredame, e conservata nel mss. 534-535 e 1883 della Biblioteca di Carpentras. Lo studioso si basò sulla versione del manoscritto f, che gli apparteneva, e in cui lui stesso glossa «en françois», dimostrando di essersi accorto dell'originale veste francese del componimento: molto probabile quindi che la figura del re trovatore che scrive «pour la douceur qu'il trova en nostre langue provensalle»16 fu inventata coscientemente.
Fu poi Jean de Casteuil-Gallup, nel suo Discours sur les Arcs Triomphaux (1624) a pubblicare integralmente la canzone, seconda la lezione del ms. f: l'editore provenzalizza gli oitanismi presenti nei manoscritti e non copia la seconda tornada, avvalorando la tesi di Nostredame.
Questa trascrizione fu copiata successivamente da Mlle L'Héritier nel suo romanzo La tour ténébreuse et les Jours lumineux (1705), che contribuì a favorire la diffusione, insieme ad altre leggende, anche di quella del re trovatore.
Nel suo approfondito studio, l'Histoire littéraire des Troubadours (1774), scritto sulle orme di Jean de Nostredame, Jean-Baptiste de La Curne de Saint-Palaye non dubita che Riccardo avesse composto originariamente il «sirventese» in provenzale, nonostante egli fosse a conoscenza della versione francese, che in prima istanza aveva ritenuto quella archetipica e che poi ritrattando designò come una traduzione.
Raynouard pubblica un'edizione del componimento - in realtà non molto rispettosa dei manoscritti - basata su P ed f. L'editore scrive che le strofe V e VI di f sono state omesse di proposito, tesi sostenuta anche da Riquer, poiché di nessun interesse per i sudditi provenzali.
R. Bezzola è favorevole all'ipotesi che entrambe le versioni possano essere originali adducendo il motivo che Riccardo parlava certamente sia francese che Limosino.
Un'opinione più recente è fornita da Pier de Bec17, che afferma ancora la « rotrouenge » del manoscritto f è verosimilmente attribuibile a Riccardo.
Fu per primo Jules Brakelmann ad opporsi alla tesi di Nostredame e dei suoi epigoni, osservando che le due strofe che non avrebbero interessato un pubblico provenzale sono invece presenti nei manoscritti provenzali P ed S: lo studioso giudicò allora che il testo francese era quello originario, il quale aveva poi subito una provenzalizzazione. Egli riteneva infatti che Riccardo conoscesse il provenzale, tanto da comprendere il sirventese inviatogli dal Dauphin d'Auvergne, ma non abbastanza per « trovare » a sua volta in questa lingua18.
Secondo L. Spetia la versione di f omette due strofe perché sarebbero state difficili da provenzalizzare, per via della rima in -ain, (< a tonica aperta + nasale), un esito che non si verifica in lingua d'oc. In P ed S si trovano sporadici tentativi di regolarizzare questo nesso (PS: j'am; P: sobraim; clam; S: perseran); quando, alle strofe V e VI, si trova la rima -ain, questa non è da considerare un oitanismo, ma la sopravvivenza della forma archetipica. Infatti questa sarebbe stata ridotta ad -an in caso di una doppia redazione o di una pianificata traduzione: se ne deduce che il componimento ha subito solo una «superficiale provenzalizzazione».
 

6. Intertestualità con Gace Brulé

La composizione nasce con un intento funzionale, la necessità di intervenire ed evitare la disgregazione del proprio regno; bisogna immaginare la frustrazione per un uomo del vigore di Riccardo quando si impegna in uno sforzo tanto inane. Egli non trova alcun conforto nella scrittura, né nuovo vigore, ma piuttosto rinnovato dolore. Confrontando la discordanza delle lezioni al verso 3 si nota una innegabile somiglianza tra C, U e Za con quella di P ed f:

C: mais per confort puet il faire chanson.
P: mas per conort pot il faire chanson.
A queste si oppongono a O, K, X, N:
O: mais par effort puet il faire chançon

A prima vista «effort» appare un'innovazione, poiché non sembra probabile che tre rami della tradizione abbiano innovato verso uno stesso, o simile, esito. Diventa però plausibile proprio pensando alla topica della consolatio, che godeva di grande prestigio nel medioevo latino, e che costituiva un immaginario ricorrente in cui letteratura e intelletto soccorrevano l'uomo sofferente: sarà forse ridondante ricordare un'altra celebre detenzione, quella di Boezio, una delle letture basilari nella fondazione del pensiero cristiano medievale.
Tutto questo per sostenere, anche sotto un profilo concettuale, che la lezione «confort/conort» è una lectio facilior19, e di natura poligenetica. Ritengo infatti da preferire la lezione di OKNX «effort»: questa poteva apparire oscura al copista, e con un semplice scambio di affisso il verso avrebbe acquistato il significato più ordinario e regolare che ci si sarebbe aspettato da un prigioniero afflitto. Riccardo stava però operando una scelta poetica più raffinata: è reso noto dalle cronache, ed era intuibile considerato il lignaggio da cui discendeva e la corte che lo circondava, che il re nutriva un grande interesse per la poesia e fu mecenate di molti trovieri, dai quali si fece accompagnare sino in terra santa. Fra questi, sarebbe bello poter annoverare anche Gace Brulé.
La tesi che vede in «effort» la lezione archetipica si basa sull'ipotesi che, nei primi tre versi, Riccardo faccia riferimento al componimento di Gace Brulé «Chanter me plait que de joie est norriz» di cui trascrivo la prima cobla, accanto all'incipit di Riccardo, entrambi secondo la lezione del ms. O20:

Gace Brulé: Riccardo:
Chanter me plait que de joie est norriz,
mais par esfort ne doit nuns chançon faire.
Puis que solaz est de mon cuer partiz
poinne i couvient, ainz qu'en li puist retraire;
mais ci qu'amors et talanz fait chanter
de legier puet bone chançon trover,
ce que nuns hons ne feroit sanz amer.
Ja nuns hons pris ne dira sa raison
adroitement, se dolantement non;
mais par effort puet il faire chançon.

Il verso 2 del componimento di Gace e il verso 3 di quello di Riccardo costituiscono un interessante riscontro intertestuale, sulla base del quale è possibile ipotizzare un preciso riferimento del re alla poetica del troviere.
Le parole di Gace suonano come un manifesto poetico, il quale ammette solo il sentimento d'amore come fonte d'ispirazione per comporre una canzone «legier», la quale si contrappone alla canzone composta per «esfort»: nessuno dovrebbe comporre se i versi sono il frutto di uno sforzo intellettuale, perché la canzone sarà farraginosa, innaturale21. La «bone chanson» scaturisce da un impulso creativo fluido, naturale, leggero: la «joie» amorosa è l'elemento che nutre il canto, è l'ispirazione poetica, una condizione impossibile da raggiungere se non si è innamorati. Dovrebbe astenersi dallo scrivere dunque Riccardo, che è afflitto e neppure scrive d'amore. Ma «nuns hons» potrà mai comporre con goia, se prigioniero: l'unico modo per esprimersi, senza finzioni, è di non celare il proprio dolore. La necessità spinge Riccardo a scrivere, e prima di iniziare l'opera l'autore premette che i suoi sono versi composti attraverso l'«effort», legittimando, sul piano letterario, la sua licenza.

Note:

1Su questa ed altre cronache si basa il resoconto sulle gesta di Riccardo durante la terza crociata di Steven Runciman (A History of the Crusades – London, Cambridge University Press, 1987)
2Ma prudentemente C.Lee ipotizza anche un riferimento a un accordo preso durante il viaggio verso la terra santa.
3 La leggenda di Blondel de Nesle è stata diffusa principalmente da Mlle L'Héritier de Villandon (1664-1734), figlia dell'historien du Roi e frequentatrice di salotti tra cui quello di Mme de Scudery e Mme Deshoulières, nel romanzo La tour ténebreuse et les jours loumineux, contes anglois accompagnez d'historiettes et tirez d'une ancienne chronique composée par Richard, surnommé Cœur de Lion, roy d'Angleterre, avec le récit de diverses avantures de ce roy, Paris, Veuve Claude Barbin, 1705. Questa trae la narrazione da Recueil de l'origine de la langue et poésie françoise, Paris, 1581, redatta da Claude Fauchet che a sua volta attinge al Récit d'un ménestrel de Reims au troisième siècle, una sorta di cronaca universale di carattere semi-leggendario della metà del XIII secolo.
4I riferimenti politici del componimento sono esplicitati nel saggio di C. Lee «Nota sulla rotrouenge di Riccardo Cuor di Leone» in «Rivista di studi testuali», VI-VII (2004-2005) pp.139-151. Qui Lee informa che il Riccardo non fu semplicemente ceduto, ma venduto all'imperatore, e nel mese di febbraio.
5Hélie V Talleyrand fu conte di Périgord dal 1166 alla sua morte nel 1205.
6Come ribadisce ai vv. 29-30: De belles armes sont ores vuit li plain,/por ce que je sui pris.
7Sull'identificazione del toponimo con Cayeux (lezione che solo Za tramanda) cfr. Lee «Nota sulla rotrouenge di Riccardo Cuor di Leone» pp. 147-148.
8La traduzione di v.33 (di CO; v.27 di U, Za, P ed S) «qui ne sont pas certain» dovrà esprimere il senso di «che sono vacillanti», «che sono in dubbio»,poiché la loro fedeltà non era più solidamente votata a Riccardo, che temeva di vederli passare dalla parte di Filippo Augusto.
9Fra parentesi quadre le strofe che non ci sono pervenute integralmente.
10« 9 chansons courtoises ou para-courtoises, 2 chansons de toile, 3 chanson d'amour plus ou moins popularisantes, 1 chanson de l'amour de loin, 1 pièce d'inspiration fatrasique, 5 pastourelles, 3 chansons de croisade, 3 chansons de malmariée, 4 pièces pieuses, 1 reverdie, et la chanson un peu particulière de Richard Cœur de Lion» : P. Bec, La lyrique Française au Moyen Age – Paris, Picard, 1977. Vol. I pp. 183-189 (la citazione è a p.187 e si riferisce ai componimenti classificati da Gennrich come rotrounges; [Cfr. Nota 16]).
11Ibid. p. 184
12 F. Gennrich, Die altfranzösische Rotrouenge : literarhistorisch-musikwissenschaftliche Studie II - Halle, Niemeyer, 1925
13Si intende cioè nei mss NKX, nei quali le due strofe non si ripetono uguali, ma presentano tuttavia una simmetria.
14 L. Spetia, «Riccardo Cuor di Leone tra oc e oïl» (BdT 420,2), in «Cultura Neolatina», LVI (1996), pp. 101-155.; altro studio a cui si fa riferimento è di C.Lee: «Le canzoni di Riccardo Cuor di Leone» in Atti del Congresso internazionale di linguistica e filologia romanza - Palermo, 1995, Tübingen, Niemeyer, 1998, vol. VII, pp. 243-50.
15 J. de Nostredame, Proesme au lecteur (pp. 7-22) in Les vies des plus célèbres et ancien Poetes Provensaux,qui ont fleury du temps des Comtes de Provence – Lyon, 1575, di cui consulto l'edizione préparé par Camille Chabaneau.
16Ibid. p.16
17 Bec P., La lyrique française au Moyen Age (XII-XIII siècles) : contribution à une typologie des genres poétiques médiévaux : études et textes – Paris, Picard, 1977-78.
18 Raynouard F.-J.-M., Choix des poésies originales des troubadours - Osnabrück , Biblio Verlag, 1966-1967. p.193
19Confort è attestato 270 volte nei componimenti della lirica trovierica; Effort/esfort solo 6 (Trouveors).
20 Il componimento di Gace Brulé è alla carta 25; quello di Riccardo alla carta 62v
21Gace stesso afferma questo comandamento appunto per infrangerlo.