La canzone consta di 5 coblas unissonans di 7 versi, dispari femminili e pari maschili, ciascuna con piedi a rima alternata. Il pentasillabo in rima b – il vers brisé, secondo la definizione di Dragonetti, p. 392, corrispondente al rims biocat delle Leys d'Amours, p. 102 – crea un contrasto ritmico all'interno della serie eptasillabica e, sintatticamente, costituisce un'increspatura nel flusso del discorso; generalmente vi ha sede un enunciato che conclude il periodo esposto nei pedes e, insieme, apre l'enunciato della sirma. Un decasillabo conclude l'andamento rapido e spezzato dei versi precedenti; esso presenta, di norma, cesura maschile, ma fanno eccezione il v. 7 della strofa I a cesura lirica ed il v. 28, ipometro.
Lo schema rimico è estremamente diffuso presso i trovieri: MW ne restituisce ben 90 occorrenze, ma vi include anche autori del XIV secolo come Chaillou de Pestain e Jehan de la Motte. Fra i trovieri contemporanei di Cuvelier che impiegano questo schema, figurano Conon de Bethune, Thomas Erier, Vilain d'Arras, Jehan Erart, Robert de Castel, Jehannot de l'Escurel, Guiot de Provins, Gautier d'Epinal e Gace Brulé. Non sono pervenute, invece, altre attestazioni dello schema sillabico. In un solo altro caso – un canto anonimo, MW 1679 – vengono combinati con questo schema rimico tre metri (decasillabi, eptasillabi e pentasillabi); tuttavia non sussistono altri casi che comprendano un pentasillabo ed un decasillabo isolati. Da notare la figura etimologica tra le parole-rima dei vv. 25 e 27 (plourer; plour).
Grafia di a.
L'ipometria del v. 28, comune a tutti testimoni, può suggerire l'esistenza dell'archetipo; sembrerebbe qui ravvisabile una diffrazione che vede schierati i mss RVZ da una parte ed il ms a dall'altra.
I mss aZ riportano lezioni quasi sempre concordi anche nei luoghi dove il resto della tradizione risulta profondamente disomogeneo (strofi II e III).
Nel ms R si riscontrano frequenti casi di ipometria ed ipermetria e scambi di lezioni tra versi adiacenti (vv. 12-13; omissione di una parola al v. 16 ed una svista analoga al v. 22). Il ms V , tramanda solo, una parola-rima n particolare nella strofe II, in due luoghi riporta lezioni isolate che non rispettano nemmeno il vincolo rimico (vv. 14 e 34). I vv. 15 e 16 della strofa III sono particolarmente problematici: solo a e Z riportano la stessa lezione, mentre tutti gli altri mss presentano soluzioni differenti e non riconducibili ad uno stesso antigrafo. Nella medesima strofa O riporta lezioni diverse da tutte le altre anche ai vv. 19-21, rispettando però tutti i vincoli metrici e proponendo lezioni tematicamente coerenti; questo ms, però, tramanda solo le strofe I e III.
In base a tali considerazioni, si può ipotizzare che tutti i mss discendano da un archetipo comune grazie alla diffrazione al v. 28, tranne il ms O, di cui la strofa relativa non è pervenuta: dal momento che questo reca solo due stanze della canzone e la sua seconda strofa – corrispondente alla terza del resto della tradizione – tramanda un testo totalmente divergente dagli altri testimoni, si può supporre che non derivi dallo stesso archetipo. Il luogo perturbato ai vv. 15-16 in R e V, separa questi due mss da a e Z, che riportano lezione concorde; R e V tramandano lezioni diverse tra loro, specie dalla lezione singolare di V al v. 14, ma recano elementi lessicali comuni che fanno supporre un antigrafo corrotto che si frappone tra loro e l'antigrafo da cui discende Z. D'altra parte RVZ tramandano la preposizione de al v. 28, assente in a, lezione che rende improbabile la discendenza dallo stesso subarchetipo di Z. Si propone pertanto la seguente schematizzazione dei rapporti tra i testimoni:
O
/ \
α ω
/ / | \
O x y k
| | | \
a Z R k1
|
V
***
Cuvelier mostra, in questa lirica, sicura padronanza dei mezzi retorici e stilistici ereditati dalle precedenti generazioni di trovieri, applicandoli con sistematicità e diligenza quasi scolastica.
Si è notato anche come certe scelte terminologiche potrebbero fare capo non solo al bacino culturale e linguistico comune ai poeti d'oïl, ma ad un ambito geograficamente e cronologicamente definito, quello del Puy d'Arras (cfr. in particolare il commento ai vv. 2, 3 ed 8). Sono riscontrabili, inoltre, affinità di natura sintattica e lessicale tra la produzione lirica arragese e generi 'popolareggianti' come quello della pastorella (cfr. commento al v. 8).
Sul piano tematico, vengono trattati molti dei motivi convenzionali del genere: il troviero si limita a riproporli servendosi dei colores retorici più comuni, facendo un uso rispettoso dei clichés offerti dalla tradizione lirica; forse l'eleganza del componimento risiede proprio nella rinuncia a conferire connotazioni personali agli stilemi più comuni del canto cortese, riproposti in formulazioni brevi ed icastiche. Pur non prevedendo la canzone schemi interstrofici che coinvolgano la materia verbale sul piano fonico, lo sviluppo tematico non procede a caso attraverso le strofe: nella sirma di ogni stanza si anticipa il tema svolto in quella successiva; in tal modo il poeta rende armoniosa e coerente quella che potrebbe altrimenti risultare arida giustapposizione di luoghi comuni.
La congruenza tra struttura metrico-rimica e sviluppo tematico all'interno nella prima stanza è completa: nei versi iniziali si dichiara, come di consueto, la ragione del canto, la cosiddetta propositio della retorica antica, articolata attraverso un parallelismo tra i due pedes; nel pentasillabo che apre la sirma è posto in rilievo il fulcro tematico della strofa, ovvero l'atto stesso del cantare trovierico. Negli ultimi due versi si anticipa il panegirico della strofa successiva, attraverso la tradizionale iperbole della dama che supera tutte le altre in virtù e bellezza. La cobla è pervasa da un tono nostalgico e malinconico, evocato in particolar modo dalla menzione del ricordo, tema elegiaco per eccellenza.
Nella seconda strofa, come d'altronde nelle seguenti, il perfetto equilibrio tra contenuto e forma e la scrupolosa ricerca di simmetria che impreziosiscono la stanza d'esordio, vengono meno. Sono qui sviluppati due temi: nella fronte il panegirico della dama, piuttosto discreto e conciso; nei tre versi della cauda il motivo del cuore separato dal corpo del troviero, che risiede oramai stabilmente presso la donna amata.
Nella terza strofa Cuvelier riprende la figura dell'amore introdotta alla fine della seconda. Con un movimento lento a regolare, il poeta introduce e poi sviluppa il ruolo attivo che gioca questo sentimento nel tenerlo legato alla dama, ruolo attivo che, nell'ultima stanza, si tradurrà in vera e propria personificazione.
Un altro topos dell'amor cortese volto ad arricchire di varie sfumature l'apologia della dama è quello del sentimento di timidezza ed impaccio che il troviero sperimenta di fronte ad essa, trattato nella quarta strofa: Cuvelier parla di un amore che egli prova in sordina, con doutance, al punto da non voler scomodare la dama confessandole il peso delle sue pene amorose. Come previsto dal codice di comportamento dell'amor cortese, il poeta mostra di voler evitare lo oltraggio nei confronti dell'amata di alto rango.
La canzone è sprovvista di un invio vero e proprio a un protettore o una protettrice, ma l'ultima strofa è interamente dedicata ad un'apostrofe ad Amore personificato che, oltre a costituire la punta drammatica del componimento, espleta anche la funzione di petitio deprecativa, dove il troviero manifesta lo scopo del messaggio perchè questo venga veicolato al destinatario: Cuvelier prega Amore perché interceda per lui presso la sua dama, affinché essa gli conceda la joie.