I |
SEssere potesse. chio ilpotesse auere. anzi chegrande auere. tanto uorei sauere. madonna purunora. chio scriuere sapesse. quante pene ochio jlmio core pingiere sauesse. conquante pene auesse. jnguisa cheparesse. chente il male chetutora. p(er) stare lontano diuoi dolze mio bene. Ezo chio dico auendo. sourano miteria. corasgione. checolmio core nomprendo. altro disio chen uoi credere mi dolglia. ediquesto uoria. chipingiere. micoresse casgione. euoi lomanderia. esaria rico dicompiuta |
Sʹessere potesse chʹio il potesse avere, anzi che grande avere, tanto vorei savere, madonna, pur unʹora, chʹio scrivere sapesse quante pene, o chʹio jl mio core pingiere savesse con quante pene avesse, jn guisa che paresse chentʹè il male che tutora per stare lontano di voi dolze mio bene; e zo chʹio dico avendo, sovrano mi teria co rasgione, ché col mio core nom prendo altro disio, che ʹn voi credere mi dolglia, ed iʹ questo voria, chi pingiere miʹ cor e˙sse casgione, e voi lo manderia, e saria rico di compiuta volglia. |
II |
Credere uolglio lomale co jngraza auere. contol mi ongnaltro auere. edio facio sauere. nomsi fe tale ancora. chenauro gioia eusciero dipene. chiauesse ro emale sauesse. guerire delmale chauesse. p(er)loro nomsauesse. folle saria quellora. chestare nelore dardere none bene. ORo edargieno auendo. non mi toria mia do lglia. dirasgione. ordumque bene maprendo. dimandare losanare delamia dolglia. giamai nomsaueria. bene p(er) male cherere che chasgione. nela dimanderia. delpo co dissi si discourire uolglia. |
Credere volglio lo male cʹo jn graza avere con tôlmi ongnʹaltro avere: ed io facio savere nom si fe tale ancora che nʹavrò gioia e uscierò di pene: chi avessero e male savesse guerire del male ch’avesse per l’or o nom savesse, folle saria quell’ora: ché stare ne lʹor ed ardere non è bene. Oro ed argieno avendo, non mi toria mia dolglia di rasgione; or dumque bene mʹaprendo dimandare lo sanare de la mia dolglia: già mai nom sʹaveria bene per male cherer, e che chasgione ne l’adimanderia? Del poco dissi si discovrire volglia. |
III |
Vnore tale ilsenno nomsi puote auere. come p(er)duto auere. elmi famtin sauere chel fanti nospese ora. chere uolare elpresgione p(er) bene. cotali prieghi chi mol ti nauesse. achilsuo tempo auesse. ematto nomparesse. fossi jmbuona memora. co nosciere dei sefa pescaia bene. Nonmuoue bene auendo. grandi siranzaepene. la rasgione. p(er)zo nonmiriprendo. dizo chio chero p(er)che ilmifa dolglia. nedaltri non mauria. diriprenderne dritta chasgione. condritto amenderia. cio cheglia po che dolglia mendare uolglia. |
Vnore tale il senno nom si puote avere, come perduto avere el miʹ famtin savere che ʹl fantino spese ora chere volare, el presgione per bene; cotali prieghi, chi molti nʹavesse, a chi ʹl suo tempo avesse ematto nom paresse? Fòssi jm buona memora conosciere déi, se faʹ pescaia bene. Non muove bene, avendo gran disiranza e pene, la rasgione: per zo non mi riprendo di zo chʹio chero, perché il mi fa dolglia; néd altri non mʹavria di riprenderne dritta chasgione: con dritto amanderia ciò chʹegli a, po’ che dolglia mendare volglia. |
IV |
Aluento uospan(n)are chi posauere. prendendo quello auere. chio posso elsauere. metando uedere lora. edimorare jmfoco senza pene. pemsare uolglio pur comio dire sauesse. jnguisa sichauesse. lomiodire paresse. frutto jnuoi chura. quanto nelmonddo sisembla dibene. Assai pemsato auendo. tale frutto mi pare nondire mia rasgione. chente sadire laprendo. cosimi vnoldispera lamia uolglia. agio udito chauria. trouare toportta lachasgione. ene comanderia. p(er)zo non uolglio disperare lamia uolglia. |
Al vento voʹ spannare, chʹiʹ posʹavere, prendendo quello avere chʹio posso e ʹl savere, metando vedere lʹòra e dimorate jm foco senza pene. Pemsare volglio pur comʹio dire savesse, jn guisa sì chʹavesse lo mio dire paresse frutto jn voi chura quanto nel monddo se sembla di bene. Assai pemsato avendo, tale frutto mi pare non dire mia rasgione chentʹè, sʹa dir lʹaprendo: così mi vnol dispera la mia volglia; agio udito chʹavria trovare to porta la chasgione, e ne comanderia: per zo non volglio disperare la mia volglia. |
V |
ISperando cio chedissi auere. aquanto male chauere. mifa lonomsauere. checre crediate chancora. locore mio sicome fa p(er)pene. nonmirimembro chedibene sauese. pe rallegrare chauesse. mi[o](1) core chegioia paresse .poi chio nonuiuidi ora. membro chio agia nomsento bene. purio grande male auendo. p(er)souramare pemsando lacasgione. vegio chio puraprendo. sio dormo uelglio tutora sento dolglio. ezo p(er)che aueria. ai tando nonmi changiate chasgione. vostra uolglia. |
Isperando ciò che dissi avere, a quanto male chʹavere mi fa lo nom savere! Che crediate chʹancora lo core mio, si come fa per pene, non mi rimembro che di bene savesse, per allegrare chʹavesse mi[o] core, che gioia paresse. Poi chʹio non vi vidi ora, membro chʹio agia, nom sento bene. Pur io grande male avendo per sovramare, pemsando la casgione vegio chʹio pur aprendo; sʹio dormʹo velglio, tutora sento dolglio: e zo perché averia? aitando non mi changiate chasgione; forsse che manderia pemsiero jn vanechiarmi vostra volglia. |
NOTE:
1) In V, l’ultima lettera della parola è quasi illeggibile. A testo si è proceduto inserendo una possibile ipotesi di lettura tenendo conto anche del contesto generale: mi[o].