Edizione diplomatico-interpretativa

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I
Assai mera posato. dino(n)uolere chantare. credendo ricielare. labenena(n)za
elamoroso stato. p(er) non(n)a dimostrare. laoue sono tuto dato. nonmi fo
sse furato. dalchuno maluasgio p(er)lomio parllare. ORma sipreso amo
re. chemifa disuelgliare. lodolze membrare. chaio delosapore. faro
chanzone difina rinmembranza. poi chio sono tuto nelasua posanza.
Assai mʹera posato
di non voler chantare,
credendo ricielare
la benenanza e lʹamoroso stato,
per nonn-adimostrare
là ove sono tuto dato,
non mi fosse furato
dalchuno malvasgio per lo mio parllare.
Or mʹa si preso amore,
che mi fa disvegliare
lo dolze membrare
chʹaio de lo sapore:
farò chanzone di fina rinmembranza,
poi ch’io sono tuto ne la sua posanza.
II
AMore maue jmpodere. distretto jmsua ballia. alasua sengnoria. piu chaltra
mempiaciere. noncredea pare auere. neche damore piusia. fosse chio nauia.
jnmio podere. Mapoi p(er)seuerando. maffatto conosciente. chio locredea neiente.
apo chio trouo amando. loprimo elmezo fue neiente adire. apo lafine tante lo
gradire.
Amore mʹave im podere,
distretto im sua ballia
a la sua sengnoria:
più ch’altra mʹè ʹm piacere.
Non credea pare avere                                          
né che d’amore più sia.                                         
Fosse ch’io n’avia                                                 
in mio podere.                                                       
Ma poi, per severando,
m’a ffatto conosciente
ch’io lo credea neiente
apo ch’io trovo amando;
lo primo e ʹl mezo fue neiente a dire
apo la fine, tantʹè lo gradire.
III
AMore sedio ualesse. quanto ualere uoria. otuta fosse mia. later(r)a quanta sene
posedesse. neiente miparia. si dallui nolauesse. op(er)lui latenesse. tanto mipare
gioiosa gentilia. Calprimo quando amai difolle amore miprese. orsono damo
re cortese. piu chio. non coninzai. edamo lamia don(n)a jnueritate. almonddo sa
gia eferma jndietate.
Amore sed io valesse
quanto valere voria
o tuta fosse mia
la tera, quanta se ne posedesse,
neiente mi paria,
sʹiʹ da˙ llui no l’avesse
o per lui la tenesse,
tanto mi pare gioiosa gentilia.
Ch’al primo quando amai di folle amore mi prese;                   
or sono d’amore cortes                                                 
più ch’io                                                                       
non coninzai,                                                                
ed amo la mia donna in veritate
al monddo sagia e ferma in dietate.
IV
Qvatro sono laulimenta. congni animale mantene. edinuita litene. onde cia
schuno p(er)se uisacontenta. latalppa jnterra abene. aleche jnagua abenta. cha
lameone diuenta. la salamandra jmfoco simantene. Edio sono animale dicio
vita nomprendo. ma purdamore seruendo crescie mio bene esale. chamore
elamia donna elocore mio. sono una cosa ean(n)o vno disio.
Quatro sono l’aulimenta
c’ongni animale mantene
ed in vita li tene,
onde ciaschuno per sé vi s’acontenta:
la talpa in terra a bene
àlache in agua abenta,
chalameone di venta,
la salamadra im foco si mantene.
Ed io sono animale dicio vita nom prendo,                  
ma pur d’amore servendo crescie mio bene e sale:     
ch’amore e la mia donna e ʹl core mio                        
sono una cosa e anno uno disio.                               
                                                                              
                                                                              
V
Mja chanzone dubidenza. edigrande giechimento. va laove ilpiacimento
presgio edaunore tuto uisagienza. ediui elcompimento dituta laualenza. sen
za nesuna jntenza. laoue lamia donna fa dimoramento. Dille chemi p(er)doni sa
gio fallato jndire. chio nomposso courire. chio dillei noragioni. chamore (e)
dessa maffatto credente. che piu gioia cheilloro nomsia neinete.(1)
Mia chanzone dʹubidenza
e di grande giechimento,
vaʹ la ove i piacimento: presgio ed aunore tuto vi sʹagienza,      
ed ivi è ʹl compimento di tuta la valenza                                  
senza nesuna intenza;                                                          
là ov’è la mia donna fa dimoramento:                                      
dille che mi perdoni s’agio fallato indire,                                  
ch’io nom posso covrire                                                        
ch’io di llei no ragioni:                                                            
ch’amore ed essa m’a ffatto credente                                      
che più gioia che illoro nom sia neiente.                                  
                                                                                           
                                                                                                                                                         

NOTE:
1)
L’ultima stanza di canzone è presente anche nei manoscritti Chigiano L VIII 305 e Magliabechiano VII 1208. Da una disamina attenta di entrami gli esemplari sopra citati, si può affermare che, anche in questo caso, l’editore in apparato riporta le lezioni in grafia originale.

2) Nell’edizione critica di Menichetti la coppia di versi 19-20 è posposta alla 21-22. L’editore ha segnalato in apparato l’ordine originale presente nel manoscritto Vaticano Latino 3793.Alla destra della diplomatico- interpretativa sono stati riportati i versi come disposti nell'editore.