INTRODUZIONE

Versione stampabilePDF version

1. La terza crociata e la prigionia di Riccardo.

1.1. La partenza per la Terrasanta
Tra il 1192 e il 1194, di ritorno dalla terza crociata, il re d’Inghilterra, conte di Poitou, duca d’Aquitania e d’Angiò, Riccardo I Plantageneto, rimase prigioniero nell’Austria imperiale con grande soddisfazione dei suoi avversari, per primi suo fratello Giovanni e il re di Francia Filippo Augusto. La canzone che Riccardo scrisse durante la sua cattività ha sempre suscitato grande interesse, legato alla figura del suo autore, che sin dall’adolescenza fu accompagnato da una fama di formidabile soldato e uomo di grande carisma. Ma prima di affrontare il suo tormentato ritorno in patria, ricordiamo brevemente gli eventi del suo viaggio oltremare.[1]
Prima di partire per la Terrasanta Riccardo aveva a lungo esitato in patria, diffidando del re francese: nessuno dei due sovrani avrebbe voluto lasciare incustoditi i propri domini in occidente per timore che l’altro potesse approfittarne per estendere i propri confini. Il primo giuramento di non belligeranza tra i due re è siglato il 30 dicembre 1189 e rinnovato il 13 gennaio successivo al Gué-Saint-Rémy. Anche i loro baroni si impegnano a mantenere la pace in assenza dei propri signori. Si concorda infine – sintomo della grande tensione e diffidenza reciproca – una partenza congiunta dei due eserciti, che, rinviata più volte, avverrà solo il 4 luglio 1190.[2] Riccardo non si limita a pacificare il versante francese: conduce anche una spedizione contro i briganti aquitani e rafforza l’alleanza con Sancho VI di Navarra (di cui poco dopo sposerà la figlia) allo scopo di mettere al sicuro la Guascogna dalle rivendicazioni di Raimondo V di Tolosa.
 
1.2. Messina (luglio 1190 - aprile 1191)
La traversata non è priva di contrattempi. Partiti rispettivamente da Marsiglia e da Genova, Riccardo e Filippo Augusto si ritrovano in Sicilia. Qui Riccardo fa valere con le armi i suoi diritti e le sue pretese con Tancredi, il cugino bastardo del re dell’isola Guglielmo il Buono, morto pochi mesi prima. La vedova Giovanna, sorella di Riccardo, era tenuta quasi come prigioniera da Tancredi, che si era proclamato re e si rifiutava di restituirle il dotario e di consegnare al Plantageneto le donazioni promesse dal defunto sovrano. Tancredi aveva l’appoggio di papa Clemente III e di un popolo che mal sopportava l’idea di un re teutonico quale Enrico Hohenstaufen, marito di Costanza d’Altavilla, alla quale Guglielmo aveva destinato la corona. L’arrivo della flotta di Riccardo è sufficiente perché Tancredi si affretti a liberare Giovanna, trattenendo però la dote. Mentre gli inglesi dimostrano palese ostilità al nuovo re, questi e Filippo Augusto sembrano andare di grande accordo. Ai francesi, infatti, è permessa la libera circolazione nella città di Messina e Filippo è ospitato nel palazzo reale. Il 4 ottobre, alcuni disordini nati tra gli uomini di Riccardo e i messinesi sfociano in un attacco al campo aquitano, oltraggio che Riccardo ribalta in breve in un assalto alla città. Una volta conquistata, Messina è affidata agli ordini religiosi militari finché non si fosse giunti ad un accordo sulla successione della corona di Sicilia, la quale non tarda a venire: Tancredi manterrà il regno e la dote di Giovanna e pagherà come risarcimento 20.000 once d’oro. L’alleanza viene rafforzata con un accordo matrimoniale.[3] Riccardo ottiene così le risorse per portare avanti la spedizione mentre Tancredi si assicura un potente alleato contro le rivendicazioni dell’imperatore Enrico VI.
Il soggiorno a Messina si prolunga e verso la fine del febbraio 1191 giunge la notizia che Eleonora d’Aquitania è arrivata a Napoli, accompagnata da Berengaria di Navarra. Riccardo invia alcune navi per andare a prenderle ma Tancredi nega lo sbarco di una terza corte regale in città, troppo affollata perché possa soddisfarne i bisogni. Riccardo si reca allora a Catania, dove Tancredi si era ritirato, per risolvere il curioso imprevisto. Nonostante la tensione, l’accoglienza è festosa; durante l’incontro Tancredi abbandona i sospetti che nutre nei confronti di Riccardo e si decide a manifestargli il reale motivo del rifiuto: ancora una volta il responsabile è Filippo Augusto. Questi gli avrebbe infatti rivelato che Riccardo e l’imperatore, che Eleonora aveva appena incontrato a Lodi, tramavano per il controllo dell’isola. Il re francese gli aveva allora proposto un’alleanza contro il re d’Inghilterra. Scoperto il complotto, Riccardo è furente e, prove alla mano, accusa Filippo Augusto di aver trasgredito i patti prestabiliti. L’accusato controbatte, nega, bolla le accuse come calunnie, volte a sciogliere l’accordo matrimoniale con la sua sorellastra Alice. Costei era stata promessa infante a uno dei figli di Enrico II e affidata con tutta la dote alla corte inglese ormai da ventinove anni. Il matrimonio era stato procrastinato a data indefinita ed era diventato materia di discordia in ogni confronto fra il re di Francia e il re d’Inghilterra. Riccardo non si lascia sfuggire l’occasione e finalmente, forte della colpevolezza del suo avversario, può essere sincero: «Non respingo tua sorella; ma mi è impossibile sposarla, perché mio padre è andato a letto con lei e da lei ha avuto un figlio».[4] Filippo Augusto, doppiamente umiliato, accetta di sciogliere Riccardo dall’accordo matrimoniale dietro pagamento di 10.000 marchi d’argento. Non è chiaro se la dote di Alice, ossia il Vexin e Gisors, dovessero essere restituiti.[5] Eleonora d’Aquitania può dunque raggiungere il figlio prediletto insieme a Berengaria, che Riccardo sposerà il 12 maggio a Limassol. Durante il viaggio verso la Terrasanta una tempesta l’ha sospinto sulle coste cipriote e anche in questa occasione Riccardo si attarda per conquistare l’isola, mosso dalla sua rilevanza strategica e dalla brusca diplomazia dell’imperatore di Cipro Isacco Comneno.[6]
 
1.3. Acri (giugno 1191 - ottobre 1192)
Quando finalmente l’8 giugno 1191 Riccardo giunge nel porto di San Giovanni d’Acri è accolto con grande calore dalle truppe crociate. Il suo arrivo era stato atteso per quattro anni.[7] La sua flotta e il suo esercito superavano notevolmente quelli di Filippo Augusto, che aveva già molti vassalli impegnati in Terrasanta. Il suo sbarco ebbe quindi molta più risonanza e riaccese gli animi degli assedianti ormai stanchi. Filippo si era intanto diretto a Tiro, dove lo aspettava il cugino Corrado di Monferrato, la cui morte avrà un risvolto decisivo nella vicenda della detenzione di Riccardo.            
Aneddoto marginale, ma prezioso per apprendere le dinamiche che seguirono: quando l’11 luglio gli ufficiali di Saladino capitolano e i cristiani occupano Acri, il duca d’Austria e condottiero dell’armata tedesca, Leopoldo V di Babenberg, pretende di innalzare il proprio stendardo accanto a quello inglese e francese. Leopoldo, che si era ritrovato a capeggiare le truppe tedesche sbandate dopo la morte del Barbarossa e che partecipava all’assedio da più tempo, è facilmente messo da parte all’arrivo dei due re, e con i pochi uomini e i pochi mezzi di cui dispone ha un ruolo molto limitato nella presa della città. La sua pretesa di partecipare alla vittoria viene dunque respinta. L’episodio assume caratteri molto vividi in alcune testimonianze, secondo cui Leopoldo fa innalzare dai suoi uomini la propria bandiera ad Acri, ma i soldati inglesi, sprezzando il vessillo che aveva osato equipararsi al loro, lo tolgono dalla sua sede e lo gettano via.[8] Anche se le truppe germaniche non potevano accampare diritti sulla spartizione del bottino né sul merito della vittoria, la reazione inglese rimane un grave affronto e Leopoldo non lo dimenticherà.[9]
Conquistata Acri, Filippo Augusto, che mai si era prestato con fervore all’intervento in Terrasanta, decide di tornare al più presto in patria. L’affrettata partenza è giustificata dal re con i continui malanni che l’avevano colpito[10] e con la diffidenza nei confronti di Riccardo, sospettato persino di aver cercato di avvelenarlo e di tramare con Saladino. Il gesto non mancò di essere giudicato dai contemporanei come un’ingloriosa mancanza ai propri doveri di crociato.[11]  Prima della partenza Riccardo ottiene da Filippo Augusto una promessa di non aggressione, almeno fino al suo ritorno. È probabilmente questo il serement a cui fa riferimento il v. 21 di Ja nus hons pris:[12] come si vedrà, durante la prigionia di Riccardo il re francese non prestò fede all’accordo. Già sulla via del ritorno passerà da Roma per chiedere al papa Celestino III di essere sciolto dal giuramento, adducendo a motivo il presunto tradimento di Riccardo: il papa non solo non accetterà, ma anzi ratificherà ulteriormente l’accordo.[13]
Già durante l’assedio di Acri si erano aperte le dispute su chi avrebbe regnato in Terrasanta: Corrado di Monferrato era il candidato di Filippo Augusto, Guido di Lusignano quello di Riccardo. Un concilio dei condottieri, moderato da un ambasciatore della santa sede, nominò Guido regnante in Terrasanta; alla sua morte gli sarebbe succeduto Corrado.         
Dopo la presa di Acri, il cammino di Riccardo verso Gerusalemme è ricco di successi, ma per non restare sguarnito della flotta, il re è obbligato a tergiversare. Non riportando vittorie decisive, il fervore dei crociati si affievolisce, il fronte compatto dei cristiani inizia a sfaldarsi, le diserzioni cominciano numerose. Corrado rifiuta a lungo di inviare il suo aiuto da Tiro ad Ascalona, se non in cambio del titolo regale. Inoltre, Riccardo riceve dal priore di Hereford notizie sulle usurpazioni perpetuate dal fratello minore Giovanni e si risolve a tornare in patria al più presto. Prima della partenza, però è indispensabile pacificare i rapporti con Corrado poiché, senza l’appoggio di Riccardo, Guido sarebbe rimasto isolato e incapace di mantenere il regno. Riccardo convoca allora un consiglio generale al quale viene chiesto chi tra Guido e Corrado dovesse sedere sul trono di Gerusalemme. All’unanimità viene acclamato il marchese e Riccardo è obbligato a ratificare il verdetto che a lungo aveva tentato di evitare.[14]  Non tarda a sorgere il sospetto di un’implicazione del re inglese quando, pochi giorni dopo, Corrado di Monferrato viene accoltellato e ucciso.[15]  
Il 2 settembre 1192, Riccardo, ammalato e pressato dalle notizie sul malgoverno del fratello, firma il trattato di pace che segna la fine della terza crociata. I soldati sono spossati e Gerusalemme non è stata liberata, ma i crociati controllano le città costiere a sud di Giaffa e i pellegrini cristiani hanno libero accesso ai luoghi santi.
 
1.4. Il ritorno e la prigione (ottobre 1192 - febbraio 1194)
Il 9 ottobre Riccardo parte da Acri per tornare in patria. La via per l’Aquitania attraverso la Linguadoca o la Provenza non è prudente a causa delle ribellioni fomentate da Filippo Augusto e il conte Raimondo di Tolosa. Le flotte del conte e quelle genovesi e pisane, queste ultime alleate dell’imperatore Enrico VI, rendono poi rischioso l’approdo oltre i Pirenei. Anche la via per lo stretto di Gibilterra, sorvegliato dagli arabi, sarebbe lunga e non priva di pericoli.[16] Venuto a conoscenza delle ostilità che ostacolavano il suo ritorno, Riccardo raggiunge Corfù, forse per dirigersi a Venezia. Lascia nell’isola la nave regia e, temendo di essere un facile bersaglio, riparte immediatamente a bordo di una nave corsara, in incognito e portando con sé una piccola scorta. Risalendo l’Adriatico, non è chiaro se per scelta o spinta da un naufragio, la nave approda nei pressi di Aquileia. Da qui il re è costretto a proseguire via terra attraverso i territori austriaci, nei quali sa di non poter certo essere accolto calorosamente. A causa della poca previdenza di un suo servitore, gli austriaci riconoscono che dietro la maschera di un "ricco mercante di ritorno dalla Terrasanta” si nasconde il re d’Inghilterra. Il 21 dicembre 1192 Riccardo è accerchiato nella casa nei sobborghi di Vienna in cui si era rifugiato e deve arrendersi al duca d’Austria Leopoldo, che aveva covato l’odio contro di lui dall’umiliazione subita alla presa di Acri.[17] L’accusa per legittimare l’arresto fu l’assassinio di Corrado, cugino di Leopoldo, di cui molti ritenevano Riccardo il mandante, nonché i torti inflitti all’imperatore di Cipro, anch’esso imparentato al duca d’Austria. Un prigioniero di rango reale comporta anche un riscatto reale e Leopoldo non disdegna di contravvenire alla legge che vieta di arrecare danno ai pellegrini impegnati nella crociata, sotto la protezione della chiesa.[18] Tuttavia, con scorno di Riccardo e di sua madre, la santa sede non si azzarderà a inimicarsi l’impero: la scomunica, insieme a una serie di catastrofi naturali e disgrazie personali, colpisce il duca Leopoldo, ma non Enrico VI.[19]
Durante il periodo di prigionia il re inglese è rinchiuso in diverse fortezze: Leopoldo lo fa custodire nella rocca di Dürnstein, sotto gli occhi attenti di Hadmar II di Kuenring.[20] Attorno all’immaginario della fortezza inespugnabile nacque la leggenda della tour ténébreuse secondo cui il troviere Blondel de Nesle, non sopportando la noncuranza generale a cui era stato abbandonato il re inglese, intraprende un lungo vagabondaggio per l’Europa, finché non lo trova grazie a un jeu parti che i due avevano composto insieme e nessun altro conosceva: quando uno dei due intonò il canto e l’altro lo continuò, Blondel fu certo del luogo dove era tenuto prigioniero il suo re.[21]
Venuto a sapere della cattura, Enrico VI – che incolpava Riccardo di aver favorito Tancredi nell’usurpare il trono di Sicilia, su cui vantava il diritto – invia una lettera che annuncia la lieta novella a Filippo Augusto.[22] Il re di Francia prende subito contatti con Giovanni, il quale ha tutto l’interesse che l’assenza di Riccardo si prolunghi il più possibile. Appena dopo Natale, Giovanni si reca in Francia dove fa omaggio a Filippo Augusto per tutti i territori continentali e insulari e promette di sposarne la sorella Alice; in Inghilterra diffonde la notizia della morte del fratello e cerca nuove alleanze per prenderne il trono ma Eleonora e gli uomini nominati da Riccardo, Guglielmo FitzRalph, Guglielmo di Longchamp e Gualtiero di Coutances, restano fedeli al re, così come il re di Scozia Guglielmo I. Con simili oppositori il piano di Giovanni di prendere il potere con un esercito di mercenari fiamminghi e gallesi, con cui in marzo razzia i territori tra Kinsgton e Winsdor, non può realizzarsi.[23]
Il 6 gennaio 1193 Leopoldo conduce il prigioniero a Ragesburg al cospetto dell’imperatore e il 14 febbraio le trattative si concludono a Würtzburg: Riccardo passerà nelle mani di Enrico VI.[24]
Una copia della lettera dell’imperatore a Filippo Augusto giunge fino al capo giustiziere Gualtiero di Coutances: in un incontro tenuto a Oxford il 28 febbraio viene deciso di inviare gli abati di Boxley e di Robertsbridge in Germania per negoziare la scarcerazione.[25] Il 19 marzo, mentre Leopoldo sta portando il re a Speyer per consegnarlo alla custodia imperiale, gli ambasciatori inglesi intercettano Riccardo a Ochsenfurt: in questa occasione il re viene informato della situazione nelle sue terre e apprende con rammarico del tradimento del fratello Giovanni e delle manovre di Filippo Augusto.[26]
A Speyer Enrico VI ha organizzato un processo contro Riccardo, che si tiene il 21 marzo. Il re d’Inghilterra è accusato dell’assassinio di Corrado di Monferrato, di aver contribuito alla perdita della Sicilia, di aver preso accordi con Saladino e aver così tradito la missione in Terrasanta. Il discorso che Riccardo pronuncia in sua difesa è ricordato dai cronisti come un esempio altissimo di eloquenza, che gli varrà, se non la libertà, il favore della corte e dello stesso imperatore.[27] Il 23 marzo Leopoldo consegna finalmente il prigioniero a Enrico VI, che lo fa custodire nella torre di Trifels, sul Reno, fortezza inespugnabile riservata ai nemici dell’impero.[28] Il 25 marzo Riccardo accetta di pagare 100.000 marchi e di fornire il supporto militare per la riconquista della Sicilia.
Durante la sua cattività Riccardo era informato degli avvenimenti che scuotevano le sue terre, e poteva comunicare e inviare ordini ai suoi uomini: il 28 marzo gli abati di Boxley e Robertsbridge, tornati insieme a Hubert Walter – uomo di fiducia che aveva raggiunto il re in Germania e che sarà poco dopo nominato arcivescovo di Canterbury – avevano portato sue notizie a Eleonora e ai giustizieri; altre missive raggiungono gli ambienti ecclesiastici. Anche il vescovo di Ely ed esiliato cancelliere Guglielmo di Longchamp aveva partecipato al processo e aveva convinto l’imperatore a reintegrare Riccardo alla corte di Speyer, sottraendolo dal confino di Trifels.[29] Quando torna in patria, ha con sé una lettera datata 19 aprile in cui Riccardo scrive alla madre dalla corte di Haguenau, sempre con lo stesso scopo di affrettare l’invio del riscatto e con alcune disposizioni per raccogliere il denaro necessario. Riccardo manda inoltre dei messaggeri a chiedere le navi e gli ostaggi.[30]
Filippo Augusto, temendo il ritorno di Riccardo, rilancia: offre a Enrico VI un’alleanza franco-tedesca e ingenti somme per ritardare la liberazione o cedergli il prigioniero. L’imperatore è tentato di accettare, ma alla fine rispetta gli accordi e tra il 25 e il 29 giugno incontra nuovamente Riccardo a Worms, dove vengono stabiliti i termini finali della scarcerazione: 100.000 marchi d’argento alla liberazione più altri 50.000,[31] con cui Enrico potrà finanziare la spedizione per recuperare la Sicilia. Eleonora, nipote di Riccardo, dovrà infine sposare un figlio di Leopoldo.[32] Riccardo resta prigioniero, almeno per il tempo necessario a raccogliere il riscatto, della cui riscossione si occupa la madre Eleonora: la straordinaria tassa generale ricade su tutti i suoi sudditi, laici – che devono versare grosso modo la quarta parte dei propri beni mobili – come ecclesiastici – a cui vengono requisiti numerosi tesori.[33] Il peso fiscale aggrava una situazione difficile per l’Inghilterra, sia dal punto della stabilità politica sia per la terribile annata che avevano patito i raccolti.
 
1.5. Le allusioni politiche
Che Riccardo fosse al corrente della situazione del regno angioino si trova riscontro anche nella canzone, fitta di allusioni politiche.[34] Il re sapeva che Filippo Augusto aveva preso possesso dei territori del Vexin normanno – il 12 aprile del 1193 Gilberto di Vascoeuil gli consegna senza combattere lo strategico castello di Gisors e il vicino castello di Neufles – e aveva conquistato l’Artois insieme ad alcuni porti sulla Manica.[35] Filippo Augusto arriva con un ampio esercito di francesi e fiamminghi fino al cuore della Normandia, Rouen, ma agli scherni degli assediati il re di Francia volge le spalle e si ritira. Dopo l’incontro di Worms che sanciva l’alleanza anglo-germanica e annunciava il ritorno imminente di Riccardo, il 9 luglio 1193 Filippo Augusto firma una pace vantaggiosa con i giustizieri che proteggevano i territori normanni, un documento molto significativo per comprendere le mutevoli alleanze di quella primavera. La pace è effimera e prima della fine dell’estate Filippo Augusto organizza un’invasione dell’Inghilterra: il 15 agosto sposa la figlia di Cnut VI di Danimarca, nella speranza di ereditare così un antico diritto danese sull’isola. La mattina dopo ci ripensa e, ripudiata la sposa, abbandona anche l’impresa. È proprio a Filippo Augusto che Riccardo si rivolge, quando si lamenta del patto non onorato e dei tumulti che tormentano le sue terre, chiamandolo «mes sires» (v. 20): Riccardo era, infatti, formalmente vassallo del re di Francia per i territori continentali.
Filippo non era il solo ad approfittare dell’assenza del re. Riccardo, nel comporre Ja nus hons pris ne dira sa raison, mira a riunire i vassalli, divisi o ribelli, e a incitarli ad affrettarsi nel raccogliere il denaro necessario al riscatto: al v. 8, egli redarguisce i suoi uomini e i suoi baroni «ynglois, normant, peitavin et gascon». Ruggero di Hoveden ci informa che già nel 1192 il conte di Périgord, il visconte de la Marche e quasi tutti i baroni di Guascogna, approfittando della malattia del siniscalco d’Aquitania, si erano ribellati e avevano devastato i territori di Riccardo.[36] Ademaro di Angoûleme, ribelle per vocazione, era passato dalla parte di Filippo e aveva attaccato i possedimenti di Riccardo in Poitou; cade però prigioniero e ritroviamo il suo nome nel trattato del 9 luglio 1193, in cui Filippo chiede la sua liberazione. Sul versante inglese, nonostante il complessivo insuccesso, l’anno precedente Giovanni era riuscito a tirare dalla sua parte i castellani di Winsdor e Wallington.
Al v. 25 (31 secondo U P S Za) il re prigioniero richiama all’ordine «angevin et torain», definendoli «bacheler», ossia ‘giovani’, o ‘aspiranti cavalieri’, in cui potrebbe leggersi anche un’allusione non priva d’ironia sulle loro abilità belliche. Il bacheler dovrebbe essere un esempio di prodezza, mentre i destinari di Riccardo, ‘ricchi e prosperi’, trascurano le imprese militari.[37] Le due regioni, l’Angiò e la Turenna, erano roccaforti dalla cui fedeltà dipendeva la solidità dei confini[38]: al suo ritorno Riccardo dovrà riconquistare alcune fortezze in questi territori.[39]
Agli amati compagni, «ces/cil de Caheu/Caieu/Chaill et ces/cil de Percherain», menzionati al v. 32 (25 di U P S Za), Riccardo non chiede denaro ma fedeltà o per lo meno correttezza – che almeno non gli facciano guerra ora che non può difendersi. I due personaggi sono stati identificati con Goffredo di Perche e Guglielmo di Cayeux, sulla fedeltà dei quali il re aveva ragione di dubitare.[40] Essi avevano partecipato alla terza crociata e per questo potrebbero essere definiti "compaignon”, ma non proprio al fianco di Riccardo: il primo vestiva la croce rossa francese, il secondo quella verde di Filippo di Fiandra.[41] Goffredo III di Perche (conte dal 1191, muore nel 1202) ebbe un ruolo importante nelle vicende del 1193; nel 1189 aveva sposato Matilda di Sassonia, figlia di Enrico il Leone e della sorella di Riccardo, Matilda d’Inghilterra. Questa parentela e l’importanza strategica della contea di Perche, a sud della Normandia e territorio fondamentale a difesa del Maine, aggravavano la condotta di Goffredo verso il re d’Inghilterra.[42] Il trattato di pace del 9 luglio 1193 ci informa del suo tradimento.[43] Più complesso il caso di Guglielmo di Cayeux,[44] personaggio molto meno documentato e certamente di minore peso politico ed economico ma valoroso cavaliere: è menzionato dalle cronache sulla crociata mentre si difende valorosamente in un combattimento presso Giaffa.[45] È questo l’unico passaggio che ci può permettere di annoverarlo tra gli uomini di Riccardo:[46] il re manda all’attacco i conti di Saint-Pol e di Leicester, a cui affianca Guglielmo e Ottone di Transignees;[47] vedendoli poi circondati dagli arabi, Riccardo interviene in loro soccorso.[48] Rincontriamo poi Guglielmo e Ottone quando, al seguito di Enrico di Champagne, si recano da Corrado di Monferrato ad annunciare le «bones noveles», cioè a comunicargli la sua elezione a re di Gerusalemme, su comando di Riccardo. Se dedurre da questo passo una stretta affiliazione di Guglielmo al re d’Inghilterra pare forzare la lettera[49], nessun valore può essere conferito alla sua fideiussione nel patto di Messina del 1191, poiché essa, in realtà, non è mai avvenuta.[50] L’indizio più convincente, ma finora trascurato, in favore dell’identificazione di Guglielmo di Cayeux è il trattato del 23 luglio 1194 che stipula la tregua tra Filippo Augusto e Riccardo, il quale, tornato dalla prigionia, cerca di riconquistare i territori contestati dal re di Francia.[51] Qui Guglielmo, signore di Mortemer, in Alta Normandia, a sud-ovest di Dieppe, figura tra i baroni inclusi nella tregua per volere di Filippo Augusto, coloro che «melius erant homines sui ante guerram, quam regis Angliae».[52] La pace doveva cioè essere garantita anche per chi aveva tradito il proprio signore ed era passato al servizio dell’avversario; sembra quindi un indizio dell’implicazione di Guglielmo nelle vicende normanne e della sua attitudine oscillante.
Già prima della morte di Riccardo, nel 1197, sembra che Guglielmo di Cayeux fosse entrato tra i fedeli di Giovanni.[53] Al suo fianco, contro Filippo Augusto, si troverà nella battaglia di Bouvines.[54]
Un altro elemento piuttosto labile che è servito a stringere i rapporti tra Riccardo e Guglielmo riguarda la traduzione di Pierre di Beauvais della leggenda latina del viaggio di Carlo Magno in oriente[55]. Essa consiste nell’identificazione del committente dell’opera proprio in Guglielmo di Cayeux: ciò gli è valso la fama di essere un grande estimatore di canzoni di gesta e quindi il perfetto compagno di Riccardo.[56]  Ad invalidare definitivamente questo assunto è il fatto che la menzione del nome di Guglielmo nella rubrica incipitaria dell’opera è tramandata da un solo frammento[57] e non è probabilmente che un’interpolazione, l’argomento è stato messo in discussione da R. N. Walpole, che declassa Guglielmo da patrono a semplice committente di una copia del poema.[58]
Altra legittima osservazione è che tutti i toponimi della canzone sono nomi riferiti a territori e non a singole città: Cayeux sarebbe l’unica. Nemmeno possiamo essere certi che Riccardo si riferisse ad un preciso destinatario: i manoscritti O C U riportano infatti un pronome dimostrativo plurale ces/ceaulz (cil P S Za è sia pl. che sing.): "quelli di Cayeux e quelli del Perche”;  si è tuttavia d’accordo con Lee quando ritiene poco probabile l’ipotesi di un appello collettivo.[59] Si è qui cercato di mettere a fuoco una difficile identificazione, che non si può basare sugli argomenti addotti fino ad oggi ma che può essere confortata da nuovi elementi: si accetta (una volta accettato chaeu/caheu/caieu come lezione originaria) in mancanza di un migliore candidato, il riferimento a Guglielmo di Cayeux,[60] ma in ragione di questo si potrà addurre unicamente il passo de L’estoire de la guerre sainte (v. 7289) e la pace del 23 luglio 1194.
Al contrario del resto della canzone, l’envoi offre riferimenti più chiari, dichiarando esplicitamente a chi è indirizzato – alla sorellastra di Riccardo, la contessa Maria di Champagne – e anche a chi non è indirizzato – l’altra sorellastra, Alice, diventata contessa di Blois e di Chartres per averne sposato il conte, Tebaldo V di Champagne. Da lui aveva avuto Luigi, che eredita il titolo nel 1191: è il suo nome che sostituisce il mot-refrain e chiude la canzone. Dal momento che Alice è nata dal matrimonio tra Eleonora d’Aquitania e Luigi VII, Luigi di Blois è nipote sia del re d’Inghilterra che di quello di Francia. Inizialmente Luigi è schierato con Riccardo, ma Giovanni "senza terra” si guadagnerà il suo appoggio con la concessione di alcune fortezze turrensi.[61] Luigi è il secondo signore a figurare nel trattato del 9 luglio 1193,[62] in contrasto con il re d’Inghilterra per le rendite sulle terre ereditate dal padre. Infine, è probabilmente all’imperatore Enrico VI che alludono i vv. 38-39: «... cil a cui je me clain / et por cui je sui pris.».
 
Entro Natale Eleonora d’Aquitania e Gualtiero di Coutances, raggiungeranno Riccardo a Speyer, portando con loro l’esorbitante riscatto. Il re sarà rilasciato a Mainz il 4 febbraio 1194, solo dopo aver consegnato formalmente l’Inghilterra all’imperatore per riacquisirla come suo vassallo.
Alla luce delle informazioni raccolte, non resta che costatare la mancanza di indizi che permettano una datazione più precisa e ipotizzare che la canzone sia stata composta tra il 25 marzo e l’autunno del 1193.      

 

 

[1] Le imprese di Riccardo nella terza crociata sono narrate con dovizia di dettagli in numerose cronache coeve. In particolare si è consultato l’Itinerarium Peregrinorum et Gestae Regis Ricardi Angliae, cronaca scritta nel primo ventennio del XIII secolo il cui autore fu a lungo identificato con Geoffrey de Vinsauf, ma che fu poi attribuita a Richard de Templo, canonico della Santa Trinità di Londra (ed. a c. di W. Stubbs, London, Longman & Co., 1864). Su questa e altre cronache si basa il resoconto sulle gesta di Riccardo durante la terza crociata di S. Runciman, Storia delle crociate, Torino, 1966 (ed. or. London, 1951). Le altre recenti biografie di Riccardo da cui traggo le informazioni qui raccolte sono J. Flori, Riccardo Cuor di Leone: il re cavaliere, Torino, Einaudi, 2004 (ed. or. Paris, 1999) e J. Gillingham, Richard I, New Haven, Yale University Press, 2002.
[2] Flori, Riccardo cit., p. 74, che a sua volta ne è informato dalla Chronica di Ruggero di Hoveden (ed. W. Stubbs, London, Longman & Co., 1886-1889, III, p. 30).
[3] Una delle figlie di Tancredi, di appena due anni, è promessa al nipote di Riccardo, Arturo di Bretagna, che sarebbe così diventato erede del regno di Sicilia. Cfr. Flori, Riccardo cit., pp. 90-91.
[4] Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, p. 100, trad. da Flori, Riccardo cit., p. 97. 
[5] Cfr. Ibid., p. 102, n. 50 e Gillingham, Richard cit., p. 219.
[6] Una pernacchia, secondo la testimonianza di Ambrogio (L’estoire de la guerre sainte, ed. C. Croizy-Naquet, Paris, Champion, 2014, v. 1460), sarebbe stata la risposta del cipriota alla richiesta di Riccardo di rilasciare i prigionieri catturati e di restituire il bottino razziato dalle navi naufragate sull’isola. Cfr. Flori, Riccardo cit., pp. 103-106.
[7] La terza crociata era stata indetta da papa Gregorio VIII in seguito alla disfatta subita dai crociati nella battaglia di Hattin del 4 luglio 1187 con cui Saladino aveva ripreso il controllo di Gerusalemme e parte della Palestina; nello stesso anno Riccardo prende la croce.
[8] Riccardo di Devizes, Chronicon Ricardi Divisiensis de rebus gestis Ricardi Primi Regis Angliæ, ed. J. Steveson, London, Bentley 1888, p. 53. La notizia è presente anche nell’opera, più tarda, di Gervasio di Canterbury, The historical works of Gervase of Canterbury, ed. W. Stubbs, London, Longman & Co., 1879-1880, p. 88.
[9] Cfr. Gillingham, Richard cit., pp. 224-225.
[10] Un interessante contributo sulle malattie che hanno vessato i due re e i loro eserciti è in T. G. Wagner, P. D. Mitchell, The illnesses of King Richard and King Philippe on the Third Crusade: An Understanding of arnaldia and leonardie, in «Crusades», 10 (2011), pp. 23-44.
[11] Flori si interroga sulle reali cause della defezione di Filippo Augusto: la malattia di certo deve aver avuto un gran peso, ma non meno la preoccupazione per la sua successione, dato che l’erede aveva allora appena quattro anni; inoltre la recente morte di Filippo di Fiandra era un’ottima occasione per rivendicare i propri diritti sull’Artois; non ultima l’invidia verso Riccardo, «un rivale che lo superava in tutto», cfr. Flori, Riccardo cit., p. 117. 
[12] Questo è solo l’ultimo dei patti di non aggressione stipulati: già prima della partenza, nell’inverno 1190, e poi a Messina, in concomitanza dello scioglimento del patto matrimoniale con Alice, i due re si erano accordati per una pacifica spartizione dei territori. Questo sembra però l’unico vero e proprio giuramento che richiede l’impegno del solo Filippo.
[13] Guglielmo di Newburg, Historia regum anglicarum, ed. R. Howlett, in Chronicles and Memorials of the Reigns of Sthephens, Henry II and Richard I, I, London, Longman & Co., 1884, p. 358; cito da Flori, Riccardo cit., p. 119.
[14] Runciman, Storia delle crociate cit., II, p. 740. Flori, Riccardo cit., p.136. Gillingham, Richard cit., pp. 195-196.
[15] A quanto pare, i responsabili dell’assassinio del marchese furono due sicari dello sceicco Rashīd al-Din Sinan, noto come "il Vecchio Uomo della Montagna”, forse in collera con Corrado che aveva depredato una nave carica di sue preziose merci o forse per evitare uno stabile insediamento crociato in Palestina. Cfr. Runciman, Storia delle crociate cit., II, p. 741.
[16] Cfr. Flori, Riccardo cit., p. 149; Gillingham, Richard cit., pp. 230-231.
[17] Cfr. Flori, Riccardo cit., pp. 152-153.
[18] Su questo aspetto insistono i versi di Pietro di Blois, che in Quis acquam tuo capiti (PL, 207, coll. 1131D-1133B, strofe 14-20) paragona l’atto del duca al tradimento di Giuda. Cfr. P. Dronke, The Medieval Lyric, London, Hutchinson University Library, 1968, pp. 213-214.
[19] Cfr. Gillingham, Richard cit., pp. 153-154.
[20] Ibid., p. 233.
[21] La leggenda di Blondel de Nesle è stata diffusa principalmente da Marie-Jeanne L’Héritier de Villandon (1664-1734), figlia dell’historien du Roi e frequentatrice di salotti tra cui quello di Mme de Scudery e Mme Deshoulières, nel romanzo La tour ténebreuse et les jours loumineux, contes anglois accompagnez d’historiettes et tirez d’une ancienne chronique composée par Richard, surnommé Cœur de Lion, roy d’Angleterre, avec le récit de diverses avantures de ce roy, Paris, Veuve Claude Barbin, 1705. Questa trae la narrazione da Recueil de l’origine de la langue et poésie françoise, Paris, 1581, redatta da Claude Fauchet, che a sua volta attinge ad un testo anonimo della metà del XIII secolo, il Récit d’un ménestrel de Reims au treizième siècle, (ed. N. de Wailly, Paris, Renouard, 1876). Per ripercorrere le vicende della leggenda raccoltasi attorno alla figura di Blondel, cfr. Daolmi, Trovatore cit.
[22] La lettera è datata 28 dicembre. Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, p. 195; cfr. Gillingham, Richard cit., p. 222; Flori, Riccardo cit., pp. 155-156.
[23] Gillingham, Richard cit., p. 236. Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, pp. 203-204. Cfr. anche J. T. Appleby, England without Richard, 1189-1199, London, Bell, 1969, pp. 107-108.
[24] Riccardo avrebbe dovuto dare 100.000 marchi (da spartire tra i due carcerieri), sotto forma di dote di Eleonora di Bretagna, per il matrimonio con il figlio di Leopoldo, oltre che a fornire un supporto militare a Enrico VI per intraprendere la riconquista della Sicilia. Inoltre, come garanzia, Riccardo dovrà fornire duecento ostaggi. Gillingham, Richard cit., p. 235.
[25] J. A. Brundage, Richard Lion Heart, New York, Scribner, 1974, p. 184.
[26] Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, p. 198.
[27] Rodolfo di Coggeshall, Radulphi de Coggeshall Chronicon Anglicanum, ed. J. Stevenson, London, Longman & Co., 1875, pp. 58-60. Cfr. Gillingham, Riccardo cit., pp. 237-238.
[28] Rodolfo di Diceto, Raduphi de Diceto Decani Londiniensis Opera Historica, ed. W. Stubbs, London, Longman & Co., 1876, II, p. 107.
[29] Ibid. p. 239.
[30] Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, per gli ambasciatori p. 205; per le navi p. 206; per le richieste di contribuzione alla raccolta del riscatto pp. 208-211; per la nomina Hubert Walter p. 213. Cfr. Gillingham, Richard cit., pp. 238-239 e Flori cit., Riccardo cit., p. 159.
[31] Il patto prevede però la possibilità di non pagare la seconda parte del riscatto se Riccardo fosse riuscito a riavvicinare suo cognato Duca di Sassonia Enrico il Leone all’imperatore.
[32] Ibid.
[33] Cfr. Ibid., pp. 159 e 163.
[34] I riferimenti politici del componimento sono esplicitati nel saggio di C. Lee, Nota sulla rotrouenge di Riccardo Cuor di Leone, in «Rivista di studi testuali», VI-VII (2004-2005), pp. 139-151.
[35] Cfr. Ibid., p. 147. La restituzione delle piazzeforti normanne era parte del patto tra Giovanni e Filippo, cui vengono cedute nell’aprile 1193. Cfr. Flori, Riccardo cit., p. 169.
[36] Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, p. 194. Hélie V Talleyrand fu conte di Périgord dal 1166 alla sua morte nel 1205.
[37] Come ribadisce ai vv. 29-30: «De belles armes sont ore vuit li plain, / por ce que je sui pris».
[38] Lee, Nota cit., p. 146.
[39] Tours, Amboise, Montbason, Montrichard e soprattutto Loches; cfr. Flori, Riccardo cit., p. 169.
[40] La traduzione di «qu’il ne sont pas certain» v. 33 (27 di U P S Za) dovrà esprimere il senso di ‘che sono vacillanti’, ‘che sono in dubbio’.
[41] P. Meyer, L’Histoire de Guillaume le Maréchal, comte de Striguil et de Pembroke, régent d’Angleterre de 1216 à 1219, Paris, Librairie Renouard, 1891-1901, I, p. 165 (v. 4547); III, p. 54. Qui Guglielmo di Cayeux è enumerato tra i cavalieri di Fiandra in un torneo Lagny-sur-Marne.
[42] Lee, Nota cit., p. 147. In Goffredo di Perche aveva riposto fiducia nel 1189 per proteggere i territori di confine dalle incursioni francesi, cfr. Gillingham, Richard cit., p. 103.
[43] «Comes particii redditus suos in Anglia integre habebit, et rex Angliae et sui pacem ei tenebunt», Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, p. 218.
[44] Sull’identificazione del toponimo con Cayeux cfr. Lee, Nota cit., pp. 147-148. Lee accoglie in queste identificazioni l’ipotesi proposta da Gillingham; bisogna però puntualizzare che l’idea che Guglielmo di Cayeux fosse passato «dalla parte di Filippo» (ibid., p. 147) non può essere un argomento a supporto della sua identificazione con «ces de Caïeu» chiamato in causa in Ja nus hons pris, perché Gillingham specifica che l’ipotesi di una complicità tra Guglielmo e il re di Francia non è che una deduzione formulata sulla base della canzone stessa («that [change of allegiance] from William is an inference from Richard’s peom» Gillingham, Richard cit., p. 241, n. 68). In realtà già G. Paris aveva identificato Guglielmo di Cayeux come il destinatario dell’emistichio (La traduction de la légende latine du voyage de Charlemagne à Constantinople, in «Romania», XXI (1892), pp. 263-264 e poi in Ambrogio, L’estoire de la guerre sainte, ed. G. Paris, Paris, Imprimerie nationale, 1892, p. 543), considerandolo un personaggio vicino a Riccardo. Egli si basa però su due passi de L’estoire (cfr. supra) e su una fideiussione di Guglielmo nel patto di Messina, documento per cui Paris rinvia il lettore a «Histor. de France, XVII, p. 53» ossia Rigordo, Gesta Philippi Augustus francorum regis in Recueil des historiens de Gaule et de la France, Tome 17, a c. di M.-J.-J. Brial, nouv. éd. sous la direction de M. L. Delisle, Paris, Palmé, 1878, p. 53. Se si segue il rimando bibliografico, si trova il nostro «Will. de Ket» (ossia «Kaer al. Kaeu», ibid. n. 2) come fideiussore del re d’Inghilterra nella pace siglata "apud Goleton” con Filippo Augusto: si tratta però di un documento che data ormai al 1200 e il re d’Inghilterra non è più Riccardo ma Giovanni (da notare che qui Goffredo di Perche è tra i fideiussori del re di Francia). Il patto di Messina cui sembra pensare Paris è invece riportato alle pp. 32-33 delle stesse Gesta Philippi; qui compare come fideiussore il Pontivi Comes, che l’editore di Rigordo glossa «Guillelmus»: si tratta invece del padre di questi, Giovanni, partito per la crociata nel 1190 e morto ad Acri il 30 giugno dell’anno seguente (C. Brunel, Recueil des Actes des Comtes de Pontieu (1026-1279), Paris, Imprimerie Nationale, 1930, p. VI). Dalla confusione di questi due documenti nasce forse la confusione tra Guglielmo, conte di Ponthieu (colui che sposerà finalmente Alice, sorella di Filippo Augusto), e Guglielmo di Cayeux, città situata in Ponthieu. L’atto siglato a Messina, datato marzo 1191, è edito anche da H.-F. Delaborde, Recueil des actes de Philippe-Auguste, roi de France, Paris, Imprimerie Nationale, 1916, pp. 464-466.
[45] È il 6 novembre 1191. Nell’Itinerarium peregrinorum cit. (lib. VI, cap. XXX) compare Willelmus de Cageu, su cui la nota di Stubbs «Probably Cayeux in Ponthieu» (ibid. p. 292 n. 6); il passo dell’Itinerarium è strettamente legato –  non ne è probabilmente che la traduzione ­– a quello di Ambrogio, dove compare come Guillaumes de Caieu (Ambrogio, L’estoire cit., ed. Croizy-Naquet, v. 7289, p. 560) e de Caieu Willames (ibid., v. 8655: carec secondo l’ed. Croizy-Naquet, p. 605 – che però non pare una lettura corretta –, carer, secondo l’ed. Paris, col. 231, è la lezione del manoscritto: la correzione in caieu è di Paris).
[46] Senza successo lo si cercherebbe in J. H. Round, Some English Crusaders of Richard I, in «The English Historical Review», 18 (1903), 71, pp. 475-481, F. Vielliard, Richard Cœur de Lion et son entourage normand : le témoignage de l’Estoire de la guerre sainte, in «Bibliothèque de l’école des chartes», 160 (2002), 1, pp. 5-52 o in A. V. Murray, Participants in the Third Crusade (act. 1190-1192), in Oxford Dictionary of National Biography <http://www.oxfroddnb.com>. Per ulteriori riferimenti e fonti per la terza crociata cfr. D. Power, The preparation of Count John I of Sées for the Third Crusade, in Crusading and Warfare in the Middle Ages : Realities and Representations. Essays in Honour of John France, a c. di S. John e N. Morton, Farnham, Ashgate, 2014, pp. 143-161, in particolare pp. 144-146. Si consideri che il combattimento è successivo alla morte di Filippo di Fiandra.
[47] Otho, uno degli uomini sotto il comando di Filippo di Fiandra (P. Roger, Noblesse et chevalerie du comté de Flandre, d’Artois et de Picardie, Amiens, de Duval et Herment, 1843, p. 80) è al suo fianco anche nell’episodio appena descritto ed è una compagnia che gli fa onore: in entrambi i casi il nome Transignees prepara la rima a «ço erent genz de hautes lignee», elogiando, s’intende, anche Guillaume. Questo personaggio vicino a Guillaume, è forse (l’atto è sospetto) tra i debitori di cui, dopo la morte di Filippo di Fiandra, il re di Francia salderà i conti (Delaborde, Recueil cit., I, 478-479).
[48] Ambrogio, L’estoire cit., vv. 7287-7366.
[49] Riccardo, che era sempre stato avverso all’elezione di Corrado, concede che si vada ad avvertire il marchese: «E quant chescons por lui proia, / Lors le volt e si otreia
/ Que hautes genz por lui alassent /
E que a grant joie ramenassent» ibid. vv. 6641-8644; «Lors s'atornerent li message :
/ Li coens Henris, cil de Champaine, / Si fud o lui en sa compaine / Mis sire Otes de Transignees :
/ Ço erent genz de hautes lignees;
/ Si i fud de Caieu Willames.
/ Lores mistrent es chiefs les hiaumes, / Le message alerent porter / E le marchis rocomforter, / E dire lui bones noveles / Que mult semblèrent a lui bêle / E as Franceis qui a Sur erent» Ibid. vv. 8650-8661. A questo passo fa eco l’Itinerarium peregrinorum cit., lib. V, cap. XXIV: «Hi cum suorum obsequio galeati procedunt versus Tyrum, properantes Marchiso diu desideratum ferre nuncium optimum».
[50] Cfr. nota 46.
[51] Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, p. 258.
[52] Ibid.
[53] Il 16 ottobre 1197, a Rouen, Riccardo concede le città di Dieppe e Botteilles a Gualtiero di Coutances, con una schiera di testimoni tra le persone più importanti del regno. Lo stesso giorno Giovanni conferma la concessione: i testimoni sono gli stessi, ma a questi se ne aggiungono quattro, tra i quali Guglielmo di Cayeux. Si può dunque immaginare che, più che legato a Riccardo, Guglielmo fosse al seguito del fratello minore (L. Landon, The intinerary of King Richard I, with studies on certain matters of interest connected with his reign, London, Ruddock & sons, 1935, pp. 123-124). Già l’8 settembre 1197 è presente all’incontro di Rouen tra Giovanni e Baldovino di Fiandra (ibid. p. 118) e compare più volte nei rotoli dell’échiquier del 1198 (T. Stapleton, Observation on the Great Rolls of the Exchequer of Normandy, in Magni rotuli scaccarii Normanniae sub regibus Angliae, London, Sumptibus Soc. Antiq. Londiniensis, 1844, II, pp. lxxiv, cxxi, cxxix, clxxviii, clxxix, ccxxiv, ccxxvii). Il 22 maggio 1200 è tra gli uomini di Giovanni nella già menzionata pace tra Inghilterra e Francia (Delaborde, Recueil des actes de Philippe-Auguste cit., I, no 633, pp. 178-185, «Willelmo di Keu» compare a p. 184). Prima di Bouvines Guglielmo prende parte alla crociata antialbigese e incontra Simone di Monfort a Termes (Petri Vallium Sarnai Monachi Historia Albigensis, ed. P. Guébin, E. Lyon, Paris, Champion, 1926, I, pp. 170-171, III, p. 58; cfr. D. Power, Who Went on the Albigensian Crusade?, in «English Historical Review», CXXVIII (2013), 534, pp. 1047-1085, Guglielmo e il figlio Eustachio sono citati con le rispettive fonti a p. 1059). Un’ultima osservazione, peraltro non dirimente, è che fiammingo era il contingente che insieme all’esercito di Filippo si era spinto fino a Rouen nella primavera del 1193 (Gillingham, Richard cit., p. 241) e alleata di Giovanni era la flotta fiamminga con cui Filippo voleva sbarcare in Inghilterra quella stessa estate (Flori, Riccardo cit., p. 160). Altre informazioni su Guglielmo di Cayeux in D. Power, The Norman Frontier in the twelfth and early thirteenth centuries, Cambridge, Cambridge University Press, 2004, pp. 403, 418, 419, 425, 437, 456.
[54] Per lui viene pagato un riscatto a Filippo Augusto, cfr. Guglielmo Armorico, De gestis Philippi Augusti francorum regis, in Brial-Delisle, Recueil cit., XVII, p. 108.
[55] Si tratta di una traduzione del Iter Caroli magni ad Ierusalem ovvero Descriptio qualiter Karolus Magnus clavem et coronam Domini a Constantinopoli Aquisgrani detulerit, qualiterque Carolus Calvus hec ad sanctum Dyonisium retulerit. Pierre de Beauvais affiancò alla sua traduzione del leggendario viaggio di Carlo Magno a Costantinopoli e Gerusalemme, anche una traduzione anonima (che a lui è stata a lungo attribuita) della cronaca dello Pseudo-Turpino, che narra le imprese dell’imperatore in Spagna, ugualmente prive di fondamento storico. I testi sono editi da R. N. Walpole, Charlemagne's Journey to the East : the French Translation of the Legend by Pierre of Beauvais, in Semitic and Oriental studies, a volume presented to William Popper, a c. di W. J. Fischel, Berkeley, Los Angeles, University of California press, 1951, pp. 433-456 e Id., An Anonymous Old French Translation of the Pseudo-Turpin Chronicle, Cambridge, Massachusetts, The Mediaeval Academy of America, 1979; si cfr. inoltre Id., The Old French Johannes Translation of the Pseudo-Turpin Chronicle, Berkeley, Los Angeles, London, University of California Press, 1976. Oltre agli studi introduttivi degli studi appena citati un quadro generale delle opere di Pierre de Beauvais è offerto da P. Meyer, Notices sur deux anciens manuscrits françaisayant appartenu au marquis de la Clayette (Bibliothèque nationale, Moreau 1715-1719), in Notices et extraits des manuscrits de la bibliothèque nationale et autres bibliothèques, Paris, Imprimerie nationale, 1890, pp. 1-90; M. L. Berkey, Pierre de Beauvais, An Introduction to His Works, in «Romance Philology» 18 (1965), 4, pp. 387-398.
[56] G. Paris, La traduction cit., ne dà la notizia; è poi Powicke, The Loss of Normandy: Studies in the History of the Angevin Empire, London, Manchester, Sherrat & Hugues, 1913, pp. 163-164 e 2a ed. Manchester, Manchester University Press, 1961, pp. 108-109, che ne deduce la passione letteraria e l’amicizia con Riccardo, circolarmente fondata sulla canzone.
[57] P4: Paris, Bibliothèque nationale de France, fr. 2168, 146vA (l. 23).
[58] R. N. Walpole, The Old French Johannes Translation of the Pseudo-Turpin Chronicle, Berkeley, Los Angeles, London, University of California Press, 1976, pp. 52-54. In realtà, anche se l’ipotesi di Walpole è probabilmente corretta, l’argomentazione su cui si basa non è solida: «Guillaume was a gentlemen of Ponthieu, a vassal and close friend of Richard Lion Heart whose companion-at-arms he had been on the third crusade. After the death of Richard, he had won the equal confidence with John, to whose cause he remained faithful, eventually fighting on his side at Bouvines where he was taken prisoner. This allegiance could not have endeared him to the supporters of Philip Augustus, among whom none was more staunch and active than the warrior - bishop of Beauvais, a king’s cousin, Philippe de Dreux, who for so long was patron of Pierre de Beauvais. He had always been the arch enemy of Richard of England, and he and Guillaume de Cayeux were foes on the battlefield of Bouvines. The assertion made in the prologue of P4, to the effect that Guillaume de Cayeux was patron of Pierre’s translation of the Descriptio, seems then surprising on the face of it, for, if authentic, it would mean that momentarily Pierre had found favor in a house that could only have been inimical to the one which had constantly befriended him. There is no sign in the biographical details we know of Pierre that such a disruption of his quiet existence in Beauvais ever occurred.» ibid. p. 53. L’argomento, ancora fondato sulle informazioni di G. Paris, sottovaluta fortemente la situazione politica del tempo, la possibilità che Guglielmo sia già dalla parte di Giovanni quando questo si oppone a Riccardo e rende omaggio a Filippo Augusto; in realtà Walpole non considera adeguatamente la canzone stessa – su cui si basa, direttamente o attraverso Paris, il suo argomento –  che invita a considerare un’oscillazione delle alleanze da parte di Guglielmo.
[59] Il motivo di questa preferenza espressa da Lee, RS 1891 cit., nota ai vv. 31-36, è la precisione con cui questi personaggi si adattano alle circostanze, un argomento che in questo contributo si è cercato di mitigare. Si resta, ad ogni modo, della stessa opinione, piuttosto sulla base del tono della strofe, per il fatto che è più probabile esprimere un simile affetto ad una singola persona che ad un popolo, e soprattutto per la fedeltà che il re professa, la quale è ben difficile immaginare rivolta ad una regione, cfr. Commento al v. 32.
[60] Si resta perplessi sul perché Riccardo non faccia menzione, tra gli altri signori del Caux (il toponimo è così simile a "caeu”, ma non è con esso linguisticamente sovrapponibile per etimo e metrica), di Ugo di Gournay, di cui il re aveva ben ragione di lamentarsi.
[61] Flori, Riccardo cit., p. 169.
[62] Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, p. 218.