1. La terza crociata e la prigionia di Riccardo.
1.1. La partenza per la Terrasanta
Tra il 1192 e il 1194, di ritorno dalla terza crociata, il re d’Inghilterra, conte di Poitou, duca d’Aquitania e d’Angiò, Riccardo I Plantageneto, rimase prigioniero nell’Austria imperiale con grande soddisfazione dei suoi avversari, per primi suo fratello Giovanni e il re di Francia Filippo Augusto. La canzone che Riccardo scrisse durante la sua cattività ha sempre suscitato grande interesse, legato alla figura del suo autore, che sin dall’adolescenza fu accompagnato da una fama di formidabile soldato e uomo di grande carisma. Ma prima di affrontare il suo tormentato ritorno in patria, ricordiamo brevemente gli eventi del suo viaggio oltremare.[1]
Prima di partire per la Terrasanta Riccardo aveva a lungo esitato in patria, diffidando del re francese: nessuno dei due sovrani avrebbe voluto lasciare incustoditi i propri domini in occidente per timore che l’altro potesse approfittarne per estendere i propri confini. Il primo giuramento di non belligeranza tra i due re è siglato il 30 dicembre 1189 e rinnovato il 13 gennaio successivo al Gué-Saint-Rémy. Anche i loro baroni si impegnano a mantenere la pace in assenza dei propri signori. Si concorda infine – sintomo della grande tensione e diffidenza reciproca – una partenza congiunta dei due eserciti, che, rinviata più volte, avverrà solo il 4 luglio 1190.[2] Riccardo non si limita a pacificare il versante francese: conduce anche una spedizione contro i briganti aquitani e rafforza l’alleanza con Sancho VI di Navarra (di cui poco dopo sposerà la figlia) allo scopo di mettere al sicuro la Guascogna dalle rivendicazioni di Raimondo V di Tolosa.
1.2. Messina (luglio 1190 - aprile 1191)
La traversata non è priva di contrattempi. Partiti rispettivamente da Marsiglia e da Genova, Riccardo e Filippo Augusto si ritrovano in Sicilia. Qui Riccardo fa valere con le armi i suoi diritti e le sue pretese con Tancredi, il cugino bastardo del re dell’isola Guglielmo il Buono, morto pochi mesi prima. La vedova Giovanna, sorella di Riccardo, era tenuta quasi come prigioniera da Tancredi, che si era proclamato re e si rifiutava di restituirle il dotario e di consegnare al Plantageneto le donazioni promesse dal defunto sovrano. Tancredi aveva l’appoggio di papa Clemente III e di un popolo che mal sopportava l’idea di un re teutonico quale Enrico Hohenstaufen, marito di Costanza d’Altavilla, alla quale Guglielmo aveva destinato la corona. L’arrivo della flotta di Riccardo è sufficiente perché Tancredi si affretti a liberare Giovanna, trattenendo però la dote. Mentre gli inglesi dimostrano palese ostilità al nuovo re, questi e Filippo Augusto sembrano andare di grande accordo. Ai francesi, infatti, è permessa la libera circolazione nella città di Messina e Filippo è ospitato nel palazzo reale. Il 4 ottobre, alcuni disordini nati tra gli uomini di Riccardo e i messinesi sfociano in un attacco al campo aquitano, oltraggio che Riccardo ribalta in breve in un assalto alla città. Una volta conquistata, Messina è affidata agli ordini religiosi militari finché non si fosse giunti ad un accordo sulla successione della corona di Sicilia, la quale non tarda a venire: Tancredi manterrà il regno e la dote di Giovanna e pagherà come risarcimento 20.000 once d’oro. L’alleanza viene rafforzata con un accordo matrimoniale.[3] Riccardo ottiene così le risorse per portare avanti la spedizione mentre Tancredi si assicura un potente alleato contro le rivendicazioni dell’imperatore Enrico VI.
Il soggiorno a Messina si prolunga e verso la fine del febbraio 1191 giunge la notizia che Eleonora d’Aquitania è arrivata a Napoli, accompagnata da Berengaria di Navarra. Riccardo invia alcune navi per andare a prenderle ma Tancredi nega lo sbarco di una terza corte regale in città, troppo affollata perché possa soddisfarne i bisogni. Riccardo si reca allora a Catania, dove Tancredi si era ritirato, per risolvere il curioso imprevisto. Nonostante la tensione, l’accoglienza è festosa; durante l’incontro Tancredi abbandona i sospetti che nutre nei confronti di Riccardo e si decide a manifestargli il reale motivo del rifiuto: ancora una volta il responsabile è Filippo Augusto. Questi gli avrebbe infatti rivelato che Riccardo e l’imperatore, che Eleonora aveva appena incontrato a Lodi, tramavano per il controllo dell’isola. Il re francese gli aveva allora proposto un’alleanza contro il re d’Inghilterra. Scoperto il complotto, Riccardo è furente e, prove alla mano, accusa Filippo Augusto di aver trasgredito i patti prestabiliti. L’accusato controbatte, nega, bolla le accuse come calunnie, volte a sciogliere l’accordo matrimoniale con la sua sorellastra Alice. Costei era stata promessa infante a uno dei figli di Enrico II e affidata con tutta la dote alla corte inglese ormai da ventinove anni. Il matrimonio era stato procrastinato a data indefinita ed era diventato materia di discordia in ogni confronto fra il re di Francia e il re d’Inghilterra. Riccardo non si lascia sfuggire l’occasione e finalmente, forte della colpevolezza del suo avversario, può essere sincero: «Non respingo tua sorella; ma mi è impossibile sposarla, perché mio padre è andato a letto con lei e da lei ha avuto un figlio».[4] Filippo Augusto, doppiamente umiliato, accetta di sciogliere Riccardo dall’accordo matrimoniale dietro pagamento di 10.000 marchi d’argento. Non è chiaro se la dote di Alice, ossia il Vexin e Gisors, dovessero essere restituiti.[5] Eleonora d’Aquitania può dunque raggiungere il figlio prediletto insieme a Berengaria, che Riccardo sposerà il 12 maggio a Limassol. Durante il viaggio verso la Terrasanta una tempesta l’ha sospinto sulle coste cipriote e anche in questa occasione Riccardo si attarda per conquistare l’isola, mosso dalla sua rilevanza strategica e dalla brusca diplomazia dell’imperatore di Cipro Isacco Comneno.[6]
1.3. Acri (giugno 1191 - ottobre 1192)
Quando finalmente l’8 giugno 1191 Riccardo giunge nel porto di San Giovanni d’Acri è accolto con grande calore dalle truppe crociate. Il suo arrivo era stato atteso per quattro anni.[7] La sua flotta e il suo esercito superavano notevolmente quelli di Filippo Augusto, che aveva già molti vassalli impegnati in Terrasanta. Il suo sbarco ebbe quindi molta più risonanza e riaccese gli animi degli assedianti ormai stanchi. Filippo si era intanto diretto a Tiro, dove lo aspettava il cugino Corrado di Monferrato, la cui morte avrà un risvolto decisivo nella vicenda della detenzione di Riccardo.
Aneddoto marginale, ma prezioso per apprendere le dinamiche che seguirono: quando l’11 luglio gli ufficiali di Saladino capitolano e i cristiani occupano Acri, il duca d’Austria e condottiero dell’armata tedesca, Leopoldo V di Babenberg, pretende di innalzare il proprio stendardo accanto a quello inglese e francese. Leopoldo, che si era ritrovato a capeggiare le truppe tedesche sbandate dopo la morte del Barbarossa e che partecipava all’assedio da più tempo, è facilmente messo da parte all’arrivo dei due re, e con i pochi uomini e i pochi mezzi di cui dispone ha un ruolo molto limitato nella presa della città. La sua pretesa di partecipare alla vittoria viene dunque respinta. L’episodio assume caratteri molto vividi in alcune testimonianze, secondo cui Leopoldo fa innalzare dai suoi uomini la propria bandiera ad Acri, ma i soldati inglesi, sprezzando il vessillo che aveva osato equipararsi al loro, lo tolgono dalla sua sede e lo gettano via.[8] Anche se le truppe germaniche non potevano accampare diritti sulla spartizione del bottino né sul merito della vittoria, la reazione inglese rimane un grave affronto e Leopoldo non lo dimenticherà.[9]
Conquistata Acri, Filippo Augusto, che mai si era prestato con fervore all’intervento in Terrasanta, decide di tornare al più presto in patria. L’affrettata partenza è giustificata dal re con i continui malanni che l’avevano colpito[10] e con la diffidenza nei confronti di Riccardo, sospettato persino di aver cercato di avvelenarlo e di tramare con Saladino. Il gesto non mancò di essere giudicato dai contemporanei come un’ingloriosa mancanza ai propri doveri di crociato.[11] Prima della partenza Riccardo ottiene da Filippo Augusto una promessa di non aggressione, almeno fino al suo ritorno. È probabilmente questo il serement a cui fa riferimento il v. 21 di Ja nus hons pris:[12] come si vedrà, durante la prigionia di Riccardo il re francese non prestò fede all’accordo. Già sulla via del ritorno passerà da Roma per chiedere al papa Celestino III di essere sciolto dal giuramento, adducendo a motivo il presunto tradimento di Riccardo: il papa non solo non accetterà, ma anzi ratificherà ulteriormente l’accordo.[13]
Già durante l’assedio di Acri si erano aperte le dispute su chi avrebbe regnato in Terrasanta: Corrado di Monferrato era il candidato di Filippo Augusto, Guido di Lusignano quello di Riccardo. Un concilio dei condottieri, moderato da un ambasciatore della santa sede, nominò Guido regnante in Terrasanta; alla sua morte gli sarebbe succeduto Corrado.
Dopo la presa di Acri, il cammino di Riccardo verso Gerusalemme è ricco di successi, ma per non restare sguarnito della flotta, il re è obbligato a tergiversare. Non riportando vittorie decisive, il fervore dei crociati si affievolisce, il fronte compatto dei cristiani inizia a sfaldarsi, le diserzioni cominciano numerose. Corrado rifiuta a lungo di inviare il suo aiuto da Tiro ad Ascalona, se non in cambio del titolo regale. Inoltre, Riccardo riceve dal priore di Hereford notizie sulle usurpazioni perpetuate dal fratello minore Giovanni e si risolve a tornare in patria al più presto. Prima della partenza, però è indispensabile pacificare i rapporti con Corrado poiché, senza l’appoggio di Riccardo, Guido sarebbe rimasto isolato e incapace di mantenere il regno. Riccardo convoca allora un consiglio generale al quale viene chiesto chi tra Guido e Corrado dovesse sedere sul trono di Gerusalemme. All’unanimità viene acclamato il marchese e Riccardo è obbligato a ratificare il verdetto che a lungo aveva tentato di evitare.[14] Non tarda a sorgere il sospetto di un’implicazione del re inglese quando, pochi giorni dopo, Corrado di Monferrato viene accoltellato e ucciso.[15]
Il 2 settembre 1192, Riccardo, ammalato e pressato dalle notizie sul malgoverno del fratello, firma il trattato di pace che segna la fine della terza crociata. I soldati sono spossati e Gerusalemme non è stata liberata, ma i crociati controllano le città costiere a sud di Giaffa e i pellegrini cristiani hanno libero accesso ai luoghi santi.
1.4. Il ritorno e la prigione (ottobre 1192 - febbraio 1194)
Il 9 ottobre Riccardo parte da Acri per tornare in patria. La via per l’Aquitania attraverso la Linguadoca o la Provenza non è prudente a causa delle ribellioni fomentate da Filippo Augusto e il conte Raimondo di Tolosa. Le flotte del conte e quelle genovesi e pisane, queste ultime alleate dell’imperatore Enrico VI, rendono poi rischioso l’approdo oltre i Pirenei. Anche la via per lo stretto di Gibilterra, sorvegliato dagli arabi, sarebbe lunga e non priva di pericoli.[16] Venuto a conoscenza delle ostilità che ostacolavano il suo ritorno, Riccardo raggiunge Corfù, forse per dirigersi a Venezia. Lascia nell’isola la nave regia e, temendo di essere un facile bersaglio, riparte immediatamente a bordo di una nave corsara, in incognito e portando con sé una piccola scorta. Risalendo l’Adriatico, non è chiaro se per scelta o spinta da un naufragio, la nave approda nei pressi di Aquileia. Da qui il re è costretto a proseguire via terra attraverso i territori austriaci, nei quali sa di non poter certo essere accolto calorosamente. A causa della poca previdenza di un suo servitore, gli austriaci riconoscono che dietro la maschera di un "ricco mercante di ritorno dalla Terrasanta” si nasconde il re d’Inghilterra. Il 21 dicembre 1192 Riccardo è accerchiato nella casa nei sobborghi di Vienna in cui si era rifugiato e deve arrendersi al duca d’Austria Leopoldo, che aveva covato l’odio contro di lui dall’umiliazione subita alla presa di Acri.[17] L’accusa per legittimare l’arresto fu l’assassinio di Corrado, cugino di Leopoldo, di cui molti ritenevano Riccardo il mandante, nonché i torti inflitti all’imperatore di Cipro, anch’esso imparentato al duca d’Austria. Un prigioniero di rango reale comporta anche un riscatto reale e Leopoldo non disdegna di contravvenire alla legge che vieta di arrecare danno ai pellegrini impegnati nella crociata, sotto la protezione della chiesa.[18] Tuttavia, con scorno di Riccardo e di sua madre, la santa sede non si azzarderà a inimicarsi l’impero: la scomunica, insieme a una serie di catastrofi naturali e disgrazie personali, colpisce il duca Leopoldo, ma non Enrico VI.[19]
Durante il periodo di prigionia il re inglese è rinchiuso in diverse fortezze: Leopoldo lo fa custodire nella rocca di Dürnstein, sotto gli occhi attenti di Hadmar II di Kuenring.[20] Attorno all’immaginario della fortezza inespugnabile nacque la leggenda della tour ténébreuse secondo cui il troviere Blondel de Nesle, non sopportando la noncuranza generale a cui era stato abbandonato il re inglese, intraprende un lungo vagabondaggio per l’Europa, finché non lo trova grazie a un jeu parti che i due avevano composto insieme e nessun altro conosceva: quando uno dei due intonò il canto e l’altro lo continuò, Blondel fu certo del luogo dove era tenuto prigioniero il suo re.[21]
Venuto a sapere della cattura, Enrico VI – che incolpava Riccardo di aver favorito Tancredi nell’usurpare il trono di Sicilia, su cui vantava il diritto – invia una lettera che annuncia la lieta novella a Filippo Augusto.[22] Il re di Francia prende subito contatti con Giovanni, il quale ha tutto l’interesse che l’assenza di Riccardo si prolunghi il più possibile. Appena dopo Natale, Giovanni si reca in Francia dove fa omaggio a Filippo Augusto per tutti i territori continentali e insulari e promette di sposarne la sorella Alice; in Inghilterra diffonde la notizia della morte del fratello e cerca nuove alleanze per prenderne il trono ma Eleonora e gli uomini nominati da Riccardo, Guglielmo FitzRalph, Guglielmo di Longchamp e Gualtiero di Coutances, restano fedeli al re, così come il re di Scozia Guglielmo I. Con simili oppositori il piano di Giovanni di prendere il potere con un esercito di mercenari fiamminghi e gallesi, con cui in marzo razzia i territori tra Kinsgton e Winsdor, non può realizzarsi.[23]
Il 6 gennaio 1193 Leopoldo conduce il prigioniero a Ragesburg al cospetto dell’imperatore e il 14 febbraio le trattative si concludono a Würtzburg: Riccardo passerà nelle mani di Enrico VI.[24]
Una copia della lettera dell’imperatore a Filippo Augusto giunge fino al capo giustiziere Gualtiero di Coutances: in un incontro tenuto a Oxford il 28 febbraio viene deciso di inviare gli abati di Boxley e di Robertsbridge in Germania per negoziare la scarcerazione.[25] Il 19 marzo, mentre Leopoldo sta portando il re a Speyer per consegnarlo alla custodia imperiale, gli ambasciatori inglesi intercettano Riccardo a Ochsenfurt: in questa occasione il re viene informato della situazione nelle sue terre e apprende con rammarico del tradimento del fratello Giovanni e delle manovre di Filippo Augusto.[26]
A Speyer Enrico VI ha organizzato un processo contro Riccardo, che si tiene il 21 marzo. Il re d’Inghilterra è accusato dell’assassinio di Corrado di Monferrato, di aver contribuito alla perdita della Sicilia, di aver preso accordi con Saladino e aver così tradito la missione in Terrasanta. Il discorso che Riccardo pronuncia in sua difesa è ricordato dai cronisti come un esempio altissimo di eloquenza, che gli varrà, se non la libertà, il favore della corte e dello stesso imperatore.[27] Il 23 marzo Leopoldo consegna finalmente il prigioniero a Enrico VI, che lo fa custodire nella torre di Trifels, sul Reno, fortezza inespugnabile riservata ai nemici dell’impero.[28] Il 25 marzo Riccardo accetta di pagare 100.000 marchi e di fornire il supporto militare per la riconquista della Sicilia.
Durante la sua cattività Riccardo era informato degli avvenimenti che scuotevano le sue terre, e poteva comunicare e inviare ordini ai suoi uomini: il 28 marzo gli abati di Boxley e Robertsbridge, tornati insieme a Hubert Walter – uomo di fiducia che aveva raggiunto il re in Germania e che sarà poco dopo nominato arcivescovo di Canterbury – avevano portato sue notizie a Eleonora e ai giustizieri; altre missive raggiungono gli ambienti ecclesiastici. Anche il vescovo di Ely ed esiliato cancelliere Guglielmo di Longchamp aveva partecipato al processo e aveva convinto l’imperatore a reintegrare Riccardo alla corte di Speyer, sottraendolo dal confino di Trifels.[29] Quando torna in patria, ha con sé una lettera datata 19 aprile in cui Riccardo scrive alla madre dalla corte di Haguenau, sempre con lo stesso scopo di affrettare l’invio del riscatto e con alcune disposizioni per raccogliere il denaro necessario. Riccardo manda inoltre dei messaggeri a chiedere le navi e gli ostaggi.[30]
Filippo Augusto, temendo il ritorno di Riccardo, rilancia: offre a Enrico VI un’alleanza franco-tedesca e ingenti somme per ritardare la liberazione o cedergli il prigioniero. L’imperatore è tentato di accettare, ma alla fine rispetta gli accordi e tra il 25 e il 29 giugno incontra nuovamente Riccardo a Worms, dove vengono stabiliti i termini finali della scarcerazione: 100.000 marchi d’argento alla liberazione più altri 50.000,[31] con cui Enrico potrà finanziare la spedizione per recuperare la Sicilia. Eleonora, nipote di Riccardo, dovrà infine sposare un figlio di Leopoldo.[32] Riccardo resta prigioniero, almeno per il tempo necessario a raccogliere il riscatto, della cui riscossione si occupa la madre Eleonora: la straordinaria tassa generale ricade su tutti i suoi sudditi, laici – che devono versare grosso modo la quarta parte dei propri beni mobili – come ecclesiastici – a cui vengono requisiti numerosi tesori.[33] Il peso fiscale aggrava una situazione difficile per l’Inghilterra, sia dal punto della stabilità politica sia per la terribile annata che avevano patito i raccolti.
1.5. Le allusioni politiche
Che Riccardo fosse al corrente della situazione del regno angioino si trova riscontro anche nella canzone, fitta di allusioni politiche.[34] Il re sapeva che Filippo Augusto aveva preso possesso dei territori del Vexin normanno – il 12 aprile del 1193 Gilberto di Vascoeuil gli consegna senza combattere lo strategico castello di Gisors e il vicino castello di Neufles – e aveva conquistato l’Artois insieme ad alcuni porti sulla Manica.[35] Filippo Augusto arriva con un ampio esercito di francesi e fiamminghi fino al cuore della Normandia, Rouen, ma agli scherni degli assediati il re di Francia volge le spalle e si ritira. Dopo l’incontro di Worms che sanciva l’alleanza anglo-germanica e annunciava il ritorno imminente di Riccardo, il 9 luglio 1193 Filippo Augusto firma una pace vantaggiosa con i giustizieri che proteggevano i territori normanni, un documento molto significativo per comprendere le mutevoli alleanze di quella primavera. La pace è effimera e prima della fine dell’estate Filippo Augusto organizza un’invasione dell’Inghilterra: il 15 agosto sposa la figlia di Cnut VI di Danimarca, nella speranza di ereditare così un antico diritto danese sull’isola. La mattina dopo ci ripensa e, ripudiata la sposa, abbandona anche l’impresa. È proprio a Filippo Augusto che Riccardo si rivolge, quando si lamenta del patto non onorato e dei tumulti che tormentano le sue terre, chiamandolo «mes sires» (v. 20): Riccardo era, infatti, formalmente vassallo del re di Francia per i territori continentali.
Filippo non era il solo ad approfittare dell’assenza del re. Riccardo, nel comporre Ja nus hons pris ne dira sa raison, mira a riunire i vassalli, divisi o ribelli, e a incitarli ad affrettarsi nel raccogliere il denaro necessario al riscatto: al v. 8, egli redarguisce i suoi uomini e i suoi baroni «ynglois, normant, peitavin et gascon». Ruggero di Hoveden ci informa che già nel 1192 il conte di Périgord, il visconte de la Marche e quasi tutti i baroni di Guascogna, approfittando della malattia del siniscalco d’Aquitania, si erano ribellati e avevano devastato i territori di Riccardo.[36] Ademaro di Angoûleme, ribelle per vocazione, era passato dalla parte di Filippo e aveva attaccato i possedimenti di Riccardo in Poitou; cade però prigioniero e ritroviamo il suo nome nel trattato del 9 luglio 1193, in cui Filippo chiede la sua liberazione. Sul versante inglese, nonostante il complessivo insuccesso, l’anno precedente Giovanni era riuscito a tirare dalla sua parte i castellani di Winsdor e Wallington.
Al v. 25 (31 secondo U P S Za) il re prigioniero richiama all’ordine «angevin et torain», definendoli «bacheler», ossia ‘giovani’, o ‘aspiranti cavalieri’, in cui potrebbe leggersi anche un’allusione non priva d’ironia sulle loro abilità belliche. Il bacheler dovrebbe essere un esempio di prodezza, mentre i destinari di Riccardo, ‘ricchi e prosperi’, trascurano le imprese militari.[37] Le due regioni, l’Angiò e la Turenna, erano roccaforti dalla cui fedeltà dipendeva la solidità dei confini[38]: al suo ritorno Riccardo dovrà riconquistare alcune fortezze in questi territori.[39]
Agli amati compagni, «ces/cil de Caheu/Caieu/Chaill et ces/cil de Percherain», menzionati al v. 32 (25 di U P S Za), Riccardo non chiede denaro ma fedeltà o per lo meno correttezza – che almeno non gli facciano guerra ora che non può difendersi. I due personaggi sono stati identificati con Goffredo di Perche e Guglielmo di Cayeux, sulla fedeltà dei quali il re aveva ragione di dubitare.[40] Essi avevano partecipato alla terza crociata e per questo potrebbero essere definiti "compaignon”, ma non proprio al fianco di Riccardo: il primo vestiva la croce rossa francese, il secondo quella verde di Filippo di Fiandra.[41] Goffredo III di Perche (conte dal 1191, muore nel 1202) ebbe un ruolo importante nelle vicende del 1193; nel 1189 aveva sposato Matilda di Sassonia, figlia di Enrico il Leone e della sorella di Riccardo, Matilda d’Inghilterra. Questa parentela e l’importanza strategica della contea di Perche, a sud della Normandia e territorio fondamentale a difesa del Maine, aggravavano la condotta di Goffredo verso il re d’Inghilterra.[42] Il trattato di pace del 9 luglio 1193 ci informa del suo tradimento.[43] Più complesso il caso di Guglielmo di Cayeux,[44] personaggio molto meno documentato e certamente di minore peso politico ed economico ma valoroso cavaliere: è menzionato dalle cronache sulla crociata mentre si difende valorosamente in un combattimento presso Giaffa.[45] È questo l’unico passaggio che ci può permettere di annoverarlo tra gli uomini di Riccardo:[46] il re manda all’attacco i conti di Saint-Pol e di Leicester, a cui affianca Guglielmo e Ottone di Transignees;[47] vedendoli poi circondati dagli arabi, Riccardo interviene in loro soccorso.[48] Rincontriamo poi Guglielmo e Ottone quando, al seguito di Enrico di Champagne, si recano da Corrado di Monferrato ad annunciare le «bones noveles», cioè a comunicargli la sua elezione a re di Gerusalemme, su comando di Riccardo. Se dedurre da questo passo una stretta affiliazione di Guglielmo al re d’Inghilterra pare forzare la lettera[49], nessun valore può essere conferito alla sua fideiussione nel patto di Messina del 1191, poiché essa, in realtà, non è mai avvenuta.[50] L’indizio più convincente, ma finora trascurato, in favore dell’identificazione di Guglielmo di Cayeux è il trattato del 23 luglio 1194 che stipula la tregua tra Filippo Augusto e Riccardo, il quale, tornato dalla prigionia, cerca di riconquistare i territori contestati dal re di Francia.[51] Qui Guglielmo, signore di Mortemer, in Alta Normandia, a sud-ovest di Dieppe, figura tra i baroni inclusi nella tregua per volere di Filippo Augusto, coloro che «melius erant homines sui ante guerram, quam regis Angliae».[52] La pace doveva cioè essere garantita anche per chi aveva tradito il proprio signore ed era passato al servizio dell’avversario; sembra quindi un indizio dell’implicazione di Guglielmo nelle vicende normanne e della sua attitudine oscillante.
Già prima della morte di Riccardo, nel 1197, sembra che Guglielmo di Cayeux fosse entrato tra i fedeli di Giovanni.[53] Al suo fianco, contro Filippo Augusto, si troverà nella battaglia di Bouvines.[54]
Un altro elemento piuttosto labile che è servito a stringere i rapporti tra Riccardo e Guglielmo riguarda la traduzione di Pierre di Beauvais della leggenda latina del viaggio di Carlo Magno in oriente[55]. Essa consiste nell’identificazione del committente dell’opera proprio in Guglielmo di Cayeux: ciò gli è valso la fama di essere un grande estimatore di canzoni di gesta e quindi il perfetto compagno di Riccardo.[56] Ad invalidare definitivamente questo assunto è il fatto che la menzione del nome di Guglielmo nella rubrica incipitaria dell’opera è tramandata da un solo frammento[57] e non è probabilmente che un’interpolazione, l’argomento è stato messo in discussione da R. N. Walpole, che declassa Guglielmo da patrono a semplice committente di una copia del poema.[58]
Altra legittima osservazione è che tutti i toponimi della canzone sono nomi riferiti a territori e non a singole città: Cayeux sarebbe l’unica. Nemmeno possiamo essere certi che Riccardo si riferisse ad un preciso destinatario: i manoscritti O C U riportano infatti un pronome dimostrativo plurale ces/ceaulz (cil P S Za è sia pl. che sing.): "quelli di Cayeux e quelli del Perche”; si è tuttavia d’accordo con Lee quando ritiene poco probabile l’ipotesi di un appello collettivo.[59] Si è qui cercato di mettere a fuoco una difficile identificazione, che non si può basare sugli argomenti addotti fino ad oggi ma che può essere confortata da nuovi elementi: si accetta (una volta accettato chaeu/caheu/caieu come lezione originaria) in mancanza di un migliore candidato, il riferimento a Guglielmo di Cayeux,[60] ma in ragione di questo si potrà addurre unicamente il passo de L’estoire de la guerre sainte (v. 7289) e la pace del 23 luglio 1194.
Al contrario del resto della canzone, l’envoi offre riferimenti più chiari, dichiarando esplicitamente a chi è indirizzato – alla sorellastra di Riccardo, la contessa Maria di Champagne – e anche a chi non è indirizzato – l’altra sorellastra, Alice, diventata contessa di Blois e di Chartres per averne sposato il conte, Tebaldo V di Champagne. Da lui aveva avuto Luigi, che eredita il titolo nel 1191: è il suo nome che sostituisce il mot-refrain e chiude la canzone. Dal momento che Alice è nata dal matrimonio tra Eleonora d’Aquitania e Luigi VII, Luigi di Blois è nipote sia del re d’Inghilterra che di quello di Francia. Inizialmente Luigi è schierato con Riccardo, ma Giovanni "senza terra” si guadagnerà il suo appoggio con la concessione di alcune fortezze turrensi.[61] Luigi è il secondo signore a figurare nel trattato del 9 luglio 1193,[62] in contrasto con il re d’Inghilterra per le rendite sulle terre ereditate dal padre. Infine, è probabilmente all’imperatore Enrico VI che alludono i vv. 38-39: «... cil a cui je me clain / et por cui je sui pris.».
Entro Natale Eleonora d’Aquitania e Gualtiero di Coutances, raggiungeranno Riccardo a Speyer, portando con loro l’esorbitante riscatto. Il re sarà rilasciato a Mainz il 4 febbraio 1194, solo dopo aver consegnato formalmente l’Inghilterra all’imperatore per riacquisirla come suo vassallo.
Alla luce delle informazioni raccolte, non resta che costatare la mancanza di indizi che permettano una datazione più precisa e ipotizzare che la canzone sia stata composta tra il 25 marzo e l’autunno del 1193.