La lirica si compone di cinque strofi, organizzate in coblas ternas e coblas doblas di 8 versi ciascuna. I pedes sono a rima alternata, mentre la cauda è formata da due coppie di versi a rima baciata. La varietà di versi utilizzata assicura dinamismo allo sviluppo del discorso: la serie alternata di eptasillabi e pentasillabi della fronte si estende al primo verso della cauda, eptasillabo anch'esso, ma la ripetizione della rima b crea lì una sorta di accelerazione; il vers brisé – per cui cfr. introduzione alla lirica Anuis et desesperance di questo book– trisillabo, determina un'ulteriore accelerazione ritmica. La fine della strofe ha una cadenza di più ampio respiro grazie al decasillabo di chiusura, sempre a cesura maschile.
Altre 5 liriche (tre canzoni ed una ballata anonime ed una canzone di Eustache le Peintre) presentano lo stesso schema rimico, ma mai abbinato allo stesso schema sillabico.
***
L'autore, anche in questa lirica, osserva ossequiosamente le imposizioni del canto cortese, rinunciando all'inclusione di qualunque elemento che personalizzi l'opera e che ne possa guastare l'astratta levigatezza; è così spinta al massimo grado l'aderenza della forma e dei contenuti alle convenzioni letterarie cortesi. La caratteristica della canzone – intesa nel senso di qualità e non di particolarità, in un genere che, per definizione, prevede che le singole realizzazioni si compiano in conformità ad un registro fortemente codificato – risiede, semmai, nel trattamento della materia lessicale all'interno della struttura metrica, segnata dalla brevità e varietà dei versi e dall'alternanza dei timbri acuti e quelli medi nasalizzati delle rime, effetto fonico particolarmente apprezzato dai trovieri, secondo Dragonetti (cfr. intro. alla lirica Jolivetés et jonece in questo book).
La coincidenza tra i tempi e le pause imposti dalla versificazione, e la struttura sintattica delle frasi e dei periodi, è ridotta al minimo e frequenti sono gli enjambements. In ciascuna delle tre strofi, laddove la rima a prevede la terminazione -ent (vale a dire nei due pentasillabi e il trisillabo) il troviero colloca un avverbio, quasi sempre modale (v. 4 savereusement; v. 6 ligement; v. 12 comment; v. 18 loiaument; v. 20 debonairement).
Conferisce coerenza alla canzone, sul piano tematico, il paradosso della sofferenza amorosa trasformata in piacere: l'intera lirica è informata dalla figura dell'antitesi, sia a livello di singoli sintagmi, come sostantivo + aggettivo (v. 2: joli tourment) o verbo + avverbio (vv. 3-4: languir savereusement; vv. 19-20: endurer et soufrir debonairement) sia a livello di periodo. Sarà opportuno ricordare, infatti, che l'antitesi joie/dolor è alla sorgente stessa del canto cortese, lo sostanzia, ne è un fondamento ideologico e struttura le forme di pensiero da cui esso scaturisce. Per dirla con Lavis, 'l'effusion lirique courtoise culmine dans la synthèse de la joie et de la souffrance, cette fusion des contraires cristallisant autour d'elle la neutralisation d'autres antinomie: le bon et le mauvais, l'emprisonnement et la liberté, la vie et la mort...'.
Nella strofe di esordio l'antitesi si snoda su vari livelli sintattici, che tra loro si intersecano e compenetrano, determinando così un'elaborata articolazione del discorso. Meno esplicitamente, il tema della sofferenza che dà piacere è sfiorato ai vv. 31-32 della quarta strofe, dove il poeta si augura che sia perdonata la dama, qualora si dimenticasse di lui; nella quinta strofe è solo riecheggiato dalla frase concessiva in apertura di strofa (v. 33: comment que soie menés) e l'altra concessiva in chiusura di strofa e di canzone (v. 40: comment que de vous soie amés), con le quali il poeta pone come una realtà immutabile e proiettata in un futuro indefinito che non rinnegherà l'amore per la dama, a qualunque condizione. Negli ultimi due versi, Cuvelier enuclea i temi tradizionali della fedeltà d'amore (v.7) e della speranza del guerredon (v. 8) attraverso una frase ottativa rivolta a Dio.
Il tema della morte preferita all'abbandono del servizio d'amore, in apertura della strofe II, è uno dei motivi in assoluto più frequentati nell'opera di Cuvelier, che viene poi rimodulato nella seconda parte della stanza. Il passaggio, come spesso accade in poesia gallo-romanza laddove si menzioni la joie, rimane ambiguo; è infatti possibile che il troviero si stia interrogando non tanto su come raggiungere una gioia di tipo esistenziale, quanto piuttosto su come ottenere la joie-guerredon, ossia la ricompensa da parte dell'amata.
Il troviero sviluppa ancora l'idea nella strofe seguente, dedicata ad una riflessione dal tono generalizzante e sentenzioso su quanto sia redditizio per chiunque patire le pene d'amore e non demordere dal servire lealmente, come in una sorta di espiazione al termine della quale è assicurato una ricompensa, che è sempre maggiore di quanto non si sia meritato. Nella strofe è ravvisabile la commistione tra una concezione del servizio amoroso come obbligo espiatorio quasi consustanziale all'amore stesso, e tra l'amore pensato nei termini di una transazione economica, come una sorta di investimento in vista di una rendita, che attraversa tutta la lirica d'Oïl.
Le ultime due strofi sono occupate dall'apostrofe alla dama, attraverso cui il troviero ribadisce la sua incondizionata fedeltà, proiettandola stavolta al futuro, come in un giuramento.