Edizione critica a cura di Francesca Scala
Scopo del lavoro è quello di fornire una nuova edizione di Jehan de Renti, aggiornando la vecchia edizione di Spanke (tesi dottorale di Strasburgo, 1907, ma vedi Spanke 1908 [1]), dopo aver ricontrollato il manoscritto.
Se in Spanke il corpus del troviero coabita con le poesie di Oede de la Couroierie, la nuova edizione mira a restituirgli la giusta autonomia, tanto più che nel caso presente potremmo avere a che fare con un "canzoniere" non solo d'autore ma autografo.
L'intero corpus di Jehan de Renti, costituito da dodici componimenti, ci è giunto tramite un unico testimone, il ms. T (secondo la sigla adottata da Schwan 1886, corrispondente al ms. Pb.¹¹ di Raynaud 1884). Si tratta del Bibl. nat. fr. 12615, risalente alla fine dei XIII sec. e noto anche come "manoscritto di Noailles", in quanto appartenuto al Maresciallo di Noailles (n° 124 della sua collezione; per queste notizie e per la descrizione del ms. cf. Raynaud 1884, vol. I, p. 153 e Jeanroy 1918, p. 10).
Si fornisce qui di seguito la successione delle poesie, con la rispettiva carta di appartenenza, così come viene data da Raynaud 1884, p. 170:
172v Amours par sa courtoisie
172v N'est pas sages ki emprent
173 Ki n'averoit bone amour fait hommage
173v Li rousignolès jolis
174 Se loiautés a en amour pooir
174 L'autrier errai m'ambleüre
174v J'ai grant piecha delaié le chanter
175 Plus ke onkes mais ne suel
175v Onkes ne seuc chanson furnir
175v Se che n'estoit pour ma dame honerer
176 Je m'esmervelle forment
176v Jehan Bertel .i. chevalier.
Solo il settimo e il nono componimento (J'ai grant piecha delaié le chanter e Onkes ne seuc chanson furnir) sono accompagnati dalla melodia; tutti gli altri difettano, invece, della notazione musicale, conformemente a quella che Raynaud 1884, vol. I, p. 153 attesta essere la generale tendenza del ms.
Nell'omogeneità di una scripta artesiana, Schwan distingue tre diverse mani (T¹, T², T³). La stesura del terzo scriba comincia a c. 172v, proprio con le poesie di Jehan de Renti, la cui inserzione nel ms. viene a interrompere la copiatura di mottetti intrapresa dal precedente copista e che riprenderà solo a c. 179 (cf. Spanke 1907, p. 10; da notare che restano bianche la seconda metà di c. 176v e le cc. 177-178, riempite con altre poesie nel corso del XV sec.). T³ termina, inoltre, la sua compilazione con una serie di pezzi satirici che si riferiscono tutti ad Arras e che potevano interessare, quindi, solo un cittadino della zona. Questo, unitamente all'aggiunta delle poesie di Jehan de Renti, attivo presso il Puy (cf. infra la nota biografica), conduce Schwan 1886, p. 256 a ipotizzare che T³ lavorasse ad Arras. Il fatto poi che T³ corregga T¹ e T² fa pensare che egli fosse anche il possessore del ms. Un'ulteriore peculiarità fa presumere, inoltre, che potesse trattarsi di un poeta o di qualcuno che era strettamente legato ai circoli poetici artesiani: grazie a T³, infatti, ci sono giunti parecchi unica (in realtà l'intero T è particolare da questo punto di vista: si pensi, ad esempio, al fatto che da solo tramanda il 65% della produzione a noi nota di Gontier, cf. Formisano 1980, p. XXV).
Fatte queste premesse, si capisce come Schwan giunga a ipotizzare che il terzo copista di T sia proprio il nostro poeta, in quanto originario di Renti (dipartimento del Pas-de-Calais, circoscrizione di St.-Omer, un paese a circa 60 km a nord-ovest di Arras: cf. Spanke 1907, p. 1 e Petersen Dyggve 1934, p. 214 s.v. Renti) e legato al Puy. La congettura è perfettamente compatibile con la datazione presunta delle poesie in nostro possesso (si confronti sempre infra la biografia del troviero). Non avendo però, purtroppo, nulla di cogente, come fa notare Spanke 1907, p. 11, la prenderemo assieme a lui come una semplice, sia pure affascinante, ipotesi.
Tra i generi frequentati da Jehan de Renti, per quanto possiamo desumere dai dodici componimenti a noi giunti, prevale nettamente la chanson d’amour. Si affiancano a essa una pastorella (VI) e un jeu-parti (XII), composto assieme al “principe” del Puy d’Arras, Jehan Bretel, e nel quale il nostro figura come proponente.
Quattro canzoni presentano un ritornello: più in particolare, la II, la VI e la XI sono propriamente chansons à refrain, mentre la IV è una chanson avec des refrains (per la terminologia cf. van den Boogaard 1969, p. 15.) Le strofe sono per lo più isometriche e costituite da versi brevi (sei delle poesie sono composte interamente o in prevalenza da héptasyllabes, due da octosyllabes). Il décasyllabeè metro esclusivo della V e della fronte di III, mentre in VII e X è usato in combinazione con versi brevi, soprattutto octosyllabes; la sua struttura è del tipo a minori(4 + 6), con qualche caso di cesura lirica (cf. V 2, 8, 13, 15, 30, 39; VII 2, 9, 28, 38, 40; X 8, 18, 27, 33) e italiana (X 16), cui si aggiungono tre casi di cesura epica (III 33; X 23, 35), modalità quest’ultima che nella lirica d’oïl è più frequente di quanto di solito viene riconosciuto (cf. Dragonetti 1969, p. 493), ma che per la seconda metà del sec. XIII andrà considerata come un tratto arcaizzante. Versi più lunghi sono impiegati solo nel ritornello della pastorella (alessandrino con cesura mediana) e nel componimento n° II che presenta il raro hendécasyllabe (vedi Formisano 1980, p. 131, ma cf. anche il “cappello” introduttivo alla VII riguardo ai vv. 24-25 e 41-42.). Ancora in relazione alla struttura strofica, due caratteristiche sono di particolare rilievo, in quanto ineludibili anche a colpo d’occhio: la presenza costante dei rims encadenatznella fronte di ogni stanza e il fatto che le coblassiano unissonansin tutti i componimenti, tratto questo indubbiamente provenzaleggiante. Nella IV le coblassono inoltre capfinidas(carattere, anche questo, provenzaleggiante), sia pure attraverso il refrain.
Elemento moderno dello stile è l’uso assai frequente dell’enjambement(cf. II 34-35; V 35-36; VII 24-25, 40-41, 41-42; VIII 20-21, 23-24, 25-26, 36-37, 38-39; XI 23-24, 30-31, 39-40, 41-42; XII 1-2, 9-10, 11-12).
Grande è la cura stilistica, con una predilezione per l’uso della ripresa (cf. I 1-9-16-24, 3-4, 4-8, 9-10-13; III 19-21-22-25-43, 26-34; IV 6-14, 8-44, 9-10-50, 36-37, 40-45; V 1-17-24, 12-21, 22-28-31-34-36-40, 1-3-4-6, 12-13-15-16; VI refrain; VII 1-7-9-47, 2-9-12, 4-7-34-43, ecc.), che si precisa talora nella forma del polittoto (cf. II 14-21; III 23-27; IV 1-18-29-50, 30-36-45; V 1-6, 3-4; IX 6-7; X 15-16, 30-40; XII 6-11, 13-18-19), talaltra ha l’aspetto della figura etimologica (cf. I 24) oppure dà luogo a Ring Composition(cf. la prima strofa della IX, vv. 1 e 9 e la X, vv. 1 e 35). Per maggiori notizie al riguardo, si vedano i “cappelli” introduttivi ai passi citati, in particolare quello relativo alla X sulla funzione di marcatura che la ripresa può avere rispetto a situazioni tra loro antitetiche o unite da un legame di causa-effetto.
Notevole è l’uso della rima derivativa (cf. II 2 : 36, 14 : 21, 20 : 28, 29 : 30; III 7 : 48; VII 27 : 48; VIII 17 : 25; IX 36 : 44; XI 14 : 15), affiancato in seconda battuta da quello di rime equivoche (cf. V 3 : 19; VI 9 : 10 e sempre nel ritornello [mot-refrain]; VIII 1 : 27; XII 23 : 24) e identiche (cf. X 1 : 35) e da equivocatioin rima (cf. III 24 : 32; IV 11 : 13; VIII 21 : 22). Anche qui, per maggiori informazioni si rimanda ai rispettivi “cappelli” introduttivi.
Tra le figure di suono si ha l’allitterazione (cf. II 21; V 26; X 11 e il ritornello della VI, in cui è doppia), in un caso coniugata al chiasmo (V 26). Anche il chiasmo può trovarsi “puro” (cf. IV 36-37; X 4-8, 23-26-27) o, ad esempio, combinato con il polittoto (cf. V 1-3-4-6).
Si dà di seguito l’elenco degli elementi linguistici sicuramente ascrivibili al troviero sulla base delle rime e della misura dei versi (Un esaustivo studio linguistico è stato compiuto da Spanke 1997, pp. 15-26), ripreso qui solo per i tratti caratterizzanti).
(1) Distinzione di -ent da -ant. Nei componimenti V, VII, XI e XII vi è la rima di -ent puro. Particolarmente significativo è il n° IX, dove compaiono in rima le terminazioni -ent e -ant sempre distinte tra loro (cf. lo schema metrico), mentre i due esiti si confondono nel n° VI (cf. v. 15 sergant e 36 maintenant). Per l’assenza in piccardo-vallone della confusione tra i due suoni nasali seguiti da consonante, che è presente invece in franciano sin dalla metà dell’XI sec., cf. Gossen 1951, par. 15. La distinzione permane nel piccardo moderno (cf. Spanke 1907, p. 17). Per la nota eccezione data da talant che può rimare in -ant, come accade qui in VI 68 (ma cf. VII 20 e IX 38 dove si ha talent), si vedano Formisano 1980, p. LI e Spanke 1907, p. 17). Quanto alla “rima imperfetta” della IX 4 rench: 5 present, si tratterà ovviamente diun fenomeno fonetico da attribuirsi alla lingua del copista.
(2) Terminazione -ie per-iee. La monottongazione del dittongo discendente íein iè caratteristica del piccardo, dove può interessare tanto il nome quanto il part. passato femminile: cf. Roncaglia 1993 p. 159) e Formisano, p. LII). Esempi: I 6 covoitie, 9 ensegnie, 13 moitie, 14 haskie (fr. haschiee),17 choisie in rima con 1 courtoisie, 3 jolie, 5 amie, 8 folie, 11 garnie, 16 onie, 19 ravie, 21 umelie, 22 die, 24 enasprie. Cf. anche II 22 lie, che però è seguito da vocale, per cui potrebbe appartenere alla lingua del copista.
(3) Suffisso picc. -anche, corrispondente al franc. -ance.All’affricata dentale sorda (ts) del franciano derivante da c+ jo da t+ jin posizione forte (cioè dopo consonante), corrisponde in piccardo l’affricata palatale sorda tč (cf. a questo proposito Gossen 1951, par. 38), di cui si hanno esempi ascrivibili senza dubbio alla lingua del poeta in numerose Zwitterreime. Cf. II 2 esperanche, 4 grevanche,10 enfanche, 18 oublianche, 20 mescheanche, 26 baanche, 28 eskeanche, 34 outrequidanche, 36 desesperanche: 12 franche; IV 4 ramembranche, 13 dechevanche, 20 souffranche, 22deffianche, 29 esperanche, 38 aleganche, 40 atendanche: 2 branche, 31 franche; VIII 6 esperanche, 13 samblanche, 14 doutanche, 21 voellanche, 22 vaillanche, 29 acordanche, 30 soufranche, 38 fianche: 5 blanche, 37 franche;dove franche, branche, blancheandranno letti alla francese (picc. franke, branke, blanke). Su questo fenomeno cf. Formisano 1980, pp. LV-LVI.
(4) Sviluppo di e epentetica nel gruppo muta cum liquida. Il fenomeno è attestato, per esempio, in III 1 (averoit) e 22 (deveroit) e pertiene senza dubbio alla lingua del troviero in quanto strettamente connesso alla lunghezza del verso. Per la sua frequenza in piccardo, particolarmente nel futuro e condizionale dei verbi della III e IV coniugazione, cf. Gossen 1951, par. 44.
(5) Aggettivo possessivo vo/vos.Ulteriore elemento, stavolta morfologico, la cui attribuzione all’autore è dimostrata dalla misura, è l’uso del possessivo piccardo vo/vos di contro al bisillabo franciano vostre. Esempi: IV 23 e 32; VII 13, 17, 27, 29; VIII 17. Gossen 1951, par. 68 fa notare che la variante è utilizzata nella scripta letteraria più frequentemente che nelle carte per l’indubitabile vantaggio metrico offerto.
L’analisi della lingua di Jehan de Renti ci orienta dunque verso l’area piccarda, confermando i dati biografici desumibili dal corpus del poeta.Perfettamente congruenti sono i risultati relativi alla scripta di T3, per il quale si noteranno i seguenti fenomeni:
(1) Riduzione di ie ad i:VII 40 entirement.
(2) iau da e aperta + l complicataper franc. el/eau:VII 29 biau, IX 6 biauté; cf. Gossen, Grammaire de l’ancien picard, par 12.
(3) (i)au da ibreve + l complicata per franc. el/eu: III 16 aus, III 23 chiaus(V 14, 16 e 23 ciaus); cf. Gossen, Grammaire de l’ancien picard, par 12.
(4) auper franc. ou/ol< oaperta+ lcomplicata:II 13 vausist(= volsist), II 29 e XI 19 faus(= fous), XI 21 taut (= tolt; cf. anche VIII 14 retaut), XI 38 vauc (= volc); Gossen 1951, par. 23. Ma cf. anche VII 49 violt, su cui Gossen 1951, p. 76: forma documentata a Douai e Tournai.
(5) iu per ieu: III 46 viuté(vocalizzazione di l complicata); IX 47 Andriu per Andrieu (riduzione del trittongo).
(6) Conservazione della velare c- dinanzi ad alà dove il franciano presenta l’esito palatale ch: cf. III 27 e X 31 cascun, V 13 noncaloir (e IX 17 caut), VI 45 cainse, XI 40 escaper, XII 19 cangier. (Per il persistere della velare nel gruppo c + a iniziale di parola o interno in posizione forte, si veda Gossen 1951, par. 41). Analogamente la velare sonora è conservata inlonghement < LUNGAMENTE (IV 28 e VII 11).
(7) Mancata assibilazione di c- + vocale palatale: chanchonVII 9 e IX 46 (accanto al più diffuso chançon);che II 6, 14, III 35, ecc.; chiaus III 23; dechevoir V 3 e 19; douche III 32 e IV 4 (douchement V 32); fache IX 18 e XII 7; merchis IV 30 e 36; perchevoir V 21 (e VI 53 perchut);rechevoir V 29; tristreche X 40; ecc.
(8) Mancato sviluppo della consonante di transizione all’interno del gruppo l’r e n’r in VI 15 sanler e III 8 amenrir (cf. Gossen 1951, par. 61).
(9) Nesso -aule-/-avle- per il franciano -able- in XI 39 honeravlement (Gossen 1951, par. 52).
(10) Pronomi jou per gié/je (IV 37, V 26) e çou per ce (III 5, VII 34, ecc.): cf. Gossen 1951, parr. 64 e 70.
(11) le per la articolo (VI 51 e X 7)e pronome (III 18 e 29): cf. Gossen 1951, par. 63.
(12) l’aggettivo possessivo men per mon (III 36 e 37, IV 24, V 12 ecc.) e sen per son (II 8, III 27 e 45, XI 33), per i quali cf. Gossen 1951, par. 66.
(13) Prima persona del presente indicativo e del passato remoto in -c(h): II 28 quić < COGITO, IV 2 och < AUDIO, VII 9 fać < FACIO, VII 41 douć < DUBITO, IX 4 rench per rent; I 17, VI 31 e IX 3 euć < HABUI, IX 1 seuć < SAPUI. Cf. Gossen 1951, par. 75.
Da notare, infine, la grafia sains < SINE + -s (passim),accanto a sens (sulla quale cf. Gossen 1951, par. 19), e la forma genericamente settentrionale araiper avrai (IV 44 e passim).
Come si vede, Jehan de Renti e il copista T3appartengono alla stessa area geografica, e questo potrebbe confermare l’ipotesi di identificazione di Schwan (cui si è accennato supra nel par. sulla tradizione manoscritta; cf. anche infra la biografia del troviero), in base alla quale i due coinciderebbero, dimodoché avremmo a che fare con un canzoniere allo stesso tempo d’autore e autografo (cf. a questo proposito 1993, p. 131).
La più ricca fonte biografica di cui disponiamo per i poeti artesiani, il Registre de jongleurs, non riporta notizie sulla vita del troviero. Tutto quanto sappiamo su di lui è desunto dal suo corpus, dal quale possiamo trarre due tipi di informazioni: da un lato cronologiche, dall’altro geografiche (e socio-economiche).
Per l’individuazione del periodo di attività di Jehan de Renti fondamentali sono IX 46-50, IV 46-50 e la XII. Dal congedo della IX, in particolare dal v. 46 e s. (Chanchon, a Renti te present/A Andriu chevalier vaillant), ricaviamo un primo orientamento temporale. La canzone è, infatti, inviata al cavaliere Andrieu de Renti di cui sappiamo che fu condannato nel 1267 a trascorrere cinque anni in Terra Santa. Dobbiamo pertanto concludere con Spanke che il componimento sarà stato scritto prima di quell’anno oppure dopo il 1272.
Il 1272 costituisce, poi, il termine ante quemper datare il jeu-particon Jehan Bretel (XII), essendo l’anno di morte del partenaire, come attestato dal Registre des jongleurs.
L’invio della IV, in particolare il v. 48 e s. (Droit a Avions te nage,/A bon Jehan di), fornisce invece un termine di datazione post quem: nel 1250, infatti, Jehan d’Avions firmò un contratto relativo ad alcune terre nei pressi di Avion.
Su queste basi Spanke ritiene verosimile datare l’attività di Jehan de Renti agli anni ’50-’60 del XIII sec. Un’unica difficoltà è posta, in questo senso, da III 41 e s.: Chançon, va t’ent et si fai mon message/Au Chastelain ki Biaumés doit tenir. Un certo Chastelain de Biaumes è citato nel Congédi Jean Bodel, composto nel 1200. Se i due personaggi dovessero coincidere saremmo costretti a far risalire l’attività di Jehan de Renti almeno agli anni ’40 del XIII sec. L’altra possibilità è, invece, ipotizzare che il Chastelain ki Biaumés doit tenirsia un discendente (figlio o nipote) di quello citato da Jean Bodel. In tal senso riceviamo conforto da una poesia del poeta artesiano Gillebert de Berneville, attivo negli anni 1255-1280, nella quale si nomina appunto un Chastelains …/de Biaumeidentificabile con Gilles, signore di Beaumetz, ancora vivo nel 1267, o con suo figlio Robert, che figura con questo titolo in un documento del 1273 (cf.,oltre a Spanke 1907, Petersen Dyggve 1935 ss.vv. Biaumé e Gillebert de Berneville, p. 52 e s. e p. 115). Il destinatario dell’envoidi Jehan de Renti non coinciderebbe allora con il castellano legato a Jean Bodel, bensì con uno dei due personaggi storici con cui è possibile identificare il giudice cui si rivolge Gillebert de Berneville: resta valida, in tal modo, la supposizione di Spanke che colloca l’attività del troviero nel terzo quarto del XIII sec. Se si ricorda che questo è grosso modo anche il periodo di datazione del ms., si ritrova avallata l’ipotesi di Schawn che T3 e Jehan de Renti possano coincidere (cf. il paragrafo sulla tradizione).
Quanto al luogo in cui Jehan de Renti visse, tutto fa pensare ad Arras: a cominciare dal jeu-particon Jehan Bretel e dalla menzione che del Puy si fa in X 1 e s. (Se che n’estoit pour ma dame honerer/Jamais au Pui ne diroie chançon), la quale attesta il legame del nostro con il circolo poetico arrageois, per finire con il fatto che i suoi mecenati risiedevano nella circoscrizione di Arras (Avion e Beaumetz-lès-Cambrai). Ancora una volta rimandiamo alla congettura di Schwan sull’identità di T3, che sarebbe nuovamente confermata.
Quanto poi alla nazionalità del poeta, il nome tràdito dal ms. rimanda a Renti, un paese del dipartimento del Pas-de-Calais, nella circoscrizione di St-Omer, a una sessantina di km da Arras, in cui abitava una stirpe di cavalieri omonima. Spanke ritiene non cogente il toponimo in relazione alla determinazione del luogo di nascita del troviero, in quanto, come altre volte, potrebbe fare riferimento all’origine del capostipite. Lo studioso esclude, inoltre, che Jehan potesse appartenere alla famiglia di cavalieri omonima in quanto, se così fosse, incongruo risulterebbe il contenuto delle strofe i e ii della X contro i giudici che si fanno corrompere pour parens ne pour grant signorage (X 6) e contro chi male amministra e distribuisce le proprie ricchezze. Più probabile l’ipotesi che Jehan de Renti fosse di modeste condizioni e vivesse della propria poesia, grazie ai facoltosi cavalieri degli envois o a qualche ricco borghese.
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* Per tutto il paragrafo si è tenuto conto della magistrale ricostruzione biografica fatta da Spanke 1907, pp. 1-6.
[I]
Linker 146,1; RS 1123
Ms.: T 172v (Jehans de Renti les fist); notazione non eseguita.
Edizioni: Spanke 1907, p. 45; Scala 2007, p. 19.
Schema metrico
7a' 7b 7a' 7b 7a' 7a' 7b 7a' (MW 627,8). Si notino i rims encadenatz dei primi quattro versi, presenza costante anche negli undici restanti componimenti.
Al verso 7 il participio passato maschile (desirré) non si accorda con il complemento oggetto femminile (la riens) per ragioni di rima (con doné del v. 2); ma cf. anche Foulet 1919, par. 114, p. 85 (due esempi di mancato accordo con l'oggetto femminile anteposto).
Coblas unissonans. Si notino le riprese 3 chançon - 4 chant, 4 volenté - 8 voloir, 9 bien - 10 bonté - 13 ses biens e 1 Amours - 9 J'aim - 16 amour, culminante nella figura etimologica del verso finale l'aim d'amour.
I. Amours par sa courtoisie M'a .i. mignot sens doné De faire chançon jolie, Si chant par sa volenté 5 En espoir d'avoir amie: C'est la riens c'ai covoitie Plus tous jours et desirré Sans nul voloir de folie. |
Amore con la sua cortesia mi ha dato un nobile proposito di comporre una canzone graziosa, così canto per sua volontà, nella speranza di avere un'amica: è la creatura che ho sempre bramato e desiderato di più senza nessun desiderio folle. |
II. J'aim dame bien ensegnie 10 Et plaine de grant bonté, Tant est de valour garnie Ke je n'aroie conté Jamais ses bien a moitie; Che me fait vivre a haskie: 15 Ke n'a cuer entalenté De nostre amour faire onie. |
Amo una dama ben istruita e piena di gran valore, tanto è di virtù provvista che mai avrò raccontato i suoi pregi a metà; questo mi fa vivere nel tormento: che non ha cuore desideroso di contraccambiare il nostro amore. |
III. Si tost con je l'euć choisie Me fist .i. assaut privé De ses iex ki m'ont ravie 20 Si trestoute ma santé, Ke s'a moi ne s'umelie Par pitié, pour riens c'on die, N'iere mais jour sans grieté, Tant l'aim d'amour enasprie. |
Non appena l'ebbi scorta mi fece un assalto nell'intimo con i suoi occhi che mi hanno strappato tutta la mia salute, così che se non si mostra meno altera nei miei confronti per pietà, checché se ne dica, non sarò mai nessun giorno senza pena, tanto l'amo di amore infiammato. |
2-3. mignot (sens) e (chançon) jolie: i due aggettivi, distribuiti qui tra la propensione al canto (sens doné), ispirata da Amore, e l'esito artistico che ne consegue (chançon), si ritrovano insieme nel ritornello della XI, a caratterizzare la disposizione d'animo del troviero, sempre in concomitanta al sentimento amoroso: J'ai cuer mignot et joli / Et tout vestu d'amours.
16. onie è da interpretale "uguale" (< UNITA) assieme a Spanke 1907, p. 45; faire onie varrà dunque "rendere pari" e quindi "contraccambiare". Cf. anche Spanke 1907, p. 60n.
18. Spanke interpreta privé come "nascosto".
19-20. Per il parallelismo tra mal d'amore e malattia cf. anche XII 21.
21-23. Sulla necessità che guarigione e sollievo dalle sofferenze provengano dalla donna amata cf. anche la nota a XII 23-24.
I.
Amours par sa courtoisie
M'a .i. mignot sens doné
De faire chançon jolie,
Si chant par sa volenté
5 En espoir d'avoir amie:
C'est la riens c'ai covoitie
Plus tous jours et desirré
Sans nul voloir de folie.
II.
J'aim dame bien ensegnie
10 Et plaine de grant bonté,
Tant est de valour garnie
Ke je n'aroie conté
Jamais ses bien a moitie;
Che me fait vivre a haskie:
15 Ke n'a cuer entalenté
De nostre amour faire onie.
III.
Si tost con je l'euć choisie
Me fist .i. assaut privé
De ses iex ki m'ont ravie
20 Si trestoute ma santé,
Ke s'a moi ne s'umelie
Par pitié, pour riens c'on die,
N'iere mais jour sans grieté,
Tant l'aim d'amour enasprie.
.ii. 16 honie con h erasa .iii. 24. SP. en asprie
I.
Amours par sa courtoisie
m'a un mignot sens doné
de faire chancon jolie;
si chant par sa volenté
en espoir d'avoir amie;
c'est la riens c'ai covoitie
plus tous jours et desirré
sans nul voloir de folie.
II.
J'aim dame bien ensegnie
et plaine de grant bonté,
tant est de valour garnie
ke je n'aroie conté
jamais ses biens a moitie;
che me fait vivre a haskie
ke n'a cuer entalenté
de nostre amour faire onie.
III.
Si tost con je l'euc choisie
me fist un assaut privé
de ses iex ki m'ont ravie
si trestoute ma santé
ke s'a moi ne s'umelie
par pitié pour riens c'on die,
n'iere mais jour sans grieté;
tant l'aim d'amour en asprie.
Jehans de Renti les fist Amours par sa courtoisie ma .i. mignot sens done de faire chan con iolie. si chant par sa volente. en espoir dauoir amie. cest la riens cai couoitie plus tous iours (et) desirre. sans nul voloir de folie. |
Iaim dame bien ensegnie (et) plaine de grant bonte. tant est de valour garnie. ke ie naroie conte iamais ses biens a moitie. che me fait viure ahaskie. ke na cuer entalente de nostre amour faire honie. |
Si tost con ie leuc choisie me fist .i. assaut priue. de ses iex ki mont rauie si trestoute ma sante. ke sa moi ne su- melie. par pitie pour riens con die. niere mais iour sans greiete. tant laim damour enasprie. |
[II]
Linker 146,6; RS 662
Ms.: T 172v (Jehans de Renti); notazione non eseguita.
Edizioni: Noack 1899, n° 23, p. 116 (ediz. di Stengel); Spanke 1907, p. 39; Scala 2007, p. 22.
Schema metrico
7 ab'ab' cc + R., con R. = 4 D 11 D (MW 1209,100). Per i rims encadenatz dei primi quattro versi di ogni strafa vedi il "cappello [2]" iniziale della precedente canzone.
Il refrain è registrato in van den Boogaard 1969, dove porta il numero 1603, a p. 235. Cf. anche Spanke 1907, p. 58n, dove si rimanda a un refrain di Adam de la Halle, che comincia in modo simile (Or est ensi Ke j'atenderai merci, repertoriato da van den boogaard al n° 1444 come Or est ensi Ke j'atendrai merci).
Per l'hendécasyllabe analizzabile come settenario + quaternario si veda Formisano 1980, n° XIX (p. 131) e n° XXVI (p. 177).
Coblas unissonans. Si notino le rime derivative 2 esperanche : 36 desesperanche, 14 venir : 21 avenir, 20 mescheanche : 28 eskeanche, 29 aservir : 30 servir. Segnaliamo, inoltre, la rima mista (Zwitterreim) 10 enfanche (forma piccarda) : 12 franche (esito franciano). Si noti, infine, il forte enjambement ai vv. 34-35.
I. N'est pas sages ki emprent A amer en esperanche K'il ait ja alegement De dolour ne de grevanche 5 C'Amours li facent sentir, Se che n'est par bien mentir. K'il est ensi Ke ja feme n'amera sen vrai ami. |
Non è saggio chi comincia ad amare nella speranza che abbia mai sollievo dal dolore e dalla sofferenza che Amore gli fa provare, a meno che non menta bene; ché così è che mai donna amerà il suo amico leale. |
II. Je cuidai premierement, 10 Quant je amai en m'enfanche, Ke pour amer loiaument Pleüsse a la bele franche Et ke me vausist cierir, Mais a che ne puis venir. 15 K'il est ensi Ke ja feme n'amera sen vrai ami. |
Pensai all'inizio, quando amai nella mia giovinezza, che per il fatto di amare lealmente piacessi alla bella nobile e che mi volesse avere caro, ma a questo non posso pervenire; ché così è che mai donna amerà il suo amico leale. |
III. Amers ne me vaut noient, Car mis m'a en oublianche, Cele ki m'art et esprent; 20 Grans anuis et mescheanche Li puist awan avenir; Lie est ke me fait languir. K'il est ensi Ke ja feme n'amera sen vrai ami. |
Amare non mi serve a niente, giacché mi ha messo in oblio colei che mi fa ardere e mi infiamma; grande pena e cattiva sorte le possa quest'anno capitare; è felice di farmi languire; ché così è che mai donna amerà il suo amico leale. |
IV. 25 J'ai servi si longhement En pardon et en baanche Que ja guerredonement Ne quić avoir n'eskeanche; Trop est faus ki aservir 30 Se laist por amour servir. K'il est ensi Ke ja feme n'amera sen vrai ami. |
Ho servito così a lungo inutilmente e in vana attesa che mai ricompensa credo avrò, né successo; troppo è folle chi asservire si lascia per servire amore; ché così è che mai donna amerà il suo amico leale. |
V. Se j'ai parlé folement Ne dit nule outrequidanche 35 De feme, je m'en repent, Mais ire et desesperanche M'a fait avoir cest aïr, Dont encor ne puis issir. K'il est ensi 40 Ke ja feme n'amera sen vrai ami. |
Se ho parlato in modo folle o detto, di donna, qualche sfrontatezza, me ne pento, ma collera e disperazione mi hanno fatto avere questo impulso, dal quale ancora non riesco a liberarmi; ché così è che mai donna amerà il suo amico leale. |
5. Si noti il plurale di tipo moderno, Amours, con l'estensione della -s desinenziale al cas sujet. Con l'uso del plurale al posto del singolare si fa riferimento alle varie modalità dell'amore (cf. Spanke 1907, p. 58n).
6. par bien mentir, "a meno che non menta bene", è da intendersi come "a meno che non si culli in questa speranza, mentendo a se stesso e agli altri".
14. Il verso è fortemente riecheggiato dal v. 21 della strofa successiva (Li puist awan avenir). Accanto alla rima dervativa, per la quale cf. il "cappello [8]" introduttivo, si ha un polittoto (14 ne puis - 21 Li puist) che, qui come altrove, salda una causa al suo effetto (si veda a questo proposito il "cappello" introduttivo alla n° X) e funge da raccordo tra le due strofe (la ii di tensione positiva ma infruttuosa del poeta-amico verso la dama; la iii di rivalsa nei confronti di una donna che ignora l'impegno dell'amante e si mostra crudele). Poiché non può ottenere la benevolenza della sua signora, il poeta le augura di poter diventare il bersaglio di una qualche disgrazia.
20-21. Si noti l'accordo del verbo al singolare con la coppia di soggetti sinonimici anuis e mescheanche. Cf. anche Spanke 1907, p. 59n.
L'allitterazione che chiude il distico (awan avenir) sembra aumentare la forza della maledizione.
29. "falso" non dà senso: faus è da interpretarsi come forma piccarda per fous, "folle" (cf. l'Introduzione, par. relativo alla lingua).
I.
N'est pas sages ki emprent
A amer en esperanche
K'il ait ja alegement
De dolour ne de grevanche
5 C'Amours li facent sentir,
Se che n'est par bien mentir.
K'il est ensi
Ke ja feme n'amera sen vrai ami.
II.
Je cuidai premierement,
10 Quant je amai en m'enfanche,
Ke pour amer loiaument
Pleüsse a la bele franche
Et ke me vausist cierir,
Mais a che ne puis venir.
15 K'il est ensi
Ke ja feme n'amera sen vrai ami.
III.
Amers ne me vaut noient,
Car mis m'a en oublianche,
Cele ki m'art et esprent;
20 Grans anuis et mescheanche
Li puist awan avenir;
Lie est ke me fait languir.
K'il est ensi
Ke ja feme n'amera sen vrai ami.
IV.
25 J'ai servi si longhement
En pardon et en baanche
Que ja guerredonement
Ne quić avoir n'eskeanche;
Trop est faus ki aservir
30 Se laist por amour servir.
K'il est ensi
Ke ja feme n'amera sen vrai ami.
V.
Se j'ai parlé folement
Ne dit nule outrequidanche
35 De feme, je m'en repent,
Mais ire et desesperanche
M'a fait avoir cest aïr,
Dont encor ne puis issir.
K'il est ensi
40 Ke ja feme n'amera sen vrai ami.
i. 1. SP., Stengel qui ii. 13. Stengel vousist iii. 19 SP., Stengel qui 21. Stengel ouan iv. 25. Stengel corregge in J'ai la lettura di Noack Ja; il ms. riporta Iai. 29 Stengel fous v. 34 Stengel mule, indubbiamente errore di stampa (cf. anche SP. in apparato)
I.
N'est pas sages qui emprent
a amer en esperanche
k'il ait ja alegement
de dolour ne de grevanche
c'amours li facent sentir,
se che n'est par bien mentir;
k'il est ensi
ke ja feme n'amera sen vrai ami.
II.
Je cuidai premierement,
quant je amai en m'enfanche
ne pour amer loiaument
plëusse a la bele franche
et ke me vausist cierir;
mais a che ne puis venir;
k'il est ensi
ke ja feme n'amera sen vrai ami.
III.
Amers ne mie vaut noient,
car mis m'a en oublianche
cele qui m'art et esprent;
grans anuis et meschëance
li puist awan avenir;
lie est ke me fait languir.
K'il est ensi
ke ja feme n'amera sen vrai ami.
IV.
J'ai servi si longhement
en pardon et en bäanche
que ja guerredonement
ne quic avoir n'eskëanche;
trop est faus ki aservir
se laist por amour servir;
k'il est ensi
ke ja feme n'amera sen vrai ami.
V.
Se j'ai parlé folement
ne dit mule outrequidanche
de feme, je m'en repent;
mais ire et desesperanche
m'a fait avoir cest aïr
dont encor ne puis issir.
K'il est ensi
ke ja feme n'amera sen vrai ami.
Jehans de renti. NEst pas sages ki emprent a amer en esperanche. kil ait ia alege ment de dolour ne de greuanche. camours li facent sentir. se che nest par bien mentir. kil est ensi. ke ia feme namera sen urai ami. Ie cuidai |
premierement q(ua)nt ie amai en menfanche. ke pour amer loiaument. pleusse a la bele franche (et) ke me vausist cierir. mais a che ne puis venir. kil est ensi. ke ia feme namera sen vrai ami. |
Amers ne me vaut noient car mis ma en oublianche. cele ki mart (et) esprent. grans anuis (et) mescheanche. li puist awan auenir. lie est ke me fait languir. kil est ensi. ke ia feme namera sen urai ami. |
Iai serui si longhement en pardon (et) en baanche. q(ue) ia guerredonement ne quic auoir neske- anche. trop est faus ki a seruir. se laist por amour seruir. kil est ensi. ke ia fe- me namera sen urai ami. |
Se iai parle folement ne dit nule outre quidanche. de feme ie men repent. mais ire (et) desesperanche ma fait auoir cest air. dont en- cor ne puis issir. kil est ensi. ke ia feme namera sen vrai ami. |
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[13] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/tradizione-manoscritta-517
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