Ed. S. Milonia
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Ja nuns hons pris ne dira sa raison (ms.O) - Trascrizione dell'esecuzione [9]
Ogni esecuzione è un'interpretazione: la trascrizione musicale della nella registrazione è uno strumento di lavoro e non un'edizione con ambizione scientifica. L'unica trascrizione di autorevolezza filologica consiste nella trascrizione semi-diplomatica [1], dove sono notate semplicemente le altezze dei suoni, senza nessun riferimento ritmico. Non appena la teoria diventa atto, il lavoro filologico perde buona parte del suo rigore. Dal momento che il canto nasce ed assume significato quando si iscrive in un contesto estetico, è a questo criterio che si attiene la scelta esecutiva. Gli sforzi dei grandi esperti di filologia musicale che hanno studiato il componimento di Riccardo Cuor di Leone non sono stati considerati vani ed è sulla base delle conoscenze apprese dai loro scritti che si fonda questa interpretazione, che pur non rispettando rigidamente la lettura in chiave modale ne condivide l’ossatura. L'esecuzione si basa sulla lezione dello Chansonnier Cangé: sull'insegnamento di Tischler e Gennrich l'andamento principale è quello scandito dal III modo[1]. Innanzi tutto si è privilegiato l'uso di una grafia agevole per il musicista, senza varianti né segni che non siano ordinariamente utilizzati nella notazione moderna. La suddivisione in 3/4 mi è parsa la più congeniale per dividere in tre la battuta, ma senza costringere la melodia in un andamento ternario.
Un elemento importante, che è passato inosservato ed è secondo me fondamentale, è la ripetitività dei patterns ritmico-melodici sulla quale si struttura la melodia. Se si considerano le legature costituite da due note e la nota che segue come due parti di un'unica cellula ritmica avremo a che fare solo con gruppi melodici ternari. Infatti queste cellule di tre note e due sillabe avrebbero lo stesso valore dei climacus, cioè le legature costituite da tre note cantate su una sola sillaba. Lo stesso schema ritmico è però rintracciabile, basandosi sulle ripetizioni melodiche, anche in tre note cantate ognuna sulla propria sillaba[2]. Sia questi gruppi di tre note, sia i climacus, sia i gruppi clivis + punctum, sono stati trascritti con due crome legate ad una semiminima, eventualmente allungata in finale di verso. Ho rifiutato l'impiego della terzina, poiché romperebbe bruscamente l'andamento scandito dal III modo.
Osservando lo spartito è possibile notare come si configuri un sistema di patterns ritmici di tre note, che, all'interno del verso, si assemblano in diverse combinazioni: ad esempio il primo verso è composto da due patterns formati da un 1/4 puntato + 1/8 + 1/4 – pattern a – e due patterns composti da 1/8+1/8+1/4 (o 2/4 per allungamento in finale di verso) – pattern b –. Queste cellule ritmiche hanno anche un riscontro melodico: il pattern a si mantiene principalmente su una nota o un range ristretto di note e compone una sorta di arsi nello sviluppo del verso. Il pattern b invece può paragonarsi alla tesi del verso; predilige le discese diatoniche[3].
Il verso 2 presenta un secondo tipo di configurazione ritmico-melodica: pattern a – pattern b – pattern a – pattern b. I versi 3 e 4 ripropongono il medesimo schema: a – a – b – b / a – b – a – b.
Salta all'occhio che i due patterns non hanno uguale durata e non entreranno, secondo lo schema moderno, ognuno perfettamente in una battuta: il pattern a dura 3/4, ma il pattern b dura solamente 2/4. Ai versi 2 e 4 otterremo uno squilibrio, ma solo in apparenza, quando il terzo pattern[4], che è di tipo a, segue ad un pattern di tipo b, e comincia quindi sul terzo quarto della seconda battuta, comportando lo scavalcamento della linea di battuta. È forse questo il pregio di questa esecuzione: non bisogna infatti inquadrare le monodie medievali in schemi che non appartengono loro, costringendole in un paradigma di rigide alternanze tra tempi “forti” e tempi “deboli”. Anche Beck quando asserisce che la ternarietà assoluta non è altro che frutto dell'ingegno aritmetico dei mensuralisti, invita a ricordare che il rigore teorico può allontanare dalla realtà pragmatica.
I versi 5 e 6 sono problematici e non pretendo di decifrarli compiutamente, ma ho cercato di dare una veste esteticamente convincente, basandomi su due convizioni: il primo è che il verso 5 rappresenta il preludio al refrain, il momento di massima enfasi; il secondo è che in corrispondenza del tratto verticale, che nel manoscritto separa le note dei due versi, va rispettata una pausa, che consenta di recepire con la giusta chiarezza entrambe le frasi, le quali accorpate creerebbero una lunga e dispersiva catena di note. I primi due patterns del v. 5 non pongono problemi. Ma dalla sillaba ma le incertezze crescono, è infatti il punto di maggiore divergenza fra gli editori. In maniera simile alla scelta fatta da Gennrich, si preferisce lasciare che la sillaba successiva (re-) venga cantata sul terzo quarto della battuta, ma facendo appoggiare la sillaba -an- alla battuta successiva, mantenendo integro il parallelismo melodico con il climacus che chiude il verso. Anche la pausa dunque slitterà alla battuta successiva: i due punctus si trovano quindi "sospesi", dove l'elemento di arsi da cui partono è il silenzio. Non si sarà costretti quindi ad allungare eccessivamente la sillaba y- del v. 6, conferendo la dovuta fluidità alla conclusione.
Introduzione alle edizioni musicali.
Dal 1925 sono state proposte varie edizioni musicali di Ja nuns hons pris, espressione di opinioni profondamente diverse di autorevoli studiosi: Frederick Gennrich (1925, 1955, 1958), Jean Beck (1927), Archibald Thompson Davison in collaborazione con Willi Apel (1949), Samuel Rosenberg e Hans Tischler (1981), e infine Hans Tischler (1997).
Una visione sinottica delle edizioni [13] pone in rilievo le divergenze sull'interpretazione della monodia medievale maturate nello scorso secolo.
Nella prima metà del Novecento il dibattito sulle melodie dei trovieri si è concentrato principalmente sull'interpretazione del ritmo e della durata delle note. La notazione in cui è tradita la melodia della canzone offre infatti precise indicazione diastematiche, ma oscure indicazioni ritmiche. I manoscritti K, X e N, non riportano alcuna indicazione ritmica, notano promiscuamente il punctum e la virga.
L'interpretazione di questo tipo di notazione, applicato anche ad alcuni testi della musica profana in volgare, nello specifico al repertorio trovierico e trobadorico, non è affatto unanime. Al contrario, è evidente che il canzoniere O riporta una notazione mensurale, suscettibile di una lettura modale, e per questo motivo gli studiosi hanno di gran lunga privilegiato la lezione di questo manoscritto.
L’interpretazione della melodia in chiave modale comporta operazioni incerte: già la scelta della chiave, ma soprattutto la scelta della suddivisione nella battuta sono aspetti delicati, scelte che non potranno che assumere un valore convenzionale, non mimetico. La trascrizione comporta inoltre la scelta di inquadrare i gruppi neumatici in un ritmo binario o ternario: ad esempio una legatura di due note potrà essere interpretata sia come due crome, sia come una terzina formata da una semiminima più una croma; una legatura di tre note sia come due semicrome più una croma, sia come una terzina di crome (o valori proporzionalmente equivalenti). Alcuni editori preferiscono non indicare il valore del tempo ad inizio rigo, altri di abolire ogni indicazione mensurale, la divisione delle battute e il valore di durata delle note.
Beck porta a galla questioni preziose per una prospettiva complessiva del componimento del re Riccardo:
nella sua introduzione argomenta su diversi casi in cui un canto, trascritto da un copista straniero, muta il modo ritmico in cui era scritto originariamente; questa trasposizione avviene per via delle differenti strutture delle lingue romanze, a cui diversi modi si addicono più o meno agevolmente.
Il cambiamento del modo di una melodia è una pratica corrente: vari sono gli esempi di modifiche rimiche, come nello Chansonnier Cangé, in cui sono presenti jeux partis ritmati con modi diversi. Ne consegue che la versificazione non determina, sola, il modo.
Il problema che Beck pone è fondamentale e si intuisce l'importanza che assume nell'interpretazione della tradizione della melodia di Ja nuns hons pris: l'idea che attestazioni di una melodia in notazione modale aiutino a comprendere quelli scritti con una notazione amensurale, ossia che la lezione di O possa aiutare a comprendere quella di KNX, è da giudicare con molta cautela, perché a una stessa versificazione possono corrispondere non solo varie interpretazioni del modo, ma una notazione modale differente.
Partendo da queste premesse, e considerando il carattere amensurale della melodia nei manoscritti KNX, si ravvisa la necessità di un'edizione che non lasci nell'ombra del ritmo di O le melodie che riportano forse non solo un'informazione per difetto, ma testimoniano un livello parallelo della melodia: l'applicazione del modo potrebbe essere una costrizione di una concezione ritmica in un sistema di notazione nuovo. Inoltre il modo che si legge potrebbe non corrispondere a quello originario, ma essere un'interpretazione del copista, che nel caso dello Chansonnier Cangé è non solo un ottimo notatore, ma anche un abile musicista, in grado di trasporre melodie e sanare errori del copista, e certamente capace di sostituire un modo o dare una veste ritmica a un canto che originariamente non l'aveva. Il fatto che ci sia pervenuto un manoscritto che riporta una notazione evidentemente mensurale come quella di O, non esclude che la canzone sia stata concepita come un canto a ritmo libero, declamatorio, simile a quello gregoriano, secondo l'interpretazione che dà della monodia trovierica Hendrik van der Werf [1].
Se, al contrario, il componimento fosse in origine perfettamente inquadrabile in uno schema modale, cosa che in ogni caso non è possibile accertare, il modo applicato alla canzone potrebbe comunque essere frutto dell'interpretazione del notatore, e un'edizione ritmicamente neutra rappresenterebbe un livello della tradizione, certamente incompleto, ma non di minor valore rispetto ad O.
Dare piena autorità al ritmo di O appare allora incauto, perché dove gli altri manoscritti tacciono, attestano un non-ritmo. Inoltre sostanziali varianti melodiche che accomunano KNX, e non sono presenti in O, sono state obliterate in favore dello Chansonnier Cangé.
Edizioni di Friedrich Gennrich
Gennrich edita tre volte la melodia della rotrouenge: con questa definizione di genere, che ebbe e continua ad avere grande fortuna, la musica di Ja nuns hons pris è edita per la prima volta, nel 1925, in Die altfranzösische Rotrouenge : literarhistorisch-musikwissenschaftliche Studie II. Infatti Gennrich, inserisce il componimento di Riccardo nel suo studio sulla rotrouenge in lingua d'oïl per via della sua struttura: due pes (a) costituiti da due versi di dieci sillabe, seguita da una cauda (b) che termina con un ritornello: la parola-refrain «pris». Una rotrouenge si compone di due o più sezioni che ricalcano una stessa melodia, più un ritornello (per le caratteristiche testuali della rotrouenge cfr. Introduzione [14]). Stando all'edizione del testo di Gennrich e non volendo contestare l'identificazione di un refrain in una sola parola, si potrebbe annoverare la canzone tra le rare rotrouenges. Tuttavia, poiché l'edizione è basata su un solo testimone, lo Chansonnier Cangé, sorgono alcune riserve. Se si confrontano le varianti di KNX si osserva che la melodia della seconda strofa è decisamente mutata rispetto alla prima e anche volendo ipotizzare un errore congiuntivo che riporti le note alla stessa altezza diastematica - come fa Tischler – i due piedi ancora non coinciderebbero. L'identificazione del refrain in una sola parola potrebbe allora contribuire a riconsiderare la tesi che fa di Ja nuns hons pris una rotrouenge, o a limitare questa definizione al componimento tradito nel manoscritto O.
La seconda edizione è del 1955, in Altfranzösische Lieder - Tübingen, M. Niemeyer, sostanzialmente identica alla prima; la terza edizione, che propongo in sinossi con gli altri editori, è di pochi anni successiva e appare in Exempla: altfranzösischer Lyrik: 40 altfranzösische Lieder - Darmstadt, F. Gennrich, 1958: questa non si discosta dalle precedenti, fatta eccezione per l’eliminazione dell’indicazione del tempo.
Le note sono scritte in chiave di violino semplice nella versione del 1925, in chiave di violino da eseguire un’ottava sotto nelle edizioni successive. Le battute riportano un ritmo ternario ma a base binaria: 6/4. Il ritmo è identificato principalmente con il III modo, l'ossatura della notazione della canzone è: longa perfecta (= 3 brevis), – brevis – brevis alterata (= 2 brevis).
Sono quindi rintracciabili tre suddivisioni nel piede che corrispondono a tre "posizioni" nella battuta: la prima della durata di 3/4, la seconda della durata di 1/4, la terza della durata di 2/4.
In notazione moderna: la virga, in prima posizione assume il valore di una longa perfecta e vale 3/4; in terza posizione la longa è imperfecta e vale 2/4 . La brevis – rappresentata dal punctum - in seconda posizione vale 1/8, in terza posizione diventa alterata e vale 2/4. In finale di strofa sia virga che punctum arrivano a valere 3/4.
Il III modo è visualizzato quindi: minima puntata – semiminima – minima.
I gruppi neumatici sono segnalati con legature di valore o semplicemente collegate con uno o più tratti di unione tra i due gambi. Gennrich trascrive i gruppi neumatici composti da due note: 1/4 + 2/4 in prima posizione; 1/8 + 1/8 in seconda posizione ; 1/4 + 1/4 in terza posizione; 1/4 + 2/4 in finale di strofa. Le pliche sono considerate come un semplice gruppo neumatico.
I gruppi neumatici di tre note sono invece trascritti: 1/16 + 1/16 + 2/4 in prima posizione; 1/16 + 1/16 + 1/4 in terza posizione.
Edizione di Jean Beck
Jean Beck si basa esclusivamente sul testo del manoscritto O: edita la canzone di Riccardo Cuor di Leone nel 1927, nel volume dedicato allo Chansonnier Cangé (Bibl. Nat. Fr. 846), nella serie Les Chansonniers des Troubadours et des Trouvères della collana Corpus Cantilenarum Medii Aevi. Al primo tomo, dedicato principalmente alle edizioni fotografiche, si affianca il secondo, dove le trascrizioni delle melodie ed edizioni interpretative dei testi contenuti nel codice sono precedute da un'ampia introduzione. Vale la pena riassumerne alcuni passi al fine di comprendere le sue scelte nella trascrizione della melodia.
Per Beck, l'unico modo di comprendere il ritmo della musica medievale passa attraverso lo studio delle fonti, dalle quali, su base statistica, è possibile desumere delle norme generali. Uno dei punti fondamentali dell'introduzione è questo:
«L'analisi ritmica dei tropi, sequenze, organa, conductus e mottetti scritti in notazione mensurale, che indica esattamente la durata delle sillabe cantate, porta ad una prima constatazione: non c'è, nella canzone latina o francese del medio evo alcun rapporto obbligatorio tra le sillabe che portano l'accento tonico delle parole, da una parte, e i tempi forti della misura musicale, all'interno del verso, dall'altra.» J.Beck, Chansonnier des troubadours et des trouvères II, p. 36, traduzione mia)
Questo evidenzierebbe la continuità con la prassi della poesia latina, che sacrifica l'accento tonico di parola alle esigenze del metro. Anche i modi non sarebbero altro che la sopravvivenza dei metri classici (ibid. p. 37). Il III modo, che forma la struttura ritmica della melodia di Ja nuns hons pris, ha infatti un andamento dattilico, (longa – brevis – brevis), e piega sistematicamente l'accento di parola al ritmo del canto (ibid. p. 38).
Una sola regola lega il ritmo e l'accento tonico: la sillaba tonica della rima deve cadere su un tempo forte.
Il passaggio dalla poesia quantitativa a una poesia basata sull'accento e sul numero delle sillabe ha portato a una concezione isosillabica, cioè in cui le sillabe avevano una stessa durata.
Beck si avvale dell'opinione «d'un des meilleurs connaisseurs de la musique polyphonique», Friedrich Ludwig [2], secondo il quale i modi della ritmica primitiva medievale sarebbero stati il V, dove tutte le sillabe si equivalgono in un'unità costituendo un andamento binario (longa perfecta - longa perfecta), e il VI, ad andamento ternario, (brevis brevis brevis – brevis brevis brevis), proprio in virtù dell'equipollenza della durata delle singole note.
Sarebbero le prime forme del discantus, i tenori dei mottetti, caratterizzati dal V modo, i testimoni di questo ritmo primordiale.
Sulla base delle dichiarazioni dei musicisti e dei testi stessi, Beck si schiera contro una ternarietà assoluta, che reputa «une merveille d'ingéniosité arithmétique» dei mensuralisti: una perfezione teorica non deve corrispondere necessariamente alla pratica.
Allargando la prospettiva ad una visione mondiale e interculturale della pratica musicale, Beck sostiene che la ternarietà della scuola mensuralista medievale sia schiacciata dal numero di esempi di ritmo binario: la ternarietà teorica segue nei fatti una logica binaria.
Contro la tesi della necessaria ternarietà della musica medievale Beck trae dal Tropario di Burgos e dai Mottetti di Bamberg svariati esempi tra Organa, tenori di mottetti, prose ritmate, e ne evidenzia il ritmo isocrono del V modo - ex omnibus longis et perfectis - che consiste in una serie di sillabe neutre, cantate su note di uguale durata: questo, di marginale applicazione nella trascrizione delle canzoni dei trovatori, predomina nelle composizioni antiche e forma le assi del sistema ritmico medievale.
Tenendo presente le citazioni prese da testi teorici medievali [3] - che avvalorano la tesi di una concezione binaria del ritmo - possiamo comprendere la sua scelta di trascrivere la melodia in uno schema binario:
Lo spartito non riporta l'indicazione di tempo, ma fa corrispondere ogni battuta al valore convenzionale di 2/4. Il decasillabo è suddiviso in quattro piedi dattilici: il piede sarà diviso in tre "posizioni", di cui la prima lunga, la seconda e la terza brevi. In base alla posizione che il neuma occupa nel dattilo Beck assegna un valore di durata: il punctum e la virga valgono 1/4 se in prima posizione, 1/8 se in seconda o terza posizione, 2/4 se in finale di strofa. I gruppi neumatici sono segnalati con legature di valore o semplicemente collegate con uno o più tratti di unione tra i due gambi, a seconda se queste siano crome o semicrome; i gruppi di due note hanno valore uguale fra loro: ogni nota ha una durata di 1/8 se occupa la prima posizione del dattilo, 1/16 ne occupa la seconda o la terza posizione; in finale di strofa, in prima posizione, la seconda nota si allunga e assume il valore di 1/2. Le pliche sono considerate come un semplice gruppo neumatico, nonostante Beck nell'introduzione si soffermi sulla sua peculiare natura liquescente, che descrive come un glissando in finale di nota. I gruppi di tre note non si presentano mai sotto forma di terzine, ma la terza nota vale il doppio delle altre due: le prime due note valgono 1/16 e la terza 1/8, o eventualmente 1/2, se precede una pausa.
Edizione di Archibald T. Davison e Willi Apel
L'edizione della canzone è pubblicata in Historical Antology of Music (1949), nell'ambito di un'antologia che passa in rassegna i generi musicali dal medio evo fino al '900. Principale scopo dell'antologia è di essere fruibile sia da studiosi che da studenti ed esecutori, e pertanto cerca di rendere gli spartiti adatti a diversi gradi di abilità di lettura.
Nella breve sezione dedicata alla musica dei trovieri è trascritta, nella versione tradita dallo Chansonnier Cangé, Ja nuns hons pris, classificata come ballade. Evidentemente la definizione di Gennrich non deve aver convinto Davison e Apel, che come esempio di rotrouenge preferiscono citare Pour mon coeur di Guillaume de Vinier, per il quale rinvia proprio al lavoro dello musicologo tedesco.[4]
Nonostante gli editori minimizzino il problema dell’interpretazione modale nella lirica francese («modal rhytm can be applied in most cases, usually without much ambiguity.» p. 216) non applicano uno schema modale alla melodia di Riccardo.
Davison e Apel si discostano dal ritmo binario di Beck, mostrandosi però in accordo con il filologo francese sul valore isosillabico dei neumi.
Ne risulta una partitura poco articolata, isosillabica, in chiave di violino da eseguire un’ottava sotto, in battute da 3/4, senza specificazione di tempo ad inizio di rigo, con equipollenza tra i neumi virga e punctum, (1/4; in finale di verso 2/4). Questi all'occorrenza possono assumere la una durata di 2/4 anche all'interno della frase musicale, come all'ultimo verso, la cui veste ritmica mette a dura prova il trascrittore.
I gruppi neumatici di due note sono, tra loro, di uguale durata (1/8), ma in fine di strofa si allungano fino a riempire tutta la battuta (1/4 + 2/4, con legatura). Le pliche sono considerate come un semplice gruppo neumatico. I gruppi neumatici da tre note sono legati in una terzina di crome (occupano quindi la durata di 1/4), mentre in finale di verso si allungano e si sciolgono dal ritmo terzinato (1/8 + 1/8 + 1/4).
Edizione di Hans Tischler
La più recente e più completa edizione si trova nella monumentale opera di Tischler, Trouvère lyrics with melodies : complete comparative edition (American Institute of musicology, Hänssler-Verlag, 1997, vol. XII, n. 1079). Si trovano qui in sinossi i quattro manoscritti: O e K per esteso, per X ed N riporta invece solo le varianti rispetto a K. La canzone viene qui definita una chanson de croisade.
Tischler offre in molti passaggi varianti ritmiche e specifica i punti in cui l'interpretazione è discordante con il dato paleografico.
La trascrizione della melodia del ms. O adotta una lettura modale, prevalentemente secondo il III modo, le cui modalità sono già state spiegate nel paragrafo dedicato all'ed. Gennrich. Per K(NX) invece il ritmo è isosillabico, seppure imbrigliato in una veste mensurale. I gruppi neumatici sono collegati fra loro con i normali tratti di unione tra i gambi, ben distinti dai neumi designati con note singole. L'andamento ternario è espresso in 6/8: Nella trascrizione di O, questa suddivisione spezza a metà la battuta; i primi tre ottavi (prima posizione) sono occupati dalla longa perfecta, (Tischler specifica in nota quando, eccezionalmente, è un punctum a occupare questa posizione) o da un gruppo neumatico; i restanti tre ottavi sono divisi in altre due posizioni, la seconda posizione della durata di 1/8, la terza della durata di 2/8: esse corrispondono rispettivamente a una brevis e a una brevis alterata.
I gruppi neumatici di due note sono trascritti come una coppia di ottavi se in terza posizione, come 1/8 + 2/8 (con parentesi di unione) se in prima posizione.
Il ritmo terzinato di questa suddivisione rende i gruppi neumatici di tre note semplici da gestire, evitando di passare da un andamento binario ad uno ternario: ogni nota del gruppo neumatico assume valore di 1/8, (terzine da 1/16 se in seconda posizione). In finale di strofa il ritmo terzinato si scioglie e il gruppo neumatico è espresso con 1/16 + 1/16 + 1/8 lasciando 1/8 alla pausa.
Per K(NX) la suddivisione in 6/8 rappresenta uno schema più libero, dove ogni ottavo rappresenta un'entità ritmica individuale. Le note hanno la metà del valore rispetto alla notazione di O, e di conseguenza è dimezzato anche il numero delle battute. L'interpretazione modale viene meno e ogni neuma, virga, punctum o gruppo neumatico ha la stessa durata (1/8); la sillaba finale di strofa raddoppia il suo valore e occupa quindi 2/8.
I gruppi neumatici di due note valgono 1/16 ciascuna (variante: legati o divisi), e i gruppi neumatici di tre note da una terzina di sedicesimi (variante: legati o con le prime due note divise dalla terza).
Ogni decasillabo si articola quindi in 12 pulsazioni, 9 sillabe isocrone da 1/8, una finale da 1/4, e una pausa (1/8) che chiude il verso.
Le pliche sono segnalate con un trattino che barra il gambo della seconda nota.
La trascrizione è in chiave di violino da eseguire un’ottava sotto.
L'analisi delle scelte di trascrizione si basa principalmente sul manoscritto O, che è stato preso in considerazione da tutti gli editori, mentre gli altri codici sono trascritti solamente nell'opera di Tischler. Si propone qui un'analisi di alcuni casi esemplari mirati ad esporre i criteri seguiti dagli editori, finora enunciati teoricamente [3], e dei punti in cui le trascrizioni divergono per lettura dell'altezza dei neumi o per interpretazione ritmica.
1.
O: rigo 1, neumi 1-6. Chiave di do su terza linea; quattro punctus su terza linea, punctus su quarta linea, punctus nel terzo spazio : do – do – do – do – mi – re.
Beck propone un andamento binario, sullo schema del dattilo, dove il primo neuma è considerato una longa, e vale il doppio dei due seguenti punctus, considerati breves. Davison scrive tre note dello stesso valore. Gennrich e Tischler considerano il primo punctus una longa perfecta e trascrivono le note secondo il paradigma del III modo: la prima nota dura tre pulsazioni di battuta, la seconda una, la terza due. Tutti gli editori ripropongono la medesima interpretazione ritmica dei seguenti tre neumi.
2.
K: rigo 1, neumi 1-7 N: rigo 1, neumi 1-7 X: rigo 1, neumi 1-7
Chiave di do su quarta linea; sei punctus (virgae, in N ) su quarta linea e una clivis nel terzo spazio - terza linea: do – do – do – do – do – do – si la.
La linea melodica è monocorde rispetto all'articolazione di O.
Tischler non distingue tra breves e longae, punctus e virgae; trascrive neumi e gruppi neumatici con note o gruppi di note che occupano la stessa durata.
3.
O: rigo 1, neumi 7-9; chiave di do su terza linea; clivis su terza linea – terzo spazio, punctus su seconda linea, clivis nel secondo spazio – primo spazio: si la – sol – la fa.
Per il primo neuma Beck e Davison trascrivono due note di uguale durata: in Beck il neuma occupa metà del piede, la posizione della longa, (due note, ciascuna uguale a 1/8) e suddivide a metà il resto della battuta, in due breves: il punctus è trascritto con una nota da 1/8 e la seconda clivis con due note, ciascuna del valore di 1/16.
Davison invece assegna 1/3 della battuta a ciascun neuma; ne risulta che le clivis, qui come in tutta la trascrizione, hanno lo stesso valore indipendentemente dal contesto; il punctus occupa la stessa durata della clivis.
Gennrich e Tischler non assegnano un valore di durata univoco alle clivis; quella che è in prima posizione nel piede ne occupa la metà, ovvero la durata di una longa perfecta: in questo caso la prima nota del gruppo neumatico vale la metà della seconda; la clivis che occupa la terza posizione nel piede, quello della brevis alterata, è trascritta con due note di uguale durata che si spartiscono l'ultimo terzo della battuta (due note da 1/8 in Tischler, due note da 1/4 in Gennrich). Il punctus, che occupa la seconda posizione nel piede, equivale ad una brevis (del valore di 1/3 di una longa perfecta, e di 1/2 di una longa imperfecta o di una brevis alterata).
Gennrich in tutte e tre le edizioni legge la seconda clivis «si la», gli altri editori sono invece concordi nel leggere «si sol».
4.
N: rigo 2, neuma 5. X: rigo2, neuma 6. K: rigo 2, neuma 6.
N: Chiave di fa su seconda linea; K, X chiave di do su quarta linea; virga nel terzo spazio: si.
Tischler segnala una variante di N (do) rispetto a KX (si), che non riscontro.
5.
O: rigo 2, neuma 1. Chiave di do su terza linea; virga nel primo spazio, tratto verticale nel primo spazio: sol – pausa.
La virga, in finale di verso, tende ad allungarsi: Davison le conferisce il doppio della durata, per un totale di due terzi della battuta, la pausa occupa il restante terzo. Gli altri editori assegnano alla nota la metà della battuta.
6.
K: rigo 2, neumi 2- 3. N: rigo 2, neumi 2-3 X: rigo 2, neumi 2-3
KX: chiave di do su quarta linea; N: chiave di fa su seconda linea; punctus su terza linea, clivis su terza linea – secondo spazio: la – la sol.
KNX riportano una disposizione ritmico-melodica opposta a O. Tischler trascrive regolarmente il punctus e la clivis (= 1/8).
7.
O: rigo 2, neuma 5. Chiave di do su terzo rigo; climacus su terza linea – secondo spazio – terza linea: do si la.
Beck mantiene l'andamento binario, e assegna al neuma la durata complessiva della longa: le prime due note valgono la metà della terza (1/16 + 1/16 + 1/8). Davison, ligio all'andamento isosillabico, assegna lo stesso valore[1] a tutti i neumi: trascrive una terzina di crome.
La più evidente discordanza tra Tischler e Gennrich riguarda i gruppi neumatici di tre note, non esente da ambiguità nella notazione modale: entrambi assegnano al gruppo neumatico la durata complessiva di una longa perfecta poiché occupa la prima posizione del piede, ma Tischler trascrive tre note da un 1/8, mentre Gennrich le interpreta con due note da 1/16 legate ad una di 2/4[2]: l'andamento ternario del primo si oppone all'aspetto binario del secondo. Come mostrano le discordanze, questo è un punto che necessita di un particolare sforzo esegetico: la versione di Gennrich comporta un'innegabile forzatura in sede esecutiva, che nessuna trascrizione risolve completamente, né il rigore metodologico di Beck né l'isosillabismo di Davison, che costringe tre note in un terzo della battuta. Tischler offre l'interpretazione più funzionale, ma sembra che le due seguenti note restino irrelate nel contesto, non comportando la ripetizione dei patterns ritmico-melodici sui quali si sviluppa la linea del canto.
8.
X: rigo 3, neumi 5-7. Chiave di do su terza linea; plica su primo spazio -primo rigo, due virgae (gambo corto o evanescente) su primo spazio e prima riga: sol fa – sol – la. |
X: rigo 4, neumi 1-5. Chiave di do su quarta linea; 5 virgae (di cui la quarta con gambo corto o evanescente) su terza linea: la – la – la – la – la. |
N: rigo 3, neumi 4-8. Chiave di do su quarta linea; clivis nel secondo spazio – seconda linea, virga nel secondo spazio, punctus e punctus caudatus su terza linea: sol fa – sol – la – la. | N: rigo 4 , neumi 1-4. Chiave di do su quarta linea; virga, punctus, virga (? gambo corto) e punctus (caudatus?) su terza linea: la – la – la – la. |
K: rigo 3, neumi 4-7. Chiave di do su quarta linea; clivis e virga nel secondo spazio, due punctus su terzo rigo: sol fa – sol – la – la. |
K: rigo 4, neumi 1-4. Chiave di do su quarta linea; punctus e tre punctus (caudatus): la – la – la – la. |
Tutti e tre i manoscritti sono concordi per la lezione: sol fa – sol – la – la – la – la – la – la. Tischler, forse per non sacrificare la simmetria con la prima strofa, trascrive: si – la – si – do – do – do – do. L'editore, riferito al manoscritto N, nota che la chiave è scritta una linea troppo in alto, perciò le sette note precedenti (Cfr. Nota 2b dell'edizione [15] di Tischler [15], riportata in calce alla trascrizione, dove dice che le sette note sono le "successive") sembrano essere scritte una terza più basso. Lo stesso sembra dire di X, mentre per K si suppone lo abbia lasciato sottinteso. Si vedano però le note che precedono nel rigo:
K: rigo 3, neumi 1-4. Chiave di do su quarta linea; punctus su quarta linea, punctus nel terzo spazio, pressus nel terzo spazio – terzo spazio – terza linea, tratto verticale nel terzo spazio, clivis nel secondo spazio – seconda linea: do – si – si si la – sol fa. | N: rigo 3, neumi 1-4. Chiave di do su quarta linea; virga su quarta linea, virga nel terzo spazio, pressus nel terzo spazio – terzo spazio – terza linea, tratto verticale nel terzo spazio, clivis nel secondo spazio – seconda linea: do – si – si si la – pausa – sol fa. | X: rigo 3, neumi 1-5. Chiave di do su terza linea; virga nel secondo spazio, punctus su terza linea, virga nel secondo spazio, pressus nel secondo spazio – secondo spazio – seconda linea, clivis nel secondo spazio – seconda linea: si - do – si – si si la1 – sol fa. |
1 Neuma 4: Tischler segnala una variante di X che non riscontro.
Tutti e tre i manoscritti riportano la stessa lezione; Tischler, che riscontra un errore comune alla tradizione nel posizionamento della chiave, non apporta modifiche alle note precedenti alla clivis, seppure esse si trovino sullo stesso rigo e le altezze dei suoni siano perciò soggette allo stesso parametro di notazione.
Oltre alle notevoli variazioni che diversificano la seconda strofa di KNX dalla prima, e volendo considerare legittima la correzione apportata da Tischler, almeno per quanto riguarda la melodia questi tre manoscritti, non sarebbe possibile classificare il componimento come una rotrouenge, perché la struttura delle strofe sarebbe: abc|d, e non aab|c
9.
O: rigo 4, neuma 5. Chiave di do su terza linea; plica nel secondo spazio – seconda riga: si (la).
Tutti gli editori trascrivono la plica con due note di uguale valore; solo Tischler la segnala con un trattino che barra il gambo della nota discendente. Gli altri, che non trascrivono la seconda strofa, ma con un segno di ripetizione rimandano alla melodia della prima, incorrono necessariamente in una semplificazione. Infatti le trascrizioni di Davison e di Beck assegnano le note della clivis (si sol) della sillaba rai(-son), cantato nella prima strofa (Cfr. par 3), anche alla sillaba chan(-son) della seconda strofa, alla quale, nel manoscritto, è assegnata la plica in questione; Gennrich al contrario assegna ad entrambe le sillabe le note della plica (si la).
10.
O: rigo 7, neumi 3-8. Chiave di do su terza linea; climacus su terza linea – secondo spazio – primo spazio, tratto verticale nel primo spazio, punctus su terza linea, punctus nel terzo spazio, clivis su terza linea – secondo spazio, punctus su seconda linea, climacus nel secondo spazio – seconda linea – primo spazio: do si sol – pausa – do – re – do si – la – si la sol.
É il passaggio più complicato della melodia: seguendo lo schema del III, Gennrich e Tischler assegnano al primo climacus la durata di una longa perfecta, non interrompono la battuta, e vi accorpano l'inizio del verso finale, costituito da due punctus, per terminare regolarmente il piede (con brevis + brevis alterata); segue il nuovo piede: alla clivis è assegnata la durata della longa perfecta, al successivo punctus la brevis, all'ultimo climacus la brevis alterata. I due studiosi applicano quindi regolarmente i criteri già esposti. Davison e Beck, privilegiano invece la regolare pausa alla fine del verso, evidenziata dal tratto verticale – e obliterata dalle edizioni di Tischler e Gennrich come non significativa in ambito ritmico. Fanno coincidere quindi l'inizio del verso con l'inizio della battuta: entrambi conferiscono ai due punctus una durata uguale (Beck: 1/8 + 1/8; Davison: 1/4 + 1/4), e completano la battuta trascrivendo la clivis con due note di uguale lunghezza (1/8 + 1/8). Perché il mot-refrain cada su un «tempo forte», ossia ad inizio battuta, Davison è costretto ad assegnare una durata eccezionale all'ultimo punctus (=2/4) per terminare la battuta con una terzina di crome. Tischler e Gennrich, che come si è visto, si differenziano nella suddivisione adottata e nella gestione dei gruppi neumatici di tre note in prima posizione nel piede, concordano sul finale, nell'attuare una condensazione degli elementi melodici (clivis, punctus e climacus in una sola battuta) che crea una pregevole fioritura sul finale. Il riposo tra un verso e l'altro è la discordanza più apprezzabile tra gli editori, comporta infatti uno scarto nel numero delle battute. Affiorano allora due diverse concezioni strutturali della canzone: una che vede una serie di tre strofe alle quali segue una strofa più breve "dedicata" al mot-refrain, forma che forse rispecchia più fedelmente lo schema metrico testuale; può essere altrimenti intesa come una canzone di due strofe alle quali ne segue una più lunga che termina con il mot-refrain: questa interpretazione rischia di non dare alla cadenza la risonanza di cui necessita per essere recepita, risultando dispersiva all'orecchio. Beck, nel suo studio sullo chansonnier Cangé, mette in risalto l'accuratezza quasi maniacale del notatore, esperto musicista, che difficilmente scrive indicazioni superflue o confuse: anche se complica il quadro metrico della melodia, la pausa che leggiamo e che divide i due versi probabilmente non è semplicemente una svista o un segno convenzionale.
[1] Ma non ai neumi in finale di verso, o eccezionalmente alla battuta 22, per ovviare all'ambigua forma ritmica nel finale della cobla.
[2] Necessario tener presente che Tischler scrive in 6/8 e Gennrich in 6/4.
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[1] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/edizione-diplomatico-interpretativa-delle-melodie
[2] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/esecuzione-cura-del-laboratorio-lmr
[3] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/le-edizioni-musicali
[4] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/esecuzione-musicale-cura-del-laboratorio-lmr
[5] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/nota-sullesecuzione-della-melodia
[6] http://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=content/riccardo-cuor-di-leone-ja-nuns-hons-pris-ne-dira-sa-raison#
[7] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/sites/default/files/JA%20nus%20Fabiano%20-%20O.mp3
[8] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/sites/default/files/Ja%20nus%20Fabiano%20KXN%20FINALE%20-%2018%3A06%3A18%2C%2018.20.mp3
[9] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/sites/default/files/ja%20nus%20hons%20pris%20ne%20dira%20sa%20raison%2023%20apr%2014.pdf
[10] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/le-edizioni-musicali#friedrichGennrich
[11] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/sites/default/files/sinossi%20nuova_2.pdf
[12] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/analisi-delle-edizioni
[13] http://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/sites/default/files/sinossi%20nuova_2.pdf
[14] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/introduzione-1
[15] http://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/sites/default/files/sinossi%20nuova.pdf