A cura Laura Rella
Carte CANZONIERE V: 63v
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat 3793
Edizioni: Poeti del Duecento, a cura di Gianfranco Contini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, voll. 2; Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Se l'alta disclezion di voi mi chiama
(per altrui voce, non per mio aprovato)
loda, s'è per sag<g>iar, nonn-ha salute:
ma, qual ch'io sia, lo mio cor si richiama,
per vostro onor seguire e fare a grato, 5
di quanto più avesse in me vertute.
E son certo che siete colorato
d'ambra e di moscato; lo sapore
è d'ogn'altro megliore:
onde s'alegra mia mente e sta sana 10
quando v'adirizzate a mia quintana.
Chi vuole di valor sag<g>io l'usanza
le vie di verità ha tut<t>e acorte:
per altrui fallo sua grazza non père;
e quei conversa ben, chi ha lenza, 15
e 'l confessar ragion no˙lli par forte
ma diletta, chi usa tal mestere.
Dunqua, s'ag<g>io planete a grande altura
e ciascun'ha lo suo corpo formato,
celestïal nomato 20
fu per celestïal tereno usare:
per ciaschedun si salva meo parlare.
Non de' l'om molto dir là ov'è la scienza,
ché breve detto di molti è 'ntendente,
ché lunghe aringherie odo noiose: 25
sapore vene d'amara semenza,
caldo fredur'ha temperatamente,
chi 'l mezzo segue ha gioi' più saporose.
Però chi per planeta si conduce
prenda qual<unqu>e più li dà calori: 30
mag<g>ior è <'n> sol valori;
chi de lo sol veracemente imbarda
in genera<r> calor bo˙no si tarda.
Di grazza tempro, io non m'apello fiele,
né di sapienza non mi gitto fora, 35
né di ciò degno sia d'aver convento;
ma 'nver' di voi in croce ag<g>io le vele;
se fe' figura in terra dimora,
seguite qual più scaldavi talento.
Supercelestïal Dio e Segnore 40
in Suo corpo acontenta
chi·lLui crede; non penta;
dunque tre son li regni ov'E' sostene,
<in> corpo e sustanza, amore e bene.
Assai vi narro, se m'avete inteso 45
onde lo confessar vi de' piacere
che senza intesa no è bon giudicato:
avegna ch'io perdon' vostro ripreso,
e sol di benenanza l'ho tenere,
perché simil costume veg<g>io usato. 50
Onde pensate al primo e al secondo,
e poi, dopo 'l pensiero
non siate menzoniero:
usate propiamente veritate,
se fin pregio volete di bontate. 55
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SElalta disclezione diuoi mi chiama. p(er) altrui uocie nonp(er)mio ap(ro)uato. loda sep(er)sagia re non(n)a salute. ma quello chio sia lomio core sirichiama. p(er) uostro onore se guire efare agrato. diquanto piu auesse jnme vertute. Esono ciertto chesie te colorato. dambra edimoschato. losapore. edong naltro melgliore. onde salegra mia me nte esta sana. quando uadirizate amia quintana. |
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Kiuuole diualore sagie lusanza. leuie diuerita atute acortte. p(er)altrui fallo sua graza nompere. equelli conuerssa bene chia leanza. elcomfessare rasgione nolli pare fortte. ma dilletta chiusa tale mestere. Dumqua sagio planete agrande altura. eciaschuna lo suo corppo formato. cielestiale nomato. su p(er) cielestiale tereno usare. p(er) ciascheduno sisalua meo parllare. |
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Nonde lomo molto dire laoue lascienza. chebreue detto dimolti entendente. chelun ghe aringhiere odo noiose. sapore uene damara semenza. chaldo fredura tempe rata mente. chilmezo segue agioia piu saporosa. Pero chi p(er) planeta siconducie. prenda quale piu lida chalori. magiore solualori. chidelo sole ueracie mente jmbarda .jngie nero chalore bono sitarda. |
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Digraza tempro jononma pello fiele. nedisapienza nonmigitto fora. nedicio den gno sia dauere conuento. manuerdiuoi jncrocie agio leuele. sefe fighura jnterra dimora. seguite quale piu schandaui talento. Su p(er)cielestiale dio esengnore. jnsuo corppo a contenta. chillui crede nompenta. dumque tre sono lirengni oue sostene. corpo esusta(n)za emale ebene. |
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Assai uinarro semauete jnteso. onde locomffessare uide piaciere. che senza jntesa non ne bono giudichato. auengna chio p(er)dono uostro ripreso. esolo dibene nanza lotenere. p(er)che simile costume uegio Usato. Onde pemsate alprimo ealsecondo. epoi dopolpensiero. nonsiate menzoniero. usate p(ro)piamente ueritate. sefino presgio uolete dibontate. |
I |
SElalta disclezione diuoi mi chiama. p(er) altrui uocie nonp(er)mio ap(ro)uato. loda sep(er)sagia re non(n)a salute. ma quello chio sia lomio core sirichiama. p(er) uostro onore se guire efare agrato. diquanto piu auesse jnme vertute. Esono ciertto chesie te colorato. dambra edimoschato. losapore. edong naltro melgliore. onde salegra mia me nte esta sana. quando uadirizate amia quintana. |
Se lʹalta disclezione di voi mi chiama (per altrui vocie, non per mio aprovato) loda, sʹè per sagiare, nonn-a salute: ma, quello chʹio sia, lo mio core si richiama, per vostro onore seguire e fare a grato, di quanto più avesse jn me vertute. E sono ciertto che siete colorato dʹambra e di moschato; lo sapore è dʹognʹaltro melgliore: onde sʹalegra mia mente e sta sana quando vʹadirizate a mia quintana. |
II |
Kiuuole diualore sagie lusanza. leuie diuerita atute acortte. p(er)altrui fallo sua graza nompere. equelli conuerssa bene chia leanza. elcomfessare rasgione nolli pare fortte. ma dilletta chiusa tale mestere. Dumqua sagio planete agrande altura. eciaschuna lo suo corppo formato. cielestiale nomato. su p(er) cielestiale tereno usare. p(er) ciascheduno sisalua meo parllare. |
Ki vuole di valore sagie lʹusanza le vie di verità a tute acortte: per altrui fallo sua graza nom père; e quelli converssa bene, chi a leanza, e ʹl comfessare rasgione no˙lli pare fortte ma dilletta, chi usa tale mestere. Dumqua, sʹagio planete a grande altura e ciaschunʹa lo suo corpo formato, cielestïale nomato su per cielestïale tereno usare: per ciascheduno si salva meo parllare. |
III |
Nonde lomo molto dire laoue lascienza. chebreue detto dimolti entendente. chelun ghe aringhiere odo noiose. sapore uene damara semenza. chaldo fredura tempe rata mente. chilmezo segue agioia piu saporosa. Pero chi p(er) planeta siconducie. prenda quale piu lida chalori. magiore solualori. chidelo sole ueracie mente jmbarda .jngie nero chalore bono sitarda. |
Non deʹ lʹomo molto dire là ovʹè la scienza, che breve detto di molti è ʹntendente, ché lunghe aringhiere odo noiose: sapore vene dʹamara semenza, chaldo fredurʹa temperatamente, chi ʹl mezo segue a gioia più saporosa. Però chi per planeta si conduce prenda quale più li da chalori: magior è sol valori; chi de lo sole veraciemente jmbarda in gienero chalore bo˙no si tarda. |
IV |
Digraza tempro jononma pello fiele. nedisapienza nonmigitto fora. nedicio den gno sia dauere conuento. manuerdiuoi jncrocie agio leuele. sefe1 fighura jnterra dimora. seguite quale piu schandaui talento. Su p(er)cielestiale dio esengnore. jnsuo corppo a contenta. chillui crede nompenta. dumque tre sono lirengni oue sostene. corpo esusta(n)za emale ebene. |
Di graza tempro, io non mʹapello fiele, né di sapienza non mi gito fora, né di ciò dengno sia d’avere convento; ma ʹnverʹ di voi jn crocie agio le vele; se fe fighura in terra dimora, seguite quale più schandivi talento. Supercielestïale Dio e Segnore in Suo corpo acontenta chi˙iLui crede; nom penta; dumque tre sono li rengni ovʹEʹ sostene, corpo e sustanza e male e bene. |
V |
Assai uinarro semauete jnteso. onde locomffessare uide piaciere. che senza jntesa non ne bono giudichato. auengna chio p(er)dono uostro ripreso. esolo dibene nanza lotenere. p(er)che simile costume uegio usato. Onde pemsate alprimo ealsecondo. epoi dopolpensiero. nonsiate menzoniero. usate p(ro)piamente ueritate. sefino presgio uolete dibontate. |
Assai vi narro, se m’avete jnteso onde lo comffessar vi deʹ piacere che senza ntesa non n’è bono giudichato: avengna ch’io perdon vostro ripreso, e solo di benenanza lo tenere, perché simile costume vegio usato. Onde pemsate al primo e al secondo, e poi, dopo ʹl pensiero non siate menzoniero: usate propiamente veritate, se fin presgio volete di bontate.2 |
NOTE:
1) In V, la lettura è incerta, potrebbe essere anche sese.
Carte ms. CANZONIERE V: 63v-64r
Manoscritti: Citta del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vatican, Vat. lat 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Novo savere e novo intendimento,
novel dimando e nova risponsione,
a nuovo fatto, nuovo consigliato:
vertù non par per poco mostramento?
poco dimostro da grande intenzione 5
folle fa sag<g>io, pregio <fa> blasmato?
D'agua ven foco e foco se ne spegne;
tai cose son laudat'e non son degne,
ché 'l poco foco gran sel<v>a divora:
chi troppo parla, credo, invan lavora. 10
Lingua ch'è di parlar molto imbiadata
perde semenza e genera malizza;
sovente grana loglio in sua ricolta:
chi non vuol pregio non ha nominata,
ed omo largo non ama avarizza; 15
l'onesto schifa lo pecar talvolta:
per me lo dico e per voi veramente
ch'avem gra·libro fatto di neiente,
la via de' folli sempre seguitando
salvata rima e sentenze fallando. 20
Per due ragion' le cose intendo care:
perché son rade over per lor vertute;
ma d'este due la lor via non tenete,
ma lo contrado, per certo mi pare:
a far mesione honde scole tenute, 25
poi tra le lode es<s>er voi non volete.
D'avril de l'òra s'ha gran<de> diletto;
poi ven lo mag<g>io: cala 'l suo afetto
e perde per la troppa soverchianza,
perché di le' è troppa <l'>abondanza. 30
Poi non v'intendo e voi non m'intendete,
così conven si falli l'argomento
da l'una parte per l'altra ac<c>ertire;
io vi dimostro ciò che mi cherete:
or mio è 'l fallo o vostr'è il fallimento? 35
Così non so qual s'ag<g>ia lo gradire.
Vostro segnore assai ave in balia;
chi sua vertute fug<g>e fa follia:
prim'o secondo, fermo in trinitate,
giusta tien parte in pura deïtate. 40
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Nouo sauere e nouo jntendimento. nouello dimando enoua rispomsione. anuouo fatto nuouo comsilgliato. vertu nompare p(er)poco mostrame(n)to. poco di mostro da grande jntenzione. folle fa sagio presgio gua uenefoco efoco senespegne. tali cose sono laudate nomsono dengne. chelpoco foco grande sela diuora. chi troppo parlla credo jnuano lauora. |
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Ljlgua che diparllare molto jmbiadata. p(er)de semenza egienera maliza. souente grana lolglio jnsua ricolta. chi nonuvole presgio nona nominata. edomo largo nonama auariza. lonesto schifa lopechare tale uolta. p(er)me lodi co ep(er)uoi ueramente. chauemo gralibro fatto di neiente. lauia defolli se mpre seguitando. saluata rima esentenze fallando. |
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P(er)due rasgioni lecose jntendo chare. p(er)che sono rade ouero p(er)loro uertute. madeste due laloro uia nontenete. malo contrado p(er)ciertto mi pare. afare mesione onde scole terete. poi tralelode esere uoi nonuolete. Daurile edelora sa grandiletto. poi uene lomagio chala losuo afetto. ep(er)de p(er)latroppa souerchianza. p(er)che dille etroppa abondanza. |
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Poi nonuintendo euoi non mintendete. cosi conuene sifalli largomonto. dalu na partte p(er)laltra aciertire. jo ui dimostro cio chemi cherete. ormio el fallo ouostre ilfallimento. cosi nomso quale sagia logradire. Vostro sengnore assai aue jmballia. chisua uertute fugie fa follia. primo secondo fermo jntrinitate. giusto tiene partte jmpura deitate. |
I |
Nouo sauere e nouo jntendimento. nouello dimando enoua rispomsione. anuouo fatto nuouo comsilgliato. vertu nompare p(er)poco mostrame(n)to. poco di mostro da grande jntenzione. folle fa sagio presgio gua uenefoco efoco senespegne. tali cose sono laudate nomsono dengne. chelpoco foco grande sela diuora. chi troppo parlla credo jnuano lauora. |
Novo savere e novo jntendimento, novello dimando e nova rispomsione, a nuovo fatto, nuovo comsigliato: vertù nom pare per poco mostramento? Poco dimostro da grande jntenzione folle fa sagio, presgio blasmato? Dʹagua vene foco e foco se ne spegne; tali cose sono laudatʹe nom sono dengne, ché ʹl poco foco grande sela divora: chi troppo parlla, credo, jnvano lavora. |
II |
Ljlgua che diparllare molto jmbiadata. p(er)de semenza egienera maliza. souente grana lolglio jnsua ricolta. chi nonuvole presgio nona nominata. edomo largo nonama auariza. lonesto schifa lopechare tale uolta. p(er)me lodi co ep(er)uoi ueramente. chauemo gralibro fatto di(1) neiente. lauia defolli se mpre seguitando. saluata rima esentenze fallando. |
Ljlgua chʹè di parllare molto jmbiadata perde semenza e gienera maliza; sovente grana lolglio in sua ricolta: chi non vuole presgio non a nominata, ed omo largo non ama avariza; lʹonesto schifa lo pechare tale volta: per me lo dico e per voi veramente chʹavemo gra˙libro fatto di neiente, la via deʹ folli sempre seguitando salvata rima e sentenze fallando. |
III |
P(er)due rasgioni lecose jntendo chare. p(er)che sono rade ouero p(er)loro uertute. madeste due laloro uia nontenete. malo contrado p(er)ciertto mi pare. afare mesione onde scole terete. poi tralelode esere uoi nonuolete. Daurile edelora sa grandiletto. poi uene lomagio chala losuo afetto. ep(er)de p(er)latroppa souerchianza. p(er)che dille etroppa abondanza. |
Per due rasgioni le cose jntendo chare: perché sono rade overo per loro vertute; ma dʹeste due la loro via non tenete, ma lo contrado, per ciertto mi pare: a fare mesione onde scole terete, poi tra le lode esere voi non volete. Dʹavrile e de lʹòra sʹa gran diletto; poi vene lo magio: chala lo suo afetto e perde per la troppa soverchianza, perché di lleʹ è troppa abondanza. |
IV |
Poi nonuintendo euoi non mintendete. cosi conuene sifalli largomonto. dalu na partte p(er)laltra aciertire. jo ui dimostro cio chemi cherete. ormio el fallo ouostre ilfallimento. cosi nomso quale sagia logradire. Vostro sengnore assai aue jmballia. chisua uertute fugie fa follia. primo secondo fermo jntrinitate. giusto tiene partte jmpura deitate. |
Poi non vʹintendo e voi non mʹintendete, così convene si falli lʹargomento da lʹuna partte per lʹaltra aciertire; jo vi dimostro ciò che mi cherete: or mio è ʹl fallo o vostrʹè il fallimento? Così nom so quale sʹagia lo gradire. Vostro sengnore assai ave jm balia; chi sua vertute fugie fa follia: primʹo secondo, fermo jn trinitate, giusto tiene partte im pura deïtate. |
NOTE:
1) In V, tra di e neiente è presente una rasura di alcune lettere, pertanto queste ultime risultano illeggibili.
Carte Ms. CANZONIERE V: 64r
Manoscritti: Città del Vaticano, Bblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793 (contiene tutto il componimento). Contengono solo l'ultima stanza di canzone: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L VIII 305; Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magl VII 1208.
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000:1; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Assai m'era posato
di non voler cantare,
credendo ricelare
la benenanza e l'amoroso stato,
per nonn-adimostrare 5
là ove son tut<t>o dato,
non mi fosse furato
d'alcun malvagio per lo mio parlare.
Or m'ha sì preso amore,
che mi fa risvegliare 10
lo dolze <ri>membrare
ch'aio de lo sapore:
farò canzon di fina rimmembranza,
poi ch'io son tut<t>o ne la sua posanza.
Amor m'ave in podere, 15
distretto in sua balia
a la sua segnoria:
più ch'altra m'è 'n piacere.
Forse <per>ch'io n'avia
<cotanto> in mio podere, 20
non credea pare avere
né che d'amor più sia.
Ma poi, perseverando,
m'ha˙ffatto conoscente
ch'io lo credea neiente 25
apo ch'io trovo amando;
lo primo e 'l mezzo fue neiente a dire
apo la fine, tant'è lo gradire.
Amor, sed io valesse
quanto valer voria 30
o tut<t>a fosse mia
la terra, quanta se ne posedesse,
neiente mi paria,
s'i' da˙llui no l'avesse
o per lui la tenesse, 35
tanto mi par gioiosa gentilia.
Ch'al primo quando amai
di folle amor mi prese;
or son d'amor cortese
più ch'io non coninzai, 40
ed amo la mia donna in veritate
al mondo sag<g>ia e ferma in dietate.
Quat<t>ro son l'aulimenta
ch'ogni animal mantene
ed in vita li tene, 45
onde ciascun per sé vi s'acontenta:
la talpa in terra ha bene,
àleche in agua abenta,
calameon di venta,
la salamandra in foco si mantene. 50
Ed io sono animale,
di ciò vita non prendo,
ma pur d'amor servendo
cresce mio bene e sale:
ch'amore e la mia donna e 'l core mio 55
sono una cosa e hanno uno disio
Mia canzon d'ubidenza
e di gran gechimento,
va' là ov'è il piacimento:
pregio ed aunore tutto vi s'agenza, 60
ed ivi è 'l compimento
di tutta la valenza
senza nesuna intenza;
là ov'è mia donna fa' dimoramento:
dille che mi perdoni 65
s'aggio fallato in dire,
ch'io non posso covrire
ch'io di lei no ragioni:
ch'amore ed essa m'ha˙ffatto credente
che più gioia che i˙llor non sia neiente 70
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Assai mera posato. dino(n)uolere chantare. credendo ricielare. labenena(n)za elamoroso stato. p(er) non(n)a dimostrare. laoue sono tuto dato. nonmi fo sse furato. dalchuno maluasgio p(er)lomio parllare. ORma sipreso amo re. chemifa disuelgliare. lodolze membrare. chaio delosapore. faro chanzone difina rinmembranza. poi chio sono tuto nelasua posanza. |
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AMore maue jmpodere. distretto jmsua ballia. alasua sengnoria. piu chaltra mempiaciere. noncredea pare auere. neche damore piusia. fosse chio nauia. jnmio podere. Mapoi p(er)seuerando. maffatto conosciente. chio locredea neiente. apo chio trouo amando. loprimo elmezo fue neiente adire. apo lafine tante lo gradire. |
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AMore sedio ualesse. quanto ualere uoria. otuta fosse mia. later(r)a quanta sene posedesse. neiente miparia. si dallui nolauesse. op(er)lui latenesse. tanto mipare gioiosa gentilia. Calprimo quando amai difolle amore miprese. orsono damo re cortese. piu chio. non coninzai. edamo lamia don(n)a jnueritate. almonddo sa gia eferma jndietate. |
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Qvatro sono laulimenta. congni animale mantene. edinuita litene. onde cia schuno p(er)se uisacontenta. latalppa jnterra abene. aleche jnagua abenta. cha lameone diuenta. la salamandra jmfoco simantene. Edio sono animale dicio vita nomprendo. ma purdamore seruendo crescie mio bene esale. chamore elamia donna elocore mio. sono una cosa ean(n)o vno disio. |
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Mja chanzone dubidenza. edigrande giechimento. va laove ilpiacimento presgio edaunore tuto uisagienza. ediui elcompimento dituta laualenza. sen za nesuna jntenza. laoue lamia donna fa dimoramento. Dille chemi p(er)doni sa gio fallato jndire. chio nomposso courire. chio dillei noragioni. chamore (e) dessa maffatto credente. che piu gioia cheilloro nomsia neinete. |
I |
Assai mera posato. dino(n)uolere chantare. credendo ricielare. labenena(n)za elamoroso stato. p(er) non(n)a dimostrare. laoue sono tuto dato. nonmi fo sse furato. dalchuno maluasgio p(er)lomio parllare. ORma sipreso amo re. chemifa disuelgliare. lodolze membrare. chaio delosapore. faro chanzone difina rinmembranza. poi chio sono tuto nelasua posanza. |
Assai mʹera posato di non voler chantare, credendo ricielare la benenanza e lʹamoroso stato, per nonn-adimostrare là ove sono tuto dato, non mi fosse furato dalchuno malvasgio per lo mio parllare. Or mʹa si preso amore, che mi fa disvegliare lo dolze membrare chʹaio de lo sapore: farò chanzone di fina rinmembranza, poi ch’io sono tuto ne la sua posanza. |
II |
AMore maue jmpodere. distretto jmsua ballia. alasua sengnoria. piu chaltra mempiaciere. noncredea pare auere. neche damore piusia. fosse chio nauia. jnmio podere. Mapoi p(er)seuerando. maffatto conosciente. chio locredea neiente. apo chio trouo amando. loprimo elmezo fue neiente adire. apo lafine tante lo gradire. |
Amore mʹave im podere, distretto im sua ballia a la sua sengnoria: più ch’altra mʹè ʹm piacere. Non credea pare avere né che d’amore più sia. Fosse ch’io n’avia in mio podere. Ma poi, per severando, m’a ffatto conosciente ch’io lo credea neiente apo ch’io trovo amando; lo primo e ʹl mezo fue neiente a dire apo la fine, tantʹè lo gradire. |
III |
AMore sedio ualesse. quanto ualere uoria. otuta fosse mia. later(r)a quanta sene posedesse. neiente miparia. si dallui nolauesse. op(er)lui latenesse. tanto mipare gioiosa gentilia. Calprimo quando amai difolle amore miprese. orsono damo re cortese. piu chio. non coninzai. edamo lamia don(n)a jnueritate. almonddo sa gia eferma jndietate. |
Amore sed io valesse quanto valere voria o tuta fosse mia la tera, quanta se ne posedesse, neiente mi paria, sʹiʹ da˙ llui no l’avesse o per lui la tenesse, tanto mi pare gioiosa gentilia. Ch’al primo quando amai di folle amore mi prese; or sono d’amore cortes più ch’io non coninzai, ed amo la mia donna in veritate al monddo sagia e ferma in dietate. |
IV |
Qvatro sono laulimenta. congni animale mantene. edinuita litene. onde cia schuno p(er)se uisacontenta. latalppa jnterra abene. aleche jnagua abenta. cha lameone diuenta. la salamandra jmfoco simantene. Edio sono animale dicio vita nomprendo. ma purdamore seruendo crescie mio bene esale. chamore elamia donna elocore mio. sono una cosa ean(n)o vno disio. |
Quatro sono l’aulimenta c’ongni animale mantene ed in vita li tene, onde ciaschuno per sé vi s’acontenta: la talpa in terra a bene àlache in agua abenta, chalameone di venta, la salamadra im foco si mantene. Ed io sono animale dicio vita nom prendo, ma pur d’amore servendo crescie mio bene e sale: ch’amore e la mia donna e ʹl core mio sono una cosa e anno uno disio. |
V |
Mja chanzone dubidenza. edigrande giechimento. va laove ilpiacimento presgio edaunore tuto uisagienza. ediui elcompimento dituta laualenza. sen za nesuna jntenza. laoue lamia donna fa dimoramento. Dille chemi p(er)doni sa gio fallato jndire. chio nomposso courire. chio dillei noragioni. chamore (e) dessa maffatto credente. che piu gioia cheilloro nomsia neinete.(1) |
Mia chanzone dʹubidenza e di grande giechimento, vaʹ la ove i piacimento: presgio ed aunore tuto vi sʹagienza, ed ivi è ʹl compimento di tuta la valenza senza nesuna intenza; là ov’è la mia donna fa dimoramento: dille che mi perdoni s’agio fallato indire, ch’io nom posso covrire ch’io di llei no ragioni: ch’amore ed essa m’a ffatto credente che più gioia che illoro nom sia neiente. |
NOTE:
1)L’ultima stanza di canzone è presente anche nei manoscritti Chigiano L VIII 305 e Magliabechiano VII 1208. Da una disamina attenta di entrami gli esemplari sopra citati, si può affermare che, anche in questo caso, l’editore in apparato riporta le lezioni in grafia originale.
2) Nell’edizione critica di Menichetti la coppia di versi 19-20 è posposta alla 21-22. L’editore ha segnalato in apparato l’ordine originale presente nel manoscritto Vaticano Latino 3793.Alla destra della diplomatico- interpretativa sono stati riportati i versi come disposti nell'editore.
Carte Ms. CANZONIERE V: 64r-v
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 200o; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Donna, ciascun fa canto
di gioia per amore:
mostrano ben che 'l core
trovi merzede alquanto;
ma io nonn-ho valore, 5
ca di sospiri e pianto
sovente mi ramanto,
veg<g>endo ch'a voi piace il meo dolore.
Ma non cangio labore,
ché m'è rimaso di voi lo guardare; 10
so che noia vi pare,
ma già furare
da me l'amare
non potete, ch'io non sia servidore.
S'io servo e voi dispiace, 15
veg<g>io ben ch'è follia,
ma d'amare è la via
omo di sua ofesa render pace;
e tut<t>o ciò disia
lo mio cor, s'a voi piace, 20
e com'oro in fornace
ci afina tutavia.
Se voi par villania
da me voi ricepere
lo parlare e 'l vedere, 25
guardate a lo savere,
come valere
po<tesse> donna sanza cortesia.
Cortesia è sofrire
doglia per istagione: 30
tut<t>o ciò vuol ragione,
ch'apresso oltra<ggio> nasce l<o> disire;
s'io misi mia intenzione
in voi per me' gradire,
veg<g>io che v'è languire, 35
partir non pos' la mia openïone.
Ma questa è la cagione
ca tut<t>o ciò ch'io dico m'<è> arivato
in bono usato:
che chi è amato 40
sì è blasmato,
se non ama, <ed> in fallo si ripone.
Ponesi in fallimento
donna senza pietate;
non s'aven protestate 45
là ov'è argogliamento;
la vostra richitate
venne in dibassamento,
se per un'ira cento
ver' me, bella, mostrate. 50
La claritate
de la vostra bellezza
a me dava chiarezza
che la greve ferezza
serà dolcezza, 55
s'io tegno l'umiltate.
L'umiltate mi guida
a una dolze speranza,
ché 'l chieder pïetanza
nesun amante isfida. 60
Visto l'ho per usanza
che lo leon per grida
cresce in vita e rafida
li figli suoi di pic<c>iola possanza:
così i˙lleanza 65
poreste voi di me, bene allegrando:
s'io per usando
merzé chiamando,
uno vostro comando
mi doneria possanza. 70
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Donna ciaschuno fa chanto. digioia peramore. mostrano bene che locore. troui merzede alquanto. maio non(n)o ualore. cha dissospiri epianto. souente miramando. vegiendo chauoi piacie ilmeo dolore. Manon changio labore. chemerimaso diuoi loguardare. so chenoia uipare. magia fu rare. dame lamare. nompotete chio nomsia seruidore. |
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Sio seruo euoi dispiacie. vegio bene chefollia. ma damare elauia. omo disua ofesa rendere pacie. etuto cio disia. lomio core sauoi piacie. eco moro jnfornacie. ciafina tutauia. seuoi pa[re] uillania. dame uoi riciepere. lopar lare eluedere. guardate alosauere. come ualere. puo donna sanza cortesia. |
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Kortesia esofrire. dolglia peristasgione. etuto cio uuole rasgione. chapresso ol tra nascie ildisire. sio misi mia jntenzione. jnuoi p(er) melglio gradire. vegio che ve languire. partire nomposso lamia openione. Maquesta ela chasgione. chatu to cio chio dico mariuato. jmbono usato. chechie amato. sie blasmato. senonama(m) jmfallo siripone. |
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Ponesi jmfallimento. donna semza pietate. nomsauene potestate. laoue argol gliamento. lauostra richitate. uen(n)e jmdibassamento. se p(er) vna jra ciento. ver me bella mostrate. Laclaritate. delauostra belleza. ame daua chiareza. chela greue |
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LVmilitate miguida. auna dolze speranza. che lochiedere pietanza. nesuna ma(n)te isfida. euistolo p(er)usanza. cheloleone p(er) grida. crescie jnuita erafida. lifilgli suoi dipiciola possanza. Cosi illeanza. poreste uoi dime bene allegrando. sio p(er) usando. merze chiamando. uno uostro comando. mi doneria possanza. |
I |
Donna ciaschuno fa chanto. digioia peramore. mostrano bene che locore. troui merzede alquanto. maio non(n)o ualore. cha dissospiri epianto. souente miramando. vegiendo chauoi piacie ilmeo dolore. Manon changio labore. chemerimaso diuoi loguardare. so chenoia uipare. magia fu rare. dame lamare. nompotete chio nomsia seruidore. |
Donna, ciaschuno fa chanto di gioia per amore: mostrano bene che lo core trovi merzede alquanto; ma io nonn-o valore, cha di ssospiri e pianto sovente mi ramando, vegiendo chʹa voi piacie il meo dolore. Ma non changio labore, che mʹè rimaso di voi lo guardare; so che noia vi pare, ma già furare da me lʹamare nom potete, chʹio nom sia seruidore. |
II |
Sio seruo euoi dispiacie. vegio bene chefollia. ma damare elauia. omo disua ofesa rendere pacie. etuto cio disia. lomio core sauoi piacie. eco moro jnfornacie. ciafina tutauia. seuoi pa[re](1) uillania. dame uoi riciepere. lopar lare eluedere. guardate alosauere. come ualere. puo donna sanza cortesia. |
Sʹio servo e voi dispiace, vegio bene chʹè follia, ma dʹamare è la via omo di sua ofesa rendere pacie, e tuto ciò disia lo mio core, sʹa voi piacie, e comʹoro jn fornacie ci afina tutavia. Se voi pa[re] villania da me voi riciepere lo parlare e ʹl vedere, guardate a lo savere, come valere puo donna sanza cortesia. |
III |
Kortesia esofrire. dolglia peristasgione. etuto cio uuole rasgione. chapresso ol tra nascie ildisire. sio misi mia jntenzione. jnuoi p(er) melglio gradire. vegio che ve languire. partire nomposso lamia openione. Maquesta ela chasgione. chatu to cio chio dico mariuato. jmbono usato. chechie amato. sie blasmato. senonama(m) jmfallo siripone. |
Kortesia è sofrire dolglia per istasgione: e tuto ciò vuole rasgione, chʹapresso oltra nascie il disire; sʹio misi mia jntenzione jn vuoi per melglio gradire, vegio che vʹè languire, partire nom posso la mia openione. Ma questa è la chasgione cha tuto ciò chʹio dico mʹarivato jm bono usato: che chi è amato si è blasmato, se non ama, ʹm jmfallo si ripone. |
IV |
Ponesi jmfallimento. donna semza pietate. nomsauene potestate. laoue argol gliamento. lauostra richitate. uen(n)e jmdibassamento. se p(er) vna jra ciento. ver me bella mostrate. Laclaritate. delauostra belleza. ame daua chiareza. chela greue |
Ponesi jm fallimento donna semza pietate; nom sʹavene potestate là ovʹè argogliamento; la vostra richitate venne jm dibassamento, se per una jra ciento verʹ me, bella, mostrate. La claritate de la vostra belleza a me dava chiareza che la greve fereza serà dolcieza, sʹio tegno lʹumilitate. |
V |
LVmilitate miguida. auna dolze speranza. che lochiedere pietanza. nesuna ma(n)te isfida. euistolo p(er)usanza. cheloleone p(er) grida. crescie jnuita erafida. lifilgli suoi dipiciola possanza. Cosi illeanza. poreste uoi dime bene allegrando. sio p(er) usando. merze chiamando. uno uostro comando. mi doneria possanza. |
L’umilitate mi guida a una dolze speranza, ché lo chiedere pïetanza nesun amante isfida. E visto lʹo per usanza che lo leone per grida crescie jn vita e rafida li filgli suoi di piciola possanza: così i˙lleanza poreste voi di me, bene allegrando: sʹio per usando merzé chiamando, uno vostro comando mi doneria possanza. |
NOTE:
1) In V, le ultime due lettere della parola sono coperte da una macchia. A testo si è proceduto inserendo una possibile ipotesi di lettura, tenendo conto anche del contesto generale: pa[re].
Carte Ms. CANZONIERE V: 64v-65r
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
La mia vita, poi <ch'è> sanza conforto,
forzatamente ho misa in disperanza,
perché pietanza – non mi val cherere;
tant'è lo gran martiro ched io porto
ch'ogn'altra cosa tegno in obrïanza, 5
ed in crudel pesanza
radoppio meo podere,
pensando ch'io fui ric<c>o oltre misura
e portai gioia com'altro amadore,
poi partio con dolore 10
e l'alegranza mi torna in rancura;
di voi, gentil mia donna, fui gaudente
e presi frutto in vostra degnitate:
ed or v'è niquitate
senza ofension di farmene perdente. 15
Perdente, già per mia comessïone
non fui di voi; néd esser non poria
che tutavïa – di quant'io valesse,
non sia di voi, a farvi subezione,
disiderando sovente la dia 20
ch'a vostra segnoria
lo me' servir piacesse.
Com'io solëa, lasso doloroso,
prendere parte de l<o> vostro regno,
più ch'io non era degno! 25
S'io vi capesse ancor, saria gioioso.
Perciò mag<g>ior dolor deg<g>io portare,
perder la cosa ch'ag<g>io posseduta,
che s'io˙n l'avesse avuta:
seria danno, ma no sì da blasmare. 30
S'io blasmo avesse già per mio follore,
non mi doria di ciò che m'incontrasse,
e s'io merzé chiamasse,
perder ne dovria prova;
poi ch'io non sia maleal servidore, 35
non seria fallo s'io pietà trovasse
e a me s'aumilïasse
il vostro core ed a merzé si muova,
se˙lla manera e l'uso ritenete
dello leone quand'è più adirato, 40
che torna umilïato
a chi merzé li chiere, voi il savete.
E io non fino voi merzé cherendo,
e poria sucitar d'un'acoglienza
di voi meco 'n piagenza, 45
poi fineria lo mio dolor servendo.
Servendo fineria già la mia doglia
e lo penare mi saria alegranza,
sed io saver certanza
potesse de l'ofesa, 50
la qual non feci, e non saria mia voglia:
ma piace tanto a vostra gentilanza
di me dare agrestanza,
ch'io sto contento, no ne fo difesa;
e˙ll'uso del segugio vo' seguire: 55
quando il segnor lo batte più cocente,
se 'l chiama, di presente
e' torna, e mette in gioia lo languire;
se tal manera a me tener non vale,
convene a me stesso es<s>ere nemico: 60
poi non truovo omo amico,
de le mie man' sarònne micidiale.
Ahïmè lasso, che dirà la gente,
se la vostra bellezza è dispietata?
Serà per me blasmata, 65
abiendo pregio, di crudalitate.
Dipo la morte, l'arma mia dolente
di ciò si crederà esser dannata:
perciò sia acomandata
a voi, ch'avete in ciò la libertate: 70
ch'i' odo dir ch'al pulican divene
che sucita li suo figli di morte,
e certo no gli è forte,
ma fug<g>e il suo dolore e 'n gioia rivene:
così poreste surgere e amendare 75
la morte e 'l fallo, e sariavi leg<g>ero,
se per lo mio preghero
doveste solo un'ora aumilïare.
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Lamia uita poi sanza comfortto. forzatamente omisa jmdisperanza. p(er) che pieta nza non mi uale cherere. tante logrande martiro chedio portto. congnal tra cosa rengno dere. Pemsando chio fui rico oltre misura. eportai gioia comaltro amadore. poi partio condolore. elalegranzamitorna jnranchura. diuoi gientile mia donna fui gaudente. epresi frutto jnuostra dengnitate. edora uer niquitate. senza ofensione di farmene p(er)dente. |
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P(er)dente nongia p(er)mia comessione. nomfui diuoi nedessere nomporia. chetuta uia. diquantio ualesse. nomsia di uoi afarui subezione. disiderando souente ladia. chauostra sengnoria. lome seruire piaciesse. Comio sollea lasso doloroso. prendere partte deluostro rengno. piu chio nonera dengno. sio uichapesse ancora saria gioio so. p(er)cio magiore dolore degio portare. perdere lacosa chagio posseduta. chesio nolauesse auuta. seria danno mano sidablasmare. |
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Sjo blassimo auesse gia p(er) mio follore. nonmi doria dicio chemincontrasse. esio merze chiamasse. p(er)dere nedoueria proua. poi chio nomsia maleale seruido re. nomseria fallo sio pieta trouasse. eame sadumiliasse. il uostro core edamerze simuoua. Sella nauera elvsuo ritenete. delloleone quande piu adirato. che[to]rna umiliato. achi merze lichiere uoi il sauete. eio nomfino uoi merze cherendo[ue]. eporia sucitare duna colglienza. diuoi me compiagienza. poi fineria lo mio dolore seruendo. |
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Seruendo fineria gia lamia dolglia. elo penare misaria alegranza. sedio sauere ciertanza. potesse delofesa. laquale nomfeci enomsaria mia uolglia. ma piacie tanto auostra gientileza. dime dare agresteza. chio sto contento none fo difesa. Elluso delseghuscio uolglio seguire. quando ilsengnore lobatte piu co ciente. selchiama dipresente. etorna e mette jngioia lolanguire. setale manera ame tenere nonuale. conuene ame stesso esere nemico. poi chio nontruouo omoamico. dele mie mani saron(n)ne micidiale. |
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Aime lasso chedira lagiente. selauostra belleza edispietata. sera p(er)me blasmata. abi endo presgio dicrudalitate. djpo ssere dannata. p(er)cio sia acomandata. auoi chauete jncio lal lpulichano diuene. chesucita lisuo filgli dimortte. eciertto nolglie fortte. mafugie il suo dolore engioia riuene. cosi poreste surgiere eamendare. lamortte elfallo esaria vi legiero. sep(er)lo mio preghero. doueste solo unora |
I |
Lamia uita poi sanza comfortto. forzatamente omisa jmdisperanza. p(er) che pieta nza non mi uale cherere. tante logrande martiro chedio portto. congnal tra cosa rengno dere. Pemsando chio fui rico oltre misura. eportai gioia comaltro amadore. poi partio condolore. elalegranzamitorna jnranchura. diuoi gientile mia donna fui gaudente. epresi frutto jnuostra dengnitate. edora uer niquitate. senza ofensione di farmene p(er)dente. |
La mia vita, poi sanza comfortto, forzatamente o misa jm disperanza, perché pietanza non mi vale cherere; tantʹè lo grande martiro ched io portto cʹognʹaltra cosa rengno jn obrïanza, ed jn crudele pesanza raddoppio meo podere, pemsando chʹio fui rico oltre misura e portai gioia comʹaltro amadore, poi partio con dolore e lʹalegranza mi torna jn ranchura; di voi, gientile mia donna, fui gaudente e presi frutto jn vostra dengnitate: ed ora ver niquitate senza ofensione di farmene perdente. |
II |
P(er)dente nongia p(er)mia comessione. nomfui diuoi nedessere nomporia. chetuta uia. diquantio ualesse. nomsia di uoi afarui subezione. disiderando souente ladia. chauostra sengnoria. lome seruire piaciesse. Comio sollea lasso doloroso. prendere partte deluostro rengno. piu chio nonera dengno. sio uichapesse ancora saria gioio so. p(er)cio magiore dolore degio(4) portare. perdere lacosa chagio posseduta. chesio nolauesse auuta. seria danno mano sidablasmare. |
Perdente, non già per mia comessïone nom fui di voi; nèd essere nom poria che tutavïa di quantʹio valesse, nom sia di voi, a farvi subezione, disiderando sovente la dia chʹa vostra sengnoria lo meʹ servire piaciesse. Comʹio sollëa, lasso doloroso, prendere partte de l vostro rengno più chʹio non era dengno! Sʹio vi chapesse ancora, saria gioioso. Perciò magiore dolore degio portare, perdere la cosa chʹagio posseduta, che sʹio no lʹavesse avuta: seria danno, ma no sì da blasmare. |
III |
Sjo blassimo auesse gia p(er) mio follore. nonmi doria dicio chemincontrasse. esio merze chiamasse. p(er)dere nedoueria proua. poi chio nomsia maleale seruido re. nomseria fallo sio pieta trouasse. eame sadumiliasse. il uostro core edamerze simuoua. Sella nauera elvsuo(1) ritenete. delloleone quande piu adirato. che[to]rna(2) umiliato. achi merze lichiere uoi il sauete. eio nomfino uoi merze cherendo[ue].(3) eporia sucitare duna colglienza. diuoi me compiagienza. poi fineria lo mio dolore seruendo. |
Sʹjo blassimo avesse già per mio follore, non mi doria di ciò che mʹincontrasse, e sʹio merzé chiamasse, perdere ne doveria prova; poi chʹio nom sia maleale servidore nom seria fallo sʹio pietà trovasse e a me sʹadumilïasse il vostro core ed a merzé si muova, se˙lla navera e lʹusuo ritenete dello leone quandʹè più adirato, che [to]rna umilïato a chi merzé li chiere, voi il savete. E io nom fino voi merzé cherendo[ue] e poria suscitare dʹunʹacolglienza di voi meco ʹm piagienza, poi fineria lo mio dolore servendo. |
IV |
Seruendo fineria gia lamia dolglia. elo penare misaria alegranza. sedio sauere ciertanza. potesse delofesa. laquale nomfeci enomsaria mia uolglia. ma piacie tanto auostra gientileza. dime dare agresteza. chio sto contento none fo difesa. Elluso delseghuscio uolglio seguire. quando ilsengnore lobatte piu co ciente. selchiama dipresente. etorna e mette jngioia lolanguire. setale manera ame tenere nonuale. conuene ame stesso esere nemico. poi chio nontruouo omoamico. dele mie mani saron(n)ne micidiale. |
Servendo fineria già la mia dolglia e lo penare mi saria alegranza, sed io savere ciertanza potesse de lʹofesa, la quale nom feci, e nom saria mia volglia: ma piacie tanto a vostra gientileza di me dare agresteza, chʹio sto contento, no ne fo difesa; e˙llʹuso del seghuscio volglio seguire: quando il segnore lo batte più cociente, se ʹl chiama, di presente eʹ torna, e mette jn gioia lo languire; se tale manera a me tenere non vale, convene a me stesso esere nemico: poi chʹio non truovo omo amico de le mie mani sarònne micidiale. |
V |
Aime lasso chedira lagiente. selauostra belleza edispietata. sera p(er)me blasmata. abi endo presgio dicrudalitate. djpo ssere dannata. p(er)cio sia acomandata. auoi chauete jncio lal lpulichano diuene. chesucita lisuo filgli dimortte. eciertto nolglie fortte. mafugie il suo dolore engioia riuene. cosi poreste surgiere eamendare. lamortte elfallo esaria vi legiero. sep(er)lo mio preghero. doueste solo unora |
Aïmè lasso, che dirà la giente, se la vostra belleza è dispietata? Serà per me blasmata, abiendo presgio, di crudalitate. Djpo la mortte, l’arma mia dolente di ciò si crederà mia dolente di ciò si crederà essere dannata: perciò sia acomandata a voi, chʹavete jn ciò la ljbertate: chʹiʹ odo dire chʹal pulichano divene che suscita li suo filgli di mortte, e ciertto no lgli è fortte, ma fugie il suo dolore eʹn gioia rivene: così poreste surgiere e amendare la morte e ʹl fallo, e sariavi legiero, se per lo mio preghero doveste solo unʹora adumiliare. |
NOTE:
3) In V, le ultime due lettere sono quasi illeggibili, A testo di è proceduto inserendo una possibile ipotesi di lettura tenendo conto anche del contesto generale: cherendo[ue].
4) In V, g corregge una lettera scritta in precedenza che non si distingue.
5) In V, djpoi corregge dapoi
Carte Ms. CANZONIERE V: 65r
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793.
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Lungiamente portai
mia ferita in celato
e fui temente di dir mia doglienza;
tut<t>o in me 'maginai
vostro prencipio stato, 5
credendo in voi campar per ubidenza:
ché la valenza – di voi, donna altera,
fueme pantera – e presemi d'amore
come d'aulore
<che> d'essa <ven> si prende ogn'altra fera: 10
così di voi mi presi inamorando;
mercé chiamando, – istato son cherente,
se fosse a voi piacente,
di dare ancor ciò che dimostro in cera.
Acciò ch'io più celare 15
non posso il mio tormento,
gentil donna, lo dicer mi convene:
tanto mi sforza amare,
ch'io nonn-ho sentimento:
conosco ciò ch'i' ho che da voi vene; 20
e gioia e pene – e quant'ho di possanza
mi veste amanza – più ch'io non so dire.
Del mio ag<g>echire
convene ormai a voi aver pietanza,
ché 'l mio penare a blasmo non tornasse: 25
s'eo più v'adimandasse,
dotto non si paresse ciò ch'io porto:
però voria far porto
del mio lontano ateso in benenanza.
Quando penso ed isguardo 30
la vostra gran bieltate,
in ciascun membro sento li sospiri,
cotanto n'ho riguardo
de lo tardar che fate
non perdan ciò, ond'atendon disiri. 35
Oh i dolzi smiri – e la gaia fazzone!
Del parpaglione – aver mi par natura,
che si mette a l'arsura
per lo chiaror del foco a la stagione:
così m'aven, di voi, bella, veg<g>endo, 40
che mi moro temendo,
cherendo a voi merzede,
ed ancora con fede
che mi doniate, s'ag<g>io in voi ragione.
Per lungo atendimento 45
ogne frutto pervene
veracemente a sua stagione e loco;
al mio coninzamento
simile non avene,
ché, com' più tardo, più dimoro in foco. 50
Se nonn-ha loco – in voi merzé cherere,
non pò parere – in me vita gioiosa,
ma com' fa l'antalosa
conven ch'io facc<i>a a giusto mio podere,
ch'a l'albero là dove più costuma 55
sì si consuma – per lo suo diletto:
ed io simile aspetto:
se non mi date, non posso valere.
Poi che per me non vaglio,
se da voi non proseg<g>io, 60
dunque, s'io prendo, vostr'è la fatura:
piacc<i>avi il mio travaglio,
ché, quant'io più vi veg<g>io,
sento lo core in più cocente arsura:
ed ho paura, – se non provedete, 65
però che voi <'l> volete,
poi ched i' voi non ag<g>io,
esendo in vostro omag<g>io;
ed io mi moro e pietà non avete.
Ben fora ormai stagion, tant'ho soferto 70
di voi amar coverto,
d'avere alcuna gioia
anzi cad io mi moia:
poria campar, se voi mi socorete.
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Lontanamente portai. mia feritta jncielato. e fui temente didire mia dolglienza. tuto jnme maginai. uostro prencipio stato. credendo jnuoi champare p(er) ubidenze. Chelaualenza. diuoi donna altera. fue me pantera. epresemi damore. come daulore. dessa siprende ongnaltra fera. cosi diuoi mipresi jnamorando. mercie chiamando. istato sono |
![]() |
Accio chio piu cielare. nomposso ilmio tormento. gientile donna lodiciere miconuene. tanto misforza amare. chio non(n)o sentimento. conosco cio chio che dauoi uene. E gioia epene. equanto dipossanza. miueste amanza. piu chio nomso dire. del mio agie chire. convene ormai auoi auere pietanza. chelmio penare ablasmo nontornasse. seo piu ua dimandasse. detto nomsi paresse cio chio portto. delmio lontano ateso jmbene nanza. |
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Quando pemsso edisguardo. lauostra grande bieltate. jnciaschuno membro sento li sospiri. cotanto no riguardo. delotardare chefate. nomp(er)dano cio ondatendono di siri. Oidolzi smiri. elagaia fazone. uere mipare natura. chesimette alalrsura. p(er) lo chiarore del foco alastasgione. cosi mauene diuoi bella uegiendo. chemimoro temendo. cherendo auoi merzede. edancora comfede. che midoniate sagio jnuoi rasgione. |
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P(er)lungo atendimento. ongne frutto p(er)uene. ueraciemente asua stagione eloco. almio nascime nto. simile nonauene. che compiu tardo piu dimoro jmfoco. Se non(n)a loco. jnuoi merze cherere. nompo parere. jnme uita gioiosa. ma comfa lon talosa. conuene chio facca agiusto mio podere. chalalbero ladoue piu costuma. sisi comsuma. p(er)losuo dilletto. edio simile aspetto. senonmidate nomposse ualere. |
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Poi che p(er)me non ualglio. sedauoi nomp(ro)segio. dunque sio prendo uostre lafatura. piaciaui ilmio traualglio. che quantio piu miuegio. sento locore jmpiu cociente arsura. Edo paura. senomp(ro)uedete. moro cheuoi uolete. poi che diuoi nonagio. e sendo jnuostro omagio. edio mimoro epieta non auete. bemfora ormai stasgione tanto sofertto. diuoi amare couertto. dauere alchuna gioia. a[nzi] chadio mi moia. poria champare seuoi miso corrette. |
I |
Lontanamente portai. mia feritta jncielato. e fui temente didire mia dolglienza. tuto jnme maginai. uostro prencipio stato. credendo jnuoi champare p(er) ubidenze. Chelaualenza. diuoi donna altera. fue me pantera. epresemi damore. come daulore. dessa siprende ongnaltra fera. cosi diuoi mipresi jnamorando. mercie chiamando. istato sono |
Lontanamente portai mia ferita jn cielato e fui temente di dire mia dolglienza; tuto jn me ʹmaginai vostro prencipio stato, credendo in voi champare per ubidienze: ché la valenza di voi, donna altera, fueme pantera e presemi dʹamore come dʹaulore dʹessa si prende ongnʹaltra fera: così di voi mi presi jnamorando; mercié chiamando, istato sono cherente, se fosse a voi piaciente, di dare ancora ciò che dimostro jn ciera. |
II |
Accio chio piu cielare. nomposso ilmio tormento. gientile donna lodiciere miconuene. tanto misforza amare. chio non(n)o sentimento. conosco cio chio che dauoi uene. E gioia epene. equanto dipossanza. miueste amanza. piu chio nomso dire. del mio agie chire. convene ormai auoi auere pietanza. chelmio penare ablasmo nontornasse. seo piu ua dimandasse. dotto nomsi paresse cio chio portto. delmio lontano ateso jmbene nanza. |
Acciò chʹio più cielare nom posso il mio tormento, gientile donna, lo diciere mi convene: tanto mi sforza amare, chʹio nonn-o sentimento: conosco ciò chʹiʹ o che da voi vene; e gioia e pene e quantʹo di possanza mi veste amanza più chʹio nom so dire. Del mio agiechire convene ormai a voi avere pietanza, che ʹl mio penare a blasmo non tornasse: sʹeo più vʹadimandasse, detto nom si paresse ciò chʹio portto: però voria fare portto del mio lontano ateso jm beneanza. |
III |
Quando pemsso edisguardo. lauostra grande bieltate. jnciaschuno membro sento li sospiri. cotanto no riguardo. delotardare chefate. nomp(er)dano cio ondatendono di siri. Oidolzi smiri. elagaia fazone. uere mipare natura. chesimette alalrsura. p(er) lo chiarore del foco alastasgione. cosi mauene diuoi bella uegiendo. chemimoro temendo. cherendo auoi merzede. edancora comfede. che midoniate sagio jnuoi rasgione. |
Quando pemso ed isguardo la vostra grande bieltate, jn ciaschuno membro sento li sospiri, cotanto nʹo riguardo de lo tardare che fate nom perdano ciò, ondʹatendono disiri. O i dolzi smiri e la gaia fazone! Del parpalglione avere mi pare natura, che si mette a lʹalrsura per lo chiarore del foco a la stasgione: così mʹavene, di voi, bella, vegiendo, che mi moro temendo, cherendo a voi merzede ed ancora con fede che mi doniate sagio jn voi rasgione. |
IV |
P(er)lungo atendimento. ongne frutto p(er)uene. ueraciemente asua stagione eloco. almio nascime nto. simile nonauene. che compiu tardo piu dimoro jmfoco. Se non(n)a loco. jnuoi merze cherere. nompo parere. jnme uita gioiosa. ma comfa lon talosa. conuene chio facca agiusto mio podere. chalalbero ladoue piu costuma. sisi comsuma. p(er)losuo dilletto. edio simile aspetto. senonmidate nomposse ualere. |
Per lungo atendimento ongne frutto pervenene veraciemente a sia stagione e loco; al mio nascimento simile non avene, ché, comʹ più tardo, più dimoro jm foco. Se nonn-a loco jn voi merzé cherere, nom po’ parere jn me vita gioiosa, ma comʹ fa lʹontalosa convene chʹio facca a giusto mio podere, chʹa lʹalbero la dove più costuma sì si comsuma per lo suo diletto: ed io simile aspetto: se non mi date, nom posse valere. |
V |
Poi che p(er)me non ualglio. sedauoi nomp(ro)segio. dunque sio prendo uostre lafatura. piaccaui ilmio traualglio. che quantio piu miuegio. sento locore jmpiu cociente arsura. Edo paura. senomp(ro)uedete. moro cheuoi uolete. poi che diuoi nonagio. e sendo jnuostro omagio. edio mimoro epieta non auete. bemfora ormai stasgione tanto sofertto. diuoi amare couertto. dauere alchuna gioia. a[nzi](1) chadio mi moia. poria champare seuoi miso corrette.(2) |
Poi che per me non valglio, se da voi nom prosegio, dunque, sʹio prendo, vostrʹè la fatura: piaciavi il mio travaglio, ché, quantʹio più mi vegio, sento lo core jm più cociente arsura: ed o paura se nom provedete moro che voi volete, poi ched iʹ voi non agio esendo jnvostro omagio; ed io mi moro e pietà non avete. Bem fora ormai stasgione, tantʹo sofertto di voi amare covertto, dʹavere alchuna gioia a[nzi] cad io mi moia: poria champare, se voi mi socorrette. |
NOTE:
2) In V, al termine di questa canzone è stato lasciato uno spazio bianco dal copista per circa quattro righe.
Carte Ms. CANZONIERE V: 65v
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793.
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Or vo' cantar, e poi cantar mi tene
ch'è 'l merito d'amor con benenanza,
in allegranza – affanno m'è tornato:
mille mercé a l'amoroso bene
che dispietò ver' me con orgoglianza, 5
poi d'umilianza – m'ha rico<r> donato.
A tal m'ha dato – che mi fa parere
gioia la pena e l<o> tormento gioco,
ag<g>end'io parte e loco
nel suo nobil savere; 10
ch'io già per me contare io no 'l savria
la sua bieltade quant'è poderosa,
che l'aira tenebrosa,
s'apare, fa parer di notte dia.
Dunqua, s'io canto, ben ag<g>io ragione: 15
membrando a la sua gaia portatura
ogne rancura – aver deg<>io 'n obrio;
si˙llargamente me ha fatto mesione,
che 'n un voler congiunt'ha sua natura
meco, si ch'io paura 20
non ho di perder mai lo suo disio.
Ma tegno in fio
<da lei> la propietà della mia vita,
perch'io con gioia la presi non forzando,
ma, pur merzé chiamando, 25
degnò di darmi gioiosa compita:
ond'io son ric<c>o da˙llei, conoscendo
che 'l suo valore avanti m'ha corètto
de lo dispetto
dov'era, <pur> pensando, ritemendo. 30
Io portai mia feruta lungiamente
celata, ch'io non volli adimostrare
per non gravar – la sua ferma conscienza:
fe' com'omo salvag<g>io veramente:
quand'ha rio tempo, forza lo cantare 35
co lo sperare
ca 'l buon vegna, ch'abassi sua doglienza.
Così pura credenza
avea tutor nel suo ric<c>o valore,
ch'io non sana dal suo ben dipartito 40
s'io le stesse gechito,
ma avanzerei com'altro servidore:
onde 'l suo pregio m'ha tut<t>o donato
più che medesmo lei non dimandai;
ond'io ringrazzo ormai 45
amore e˙llei e 'l mio dolze aspetato.
Ringrazzo voi, di fin cor merzé rendo:
merzé, mia donna, ancor degno non sia
sì alta segnoria – me aquistare;
e s'io n'avesse parte pur veg<g>endo, 50
sereb<b>e altura di gran gentilia,
non che balia – di voi senz'esser pare.
Perzò laudare
mi converia, ma non son sì sennato
che 'l vostro pregio a me si convenisse; 55
ma, come 'l sag<g>io disse,
chi non pò tut<t>o, alquanto gli è serbato:
però pregio, valore e caunoscenza
in voi sormonta e tut<t>o acompimento
e più ben per un cento 60
ch'io divisar non so per la mia scienza.
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OR uolglio chantare poi chantare mitene. chelmerito damore combenena(n)za. jnallegranza. affanno me tornato. mille mercie alamoroso bene. chedi spieto uer me conorgolglianza. poi dumilianza. marico donato. A tale ma dato. chemifa parere. gioia lapena eltormento gioco. agiendio partte e loco. nel suo nobile sauere. chio gia p(er)me contare io nolsauria. lasua bieltade quante poderosa. chelaira tenebrosa. sapare faparere dinotte dia. |
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DVmqua sio chanto benagio rasgione. membrando alasua gaia porttatura. ongne ranchura. auere degio nobrio. sillargamente mena fatto mesione. chenu(n) volere congiunta suanatura. meco si chio paura. nono dip(er)dere mai losuo di sio. Matengno jmfio. lap(ro)pieta dellamia uita. p(er) chio congioia lapresi nomforzando. mapura me(r)ze chiamando. dengno didarmi lagioiosa compita. ondio sono rico da llei conosciendo. chel suo ualore auanti ma coretto. delo dispetto. douera pensan do ritemendo. |
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Ioporttai mia feruta lungiamente. cielata chio nonuolli adimostrare. p(er) nongra uare. lasua ferma conoscienza. fe como mo saluagio ueramente. quanda rio temppo forza locantare. colosperare. chalbuono uengna chabassi sua dolglienza. Cosi pura credenza. auea tutora nelsuo rico ualore. chio nomsaria dalsuo bene dipartito. sio lestesse gie chito. ma auanzerei comaltro seruidore. ondelsuo pre sgio matuto donato. piu che medesimo lei nondimandai. ondio ringrazo or mai. amore ellei elmio dolze aspetato. |
![]() |
Rjngrazio uoi difino core merze rendo. me(r)ze mia donna ancora dengno nomsia. sialta sengnoria. me acquistare. esio nauesse partte p(er) uno giendo. serebe altura digrande gientilia. nonche ballia. diuoi senzessere pare. P(er)zo laudare. miconueria ma no(n) sono sisen(n)nato. cheluostro presgio ame sico nue nisse. maco mel sagio disse. chi nompo tuto alquanto glie serbato. pero presgio ualore (e) chaunoscienza. jnuoi formata etuto acompimento. epi diui sare nomso p(er) la mia scienza. |
I |
OR uolglio chantare poi chantare mitene. chelmerito damore combenena(n)za. jnallegranza. affanno me tornato. mille mercie alamoroso bene. chedi spieto uer me conorgolglianza. poi dumilianza. marico donato. A tale ma dato. chemifa parere. gioia lapena eltormento gioco. agiendio partte e loco. nel suo nobile sauere. chio gia p(er)me contare io nolsauria. lasua bieltade quante poderosa. chelaira tenebrosa. sapare faparere dinotte dia. |
Or volglio chantar, e poi chantare mi tene chʹè ʹl merito dʹamore com benenanza, jn allegranza affanno mʹè tornato: mille mercié a l’amoroso bene che dispietò verʹ me con orgoglianza, poi dʹumilianza mʹa rico donato. A tale mʹa dato che mi fa parere gioia la pena e lʹ tormento gioco, agiendʹio partte e loco nel suo nobile savere; chʹio già per me contare io no˙l savria la sua bieltade quantʹè poderosa, che lʹaira tenebrosa, sʹapare, fa parere di notte dia. |
II |
DVmqua sio chanto benagio rasgione. membrando alasua gaia porttatura. ongne ranchura. auere degio nobrio. sillargamente mena fatto mesione. chenu(n) volere congiunta suanatura. meco si chio paura. nono dip(er)dere mai losuo di sio. Matengno jmfio. lap(ro)pieta dellamia uita. p(er) chio congioia lapresi nomforzando. mapura me(r)ze chiamando. dengno didarmi lagioiosa compita. ondio sono rico da llei conosciendo. chel suo ualore auanti ma coretto. delo dispetto. douera pensan do ritemendo. |
Dumqua, sʹio chanto, ben agio rasgione: membrando a la sua gaia porttatura ogne ranchura avere degio ʹn obrio; si˙llargamente me nʹa fatto mesione, che ʹn un volere congiuntʹa sua natura meco, si chʹio paura non o di perdere mai lo suo disio. Ma tengno jm fio la propietà della mia vita, perchʹio con gioia la presi nom forzando, ma, pura merzé chiamando, dengnò di darmi la gioiosa compita: ondʹio sono rico da˙llei, conosciendo che ʹl suo valore avanti mʹa corètto de lo dispetto dovʹera, pensando, ritemendo. |
III |
Ioporttai mia feruta lungiamente. cielata chio nonuolli adimostrare. p(er) nongra uare. lasua ferma conoscienza. fe como mo saluagio ueramente. quanda rio temppo forza locantare. colosperare. chalbuono uengna chabassi sua dolglienza. Cosi pura credenza. auea tutora nelsuo rico ualore. chio nomsaria dalsuo bene dipartito. sio lestesse gie chito. ma auanzerei comaltro seruidore. ondelsuo pre sgio matuto donato. piu che medesimo lei nondimandai. ondio ringrazo or mai. amore ellei elmio dolze aspetato. |
Io porttai mia feruta lungiamente cielata, chʹio non volli adimostrare per non gravare la sua ferma conoscienza: feʹ comʹomo salvagio veramente: quandʹa rio temppo, forza lo cantare co lo sperare cha ʹl buono vengna, chʹabassi sua dolglienza. Così pura credenza avea tutora nel suo rico valore, chʹio nom saria dal suo bene dipartito sʹio le stesse giechito, ma avanzerei comʹaltro servidore: onde ʹl suo presgio mʹa tuto donato più che medesimo lei non dimandai; ondʹio ringrazo ormai amore e˙llei e ʹl mio dolze aspetato. |
IV |
Rjngrazio uoi difino core merze rendo. me(r)ze mia donna ancora dengno nomsia. sialta sengnoria. me acquistare. esio nauesse partte p(er) uno giendo. serebe altura digrande gientilia. nonche ballia. diuoi senzessere pare. P(er)zo laudare. miconueria ma no(n) sono sisen(n)nato. cheluostro presgio ame sico nue nisse. maco mel sagio disse. chi nompo tuto alquanto glie serbato. pero presgio ualore (e) chaunoscienza. jnuoi formata etuto acompimento. epi diui sare nomso p(er) la mia scienza. (1) |
Rjngrazio voi, di fino core merzé rendo: merzé, mia donna, ancora dengno nom sia sì alta segnoria me acquistare; e sʹio nʹavesse partte per uno giendo, serebe altura di grande gientilia, non che ballia di voi senzʹessere pare. Perzò laudare mi converia, ma non sono si sennato che ʹl vostro presgio a me si convenisse; ma, come ʹl sagio disse, chi nom po’ tuto, alquanto gli è serbato: però presgio valore e chaunoscienza jn voi formata e tuto acompimento e pi bene per uno ciento chʹio divisare nom so per la mia scienza. |
NOTE:
1) In V, al termine di questa canzone è stato lasciato uno spazio bianco dal copista che per circa sei righe.
Carte Ms. CANZONIERE V: 65r-66v
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793.
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Quando mi membra, lassa,
sì com' già fui d'amore,
pensando alore
ben dovrïa languire,
veg<g>endo lo meo sire 5
me non guardare: e' passa
e gli oc<c>hi bassa;
mostra ch'io sia dolore.
Ma io nonn-ho valore
null'altro ma pesanza: 10
veg<g>endo la mia amanza – dipartire,
voria morire
o ritornare a la sua benenanza.
Ben voria ritornare,
quant'i' ho più potenza, 15
e met<t>ere ubidenza,
a ciò ch'io aver potesse ciò ch'io soglio;
non mi saria cordoglio
ma disïo trovare,
vogliendo conservare 20
compiuta sua piagenza.
Poi che di lui servenza
non ho, che deg<g>io fare?
Piangere e sospirare – tutavia,
o la sua segnoria 25
compiuta raquistare.
Eo raquistar non posso,
lassa, già mai diletto,
ch'io fallii 'l suo precetto:
son degna d'aver pena 30
più che donna terena.
Però è 'l meo sir mosso
sì fero ver' me adosso
che non cura meo detto:
dunqua, che ne raspetto? 35
Doglia e maninconia.
Da poi che m'ha 'n obria,
non so che deg<g>ia fare:
pianger e sospirare
tanto ch'amenderag<g>io la follia. 40
Lo mio greve follore,
lassa me dolorosa,
fu quand'io dispetosa
credea ch'egli altra amasse,
o che 'nver' me fallasse 45
lo suo verace amore:
s'io ne sento dolore
ragion'è, poi ched io ne fui vogliosa;
e s'io parto dogliosa
nonn-è già meraviglia. 50
Dunque, se s'asotiglia
di darmi malenanza,
convene con pietanza,
merzé cherendo, che 'nalzi le ciglia;
co le man' giunte avanti, 55
dolze 'l meo sir, piangendo,
umilmente cherendo
del mio fallir perdono:
e s'io colpata sono,
honne sospiri e pianti; 60
li miei dolor' son tanti
ch'io tut<t>a ardo ed incendo:
però, se voi veg<g>endo,
com' solete non fate,
ché moro in veritate, 65
s'io no ritorno a lo prencipio stato
ch'io v'ag<g>ia inamorato,
ubriando la fera niquitate.
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Qvando mimembra lassa. sicome gia fui damore. pemsando alore. bene douria chi bassa. mostra chio sia dolore. Maio non(n)o ualore nullaltro mapesanza. ve giendo lamia amanza. dipartire. voria morire. oritornare alasua bene nanza. |
![]() ![]() |
Bene uoria ritornare. quantio piu potenza. emetere jnubidenza. acio chio auere potesse cio chio solglio. nonmisaria cordolglio. ma disio trouare. vo gliendo comseruare. compiuta sua piagienza. poi chedillui seruenza. nono chedegio fare. piangiere esospirare. tutauia. olasua sengnoria. compiuta raquistare. |
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Eo Raquistare nomposso. lassagiamai dilletto. chio falli ilsuo precietto. sono dengna dauere pena. piu che donna terena. pero elmeo sire mosso. sifero uerme adosso. chenomchura meo detto. Dumqua cheneraspetto do lglia emaninconia. dapoi chema nobria. nomso chedegia fare. piangiere sospirare. tanto chamenderagio laffollia. |
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Lo mio greue follore. lassame dolorosa. fu quandio dispetosa. credea chegli altra amasse. ochenuer me fallasse. losuo ueracie amore. sio nesento dolore. rasgione poi chedio nefui uolgliosa. Esio partto dolgliosa. non(n)e gia me rauilglia. dumque sesasotilglia. didarmi male nanza. conuene compie tanza. merze cherendo che nalzi lecilglia. |
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Collemani giunte auanti. dolzelmeo sire piangiendo. vmile mente cheren do. delmio fallire p(er)dono. esio colpata sono. on(n)e sospiri epianti. li miei dolori sono tanti. chio tuta ardo edingiendo. pero seuoi uegiendo. comsolete nomfate. chemoro jnueritate. sio noritorno allopremcipio stato. chio uagia jnamorato. vbriando lafera niquitate. |
I |
Qvando mimembra lassa. sicome gia fui damore. pemsando alore. bene douria chi bassa. mostra chio sia dolore. Maio non(n)o ualore nullaltro mapesanza. ve giendo lamia amanza. dipartire. voria morire. oritornare alasua bene nanza. |
Quando mi membra, lassa, sì come già fui dʹamore, pemsando alore bene dovrïa languire, vegiendo lo meo sire me non guardare: eʹ passa e gli ochi bassa; mostra chʹio sia dolore. Ma io nonn o valore nullʹaltro ma pesanza: vegiendo la mia amanza di partire, voria morire o ritornare a la sua benanza. |
II |
Bene uoria ritornare. quantio piu potenza. emetere jnubidenza. acio chio auere potesse cio chio solglio. nonmisaria cordolglio. ma disio trouare. vo gliendo comseruare. compiuta sua piagienza. poi chedillui seruenza. nono chedegio fare. piangiere esospirare. tutauia. olasua sengnoria. compiuta raquistare. |
Bene voria ritornare, quantʹiʹ o più potenza, e metere jn ubidenza, a ciò chʹio avere potesse ciò chiʹio solglio; non mi saria cordolglio ma disïo trovare, vogliendo comservare compiuta sua piagienza. Poi che di llui servenza non o, che degio fare? Piangiere e sospirare tutavia, o la sua sengnoria compiuta raquistare. |
III |
Eo Raquistare nomposso. lassagiamai dilletto. chio falli ilsuo precietto. sono dengna dauere pena. piu che donna terena. pero elmeo sire mosso. sifero uerme adosso. chenomchura meo detto. Dumqua cheneraspetto do lglia emaninconia. dapoi chema nobria. nomso chedegia fare. piangiere sospirare. tanto chamenderagio laffollia. |
Eo raquistare nom posso, lassa, gia mai dilletto, chʹio fallii ʹl suo precietto: sono dengna dʹavere pena più che donna terena. Però è ʹl meo sire mosso sì fero ver me adosso che nom chura meo detto: dumqua, che ne raspetto? Dolglia e maninconia. Da poi che mʹa ʹn obria, nom so che degia fare: pianger e sospirare tanto chʹamenderagio la ffollia. |
IV |
Lo mio greue follore. lassame dolorosa. fu quandio dispetosa. credea chegli altra amasse. ochenuer me fallasse. losuo ueracie amore. sio nesento dolore. rasgione poi chedio nefui uolgliosa. Esio partto dolgliosa. non(n)e gia me rauilglia. dumque sesasotilglia. didarmi male nanza. conuene compie tanza. merze cherendo che nalzi lecilglia. |
Lo mio greve follore, lassa me dolorosa, fu quandʹio dispetosa credea chʹegli altra amasse, o che ʹnverʹ me fallasse lo suo veracie amore: sʹio ne sento dolore rasgionʹè, poi ched io ne fui volgliosa; e sʹio partto dolgliosa nonn-è già meravilglia. Dumque, se sʹasotilglia di darmi malenanza, convene com pietanza merzé cherendo, che ʹnalzi le cilglia. |
V |
Collemani giunte auanti. dolzelmeo sire piangiendo. vmile mente cheren do. delmio fallire p(er)dono. esio colpata sono. on(n)e sospiri epianti. li miei dolori sono tanti. chio tuta ardo edingiendo. pero seuoi uegiendo. comsolete nomfate. chemoro jnueritate. sio noritorno allopremcipio stato. chio uagia jnamorato. vbriando lafera niquitate. |
Co lle mani giunte avanti, dolze ʹl meo sire, piangiendo, umilemente cherendo del mio fallire perdono: e sʹio colpata sono, onne sospiri e pianti; li miei dolori sono tanti chʹio tuta ardo ed ingiendo: però, se voi vegiendo, comʹ solete nom fate ché moro jn veritate, sʹio no ritorno a llo premcipio stato chʹio vʹagia jnamorato ubriando la fera niquitate. |
Carte Ms. CANZONIERE V: 66v
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Troppo ag<g>io fatto lungia dimoranza,
lasso, ch'ïo non vidi
la dolze speme a cu' i' m'era dato:
sonne smaruto e vivone in pesanza,
ohimè, ché non m'avidi 5
del folle senno mio, che m'ha 'nganato
ed allungiato – da lo suo comando:
però è dritto ch'ogni gioia m'infragna,
poi ch'io m'alungo da la sua compagna;
e come più me ne vo alungiando, 10
men'ho di gioia e più doglio affannando.
Se mia follïa m'inganna e m'aucide
e dà pena e tormenti,
ben è ragion che nullo omo mi pianga,
ch'io sono ben come quei che si vide 15
ne l'agua infino a' denti,
e mor di sete temendo no afranga:
ma no rimanga – io ne lo scoglio afranto.
Così ag<g>‘io per somigliante eranza
smisurata la sua dolze speranza: 20
e so, s'io perdo lei cui amo tanto,
perdut'ho me a gioia e riso e canto.
Tant'aio minespreso feramente,
ch'io˙n mi sao consigliare:
gran ragion'è ch'io perisca a tal sorte, 25
ch'io faccio come 'l cecer certamente,
che si sforza a cantare
quando si sente aprossimar la morte.
E più m'è forte
la pena ov'io son dato, 30
quand'io non veg<g>io quella dolze spera,
che ne lo scuro mi donò lumera:
ohmè, s'io fosse un anno morto stato,
sì doverei a˙llei es<s>er tornato.
Sì come non si puo<t> rilevare, 35
da poi che cade giuso,
lo lëofante, ch'è di gran possanza,
mentre che gli altri co lo lor gridare
vegnon, che˙levan suso
e rendorli il conforto e la baldanza; 40
a tal sembianza,
canzon, vatene in corso
ad ogne fino amante ovunque sede,
che deg<g>iano per me gridar merzede;
ché se per lor non m'è fatto socorso, 45
fra i ternafin' del disperar son corso.
![]() |
TRoppo agio fatto lungia dimoranza. lasso chio nonuidi. ladolze speme achui mera dato. sonne smaruto euiuone jmpesanza. oime chenonma vidi. delfolle senno mio chemanganato. Edallungiato. dalasuo comando. pero edritto congni gioia minfrangna. poi chio malungo dalasua compan gna. ecome piu meneuo alungiando. meno digioia epiu dolglio affannando. |
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Semia follia minganna emaucide. eda pena etormenti. bene rasgione che nullo om(m)o mipianga. chio sono bene come quelli chesiuide. nelagua jmfino adenti. emore disete temendo nolglia franga. Manorimanga. jo nelosco lglio afranto. cosi agio p(er) somilgliante eranza. jsmisurata lasua dolze spera nza. eso sio p(er)do lei chui amo tanto. p(er)duto me |
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Tantaio minespreso feramente. chio nonmisao comsilgliare. grande ra sgione chio perischa atale sortte. chio faccio comel cieciero cierttame(n)te. chesi sforza achantare. quando sisente ap(ro)ssimare lamortte. Epiù mefortte. lapena ouio sono dato. quando nonuegio quella dolze spera. cheneloschuro midono lumera. ome sio fosse unanno mortto stato. sidouerei allei esere tornato. |
![]() |
Sicome nomsipuo rileuare. dapoi chechade giuso. loleofante che digra nde possanza. mentre cheglialtri cololoro gridare. uengono cheleuano suso. erendorlli jlcomfortto elabaldanza. Atale sembianza. chanzone uate ne jncorsso. adongne fino amante douunque sede. chedegiano p(er)me gri dare merzede. chese p(er) loro nonme fatto socorsso. fraiternafini deldi spera re sono corsso. |
I |
TRoppo agio fatto lungia dimoranza. lasso chio nonuidi. ladolze speme achui mera dato. sonne smaruto euiuone jmpesanza. oime chenonma vidi. delfolle senno mio chemanganato. Edallungiato. dalasuo comando. pero edritto congni gioia minfrangna. poi chio malungo dalasua compan gna. ecome piu meneuo alungiando. meno digioia epiu dolglio affannando. |
Troppo agio fatto lungia dimoranza, lasso, chʹïo non vidi la dolze speme a chuʹ iʹ mʹera dato: sonne smaruto e vivone jm pesanza, oimè, ché non mʹavidi del folle senno mio, che mʹa ʹnganato ed allungiato da la suo comando: però è dritto cʹongni gioia mʹinfrangna, poi chʹio mʹalungo da la sua compangna; e come più me ne vo alungiando, menʹo di gioia e più dolglio affannando. |
II |
Semia follia minganna emaucide. eda pena etormenti. bene rasgione che nullo om(m)o mipianga. chio sono bene come quelli(1) chesiuide. nelagua jmfino adenti. emore disete temendo nolglia franga. Manorimanga. jo nelosco lglio afranto. cosi agio p(er) somilgliante eranza. jsmisurata lasua dolze spera nza. eso sio p(er)do lei chui amo tanto. p(er)duto me |
Se mia follïa mʹinganna e mʹaucide e dà pena e tormenti, ben è rasgione che nullo ommo mi pianga, chʹio sono bene come quelli che si vide ne lʹagua jmfino aʹ denti, e more di sete temendo nolgli afranga: ma no rimanga jo ne lo scolglio afranto. Così agʹio per somilgliante eranza jsmisuata la sua dolze speranza: e so, sʹio perdo lei chui amo tanto, perdutʹo me gioia e riso e chanto. |
III |
Tantaio minespreso feramente. chio nonmisao comsilgliare. grande ra sgione chio perischa atale sortte. chio faccio comel cieciero cierttame(n)te. chesi sforza achantare. quando sisente ap(ro)ssimare lamortte. Epiù mefortte. lapena ouio sono dato. quando nonuegio quella dolze spera. cheneloschuro midono lumera. ome sio fosse unanno mortto stato. sidouerei allei esere tornato. |
Tantʹaio minespreso feramente, chʹio non mi sao comsilgliare: grande rasgionʹè chʹio perischa a tale sortte, chʹio faccio come ʹl cieciero cierttamente, che si sforza a chantare quando si sente aprossimare la mortte. E più mʹè fortte la pena ovʹio sono dato, quando non vegio quella dolze spera, che ne lo schuro mi donò lumera: omè, sʹio fosse un anno mortto stato, sì doverei a˙llei esere tornato. |
IV |
Sicome nomsipuo rileuare. dapoi chechade giuso. loleofante che digra nde possanza. mentre cheglialtri cololoro gridare. uengono cheleuano suso. erendorlli jlcomfortto elabaldanza. Atale sembianza. chanzone uate ne jncorsso. adongne fino amante douunque sede. chedegiano p(er)me gri dare merzede. chese p(er) loro nonme fatto socorsso. fraiternafini deldi spera re sono corsso. |
Sì come nom si puo rilevare, da poi che chade giuso, lo lëofante, chʹè di grande possanza, mentre che gli altri co lo loro gridare vengono, che˙levano susuo e rendorlli jl comfortto e la baldanza; a tale sembianza, chanzone, vatene jn corsso ad ongne fino amante dʹovunque sede, che degiano per me gridare merzede; ché se per loro non mʹè fatto socorsso, fra i ternafini del disperare sono corsso. |
NOTE:
1) In V, l’amanuense aveva iniziato a scrivere un’altra lettera, probabilmente una a che poi ha corretto con q.
Carte Ms. CANZONIERE V: 66v
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Gravosa dimoranza
faccio, poi che disparte
convenmi contro a voglia adimorare,
metendo la speranza
là ove non ag<g>io parte 5
altro che solamente tormentare,
da poi non veg<g>io possasi partire
da me punto languire:
più disïando là dov'aio spera,
penando, trovo fera 10
per me pietà e la mercé calare.
Se 'l dimoro ch'eo faccio
col pensier non m'alena,
la mia vita <porà> durare poco;
meglio è la morte avaccio, 15
che vivendo con pena:
forse ch'a l'altro mondo avrag<g>io gioco,
ché lo tormento in esto mondo avere
è per l'altro tenere,
do<v'o>gni bon <sofrente ha bon> membrato 20
secondo io veg<g>io usato:
ma per me, lasso, so ch'è tut<t>o foco.
Dunque voria partire,
se 'l mio cor concedesse,
ricanoscendo meo meglioramento; 25
ma˙nno mi vol seguire,
tant'ha sue voglie messe
in altro loco ond'è 'l suo piacimento.
Però d'amor voria fosse in usanza,
omo quand'ha pesanza, 30
ch'e<lli> trovasse la pietà incarnata,
quando fosse chiamata
secondo opera che desse tormento.
Se 'n disperar dimoro
da tutto meo disio 35
e di tornar non ag<g>io libertate,
de lo talento moro:
ché sanza 'l core mio
non posso dimorare a le contrate.
E la valente, in cui messo ag<g>io intenza, 40
s'eo non veio in presenza,
non pote gioia aver già la mia vita,
ma di crudel ferita
conven morir con fera niquitate.
Ordunque, canzonetta, 45
poi di lontana via
ti convene far <corso> a l'avenente,
dille ch'altro no aspetta
<or> la speranza mia
solo che˙llei vedere di presente; 50
e questo è ciò laond'io riprendo gioia
de la mia pena e noia,
<pur> atendendo a˙llei tosto redire:
se non torna in fallire
lo mio pensero, alegr<er>ò sovente. 55
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GRauosa dimoranza. faccio poi chedispartte. conuenemi contro auolglia adi morare. metendo lasperanza. laoue nonagio partte. altro chesola mente tormentare. Dapoi nonuegio possasi partire. dame punto lan guire. piu disiando ladouaio spera. penando trouo fera. p(er)me pieta elamerci e chalare. |
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Selodimoro cheo faccio. colpemsiero non malena. lamia uita durare poco. melglio elamortte auaccio. cheuiuendo compena. forsse chalaltro monddo auragio gioco. Chelotormento jnesto monddo auere. ep(er)laltro tenere. dongni bono membrato. secondo chio uegio usato. ma p(er)me lasso so che tuto foco. |
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Dumque uoria partire. selmio core conciedesse. richanosciendo meo meglio ramento. man(n)o miuale seguire. tanta sue uolglie messe. jnaltro loco ondelsuo pia cimento. pero damore uoria fosse jnusanza. om(m)o quanda pesanza. chetrouasse lapieta jncharnata. quando fosse chiamata. seconddo opera chedesse tormento. |
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Sendisperare dimoro. datutto meo disio. editornare nonagio libertate. delo talento moro. chesanza lo core mio. nomposso dimorare alecontrate. Ela valente jmchui messo agio jntenza. seo nonueio jmpresenza. nonpote gioia aue re gia lamia uita. ma dicrudele ferita. comuene morire comfera niquitate. |
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ORdunque chanzonetta. poi dilontana uia. ticonuene fare alauenente. dille chaltro non(n)aspetta. lasperanza mia. solo chellei uedere dipresente. Equesto (e) cio laondio riprendo gioia. delamia pena enoia. atendendo allei tosto redire. senontorna jmffallire. lomio pemsero alegro souente. |
I |
GRauosa dimoranza. faccio poi chedispartte. conuenemi contro auolglia adi morare. metendo lasperanza. laoue nonagio partte. altro chesola mente tormentare. Dapoi nonuegio possasi partire. dame punto lan guire. piu disiando ladouaio spera. penando trouo fera. p(er)me pieta elamerci e chalare. |
Gravosa dimoranza faccio, poi che dispartte convenemi contro a volglia adimorare, metendo la speranza là ove non agio partte altro che solamente tormentare, da poi non vegio possasi partire da me punto languire: più disïando là dovʹaio spera, penando, trovo fera per me pietà e la mercié chalare. |
II |
Selodimoro cheo faccio. colpemsiero non malena. lamia uita durare poco. melglio elamortte auaccio. cheuiuendo compena. forsse chalaltro monddo auragio gioco. Chelotormento jnesto monddo auere. ep(er)laltro tenere. dongni bono membrato. secondo chio uegio usato. ma p(er)me lasso so che tuto foco. |
Se lo dimoro chʹeo faccio col pemsiero non mʹalena, la mia vita durare poco; melglio è la mortte avaccio, che vivendo com pena: forsse chʹa lʹaltro monddo avragio gioco, ché lo tormento jn esto monddo avere e per lʹaltro tenere, dongni bono membrato secondo chʹio vegio usato: ma per me, lasso, so chʹè tuto foco. |
III |
Dumque uoria partire. selmio core conciedesse. richanosciendo meo meglio ramento. man(n)o miuale seguire. tanta sue uolglie messe. jnaltro loco ondelsuo pia cimento. pero damore uoria fosse jnusanza. om(m)o quanda pesanza. chetrouasse lapieta jncharnata. quando fosse chiamata. seconddo opera chedesse tormento. |
Dumque voria partire, se ʹl mio core conciedesse, richanosciendo meo meglioramento; ma˙nno mi vale seguire, tantʹa sue volglie messe jn altro loco ondʹè ʹl suo piacimento. Però dʹamore voria fosse jn usanza, omo quandʹa pesanza, chʹe trovasse la pietà jncharnata, quando fosse chiamata seconddo opera che desse tormento. |
IV |
Sendisperare dimoro. datutto meo disio. editornare nonagio libertate. delo talento moro. chesanza lo core mio. nomposso dimorare alecontrate. Ela valente jmchui messo agio jntenza. seo nonueio jmpresenza. nonpote gioia aue re gia lamia uita. ma dicrudele ferita. comuene morire comfera niquitate. |
Se ʹn disperare dimoro da tuto meo disio e di tornare non agio libertate, de lo talento moro: ché sanza lo core mio nom posso dimorare a le contrate. E la valente, jm chui messo agio jntenza, sʹeo non veio jm presenza, non pote gioia avere già la mia vita, ma di crudele ferita comvene morire com fera niquitate. |
V |
ORdunque chanzonetta. poi dilontana uia. ticonuene fare alauenente. dille chaltro non(n)aspetta. lasperanza mia. solo chellei uedere dipresente. Equesto (e) cio laondio riprendo gioia. delamia pena enoia. atendendo allei tosto redire. senontorna jmffallire. lomio pemsero alegro souente. |
Ordunque, chanzonetta, poi di lontana via ti convene fare a lʹavenente, dille chʹaltro nonn aspetta la speranza mia solo che˙llei vedere di presente; e questo è ciò laondʹio riprendo gioia de la mia pena e noia, atendendo a˙llei tosto redire: se non torna jm ffallire lo mio pemsero, alegrò sovente. |
Carte Ms. CANZONIERE V: 66v-67r
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
In voi, mia donna, misi lo mio core:
ben more
d'amore,
e neiente lo posso dipartire.
Io vivo in gra<n> temenza ed in tremore 5
tutore;
valore
non ag<g>io, ché sento lo cor partire.
Père chi cor non ave,
ma troppo è cosa grave 10
a disturbar la morte,
ch'è forte,
che no la pò om neiente fug<g>ire.
Serrato l'amore ave
lo cor con forte chiave 15
e dentro da le porte
sì forte,
che per voi, bella, volesi morire.
Se lo cor more, morire io non voglio:
cordoglio 20
ch'io soglio
aver, non averia, né nulla pena;
ma quanto vivo sanza cor, più doglio,
e sfoglio
d'orgoglio 25
la mia persona, ché cor no la mena,
però che 'n voi lo misi
e no lo ne divisi:
faccio giusta vendetta
più dritta 30
che s'io morisse, ché vivo in catena.
Non m'alegrai né risi
poi che lo core asisi
in voi, bella, c'ho detta:
più stretta 35
fia la mia vita d'ogn'altra terena.
In doglia con martìri e con penare
istare
mi pare,
poi ch'io pietate in voi, donna, non trovo; 40
e 'mpres'ho la manera e 'l costumare
d'amare:
dottare
ciascuna cosa; ad umiltà mi movo.
In tal or cominza<i>, 45
già mai
aver non credo abento:
tormento
e doglio <forte>, se˙nno provedete;
da poi ch'io 'namorai, 50
di guai
m'è fatto il nodrimento:
del compimento
non sac<c>io, donna, che talento avete.
S'io pur m'alegro e tegno in voi speranza, 55
pietanza!,
d'amanza,
non s'aumilia inver' me vostro core;
credo che per lontana adimoranza
la benenanza 60
vene in falanza,
e la gran gioia fenisce con dolore.
Dunqua, <poi zo> vedete,
tenete
la via de lo savere: 65
ch'avere
non pote donna pregio veramente,
se gaia e bella sète
e già non provedete
ciò che vi fa valere 70
e dispiacere:
pietate ed umiltate solamente.
Canzonetta, di presente t'invia,
in cortesi<a>,
chi ha balia 75
di consigliare amante disamato;
ché per sua diletosa gentilia
già m'è 'n obria
lor compagnia:
no m'abandoni perch'io sia afondato; 80
ma per me umilmente
<vadane> a l'avenente
ch'è sì dispïetosa,
sì che gioiosa
tornasse inver' di me per sua preghera; 85
che, sì m'ha lungiamente
perdente,
la mia vita dogliosa
e tenebrosa
non fosse sempre di cotal manera.
![]() |
IN uoi m(i)adonna misi lomio core. bene more. damore. eneiente loposso dipar tire. jouiuo jngrade temen za edintremore. tutore. uolore. nonagio chesen to locore partire. pere chi core nonaue. matroppo ecosa graue. adisturbare lamortte. chefortte. chenolapo omo neiente fugire. serrato lamore aue. locore comfortte chiaue. edentro dale portte. sifortte .che p(er)voi bella uolesi morire. |
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Selocore more morire jo nonuolglio. cordolglio. chio nomsolglio. auere nona veria ne nulla pena. ma quanto uiuo sanza core piu dolglio. esfolgio dorgolglio. lamia p(er)sona che core nolamena. pero chenuoi lomisi. enolonediuisi. faccio giusta uendetta piu diritta. chesio morisse cheuiuo jnchatena. nonma legr[ai] nerisi. poi chelocore asisi. jnuoi bella codetta. piu st(r)etta. fia lamia uita dongn altra terena. |
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IN dolglia co(n) martiri ecompenare. istare. mipare. poi chio pietatate jnuoi don(n)a nontrouo. empreso lamanera elcostu mare. damare. dottare. ciaschuna cosa adumilta mi mouo. Jntalora cominza. giamai. auere non credo abento. torme nto edolglio sen(n)o p(ro)uedere. dapoi chio namorai. diguai. ma drimento. del compimento. nomsacio donna chetalento auete. |
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Sio pur malegro etengno jnuoi speranza. pietanza. damanza. nomsa dumilia jnuerme uostro core. credo che p(er) lontana adimoranza. labenenanza. uene jmfa lanza. elagrangioia feniscie condolore. Dumqua uedette. etenete. lauia delo sauere. chauere. nompote donna presgio ebella sete. egia nomp(ro)uedete. ciocheuifa ualere. edispiacere. edumiltate solamente. |
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Camzonetta dipresente tinuia. jmcortesi. chia ballia. dicomsilgliare amante di samato. che p(er) sua diletosa gientilia. gia me nobria. loro compangnia. noma bandoni p(er) chio sia afondato. Map(er) me umile mente. alauenente. che si dispietosa. si chegioiosa. tornasse jnuerdime p(er) sua preghera. chesima lungiamente. p(er)dente. lamia uita do lgliosa. etenebrosa. nomfosse sempre dicotale manera. |
I |
IN uoi m(i)adonna misi lomio core. bene more. damore. eneiente loposso dipar tire. jouiuo jngrade temen za edintremore. tutore. uolore. nonagio chesen to locore partire. pere chi core nonaue. matroppo ecosa graue. adisturbare lamortte. chefortte. chenolapo omo neiente fugire. serrato lamore aue. locore comfortte chiaue. edentro dale portte. sifortte .che p(er)voi bella uolesi morire. |
In voi, mia donna, misi lo mio core: bene more dʹamore, e neiente lo posso dipartire. Jo vivo jn grade temenza ed in tremore tutore; volore non agio, ché sento lo core partire. Père chi core non ave, ma troppo è cosa grave a disturbare la mortte, chʹè fortte, che no la po’ omo neiente fugire. Serrato lʹamore ave lo core com fortte chiave e dentro da le portte si fortte, che per voi, bella, volesi morire. |
II |
Selocore more morire jo nonuolglio. cordolglio. chio nomsolglio. auere nona veria ne nulla pena. ma quanto uiuo sanza core piu dolglio. esfolgio dorgolglio. lamia p(er)sona che core nolamena. pero chenuoi lomisi. enolonediuisi. faccio giusta uendetta piu diritta. chesio morisse cheuiuo jnchatena. nonma legr[ai](1) nerisi. poi chelocore asisi. jnuoi bella codetta. piu st(r)etta. fia lamia uita dongn altra terena. |
Se lo core more, morire jo non volglio: cordolglio chʹio nom solglio avere, non averia, né nulla pena; ma quanto vivo sanza core, più dolglio, e sfolglio d’orgolglio la mia persona, ché core no la mena, però che ʹn voi lo misi e no lo ne divisi: faccio giusta vendetta più diritta che sʹio morisse, ché vivo jn chatena. Non mʹalegr[ai] né risi poi che lo core asisi jn voi, bella, c’o detta: più stretta fia la mia vita dʹongnʹaltra terena. |
III |
IN dolglia co(n) martiri ecompenare. istare. mipare. poi chio pietatate jnuoi don(n)a nontrouo. empreso lamanera elcostu mare. damare. dottare. ciaschuna cosa adumilta mi mouo. Jntalora cominza. giamai. auere non credo abento. torme nto edolglio sen(n)o p(ro)uedere. dapoi chio namorai. diguai. ma drimento. del compimento. nomsacio donna chetalento auete. |
In dolglia con martìri e com penare istare mi pare, poi chʹio pietate jn voi, donna, non trovo; eʹmpresʹo la manera e ʹl costumare d’amare: dottare ciaschuna cosa; ad umiltà mi movo. Jn tal ora cominza già mai avere non credo abento: tormento e dolglio, se˙nno provedere; da poi chʹio ʹnamorai, di guai mʹavete fatto jl nodrimento: del compimento nom sacio, donna, che talento avete. |
IV |
Sio pur malegro etengno jnuoi speranza. pietanza. damanza. nomsa dumilia jnuerme uostro core. credo che p(er) lontana adimoranza. labenenanza. uene jmfa lanza. elagrangioia feniscie condolore. Dumqua uedette. etenete. lauia delo sauere. chauere. nompote donna presgio ebella sete. egia nomp(ro)uedete. ciocheuifa ualere. edispiacere. edumiltate solamente. |
Sʹio pur mʹalegro e tengno jn voi speranza, pietanza!, dʹamanza, nom sʹadumilia jnverʹ me vostro core; credo che per lontana adimoranza la beneanza vene jm falanza, e la gran gioia feniscie con dolore. Dumqua, vedette, e tenete la via de lo savere: chʹavere nom pote donna presgio veramente, se gaia e bella sète e già nom provedete ciò che vi fa valere e dispiacere: pietate ed umiltatete solamente. |
V |
Camzonetta dipresente tinuia. jmcortesi. chia ballia. dicomsilgliare amante di samato. che p(er) sua diletosa gientilia. gia me nobria. loro compangnia. noma bandoni p(er) chio sia afondato. Map(er) me umile mente. alauenente. che si dispietosa. si chegioiosa. tornasse jnuerdime p(er) sua preghera. chesima lungiamente. p(er)dente. lamia uita do lgliosa. etenebrosa. nomfosse sempre dicotale manera. |
Camzonetta, di presente tʹinvia, jm cortesi, chi a ballia di comsilgliare amante disamato; ché per sua diletosa gientilia già mʹè ʹn obria loro compangnia: no mʹabamdoni perchʹio sia afondato; ma per me umilemente a lʹavenente chʹè sì dispïetosa, sì che gioiosa tornasse jnverʹ di me per sua preghera; che, sì mʹa lungiamente perdente, la mia vita dolgliosa e tenebrosa nom fosse sempre di cotale manera. |
NOTA:
1) In V, le ultime lettere della parola sono quasi illeggibili. A testo si è proceduto inserendo una possibile ipotesi di lettura tenendo conto anche del contesto generale: legr[ai]
Carte Ms. CANZONIERE V: 67r
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793
Edizioni: Poeti del Duecento, a cura di Gianfranco Contini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, voll. 2; Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Quand'è contrado il tempo e la stagione
ed omo ha pena contro a suo volere,
co lo pensere – adoppia suo tormento;
ché 'l mal sofrire è 'l dritto paragone
a que' ch'è sag<g>io: quando <ha> lo spiacere, 5
met<t>er piacere – inanzi a <'n>tendimento,
e bon talento – aver, ché tempo vene
che torna in bene – lo gravoso affanno,
e menda danno, – se conforto tene,
chi bona spene – non mette in inganno. 10
Ordunque, sag<g>io di savere ornato
in cui pregio ed onore era e valenza,
la soferenza – gentil cor nodrisce;
mette 'n obrïa ciò dov'ha affannato,
in bona spene mette il core e penza 15
che grave intenza – non dura e rincresce.
E ben sor<t>isce
chi nel male conforta la sua vita:
ch'i' ho in udita
che 'l pulicano sucita di morte, 20
e no gli è forte:
così la pena pò venir gioita,
chi nonn-i<n>vita – pensiero oltre grato.
Ben ho savere al sag<g>io rimembrare
ch'Adammo de lo 'nferno si partio 25
e soferio
la pena ch'amendò lo suo fallire
(non dico certo in voi fosse fallare,
ma sanza colpa giudicò sì Dio);
e tenne in fio 30
dal suo Segnor la mort' e <i> fu disire;
mostrò che lo sofrire
dovesse fare ogn'omo, in suo dolore;
e questo è lo valore,
ch'al mondo nonn-è pena sì cocente 35
che non torni piagente,
chi 'n buona spene mette lo suo core.
![]() |
QVande contrado iltempo elastasgione. edomo apena contro asuo uolere. colo pemsere. adoppia suo tormento. chelmale sofrire eldritto paragone. aqueche sagio quamdo lospiacere. metere piaciere. jnanzi aten dimento. Ebono talento. auere chetemppo uene. chetorna jmbene. lograuoso affanno. emeno da danno. seco mfortto tene. chi bona spene. no(n)mette jninganno. |
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ORdumque sagio disauere ornato. jnchui presgio edonore era eualenza. lasofere nza. gientile core nodriscie. mette nobria cio doua affannato. jmbona spene me tte ilcore epemza. chegraue jntenza. nondura erincrescie. Ebene soriscie. chi nel male comfortta lasua uita. chio jnudita. chelpuli chano sucita dimortte. enol glie fortte. cosi lapena pouenire gioita. chinonniuita. pemsiero oltre grato. |
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BEno sauere alsagio rimembrare. chadam(m)o delomferno sipartio. esoferio. lapena chamendo losuo colppa giudicosi dio. eten(n)e jmfio. dalsuo sengnore lamortte fudisire. Mostro che losofrire. douesse fare ongnomo jmsuo dolore. equesto eloualore. chalmondo non ne pena sicociente. chenontorni piagiente. chimbuona spene mette losuo core. |
I |
QVande contrado iltempo elastasgione. edomo apena contro asuo uolere. colo pemsere. adoppia suo tormento. chelmale sofrire eldritto paragone. aqueche sagio quamdo lospiacere. metere piaciere. jnanzi aten dimento. Ebono talento. auere chetemppo uene. chetorna jmbene. lograuoso affanno. emeno da danno. seco mfortto tene. chi bona spene. no(n)mette jninganno. |
Quandʹè contrado il tempo e la stasgione ed omo a pena contro a suo volere, co lo pemsere adoppia suo tormento; ché ʹl male sofrire è ʹl dritto paragone a queʹ chʹè sagio: quamdo lo spiacere, metere piaciere jnanzi a tendimento, e bono talento avere, che temppo vene che torna jm bene lo gravoso affanno, e meno da danno, se comfortto tene, chi bona spene non mette jn inganno. |
II |
ORdumque sagio disauere ornato. jnchui presgio edonore era eualenza. lasofere nza. gientile core nodriscie. mette nobria cio doua affannato. jmbona spene me tte ilcore epemza. chegraue jntenza. nondura erincrescie. Ebene soriscie. chi nel male comfortta lasua uita. chio jnudita. chelpuli chano sucita dimortte. enol glie fortte. cosi lapena pouenire gioita. chinonniuita. pemsiero oltre grato. |
Ordumque, sagio di savere ornato jn chui presgio ed onore era e valenza, la soferanza gientile core nodriscie; mette ʹn obrïa ciò dovʹa affannato, jm bona spene mette il core e pemza che grave jntenza non dura e rincrescie. E bene soriscie chi nel male comfortata la sua vita: chʹiʹ o jn udita che ʹl pulichano sucita di mortte, e no lgli è fortte: così la pena pò venire gioita, chi nonn-i vita pemsiero oltre grato. |
III |
BEno sauere alsagio rimembrare. chadam(m)o delomferno sipartio. esoferio. lapena chamendo losuo colppa giudicosi dio. eten(n)e jmfio. dalsuo sengnore lamortte fudisire. Mostro che losofrire. douesse fare ongnomo jmsuo dolore. equesto eloualore. chalmondo non ne pena sicociente. chenontorni piagiente. chimbuona spene mette losuo core. |
Ben o savere al sagio rimembrare chʹAdammo de lo ʹmferno si partio e soferio la pena chʹamendò lo suo fallire (non dico certto jm voi fosse fallare, ma sanza colpa giudicò sì Dio); e tenne jm fio dal suo Sengnore la mortte fu disire; mostrò che lo sofrire dovesse fare ongnʹomo, jm suo dolore; e questo è lo valore, chʹal mondo nonn-è pena sì cociente che non torni piagiente, chi ʹm buona spene mette lo suo core. |
Carte Ms. CANZONIERE V: 67r
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Oi lasso, lo mio partire
non pensai che fosse doglia;
credea co l'amor gioire
ed esser tut<t>o a sua voglia:
ed io ne sono alungato 5
e no lo posso vedere;
morag<g>io disconfortato
di tut<t>o il mïo piacere.
Non mi credea, perch'io gisse,
esser con doglia pensoso 10
che lo mio core ismarisse:
com'io lo sento dottoso!
Or vivo in più disperanza
che s'io fosse giudicato:
levata m'è l'alegranza, 15
ch'ag<g>io l'amor mio lasciato.
Ma quest'è lo meo disio:
ca per lungo adimorare
verà in gioia lo voler mio,
sì ch'io porò alegrare; 20
e, s'altro d'amore avene,
non serà pregio a l'amore,
ch'io afino per <mie> pene
a cui sono servidore.
Servire con umiltate 25
a chi 'l fa diven gioioso:
compie la sua volontate
di ciò ch'è stato pensoso.
Ma io non posso servire:
tanto mi sono alungato 30
che non saccio de˙redire:
Amor, voi sia acomandato.
![]() |
Oilasso lomio patire. nompenssai che fosse dolglia. credea colamore gioi re. edessere tuto alasua uolglia. Edio nesono alungato. noloposso uedere. moragio discomfortato. dituto ilmio uolere. |
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Nonmicredea p(er)chio gisse. essere condolglia pemsoso. chelomio core jsmarisse. silosento dottoso. Euiuo jmpiu disperanza. chesio fosse giudicato. leuato me la l[e]granza. chagio lamore mio lasciato. Maqueste lomio disio. cha p(er)lunga adimora si chio poro alegrare. Esaltro damore auene. nomsara presgio alamore. chi afino p(er) pene. achui sono seruidore. |
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Seruire conumiltate. achilfa diuen(n)e gioioso. compie la sua uolontate. dicio chestato pemsoso. Maio nomposso seruire. tanto misono alungato. chenomso deredire. amore uoi sia acomandato. |
I |
Oilasso lomio patire. nompenssai che fosse dolglia. credea colamore gioi re. edessere tuto alasua uolglia. Edio nesono alungato. noloposso uedere. moragio discomfortato. dituto ilmio uolere. |
Oi lasso, lo mio patire nom penssai che fosse dolglia; credea co lʹamore gioire ed essere tuto a la sua volglia: ed io ne sono alungato no lo posso vedere; moragio discomfortato di tuto il mïo volere. |
II |
Nonmicredea p(er)chio gisse. essere condolglia pemsoso. chelomio core jsmarisse. silosento dottoso. Euiuo jmpiu disperanza. chesio fosse giudicato. leuato me la l[e]granza(1). chagio lamore mio lasciato. |
Non mi credea, perchʹio gisse, essere con dolglia pemsoso che lo mio core jsmarisse: si lo sento dottoso! E vivo jm più disperanza che sʹio fosse giudicato: levato mʹè l’al[e]granza, chʹagio lʹamore mio lasciato. |
III |
Maqueste lomio disio. cha p(er)lunga adimora si chio poro alegrare. Esaltro damore auene. nomsara presgio alamore. chi afino p(er) pene. achui sono seruidore. |
Ma questʹè lo mio disio: cha per lunga adimorare verà jn gioia lo volere mio, sì chʹio porò alegrare; e, sʹaltro dʹamore avene nom sarà presgio a lʹamore, chʹiʹ afino per pene a chui sono servidore. |
IV |
Seruire conumiltate. achilfa diuen(n)e gioioso. compie la sua uolontate. dicio chestato pemsoso. Maio nomposso seruire. tanto misono alungato. chenomso deredire. amore uoi sia acomandato.(2) |
Servire con umilitate a chi ʹl fa divenne gioioso: compie la sua volontate di ciò chʹè stato pemsoso. Ma io nom posso servire: tanto mi sono alungato che nom so de˙redire: Amore, voi sia acomandato. |
NOTE:
1) In V, la seconda lettera della parola è quasi illeggibile. A testo si è proceduto inserendo una possibile ipotesi di lettura tenendo conto anche del contesto generale: l[e]granza.
2) In V, la canzone è stata trascritta due volte e numerata con il numero romano CCXII (carta 67r) nel primo caso, CCXXXVIII (carta 75v) nel secondo; confrontando l’apparato Menichetti con le lezioni originali in entrambe le carte ove si presenta il componimento, non sono da segnalare differenze nella grafia rispetto a quanto è stato riportato in apparato critico dall’editore. A termine del componimento a carta 67r è stato lasciato uno spazio bianco per circa quattro righe.
Carte Ms. CANZONIERE V: 67r
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793
Edizoni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Gentil donna, s'io canto
non vi deg<g>ia spiacere,
ché lo mi fa volere
il vostro adorno viso e la bieltate
e 'l valore, ch'è tanto 5
ch'ogn'altro dispare<re>
fate; tant'è il piacere,
ch'ogni doglienza in gioia ritornate.
Dunqua lo mio cantare
nasce di tanta altura, 10
che s'io 'l volesse, amor no lo voria:
sì mi stringe e disia,
che vuol ch'io canti sanza ricelare,
conservando l'amare
umilemente, sanza villania. 15
Madonna, rimembrando
ove credo avenire,
non m'è noia languire,
ma disïosa vita veramente:
però mi vo alegrando, 20
so˙nno de lo disire
ch'aio di pervenire
a l'adornezza che 'n voi è piagente:
ché là ove aüsate
non pò parir nebiore, 25
ma tut<t>a claritate e benenanza;
non eb<b>e in voi mancanza,
ma tut<t>a potestate,
ché l'altre riparate
quando tra esse fate dimoranza. 30
Gentil donna amorosa,
il vostro adornamento
ha tanto valimento,
che, s'io non vaglio, sì mi fa valere:
non pote star nascosa 35
la mia voglia e 'l talento:
però fa sentimento;
non ch'eo dimostri quel ch'è da tenere,
ma canto inamorato,
come fedel c'ha gioia, 40
isperando di pervenir davanti
a li disir' cotanti:
che com'i' amo sia da voi amato,
ch'altro non m'è più 'n grato
se no la vostra cera e' be' sembianti. 45
Li be' sembianti e l'amoroso viso
di voi, donna sovrana,
e 'l colore di grana
alegra la mia mente co lo core;
d'ogn'altra son diviso: 50
per voi fiorisce e grana
la mia vita e sta sana,
che senza voi non poria aver valore.
Dunque ag<g>iate voglienza
come l'amor congiunga, 55
ca per troppo tardare omo amarisce,
e gran pena patisce
chi non ha provedenza:
se 'n voi pregio s'agenza,
pietanza è quel ch'avanti lo norisce. 60
Orata donna e sag<g>ia,
assai dicer poria
di vostra gentilia,
ma dotto che per dir non si paresse:
s'amor non v'incorag<g>ia, 65
che vita fia la mia?
Quando serà la dia
ch'a le mie braccia stretta vi tenesse?
Solo per lo pensero
son mo' degno d'avere 70
altro che solo lo vostro disio.
Ben so che già 'n obrio
non mi terà lo vostro viso altero,
ma secondo mestero
de<l> meo servir riceverag<g>io in fio. 75
Vai al manoscritto
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Gjientile donna sio chanto. nonui degia spiaciere. chelomifa uolere. jluostro adorno uiso(e) labieltate. eloualore che tanto. congnaltro dispare. fate ta nte ilpiaciere. congni dolglienza jngioia ritornate. Dunqua lomio chan tare. nascie ditanta altura. che sio louolesse amore nolouoria. simi distringie e disia. cheuuole chio chanti sanza ricielare. comseruando lamare. vmile mente sanza uillania. |
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Madonna rimembrando. oue credo auenire. nonme noia languire. madisiosa vita ueramente. pero miuo alegrando. som(m)o delodisire. chaio dip(er)uenire. alador neza chemuoi epiagiente. Che laoue ausate. nompo parire lebiore. matuta cla ritate ebenenanza. nonebe jnuoi manchanza. matuta potestate. chelaltre ripa rate. quando traesse fate dimoranza. |
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Gjientile donna amorosa. iluostro adornamente. atanto ualimento. chesio nonual glio simi fa ualere. nompote stare nascoso. lamia uolglia el talento. pero fa senti mento. noncheo dimostri quello chedatenere. Machanto jnamorato. come fedele cagioia. jsperando dip(er)uenire dauanti. alidisiri cotanti. checomi amo sia dauoi amato. chaltro nonme piungrato. seno lauostra giera ebe sembianti. |
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Libelli sembianti elamoroso uiso. diuoi donna sourana. elocolore digrana. alegra lamia mente colocore. dongnaltra sono diuiso. p(er)uoi fioriscie egrana. lamia vita esta sana. che senza uoi nomporia auere ualore. Dumque agiate uolglienza. come lamore congiunga. cha p(er)troppo tardare omo amariscie. egrampena pa tiscie. chinona p(ro)uedenza. senuoi presgio sagienza. pietanza equello chauanti lono riscie. |
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ORata donna esagia. assai diciere poria. diuostra gientilia. madotto che p(er)dire nomsi paresse. samore nonuincoragia. cheuita fia lamia. quando sera ladia. ca lemie braccia stretta uitenesse. Solo p(er)lo pemsero. som(m)o dengno dauere. altro che solo louostro disio. bemso chegia nobrio. non mi tera louostro uiso altero. maseco(n) ndo mestero. demeo seruire ricieueragio jmfio. |
Gjientile donna sio chanto. nonui degia spiaciere. chelomifa uolere. jluostro adorno uiso(e) labieltate. eloualore che tanto. congnaltro dispare. fate ta nte ilpiaciere. congni dolglienza jngioia ritornate. Dunqua lomio chan tare. nascie ditanta altura. che sio louolesse amore nolouoria. simi distringie e disia. cheuuole chio chanti sanza ricielare. comseruando lamare. vmile mente sanza uillania. |
Gjientile donna, sʹio chanto non vi degia spiaciere, ché lo mi fa volere jl vostro adorno viso e la bieltate e lo valore, chʹè tanto congnʹaltro dispare fate; tantʹè il piaciere, cʹongni dolglienza jn gioia ritornate. Dunqua lo mio chantare nascie di tanta altura, che sʹio lo volesse, amore no lo voria: sì mi distringe e disia, che vuole chʹio chanti sanza ricielare, comservando lʹamare umilemente, sanza villania. |
Madonna rimembrando. oue credo auenire. nonme noia languire. madisiosa vita ueramente. pero miuo alegrando. som(m)o delodisire. chaio dip(er)uenire. alador neza chemuoi epiagiente. Che laoue ausate. nompo parire lebiore. matuta cla ritate ebenenanza. nonebe jnuoi manchanza. matuta potestate. chelaltre ripa rate. quando traesse fate dimoranza. |
Madonna, rimembrando ove credo avenire, non mʹè noia languire, ma disïosa vita veramente: però mi vo alegrando, so˙mmo de lo disire chʹaio di pervenire a lʹadorneza cheʹm voi è piagiente: ché là ove aüsate nom po’ parire lebiore, ma tuta claritate e benenanza; non ebe jn voi manchanza, ma tuta potestate, ché lʹaltre riparate quando tra esse fate dimoranza. |
Gjientile donna amorosa. iluostro adornamente. atanto ualimento. chesio nonual glio simi fa ualere. nompote stare nascoso. lamia uolglia el talento. pero fa senti mento. noncheo dimostri quello chedatenere. Machanto jnamorato. come fedele cagioia. jsperando dip(er)uenire dauanti. alidisiri cotanti. checomi amo sia dauoi amato. chaltro nonme piungrato. seno lauostra giera ebe sembianti. |
Gjientile donna amorosa, il vostro adornamente a tanto valimento, che, sʹio non valglio, sì mi fa valere: nom pote stare nascoso la mia volglia e ʹl talento: però fa sentimento; non chʹeo dimostri quello chʹè da tenere, ma chanto jnamorato, come fedele cʹa gioia, jsperando di pervenire davanti a li disiri cotanti: che comʹiʹ amo sia da voi amato, chʹaltro non mʹè più ʹn grato se no la vostra giera e be sembianti. |
Libelli sembianti elamoroso uiso. diuoi donna sourana. elocolore digrana. alegra lamia mente colocore. dongnaltra sono diuiso. p(er)uoi fioriscie egrana. lamia vita esta sana. che senza uoi nomporia auere ualore. Dumque agiate uolglienza. come lamore congiunga. cha p(er)troppo tardare omo amariscie. egrampena pa tiscie. chinona p(ro)uedenza. senuoi presgio sagienza. pietanza equello chauanti lono riscie. |
Li belli sembianti e lʹamoroso viso di voi, donna sovrana, e lo colore di grana alegra la mia mente co lo core; dʹongnʹaltra sono diviso: per voi fiorisce e grana la mia vita e sta sana, che senza voi nom poria avere valore. Dumque agiate volglienza come lʹamore congiunga, cha per troppo tardare omo amarisce, e gram pena patiscie chi non a provedenza se ʹn voi presgio sʹagienza, pietanza è quello chʹavanti lo noriscie. |
ORata donna esagia. assai diciere poria. diuostra gientilia. madotto che p(er)dire nomsi paresse. samore nonuincoragia. cheuita fia lamia. quando sera ladia. ca lemie braccia stretta uitenesse. Solo p(er)lo pemsero. som(m)o dengno dauere. altro che solo louostro disio. bemso chegia nobrio. non mi tera louostro uiso altero. maseco(n) ndo mestero. demeo seruire ricieueragio jmfio. |
Orata donna e sagia, assai diciere poria di vostra gientilia, ma dotto che per dire nom si paresse: sʹamore non vʹincoragia, che vita fia la mia? Quando serà la dia chʹa le mie braccia stretta vi tenesse? Solo per lo pemsero som moʹ dengno dʹavere altro che solo lo vostro disio. Bem so che già ʹn obrio non mi terà lo vostro viso altero, ma seconndo mestero de meo servire ricieveragio jm fio. |
Carte Ms. CANZONIERE V: 67v-68r
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Quant'io più penso, e 'l pensier più m'incende,
e quando io mi sog<g>iorno di pensare
amore non mi lascia rechïare;
inmantenente tra<r>mi a sé s'imprende:
e vuol ch'io sia servo, ancor ch'io franco sia: 5
e lungiamente io son stato servente,
di crudel' pene umìle e soferente,
voglioso di seguir tut<t>a sua via.
Poi al suo volere acordai lo talento,
e dipartì' quant'ho al suo piacere; 10
ciò fei in quel punto contro a mio volere:
or mi distringe ch'io sia a servimento.
Non m'asicura già di megliorare,
ed io non so quale mi sia il migliore
tra˙llui seguire ed esser servitore 15
od in mia franchitate dimorare.
Lasso, s'io franco met<t>omi a servag<g>io,
abiendo pena e tutor radopiando,
che me ne nasce pur dolor pensando!
E s'io lo scuso, fo contro a corag<g>io: 20
però conven da me venir l'aiuto,
ch'adimandare io non ne so consiglio;
però m'avëo che qualunque eo piglio
già non mi rende gioia né saluto.
Ordunque, se li sag<g>i e li valenti 25
hanno 'n amore la lor voglia misa,
facendone per pena non divisa,
ma seguitando tut<t>i a' suoi argomenti,
se so˙ngannati e intra li sag<g>i sono,
voglio dunque verace amor seguire; 30
e, s'io n'aquisto affanno con martire,
alcun dirà di poi ch'io sïa bono.
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QUantio piu pemsso. elpemsiero piu minciende. equando io misogiorno dipemsare. amore non(m)ilascia rechiare. jnmantenente trami ase simipre(n)de. Euuole chio sia. seruo ancora chio franco sia. elungiamente jo sono state ser vente. dicrudeli pene umileeseferente. uolglio eso diseguire tuta sua uia. |
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Poi alsuo uolere acordai lotalento. ediparti quanto alosuo piacere. ciofeci jmquello pumto contro amio uolere. ormi distringie chio sia aseruimento. Nonma sichura gia dimelgliorare. edio nomso quale misia ilmilgliore. trallui guire edessere seruitore. odin mia franchitate dimorare. Lasso sio franco metomi aseruagio. abiendo pena etutora radopiando. cheme ne nascie purdolore pemsando. esio loschuso fo contro acoragio. pero conuene dame uenire laiuto. chadimandare jo non(n)e so comsilglio. pero maueo chequalum que eo pilglio. gia nonmirende gioia nesaluto. |
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ORdumque selisagi eliualenti. anno namore laloro uolglia misa. auendone p(er) pena no(n)ndiuisa. maseguitando tuti asuoi argomenti. Sesono jngan(n)ati edintrali sagi sono. uolglio dumque ueracie amore seguire. esio naquisto affanno conmartire. alchuno dira dipoi chio sia bono. |
I |
QUantio piu pemsso. elpemsiero piu minciende. equando io misogiorno dipemsare. amore non(m)ilascia rechiare. jnmantenente trami ase simipre(n)de. Euuole chio sia. seruo ancora chio franco sia. elungiamente jo sono state ser vente. dicrudeli pene umileeseferente. uolglio eso diseguire tuta sua uia. |
Quantʹio più pemsso, e ʹl pemsiero più mʹinciende, e quando io mi sogiorno di pemsare amore non mi lascia rechïare; jnmantenente trami a sé sʹimprende: e vuole chʹio sia servo, ancora chʹio franco sia: e lungiamente jo sono state servente, di crudeli pene umile e seferente, volglio e so di seguire tuta la sua via. |
II |
Poi alsuo uolere acordai lotalento. ediparti quanto alosuo piacere. ciofeci jmquello pumto contro amio uolere. ormi distringie chio sia aseruimento. Nonma sichura gia dimelgliorare. edio nomso quale misia ilmilgliore. trallui guire edessere seruitore. odin mia franchitate dimorare. |
Poi al suo volere acordai lo talento, e dipartì quantʹo a lo suo piacere; ciò feci jm quello pumto contro a mio volere: or mi distringie chʹio sia a servimento. Non mʹasichura già di melgliorare, ed io nom so quale mi sia il milgliore tra˙llui seguire ed ed essere servitore od in mia franchitate dimorare. |
III |
Lasso sio franco metomi aseruagio. abiendo pena etutora radopiando. cheme ne nascie purdolore pemsando. esio loschuso fo contro acoragio. pero conuene dame uenire laiuto. chadimandare jo non(n)e so comsilglio. pero maueo chequalum que eo pilglio. gia nonmirende gioia nesaluto. |
Lasso, sʹio franco metomi a servagio, abiendo pena a tutora radopiando, che me ne nascie pur dolore pemsando! E sʹio lo schuso, fo contro a coragio: però convene da me venire lʹaiuto, chʹadimandare jo non ne so comsilglio; però mʹavëo che qualumque eo pilglio già non mi rende gioia né saluto. |
IV |
ORdumque selisagi eliualenti. anno namore laloro uolglia misa. auendone p(er) pena no(n)ndiuisa. maseguitando tuti asuoi argomenti. Sesono jngan(n)ati edintrali sagi sono. uolglio dumque ueracie amore seguire. esio naquisto affanno conmartire. alchuno dira dipoi chio sia bono.(1) |
Ordumque, se li sagi e li valenti anno ʹn amore la loro volglia misa, avendone per pena no(n)n divisa, ma seguitando tuti aʹ suoi argomenti, se sono jngannati ed intra li sagi sono, volglio dumque veracie amore seguire; e, sʹio nʹaquisto affanno con martire, alchuno dirà di poi chʹio sïa bono. |
NOTE:
1) In V, al termine di questa canzone è stato lasciato uno spazio bianco dal copista per circa quattro righe.
Carte Ms. CANZONIERE V: 68r-v
Manoscritti:Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Io non posso celare né covrire
ciò che m'aduce, donna, il vostro amore,
ed ho temenza, s'io ne fo sentore,
non vi dispiaccia o donivi languire;
però son di merzede cheritore: 5
che s'io fallasse, sia 'n voi 'lo parcire;
ché 'l vostro alegro viso mi fa dire
e poi ch'avete me e lo mio core.
Dunque, madonna, se l'amor mi stringe
ed hami dato al vostro servimento, 10
ben veg<g>io, tale fue 'l cominciamento,
ch'alegro deg<g>io gir là ove mi pinge:
ché 'mprima mi credea l'amore u˙nome,
mentre che 'l viso vostro non m'avinse;
da voi è nato quel che mi costrinse: 15
be˙llo direi, ma ho dottanza come.
Donna, con gran temenza incominzai
non credendo caper nel vostro regno,
ch'io già per me non era tanto degno:
m'a quel ch'io vidi, a ciò mi sicurai, 20
sì che ciò ch<ed> io vaglio da voi tegno,
e non mi credo dipartir già mai:
in tale guisa di voi inamorai,
che nel mio core pur sesto e disegno
perché lo 'ncominzare fue gioioso 25
e poi hanno seguito i be' sembianti.
Quand'io passo veg<g>endovi davanti,
lo cor si parte, a voi vien talentoso
di dicer ciò ch'io sento per amare;
a me non torna, con voi si dimora: 30
così con voi potess'io in quell'ora
es<s>ere in terzo sanza villanare!
Madonna, ben s'alegra la mia mente,
e parte dole ed ha greve dottanza
non perda per la lunga dimoranza 35
che˙molte cose fallane presente;
però conviene a voi aver pietanza
di me, con tutto ch'io non sia cherente.
Non vi dispiacc<i>a: tanto son temente,
che dicer non vi so la mia pesanza. 40
Ma fo fra me medesimo ragione,
se guerir tarda la vostra bieltate
e non avete di me pïetate,
ch'io morò, sì fort'è la condizione:
però, gentil, cortese donna e sag<g>ia, 45
non falli il vostro dolze inconinzare,
ché troppo foria forte il mio penare,
se pietà e merzé non v'incorag<g>ia.
Madonna, ciò ch'io dico è gran follore,
ché sì gran gioia, come di voi atendo, 50
è sì alta cosa che mi va p<a>rendo
che soferirne morte sia valore;
ma tutavia s'io vo merzé cherendo,
sono com' ubidente servitore:
faccio per sollenar lo grande ardore 55
ch'io sento per amar, là ond'io incendo;
ché mante fiate son ch'io mi dispero,
e dico: «Ohi lasso, che vit'è la mia?
Ché non mi movo e vo a la donna mia
e moro avanti a lo suo viso altero?» 60
Poi m'asicuro a la vostra valenza,
che so ch'è tanta, che pietà n'avrete:
merzé, donna; se troppo il mi tenete,
dipo la morte non vi fia a <'n>crescenza.
Donna, sovente dicere ag<g>io audito 65
assai si lauda lo buon cominzato,
ma pur la fine facelo laudato,
lodalo 'l pregio là ov'è l'om salito.
Dunque lo vostro fu dolze aportato,
quando d'amor mi faceste lo 'nvito; 70
e poi nel mezzo avetelo seguito,
lo bon fenir vi de' essere in grato:
ch'io già per me nonn-ag<g>io altro disio,
se non ch'io atendo lo bon compimento:
che si congiunga il vostro piacimento 75
insiemormente co lo voler mio;
ché tempo ven, don<n>a, ch'om pote avere
gioia, e se smarisce il temporale,
lo tempo passa, suo pregio non vale:
s'è tempo, per Dio fatemi gaudere. 80
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IOnomposso cielare ne courire. cio chemaducie donna iluostro amore. edo te menza sio nefo sentore. nonuidispiaccia odoniui languire. pero sono dimerzede cheritore. chesio fallasse sianuoi loparcire. cheluostro alegro uiso mi fa dire. epoi chauete me elomio core. Dumque madonna selamore mistringie. edami dato aluostro serui mento. bene degio tale fue locominciamento. chalegro degio gire laoue mi pingie. chemprima micredea damore vno me. mentre cheluiso uostro no(n) mauimse. dauoi enato quello che mi costrimsse. bello direi mao dottanza come. |
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Madonna congrande temenza jncominzai. noncredendo chapere neluostro ren gno. chio gia p(er)me nonera tanto dengno. ma quello chio uidi acio misichurai. si che cio chio ualglio dauoi tengno. enon mi credo dipartire giamai. jntale guisa diuoi jn amorai. chenelmio core pursesto edisengno. p(er)che loncominzare fue gioioso. epoi anno seguito ibe sembianti. quandio passo vegiendoui dauanti. locore sipartte auoi viene talentoso. didiciere cio chio sento p(er)amore. ame nontorna conuoi sidimora. cosi conuoi potessio jnquellora. esere jnterzo sanza uillanare. |
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Madonna bene salegra lamia mente. epartte dole eda greue dottanza. nom p(er)da p(er)lalunga dimoranza. chemolte cose fallane presente. pero conuiene auoi auere pietanza. dime contutto chio nomsia cherente. nonuidispiacca tanto sono temente. chediciere nonuiso lamia pesanza. Mafo frame medesimo rasgione. seguerire tarda lauo stra bieltate. enonauete dime pietate. chio moro sifortte lacondizione. pero gientile cortese donna esagia. nomfalli jluostro dolze jnconin zare. chetroppo foria fortte ilmio penare. sepieta emerze nonuin coragia. |
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Madonna cio chio dico egramde follore. chesigrande gioia come diuoi atendo. esialta cosa chemiuaprendo. chesoferirne mortte sia ualore. matutauia siouo merze cherendo. sono comubidente seruitore. faccio p(er)sollenare logrande ardore. chio sento p(er)amare laondio jnciendo. Chemante fiate sono chio midi spero. edico oilasso cheuite lamia. chenon mi mouo euo aladonna mia. emoro auanti alosuo uiso altero. poi masichuro alauostra ualenza. cheso chetanta che pieta naurete. merze donna setroppo ilmitenete. dipo lamortte nonuisia acre scienza. |
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Madonna souente diciere agio audito. assai silauda lo buono cominzato. mapur lafine facielo laudato. lofallo elpresgio laoue lomo salito. dumque louostrofu dolze aportato. quando damore mifacieste lonuito. epoi nel mezo auetelo seguito. la bono fenire ui de essere jngrato. chio gia p(er)me nonnagio altro disio. senon chio atendo lobono compimento. chesi congiunga iluostro piacimento. jmsieme ormente colo uolere mio. chetemppo uene madona como pote auere. gioia ese smariscie iltemporale. lo temppo passa suo presgio nonuale. se temppo p(er)dio fatemi gaudere. |
I |
IOnomposso cielare ne courire. cio chemaducie donna iluostro amore. edo te menza sio nefo sentore. nonuidispiaccia odoniui languire. pero sono dimerzede cheritore. chesio fallasse sianuoi loparcire. cheluostro alegro uiso mi fa dire. epoi chauete me elomio core. Dumque madonna selamore mistringie. edami dato aluostro serui mento. bene degio tale fue locominciamento. chalegro degio gire laoue mi pingie. chemprima micredea(1) damore vno me. mentre cheluiso uostro no(n) mauimse. dauoi enato quello che mi costrimsse. bello direi mao dottanza come. |
Io nom posso cielare né covrire ciò che mʹaducie, donna, il vostro amore, ed o temenza, sʹio ne fo sentore, non vi dispiaccia o donivi languire; però sono di merzede cheritore: che sʹio fallasse, sia ʹn voi lo parcire; ché ʹl vostro alegro viso mi fa dire e poi chʹavete me e lo mio core. Dumque, madonna, se lʹamore mi stringie ed ami dato al vostro servimento, bene degio, tale fue lo cominciamento, chʹalegro degio gire la ove mi pingie: ché ʹm prima mi credea dʹamore uno me, mentre che ʹl viso vostro non mʹavinse; da voi è nato quello che mi costrinsse: be˙llo direi, ma o dottanza come. |
II |
Madonna congrande temenza jncominzai. noncredendo chapere neluostro ren gno. chio gia p(er)me nonera tanto dengno. ma quello chio uidi acio misichurai. si che cio chio ualglio dauoi tengno. enon mi credo dipartire giamai. jntale guisa diuoi jn amorai. chenelmio core pursesto edisengno. p(er)che loncominzare fue gioioso. epoi anno seguito ibe sembianti. quandio passo vegiendoui dauanti. locore sipartte auoi viene talentoso. didiciere cio chio sento p(er)amore. ame nontorna conuoi sidimora. (2) cosi conuoi potessio jnquellora. esere jnterzo sanza uillanare. |
Madonna, con grande temenza jncominzai non credendo chapere nel vostro rengno, chʹio già per me non era tanto dengno: mʹa quello chʹio vidi a ciò mi sichurai, sì che ciò chʹio valglio da voi tengno, e non mi credo di partire già mai: jn tale guisa di voi jnamorai, che nel mio core pur sesto e disengno perché lo ʹn cominzare fue gioioso e poi anno seguito i beʹ sembianti. Quandʹio passo vegiendovi davanti, lo core si partte, a voi viene talentoso di diciere ciò chʹio sento per amore; ame non torna, con voi si dimora: così con voi potessʹio jn quell’ora esere jn terzo sanza villanare. |
III |
Madonna bene salegra lamia mente. epartte dole eda greue dottanza. nom p(er)da p(er)lalunga dimoranza. chemolte cose fallane presente. pero conuiene auoi auere pietanza. dime contutto chio nomsia cherente. nonuidispiacca tanto sono temente. chediciere nonuiso lamia pesanza. Mafo frame medesimo rasgione. seguerire tarda lauo stra bieltate. enonauete dime pietate. chio moro sifortte lacondizione. pero gientile cortese donna esagia. nomfalli jluostro dolze jnconin zare. chetroppo foria fortte ilmio penare. sepieta emerze nonuin coragia. |
Madonna, bene sʹalegra la mia mente, e partte dole ed a greve dottanza nom perda per la lunga dimoranza che˙molte cose fallane presente; però conviene a voi avere pietanza di me, con tutto chʹio nom sia cherente. Non vi dispiacca: tanto sono temente, che diciere non vi so la mia pesanza. Ma fo fra me medesimo rasgione, se guerire tarda la vostra bieltate e non avete di me pïetate, chʹio morò si fortte la condizione: però, gientile, cortese donna e sagia, nom falli jl vostro dolze jnconinzare, ché troppo foria fortte il mio penare, se pietà e merzé non v’incoragia. |
IV |
Madonna cio chio dico egramde follore. chesigrande gioia come diuoi atendo. esialta cosa chemiuaprendo. chesoferirne mortte sia ualore. matutauia siouo merze cherendo. sono comubidente seruitore. faccio p(er)sollenare logrande ardore. chio sento p(er)amare laondio jnciendo. Chemante fiate sono chio midi spero. edico oilasso cheuite lamia. chenon mi mouo euo aladonna mia. emoro auanti alosuo uiso altero. poi masichuro alauostra ualenza. cheso chetanta che pieta naurete. merze donna setroppo ilmitenete. dipo lamortte nonuisia acre scienza. |
Madonna, ciò chʹio dico è gramde follore, che si grande gioia, come di voi atendo, è si alta cosa che mi va prendo che soferirne mortte sia valore; ma tutavia sʹio vo merzé cherendo, sono comʹubidente servitore: faccio per sollenare lo grande ardore chʹio sento per amare, la ondʹio jnciendo; ché mante fiate sono chʹio mi dispero, e dico :”Oi lasso, che vit’è la mia? Che non mi movo e vo a la donna mia e moro avanti al suo viso altero?” Poi mʹasichuro a la vostra valenza, che so chʹè tanta, che pietà nʹavrete: merzé, donna; se troppo il mi tenete, dipo la mortte non vi sia a crescienza. |
V |
Madonna souente diciere agio audito. assai silauda lo buono cominzato. mapur lafine facielo laudato. lofallo elpresgio laoue lomo salito. dumque louostrofu dolze aportato. quando damore mifacieste lonuito. epoi nel mezo auetelo seguito. la bono fenire ui de essere jngrato. chio gia p(er)me nonnagio altro disio. senon chio atendo lobono compimento. chesi congiunga iluostro piacimento. jmsieme ormente colo uolere mio. chetemppo uene madona como pote auere. gioia ese smariscie iltemporale. lo temppo passa suo presgio nonuale. se temppo p(er)dio fatemi gaudere. |
Madonna, sovente diciere agio audito assai si lauda lo buono cominzato, ma pur la fine facielo laudato, lo fallo el presgio là ove lʹomo salito. Dumque lo vostro fu dolze aportato, quando dʹamore mi facieste lo ʹnvito; e poi nel mezo avetelo seguito, lo bono fenire vi de essere jn grato: chʹio già per me nonn-agio altro disio, se non chʹio atendo lo bono compimento: che si congiunga il vostro piacimento jmsiemeormente co lo volere mio; ché temppo vene, madona, cʹomo pote avere gioia, e se smariscie il temporale, lo temppo passa, suo presgio non vale: sʹè tempo, per Dio fatemi gaudere. |
NOTE:
1) In Menichetti, la lezione riportata in apparato è Credea.
2)In V, la seconda i di sidimora corregge probabilmente una o.
Carte Ms. CANZONIERE V: 68v
Manoscritti:Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat 3793
Edizioni:Poeti del Duecento, a cura di Gianfranco Contini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, voll. 2;
Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126);Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Orato di valor, dolze meo sire,
alegra son, se 'l vostro gentil core
canta del fino amore,
vogliendo il mio comincio perseguire:
ch'assai m'è gioia avervi a servidore, 5
e quand'io sento ch'ag<g>iate disire,
obrio ogne martire
e sol di benenanza ag<g>io savore:
ca, voi mirando, amor tut<t>a m'avinge,
sì ch'io ho 'n obrio ogne altro intendimento 10
e se non fosse blasmo che pavento,
io seguirei là ove l'amor mi pinge;
ma lo dolze sperare ag<g>io del pome,
lo qual credo compiér como m'avinse,
che quando cominciai tanto mi vinse, 15
che, pur tempo aspetando, dico: «Oh me!».
Orato sire, quando inamorai
del vostro gran valor, diedivi pegno
lo cor: meco no˙l tegno;
con voi dimora, poi che coninzai, 20
ed ho temenza, s'io più nanti vegno,
non io ag<g>ia destati li miei guai,
perch'io già non amai
né disïai; se 'n su questo m'avegno,
porag<g>io dir ch'amor sia poderoso, 25
e possa me, sì come gli altri amanti,
alegra far di canti,
ed ogne meo sospiro far gioioso:
però fermezza deg<g>iate pigliare
ch'altra voglienza già più non m'incora, 30
se non ch'io atendo l'ora
com'io vi possa alegra gioia donare.
Orato sire, assai odo sovente
ch'amor nonn-è, se non ave dottanza:
chi non sente pesanza 35
non pò di gran valore esser tenente.
Chi bene ama non voglia soverchianza,
ma sostenere in gioia umilemente
ciò c'ha d'amor presente,
e tutora afinando sua speranza, 40
tutor celando la sua openïone,
fug<g>endo blasmo e seguendo umiltate:
credo ben che lo fate,
tant'è la vostra nobil discrezione.
Ed eo medesma, avegna non sia sag<g>ia, 45
lo nostro amor vogliendo ricelare,
assai sento penare,
tempo aspetando a ciò che m'incorag<g>ia.
Orato sire, dolze meo segnore,
confortate, ch'io più di voi incendo, 50
né già vita non prendo
se non solo di pervenire a l'ore
com'io vi possa sodisfar, gaudendo,
di quel laond'io fui cominciatore:
più di voi n'ho dolore, 55
e fra me stessa sospiro piangendo;
e se non fosse ch'io non mi dispero,
pensando de la vostra gentilia,
ché so ch'avete tanta cortesia,
ch'atender tempo non vi fia guerero; 60
e poi direte a me s'io fo fallenza,
e ferma sicurtà di me credete
che, più ch'io non son mia, vostra m'avete,
di quanto più avesse in me potenza.
Orato sire, s'io non v'ho servito, 65
per non-volere già nonn-ho lasciato,
e assai mi fora in grato
che 'l mio talento fossene seguito:
ch'io v'amo ed amerò ed ag<g>io amato
ed ogne altro disïo m'è fug<g>ito; 70
lo vostro fino amor m'è sì agradito,
ch'ogne valore avetemi furato.
Però convien si compia lo disio,
e séguiti lo bon cominciamento:
di ciò prendete da me fermamento 75
che solamente è questo il voler mio,
di perseguire lo vostro piacere
e non tardar già lungo temporale;
però vi priego, se di me vi cale,
che bon conforto sia in vostro pensiere. 80
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ORota diualore dolze meo sire. alegra sono seluostro gientile core. canta delfino amore. volgliendo ilmio comincio p(er)seguire. chassai megioia auerui aseruidore. equandio sento chagiate disire. obrio ongne martire. esolo dibene nanza agio sauore. Cauoi mirando amore tuta mauingie. si chio onobrio ongne altro jntendimento. eseno m fosse blasmo che pauento. jo seguirei laoue lamore mi pingie. malo dolze sperare chagio delpome. loquale credo compiere como ma uimse. che quando cominciai tanto mauimse. che purtemppo aspeta(n)do dico ome. |
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ORota sire quanta jnamorai. deluostro grande ualore diediui pengno. locore meco nolotengno. conuoi dimora poi checoninzai. edo temenza sio piu nanti ue ngno. nonio agia destati limiei guai. p(er)chio gia nonamai. nedisiai sensu questo mauengno. poragio dire chamore sia poderoso. epossame sicome glialtri amanti. alegra fare dichanti. edongne meo sospiro fare gioioso. pero fermeza degia te pilgliare. chaltra uolglienza gia piu nonmin cora. senon chio atendo lora. co mio uipossa alegra gioia donare. |
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ORota sire assai odo souente. comore non(n)e senonaue dottanza. chi nomsente pesanza. nompo digrande ualore essere tenente. chi bene ama non uolglia souer chianza. mosostenere jngioia umile mente. cio cha damore presente. etutora afinando sua speranza. Tutora cielando lasua openione. fugiendo blasimo eseguen do umilitate. credo bene chelofate. tante lauostra nobile discrezione. edeo me desima auengna nomsia sagia. lonostro amore uolgliendo ricielare. assai sen to penare. temppo aspetando acio chemincoragia. |
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ORato sire dolze meo sengnore. comfortate chio piu diuoi jnciendo. negia vita nomprendo. seno nsolo dip(er) venire alore. comio vipossa sodisfare gaudendo. diquello laondio fui cominciatore. piu diuoi no dolore. eframe stessa sospiro pia ngiendo. Esenomfosse chio nonmidispero. pemsando delauostra gientilia. cheso chauete tanta cortesia. chatendere tempo nomuifia guerero. Epoi direte ame sio fo fallenza. eferma sichurta dime credete. che piu chio nomsono mia uostro mauete. diquanto piu auesse jnme potenza. |
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Orato sire sio nonuo seruito. p(er) nonuolere giano(n)o lasciato. eassai mi fora jngrato. chelo mio talento fossene seguito. chio uamo edamero edagio amato. e dongne altro disio me fugito. louostro fino amore me siagradito. congne valore auetemi furato. Pero conuie ne sico mppia lodisio. eseguiti lo bono comin ciamento. dicio prendete dame ferma mento. chesolamente equesto iluolere mio. dip(er) seguire louostro piaciere. enontardare gia lungo temporale. pero vipriego sedime ui chale. chebono comfortto sia jnuostro pemsiere |
I |
ORota diualore dolze meo sire. alegra sono seluostro gientile core. canta delfino amore. volgliendo ilmio comincio p(er)seguire. chassai megioia auerui aseruidore. equandio sento chagiate disire. obrio ongne martire. esolo dibene nanza agio sauore. Cauoi mirando amore tuta mauingie. si chio onobrio ongne altro jntendimento. eseno m fosse blasmo che pauento. jo seguirei laoue lamore mi pingie. malo dolze sperare chagio delpome. loquale credo compiere como ma uimse. che quando cominciai tanto mauimse. che purtemppo aspeta(n)do dico ome. |
Orota di valore, dolze meo sire, alegra sono, se ʹl vostro gientile core canta del fino amore, volgliendo il mio comincio perseguire: chʹassai me gioia avervi a servidore, e quandʹio sento chʹagiate disire, obrio ongne martire e solo di benenanza agio savore: ca, voi mirando, amore tuta mʹavingie, si chʹio o ʹn obrio ongne altro jntendimento e se nom fosse blasmo che pavento, jo seguirei là ove lʹamore mi pingie; ma lo dolze sperare chʹagio del pome, lo quale credo compiere como mʹavimse, che quando cominciai tanto m’avimse, che, pur tempo aspetando, dico :”O, me!”. |
II |
ORota sire quanta jnamorai. deluostro grande ualore diediui pengno. locore meco nolotengno. conuoi dimora poi checoninzai. edo temenza sio piu nanti ue ngno. nonio agia destati limiei guai. p(er)chio gia nonamai. nedisiai sensu questo mauengno. poragio dire chamore sia poderoso. epossame sicome glialtri amanti. alegra fare dichanti. edongne meo sospiro fare gioioso. pero fermeza degia te pilgliare. chaltra uolglienza gia piu nonmin cora. senon chio atendo lora. co mio uipossa alegra gioia donare. |
Orota sire, quanta jnamorai del vostro grande valore, diedivi pengno lo core: meco no˙lo tengno; con voi dimora poi che coninzai, ed o temenza, sʹio più nanti vengno, non io agia destati li miei guai, perchʹio già non amai né disïai; se ʹn su questo mʹavengno, poragio dire chʹamore sia poderoso, e possa me, sì come gli altri amanti, alegra fare di chanti, ed ongne meo sospiro fare gioioso: però fermeza degiate pilgliare chʹaltra volglienza già più non mʹincora, se non chʹio atendo lʹora comʹio vi possa alegra gioia donare. |
III |
ORota sire assai odo souente.(1) comore non(n)e senonaue dottanza. chi nomsente pesanza. nompo digrande ualore essere tenente. chi bene ama non uolglia souer chianza. mosostenere jngioia umile mente. cio cha damore presente. etutora afinando sua speranza. Tutora cielando lasua openione. fugiendo blasimo eseguen do umilitate. credo bene chelofate. tante lauostra nobile discrezione. edeo me desima auengna nomsia sagia. lonostro amore uolgliendo ricielare. assai sen to penare. temppo aspetando acio chemincoragia. |
Orota sire, assai odo sovente comore nonn-è, se non ave dottanza: chi nom sente pesanza nom po’ di grande valore essere tenente. Chi bene ama non volglia soverchianza, mo sostenere jn gioia umilemente ciò cʹha dʹamore presente, e tutora afinando sua speranza, tutora cielando la sua openïone, fugiendo blasimo e seguendo umilitate: credo bene che lo fate, tantʹè la vostra nobile discrezione. Ed eo medesima avengna nom sia sagia, lo nostro amore volgliendo ricielare, assai sento penare, temppo aspetando a ciò che mʹincoragia. |
IV |
ORato sire dolze meo sengnore. comfortate chio piu diuoi jnciendo. negia vita nomprendo. seno nsolo dip(er) venire alore. comio vipossa sodisfare gaudendo. diquello laondio fui cominciatore. piu diuoi no dolore. eframe stessa sospiro pia ngiendo. Esenomfosse chio nonmidispero. pemsando delauostra gientilia. cheso chauete tanta cortesia. chatendere tempo nomuifia guerero. Epoi direte ame sio fo fallenza. eferma sichurta dime credete. che piu chio nomsono mia uostro mauete. diquanto piu auesse jnme potenza. |
Orato sire, dolze meo sengnore, comfortate, ch’io più di voi jnciedo, né già vita nom prendo se non solo di pervenire a lʹore comʹio vi posso sodisfare, gaudendo, di quello laondʹio fui cominciatore: più di voi nʹo dolore, e fra me stessa sospiro piangiendo; e se nom fosse chʹio non mi dispero, pemsando de la vostra gientilia, ché so chʹavete tanta cortesia, chʹatendere temppo nom vi sia guerero; e poi direte a me s’io fo fallenza, e ferma sichurtà di me credete che, più chʹio nom sono mia, vostro mʹavete, di quanto più avesse jn me potenza. |
V |
Orato sire sio nonuo seruito. p(er) nonuolere giano(n)o lasciato. eassai mi fora jngrato. chelo mio talento fossene seguito. chio uamo edamero edagio amato. e dongne altro disio me fugito. louostro fino amore me siagradito. congne valore auetemi furato. Pero conuie ne sico mppia lodisio. eseguiti lo bono comin ciamento. dicio prendete dame ferma mento. chesolamente equesto iluolere mio. dip(er) seguire louostro piaciere. enontardare gia lungo temporale. pero vipriego sedime ui chale. chebono comfortto sia jnuostro pemsiere(2) |
Orato sire, sʹio non v’o servito, per non volere già nonn o lasciato, e assai mi fora jngrato che lo mio talento fossene seguito: chʹio vʹamo ed amerò ad agio amato ed ongne altro disïo mʹè fugito; lo vostro fino amore mʹè si agradito, chʹongne valore avetemi furato. Però conviene si comppia lo disio, e seguiti lo bono cominciamento: di ciò prendete da me fermamento che solamente è questo il volere mio, di perseguire lo vostro piaciere e non tardare lungo temporale; però vi priego, se di me vi chale, che bono comfortto sia jn vostro pemsiere. |
NOTE:
1)In V, la u è appena visibile a causa di una macchia.
2) In V, al termine di questa canzone è stato lasciato uno spazio bianco dal copista, per circa quattro righe.
Carte Ms. CANZONIERE V: 69r
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Di cantare ho talento,
membrando ciò ch'amore
m'ha˙ffatto di martìri in gioia tornare;
ma tutora pavento,
sed io faccio sentore, 5
non paia quello ch'io vorei celare.
Ma˙ss'io voglio mostrare
de la mia benenanza,
ché ben saria fallanza
sed io alquanto non mi ralegrasse 10
e con gioia cantasse,
ricelando la mia dolze speranza
laonde nasce tal disio menare.
Disio ho di valenza
quant'è lo mio piacere, 15
ché son ruscito di gran manentia,
e son dato a servenza
là ov'è tut<t>o valere,
pregio ed onor, larghezza e cortesia.
E di mia gran follia 20
certo son commendato,
com'om c'ha disïato
lo suo gravoso danno e disinore,
poi, me' conoscidore,
ritornò al dritto stato 25
seguendo il bene, e lo suo male obria.
Obrïar mi convene
lo tempo c'ho perduto,
e umilemente fino amor seguire;
e lo grande mio bene, 30
ch'el<l>o m'ha conceduto,
gechitamente deg<g>iolo gradire,
come vuole ubidire
segnor valente e sag<g>io:
ch'aver di reo parag<g>io 35
e prender lo suo frutto contrarioso,
cred'omo esser gioioso,
radoppia il suo dannag<g>io;
ma chi ben serve sempre n'ha disire.
Disïat'ag<g>io invano: 40
non ne fui conoscente
di reo segnor la sua openïone:
era gechito e umano,
come buon soferente,
non credendo partir sanza cagione. 45
Or sono al paragone:
laond'io m'alegro e canto,
e 'l mio tormento e pianto
ch'ag<g>io portato, meterò 'n obrio;
ma buon segnore ho <'n> fio 50
non savria dir lo quanto,
tanto m'ha dato e dà più ch'è ragione.
Canzonetta mia fina,
or t'invïa presente
a la sovrana in cui pregio dimora: 55
quella che mi dimina
e fa˙mi gir gaudente
e d'ogni reo sofrir m'ha tratto fora.
Sempre d'amar m'incora
lo suo piagente viso, 60
la boc<c>a e <'l> dolze riso,
l'adornezze compiute ed a ragioni;
dille che mi perdoni
s'al cantar mi son miso,
ché 'l suo fin prèso il fa, tanto m'inora. 65
![]() |
Djchantare otalento. membrando cio chamore. maffatto dimartiri jngioia tornare. matutora pauento. sedio faccio sentore. nompaia quello chio uo rei cielare. Massio uolglio mostrare. delamia bene nanza. chebene saria fallanza. sedio alquanto nonmiralegrasse. econgioia cantasse. ricielando lamia dol ze speranza. laonde nascie tale disio menare. |
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Disio odiualenza. quante lomio nentia. esono dato aseruanza. laoue tuto ualere. presgio edonore largheza ecor tesia. Edimia grande follia ciertto sono conmendato. comom(m)o chadisiato. losuo grauo so danno edisinore. poime conoscidore. ritorno aldritto stato. seguendo ilbene elo suo male obria. |
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Obriare miconuene. lotemppo cop(er)duto. eumile mente fino amore seguire. elogrand(e) mio bene chelo ma concie duto. giechita mente degiolo gradire. Come uuole ubidire. sengnore ualente esagio. chauere direo paragio. eprendere losuo frutto contrario so. credo mo essere gioioso. Radoppia il suo dan(n)agio. ma chi bene serue sempre na disire. |
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Disiatagio jnuano. non(n)e fui conosciente. direo sengnore lasua openione. eragie chito eumano. come buono soferente. noncredendo partire sanza chasgione. ORso no alparagone. laondio malegro echanto. elomio tormento epianto. chagio po rtato metero nobrio. ma buono sengnore ofio. nomsauria dire loquanto. tanto madato eda piu cherasgione. |
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Canzonetta mia fina. ortinuia presente. alasourana jnchui presgio dimora. quella chemidimina. efami gire gaudente. edongni reo sofrire matratto fora. Sempre da mare mincora. losuo piagiente uiso. labocha eldolze riso. ladorneze compiute edara sgioni. dille chemi p(er)doni. salcantare misono miso. chelsuo fino preso. milfa tanto mi nora. |
I |
Djchantare otalento. membrando cio chamore. maffatto dimartiri jngioia tornare. matutora pauento. sedio faccio sentore. nompaia quello chio uo rei cielare. Massio uolglio mostrare. delamia bene nanza. chebene saria fallanza. sedio alquanto nonmiralegrasse. econgioia cantasse. ricielando lamia dol ze speranza. laonde nascie tale disio menare. |
Dj chantare o talento, membrando ciò chʹamore mʹa˙ffatto di martìri jn gioia tornare; ma tutora pavento, sed io faccio sentore, nom paia quello chʹio vorei cielare. Ma˙ssʹio volglio mostrare de la mia benenanza, ché bene saria fallanza sed io alquanto non mi ralegrasse e con gioia cantasse, ricielando la mia dolze speranza la onde nascie tale disio menare. |
II |
Disio odiualenza. quante lomio nentia. esono dato aseruanza. laoue tuto ualere. presgio edonore largheza ecor tesia. Edimia grande follia ciertto sono conmendato. comom(m)o chadisiato. losuo grauo so danno edisinore. poime conoscidore. ritorno aldritto stato. seguendo ilbene elo suo male obria. |
Disio o di valenza quantʹè lo mio piaciere, ché sono ruscito di grande manentia e sono dato a servanza la ove tuto valere, presgio ed onore, largheza e cortesia. E di mia grande follia ciertto sono conmendato, comʹommo chʹa dïsiato lo suo gravoso danno e disinore, poi, meʹ conoscidore, ritornò al dritto stato seguendo il bene, e lo suo male obria. |
III |
Obriare miconuene. lotemppo cop(er)duto. eumile mente fino amore seguire. elogrand(e) mio bene chelo ma concie duto. giechita mente degiolo gradire. Come uuole ubidire. sengnore ualente esagio. chauere direo paragio. eprendere losuo frutto contrario so. credo mo essere gioioso. Radoppia il suo dan(n)agio. ma chi bene serue sempre na disire. |
Obrïare mi convene lo tempo cʹo perduto, e umilemente fino amore seguire; e lo grande mio bene chʹelo mʹa concieduto, giechitamente degiolo gradire, come vuole ubidire segnore valente e sagio: chʹavere di reo paragio e prendere lo suo frutto contrarioso, credʹomo essere gioioso, radoppia il suo dannagio; ma chi bene serve sempre nʹa disire. |
IV |
Disiatagio jnuano. non(n)e fui conosciente. direo sengnore lasua openione. eragie chito eumano. come buono soferente. noncredendo partire sanza chasgione. ORso no alparagone. laondio malegro echanto. elomio tormento epianto. chagio po rtato metero nobrio. ma buono sengnore ofio. nomsauria dire loquanto. tanto madato eda piu cherasgione. |
Disïatʹagio jnvano: non ne fui conosciente di reo sengnore la sua openïone: era giechito e umano, come buono soferente, non credendo partire sanza chasgione. Or sono al paragone: laondʹio mʹalegro e chanto, e lo mio tormento e pianto chʹagio portato, meterò ʹn obrio; ma buono sengnore o fio nom savria dire lo quanto, tanto mʹa dato e dà più chʹè rasgione. |
V |
Canzonetta mia fina. ortinuia presente. alasourana jnchui presgio dimora. quella chemidimina. efami gire gaudente. edongni reo sofrire matratto fora. Sempre da mare mincora. losuo piagiente uiso. labocha eldolze riso. ladorneze compiute edara sgioni. dille chemi p(er)doni. salcantare misono miso. chelsuo fino preso. milfa tanto mi nora. |
Canzonetta mia fina, or tʹinvïa presente a la sovrana jn chui presgio dimora: quella che mi dimina e fa˙mi gire gaudente e dʹongni reo sofrire mʹa tratto fora. Sempre dʹamare mʹincora lo suo piagiente viso, la bocha e ʹl dolze riso, lʹadorneze compiute ed a rasgioni; dille che mi perdoni sʹal cantare mi sono miso, che ʹl suo fino prèso m’il fa tanto mʹinora. |
NOTE:
1) Molto significativa è l’attenzione di Aldo Menichetti per lo schema metrico delle canzoni che lo porta sovente a distaccarsi dalla numerazione dei versi dei singoli componimenti rispetto all’originale manoscritto e a segnalare eventuali asimmetrie ed irregolarità rispetto alla norma versificatoria. Alla destra della diplomatico-interpretativa si riportano eventuali differenze del testo di Menichetti nella disposizione dei versi rispetto all'originale manoscritto.
Carte Ms. CANZONIERE V: 69r-v
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Chi 'mprima disse "amore"
fallò veracemente:
chi˙llui crede presente
puònne dire amarore;
chi lo segue, lo sente 5
ciò che mostra di fore:
nonn-è tale 'l sapore
sì come lo comincio primamente:
ché con piagente isguardo omo innamora;
ciò che mostra di fora 10
già mai no˙l vuol seguire;
con pene e con martìre
lo nodrisce a tutora,
lontan di gioia e presso di finire.
Amore amaro dico, 15
guerra d'affanno e d'ira;
assai forte sospira
quegli che gli è più amico;
chi co˙llui più si smira
fa di dolor notrico; 20
però mi ci fatico,
che l'opera di lui ria mi ci tira.
Ch'assai a' buon' tolle e a' malvagi dona;
a tal mette corona
che no˙lli s'averia, 25
e tal mette in obria
e sovente il cagiona,
che fora degno aver gran segnoria.
Amaro amor, tormento,
dolor d'ogne pesanza, 30
<..............–anza>
primer di piacimento,
e poi tolle allegranza;
segue lo tradimento:
in ciò ferma talento 35
ed ogne poso mette in obrïanza;
e sì come lo foco è colorato,
bello a vedere: usato,
chi lo toc<c>a, è cocente,
e divora presente 40
ciò che gli è dimostrato,
e la grande alegrezza fa dolente.
Amore a che cagione
aquista li serventi?
Credo per far dolenti 45
de la sua openïone.
Ahi Dio, quanti valenti
mort'ha sanza cagione!
Villano amor fellone,
com'ave acorto i venti! 50
Ca ben può dir ch'assai lavori invano
quei che lo serve umano:
e' senza gioia lo tene,
nodriscelo di pene:
ma quei fa ben, chi più li sta lontano 55
e chi la sua amistate poco tene.
Canzonetta, agli amanti
di presente t'invia:
ciascun che 'n pene sia
lo partir fac<ci>a avanti; 60
non seguan la follia
e falsi sguardi tanti:
ciascun d'altro s'amanti,
non entri in sua balia:
ch'amor ninferno <è> d'ogne pena forte 65
e dolor d'ogni morte;
chi più lui cred' e più vi s'afatica
lo suo danno notrica:
ogn'om di lui servir serri le porte.
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Kjmprima disse amore. fallo veraciemente. chillui crede presente. puonne di re amarore. chi losegue losente. cio chemostra difore. non(n)e tale losapore. si come locomincio prima mente. Checompiagiente. isguardo omo jnamora. cio che mostra difora. giamai nolvuole seguire. compene econmartire. lonodriscie atuto ra. lontano digioia epresso difinire. |
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Amore amaro dico. guerra daffan(n)o edira. assai fortte sospira. quelgli cheglie piu amico. chicollui piu sismira. fa didolore notrico. pero micifatico. chelopera dillui ria micitira. Chassai abuoni tolle edamaluasgi dona. atali mette corona. chenolli sa veria. etale mette jnobria. esouente jlcasgiona. chefora dengno auere grande sengnoria. |
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Amaro amore tormento. dolore dongne pesanza. primero dipiacimento. epoi tolle allegranza. segue lotradimento. jncio ferma talento. edongne riposo mette jn obrianza. Esicome lofoco ecolorato. bello auedere usato. chi lotocha ecociente. edi vora presente. cio cheglie dimostrato. elagrande alegreza fa dolonte. |
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Amore ache chasgione. aquista liseruenti. credo p(er)fare dolenti. delasua openione. aidio quanti ualenti. mortta sanza chasgione. uillano amore fellone. comaue acortto juenti. Cabene puo dire chassai lauori jnuano. quelli chelo serue umano. esenza gioia lotene. nodriscielo dipene. ma quelli fa bene chi piu lista lontano. echi lasua amista te poco tene |
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Canzonetta agliamanti. dipresente tinuia. ciaschuno chempene sia. lo partirefaca auanti. enomseguano lafollia. efalssi sguardi tanti. ciaschuno daltro samanti. nonentri jmsua balia. Camore nimferno dongne pena fortte. edolore dongni mortte. chi piu lui crede piu uisafatica. losuo danno notricha. ongnomo dillui seruire serri leportte. |
I |
Kjmprima disse amore. fallo veraciemente. chillui crede presente. puonne di re amarore. chi losegue losente. cio chemostra difore. non(n)e tale losapore. si come locomincio prima(1) mente. Checompiagiente. isguardo omo jnamora. cio che mostra difora. giamai nolvuole seguire. compene econmartire. lonodriscie atuto ra. lontano digioia epresso difinire. |
Kj ʹmprima disse ʺamoreʺ fallò veraciemente: chi˙llui crede presente puònne dire amarore; chi lo segue, lo sente ciò che mostra di fore: nonn-è tale lo sapore sì come lo comincio primamente: ché com piangiente isguardo omo jnamora; ciò che mostra di fora già mai no˙l vuole seguire; com pene e con martìre lo nodriscie a tutora, lontano di gioia e presso di finire. |
II |
Amore amaro dico. guerra daffan(n)o edira. assai fortte sospira. quelgli cheglie piu amico. chicollui piu sismira. fa didolore notrico. pero micifatico. chelopera dillui ria micitira. Chassai abuoni tolle edamaluasgi dona. atali mette corona. chenolli sa veria. etale mette jnobria. esouente jlcasgiona. chefora dengno auere grande sengnoria. |
Amore amaro dico, guerra dʹaffanno e dʹira; assai fortte sospira quelgli che gli è più amico; chi co llui più si smira fa di dolore notrico; però mi ci fatico, che lʹopera di llui ria mi ci tira. Chʹassai aʹ buoni tolle ed aʹ malvasgi dona; a tali mette corona che no˙lli sʹaveria, e tale mette jn obria e sovente jl casgiona, che fora dengno avere grande sengnoria. |
III |
Amaro amore tormento. dolore dongne pesanza. primero dipiacimento. epoi tolle allegranza. segue lotradimento. jncio ferma talento. edongne riposo mette jn obrianza. Esicome lofoco ecolorato. bello auedere usato. chi lotocha ecociente. edi vora presente. cio cheglie dimostrato. elagrande alegreza fa dolonte. |
Amaro amore, tormento, dolore dʹongne pesanza, primero di piacimento, e poi tolle allegranza; segue lo tradimento: jn ciò ferma talento ed ongne riposo mette jn obrïanza; e sì come lo foco è colorato, bello a vedere: usato, chi lo tocha, è cociente, e divora presente ciò che gli è dimostrato, e la grande alegreza fa dolonte. |
IV |
Amore ache chasgione. aquista liseruenti. credo p(er)fare dolenti. delasua openione. aidio quanti ualenti. mortta sanza chasgione. uillano amore fellone. comaue acortto juenti. Cabene puo dire chassai lauori jnuano. quelli chelo serue umano. esenza gioia lotene. nodriscielo dipene. ma quelli fa bene chi piu lista lontano. echi lasua amista te poco tene |
Amore a che chasgione aquista li serventi? Credo per fare dolenti de la sua openïone. Ai Dio, quanti valenti morttʹa senza chasgione! Villano amore fellone, comʹave acortto j venti! Ca bene può dire chʹassai lavori jnvano quelli che lo serve umano: eʹ senza gioia lo tene, nodriscielo di pene: ma quelli fa bene, chi più li sta lontano e chi la sua amistate poco tene. |
V |
Canzonetta agliamanti. dipresente tinuia. ciaschuno chempene sia. lo partirefaca auanti. enomseguano lafollia. efalssi sguardi tanti. ciaschuno daltro samanti. nonentri jmsua balia. Camore nimferno dongne pena fortte. edolore dongni mortte. chi piu lui crede piu uisafatica. losuo danno notricha. ongnomo dillui seruire serri leportte. |
Canzonetta, agli amanti di presente tʹinvia: ciaschuno che ʹm pene sia lo partire faca avanti; e nom seguano la follia e falssi sguardi tanti: ciaschuno dʹaltro sʹamanti, non entri jm sua balia: cʹamore nimferno dʹongne pena fortte e dolore dʹongni mortte; chi più lui credʹ e più vi sʹafatica lo suo danno notricha: ongnʹomo di llui servire serri le portte. |
NOTE:
1) In V, la i corregge una a.
Carte Ms. CANZONIERE V: 69v
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Greve cosa è l'atendere
quello ch'omo ha 'n disia:
ira, e danno, e maninconia
ave chi ha speranza d'ess'aprendere:
ché˙llunga atesa obrïa disïanza 5
e mette in disperanza
ciò ch'om crede aquistare;
li bon' face bassare
<e> chi più vale, più sente pesanza.
D'un sì lontano ateso 10
donna, vostra impromessa
tardata m'è e dimessa,
ed in me tormentoso foco ha preso,
sì ch'io son più che prima doloroso:
d'impromessa non sono disïoso, 15
ma tutor la pavento:
me' foria per un cento
ch'io fosse come 'mpria ch'era gioioso.
Donna, di voi m'avene
a semblanza del foco 20
che 'mprima pare gioco,
ma chi lo toc<c>a ha pene;
così di voi: quando prima guardai
(e) con voï parlai,
erami in piacimento; 25
seguendo poi, tormento
assai n'ho avuto e radoplati i guai.
Nonn-è verace usanza,
donna, né dritto onore
dar pene a servidore 30
e torerli la sua gran benenanza:
ma si convene a donna c'ha bieltate
modo di veritate,
a pregio mantenere:
promet<t>ere e atenere, 35
ma non torere e donar niquitate.
A voi, donna, s'invia
mia canzonetta adesso,
ch'io non ag<g>io altro messo
lo qual vi dica la mia malatia: 40
se non mi ristorate, io certo pèro,
essend'a me guerero
vostro alegro donato:
piacc<i>avi e siavi a grato
di provedere inverso me, ch'io pèro. 45
Vai al manoscritto
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GReue cosa elatendere. quello com(m)o andisia. jra edanno emaninconia. aue chia speranza dessa prendere. Chelluncha atesa obria disianza. emette jndispe ranza cio com(m)o crede acquistare. liboni facie bassare. chi piu uale piu sente pe sanza. |
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DVmque sie lontano oateso. donna vostra jmp(ro)messa. tardatame edimessa. edinme tormentoso foco apreso . Sichio sono piu cheprima doloroso. dimp(ro)messa nomsono disioso. matutora lapauento. me foria p(er)uno ciento. chio fosse come mprima chera gioioso. Donna diuoi mauene. asimilglianza delofoco. chemprima pare gioco. ma chiloto cha apene. Cosi diuoi quando prima guardai. conuoi parllai. erami jmpiacime(n)to. seguendo poi tormento. assai no auuto eradoplati jguai. |
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Nonne ueracie usanza. donna nedritto onore. dare pene aseruidore. etorerlli lasua grande benenanza. Masiconuene adonna chabieltate. modo diueritate. apresgio mantenere. p(ro)metere eatenere. manontorerre edonare niquitate. Avoi donna sinuia. mia chanzonetta adesso. chio nonagio altro messo. lo quale uidicha la mia malatia. Esenonmi ristorate jo ciertto pero. essere dame guerero. uostro ale gro donato. piaccaui e siaui agrato. di p(ro)uedere jnuersso me chio pero. |
I |
GReue cosa elatendere. quello com(m)o andisia. jra edanno emaninconia. aue chia speranza dessa prendere. Chelluncha atesa obria disianza. emette jndispe ranza cio com(m)o crede acquistare. liboni facie bassare. chi piu uale piu sente pe sanza. |
Greve cosa è lʹatendere quello cʹommo a ʹn disia: jra, e danno, e maninconia ave chi a speranza dʹessʹaprendere: che˙lluncha atesa obrïa disïanza e mette jn disperanza ciò chʹommo crede acquistare; li boni facie bassare chi più vale, più sente pesanza. |
II |
DVmque sie lontano oateso. donna vostra jmp(ro)messa. tardatame edimessa. edinme tormentoso foco apreso . Sichio sono piu cheprima doloroso. dimp(ro)messa nomsono disioso. matutora lapauento. me foria p(er)uno ciento. chio fosse come mprima chera gioioso. |
Dumque sìe lontano o ateso donna vostra jmpromessa tardata mʹè e dimessa, ed in me tormentoso foco a preso, si chʹio sono più che prima doloroso: dʹimpromessa nom sono disïoso, ma tutora la pavento: meʹ foria per uno ciento chʹio fosse come ʹmprima chʹera gioioso. |
III |
Donna diuoi mauene. asimilglianza delofoco. chemprima pare gioco. ma chiloto cha apene. Cosi diuoi quando prima guardai. conuoi parllai. erami jmpiacime(n)to. seguendo poi tormento. assai no auuto eradoplati jguai. |
Donna di voi mʹavene a similglianza de lo foco che ʹmprima pare gioco, ma chi lo tocha a pene; così di voi quando prima guardai con voi parllai, erami jm piacimento; seguendo poi, tormento assai nʹo avuto e radoplati j guai. |
IV |
Nonne ueracie usanza. donna nedritto onore. dare pene aseruidore. etorerlli lasua grande benenanza. Masiconuene adonna chabieltate. modo diueritate. apresgio mantenere. p(ro)metere eatenere. manontorerre edonare niquitate. |
Nonn-è veracie usanza, donna, né dritto onore dare pene a servidore e torerlli la sua grande benanza: ma si convene a donna chʹa bieltate modo di veritate, a presgio mantenere: prometere e atenere, ma non torerre e donare niquitate. |
V |
Avoi donna sinuia. mia chanzonetta adesso. chio nonagio altro messo. lo quale uidicha la mia malatia. Esenonmi ristorate jo ciertto pero. essere dame guerero. uostro ale gro donato. piaccaui e siaui agrato. di p(ro)uedere jnuersso me chio pero. |
A voi, donna, sʹinvia mia chanzonetta adesso, chʹio non agio altro messo lo quale vi dicha la mia malatia: e se non mi ristorate, jo ciertto péro, essere da me guerero vostro alegro donato: piacciavi e siavi a grato di provedere jn versso me, chʹio péro. |
Carte Ms. CANZONIERE V: 69v-70r
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126) Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Fa˙mi sembianza di sì grande ardire
d'amarmi coralmente
la mia donna, cui mi son tut<t>o dato,
che par ch'io n'ag<g>ia tut<t>o il meo disire;
e credetelo, gente: 5
glorificando me in grande stato,
fate sì come apone
lo savio, sormonando
che, la cera guardando,
lo voler dentro si può giudicare. 10
Ben'è <'n> tut<t>o ragione
che tal chiarore spanda
chent'ha chi la mi manda,
per zo che naturalmente il de' fare.
Nome di re non val senza podere; 15
più vale ascosto bene,
che gran bene pregar l'om che s'imprenda;
chi sta nel foco già non de' volere
ch'altri dica: «Egli ha bene»
e credalo, e non quello che gli afenda: 20
ch'altro sentenza il morto.
Null'uom non è indovino:
ragione <ha> del mischino
che non vuol palesare la sua noia;
de' l'om col male a porto 25
di gran gente venire,
ché tal lo po' sentire
che 'l male c'ha li fa tornare in gioia.
Per pregio di richezze ch'io non hoe
non vo' parer ch'io goda, 30
da che 'l mio cor di pena non si parte;
s'el<l>a mia donna sembra, ch'io diròe
questo ciascheduno oda:
ched io i˙llei nonn-eb<b>i anc<or>e parte.
Forse che ciò ch'io dico 35
non credete neiente,
ma ch'io ne sia dicente
ad arti per torervene credenza;
se no˙l credete, dico
ched ho <o>gni grande cosa 40
veg<g>endo l'amorosa,
incarnata sembianza che m'agenza.
Pensando li sembianti che mi face
tanto forte travaglio,
che come matto vegno dismaruto: 45
sospiro, piango, dico: «Perché 'l face,
già per lei ched io vaglio,
e non mi dona quel ch'ag<g>io servuto?»
Se 'ntenzar vole, soe
che˙la sua vista sembra 50
che tut<t>e le sue membra
si<en com>prese d'amor ver di me amare;
se non m'amasse, soe
che per mia diligione
non vorei far cagione 55
che ne potesse biasimo aquistare.
Sì come audite, a cotal son condotto
che viver né morire,
<sperar> né disperare non mi posso;
lo rallegrare e l<o> prorare dotto: 60
ch'e' non sia, a 'l vero dire,
mi par da tante pene dir lo posso;
non so ched io mi fac<c>ia,
né chente ramo io prenda
che meve no misprenda. 65
A voi, donne e donzelle, ne <ri>ncresca,
tanto che, dove piacc<i>a,
la mia donna pregate
ch'ag<g>ia di me pietate
e secondo ragione gioia m'acresca. 70
![]() |
FAmi semblanza disigrande ardire. damarmi corale mente. lamia donna chui misono tuto dato. chepare chio nagia tuto ilmeo disire. ecredetelo giente. glori fichando me jngrande stato. Fate sicome apone. losauio sormonando. chelaciera guardando. louolere dentro sipuo giudichare. bene tuto rasgione. chetale chiaro re spanda. chenta chilami manda. p(er)zo chenaturale mente ildefare. |
![]() |
Nome dire nonuale senza podere. piu uale ascosto bene. chagran bene pregare lomo chesimprenda. chista nel foco gia nonde uolere. chaltri dicha eglia bene. ecredalo enonque vino. Rasgione del mischino. chenon uvole palesare lasua noia. delomo colmale apo rtto. digrande giente venire. chetale lopo sentire. chelmale cha lifa tornare jngioia. |
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P(er)presgio diricheze chio nonoe. nonuo parere chio goda. dachelmio core dipena nomsipartte. selamia donna sembra chio dinoe. questo ciascheduno oda. che dio illei nonnebi anche partte. Forsse che cio chio dico. noncredete neiente. ma chio nesia diciente. adartti p(er)toreruene credenza. senolcredete dico. che dongni gra nde cosa. vegiendo lamorosa. jncharnata semblanza chema gienza. |
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PEmsando lisembianti chemifacie. tanto fortte traualglio. checome matto uengno dismaruto. sospiro piango dico p(er)chelfacie. gia p(er)lei chedio ualglio. enonmidona quello chagio seruuto. Sentenzare uole soe. chelasua uista sembra. chetute le sue me mbra. siprese damore uerdime amare. senonmamasse soe. che p(er)mia dilisgione. non vorei fare chasgione. chenepotesse blasimo acquistare. |
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Sj come audite acotale sono condotto. cheuiuere nemorire. nedisperare non mipo sso. loralegrare elpriorare dotto. chenomsia aluero dire. mi pare datante pene dirllo posso. Nomso chedio mi facca. nechente ramo io prenda. chemeue norisprenda. au oi donne edonzelle nencresca. tanto chedoue piacca. lamia don(n)a pregate. cagia dime pietate. esecondo rasgione gioia macresca. |
I |
FAmi semblanza disigrande ardire. damarmi corale mente. lamia donna chui misono tuto dato. chepare chio nagia tuto ilmeo disire. ecredetelo giente. glori fichando me jngrande stato. Fate sicome apone. losauio sormonando. chelaciera guardando. louolere dentro sipuo giudichare. bene tuto rasgione. chetale chiaro re spanda. chenta chilami manda. p(er)zo chenaturale mente ildefare. |
Fa˙mi semblanza di sì grande ardire dʹamarmi coralemente la mia donna, chui mi sono tuto dato, che pare chʹio nʹagia tuto il meo disire; e credetelo, giente: glorifichando me jn grande stato, fate sì come apone lo savio, sormonando che, la ciera guardando, lo volere dentro si può giudichare. Benʹè tuto rasgione che tale chiarore spanda chentʹa chi la mi manda, per zo che naturalemente il deʹ fare. |
II |
Nome dire nonuale senza podere. piu uale ascosto bene. chagran bene pregare lomo chesimprenda. chista nel foco gia nonde uolere. chaltri dicha eglia bene. ecredalo enonque vino. Rasgione del mischino. chenon uvole palesare lasua noia. delomo colmale apo rtto. digrande giente venire. chetale lopo sentire. chelmale cha lifa tornare jngioia. |
Nome di re non vale senza podere; più vale ascosto bene, che gran bene pregare lʹomo che sʹimprenda; chi sta nel foco già non deʹ volere chʹaltri dicha :”Egli a bene” e credalo, e non quello che gli afenda: chʹaltri sentenza jl mortto. Nullʹuommo non è jndovino: rasgione del mischino che non vuole palesare la sua noia; deʹ lʹomo col male a portto di grande giente venire, ché tale lo po’ sentire che ʹl male chʹa li fa tornare jn gioia. |
III |
P(er)presgio diricheze chio nonoe. nonuo parere chio goda. dachelmio core dipena nomsipartte. selamia donna sembra chio dinoe. questo ciascheduno oda. che dio illei nonnebi anche partte. Forsse che cio chio dico. noncredete neiente. ma chio nesia diciente. adartti p(er)toreruene credenza. senolcredete dico. che dongni gra nde cosa. vegiendo lamorosa. jncharnata semblanza chema gienza. |
Per presgio di richeze chʹio non oe non voʹ parere chʹio goda, da che ʹl mio core di pena nom si partte; sʹè la mia donna sembra, chʹio dinòe questo ciascheduno oda: ched io i˙llei nonn-ebi anche partte. Forsse che ciò chʹio dico non credete neiente, ma chʹio ne sia diciente ad artti per torevene credenza; se nol˙credete, dico ched o ʹngni grande cosa vegiendo lʹamorosa, jncharnata semblanza che mʹagienza. |
IV |
PEmsando lisembianti(1) chemifacie. tanto fortte traualglio. checome matto uengno dismaruto. sospiro piango dico p(er)chelfacie. gia p(er)lei chedio ualglio. enonmidona quello chagio seruuto. Sentenzare uole soe. chelasua uista sembra. chetute le sue me mbra. siprese damore uerdime amare. senonmamasse soe. che p(er)mia dilisgione. non vorei fare chasgione. chenepotesse blasimo acquistare. |
Pemsando li sembianti che mi facie tanto fortte travalglio, che come matto vengno dismaruto: sospiro, piango, dico :”Perché ʹl facie, già per lei ched io valglio, e non mi dona quello chʹagio servuto?” Se ʹntenzare vole, soe che˙la sua vista sembra che tute le sue membra si prese dʹamore ver di me amare; se non mʹamasse, soe che per mia dilisgione non vorei fare chasgione che ne potesse blasimo acquistare. |
V |
Sj come audite acotale sono condotto. cheuiuere nemorire. nedisperare non mipo sso. loralegrare elpriorare dotto. chenomsia aluero dire. mi pare datante pene dirllo posso. Nomso chedio mi facca. nechente ramo io prenda. chemeue norisprenda. au oi donne edonzelle nencresca. tanto chedoue piacca. lamia don(n)a pregate. cagia dime pietate. esecondo rasgione gioia macresca. |
Sj come audite, a cotale sono condotto che vivere né morire, né disperare non mi posso; lo ralegrare e lʹ priorare dotto: chʹè nom sia a ʹl vero dire, mi pare da tante pene dir llo posso; nom so ched io mi facca, né chente ramo io prenda che meve no risprenda. A voi, donne e donzelle, ne ʹncresca, tanto che, dove piacca, la mia donna pregate cʹagia di me pietate e secondo rasgione gioia mʹacresca. |
NOTE:
1) In V, una i corregge una r.
Carte Ms. CANZONIERE V: 70r-v
Manoscritti:Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
S'esser potesse ch'io il potesse avere,
anzi che grande avere,
tanto vorei savere,
madonna, pur un'ora,
ch'io scrivere sapesse quante <ho> pene, 5
o ch'io il mio core pingere savesse
con quante pene avesse,
in guisa che paresse
chent'è il mal ch'è<i> tutora
per star lontan di voi, dolze mio bene; 10
e zo ch'io dico avendo,
sovrano mi teria co<m'è> ragione,
ché col mio cor non prendo
altro disio, che 'n voi creder mi' doglia,
ed i' questo averia, 15
ch'i' pingere' mi' cor e˙ssua cagione,
e voi lo manderia,
e saria ric<c>o di compiuta voglia.
Creder voglio lo mal c'ho in grazza avere
con tôrmi ogn'altro avere: 20
ed io fac<c>io savere
<non si fe' tale ancora>
che n'avrò gioia e uscerò di pene:
chï<unque> avesse <o>ro e mal savesse
guerir del mal ch'avesse 25
per l'or o non paresse,
folle saria quell'ora:
ché star ne l'or ed arder non è bene.
Oro ed argen<t>o avendo,
non mi toria mia doglia di ragione; 30
or dunque ben m'aprendo
dimandar lo sanar de la mia doglia:
già mai non s'averia
bene per mal cherer, e <a> che cagione
ne l'adimanderia? 35
Del poco di<r> si <pò> discovrir voglia.
* Ognor tal senno non si puote avere,
come per tut<t>o avere
il mi' fantin savere: *
ché 'l fantino spes<s>'ora 40
chere volare, e 'l pregione per pene;
cotali prieghi, chi molti s'avesse,
a chi 'l suo tempo avesse
e matto non paresse?
Fòssi in buona memora 45
conoscer dèi, se fa' pescaia bene.
Non muove bene, avendo
gran disiranza e pene, la ragione:
per zo non mi riprendo
di zo ch'io chero, perché il mi fa doglia; 50
néd altri nonn-avria
di riprender<e> me dritta cagione:
con dritto amanderia
ciò ch'egli ha, po' che doglia mendar voglia.
* Al vento vo' spannar, ch'i' pos<s>'avere, 55
prendendo quello avere
ch'ìo posso e 'l savere,
me<r>tando veder l'òra
e dimorare in foco senza pene.
Pensar vo' pur com'io dire savesse, 60
in guisa sì ch'avesse
lo mio dire paresse
frutto in voi, <'n> cu<i dimo>ra
quanto nel mondo si sembla di bene.
Assai pensato avendo, 65
tal frutto mi par non dir mia ragione
chent'è, s'a dir l'aprendo:
così mi vuol dispera<r> la mia doglia;
ag<g>io udito ch'avria
<a> trovar <pres>to porta la cagione, 70
e ne comanderia:
per zo non vo' disperar la mia voglia.
Isperando ciò che disi<o> avere,
ah quanto mal ch'avere
mi fa lo non-savere! 75
Che crediate ch'ancora
lo core mio, sì come fa per pene,
non mi rimembro che di ben savesse,
per allegrar ch'avesse
mio cor, che gioia paresse. 80
Poi ch'io non vi vidi ora,
membra<r> ch'io ag<g>ia, no n<e> sento bene.
Pur io gran male avendo
per sovramar, pensando la ragione
veg<g>io ch'io pur aprendo; 85
s'io dorm'o veglio, tutor sento doglia:
e zo perché averia?
aitando non mi cangiate cagione;
forse che manderia
pensiero in vanechiarmi vostra voglia. 90
![]() |
SEssere potesse. chio ilpotesse auere. anzi chegrande auere. tanto uorei sauere. madonna purunora. chio scriuere sapesse. quante pene ochio jlmio core pingiere sauesse. conquante pene auesse. jnguisa cheparesse. chente il male chetutora. p(er) stare lontano diuoi dolze mio bene. Ezo chio dico auendo. sourano miteria. corasgione. checolmio core nomprendo. altro disio chen uoi credere mi dolglia. ediquesto uoria. chipingiere. micoresse casgione. euoi lomanderia. esaria rico dicompiuta |
![]() |
Credere uolglio lomale co jngraza auere. contol mi ongnaltro auere. edio facio sauere. nomsi fe tale ancora. chenauro gioia eusciero dipene. chiauesse ro emale sauesse. guerire delmale chauesse. p(er)loro nomsauesse. folle saria quellora. chestare nelore dardere none bene. ORo edargieno auendo. non mi toria mia do lglia. dirasgione. ordumque bene maprendo. dimandare losanare delamia dolglia. giamai nomsaueria. bene p(er) male cherere che chasgione. nela dimanderia. delpo co dissi si discourire uolglia. |
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Vnore tale ilsenno nomsi puote auere. come p(er)duto auere. elmi famtin sauere chel fanti nospese ora. chere uolare elpresgione p(er) bene. cotali prieghi chi mol ti nauesse. achilsuo tempo auesse. ematto nomparesse. fossi jmbuona memora. co nosciere dei sefa pescaia bene. Nonmuoue bene auendo. grandi siranzaepene. la rasgione. p(er)zo nonmiriprendo. dizo chio chero p(er)che ilmifa dolglia. nedaltri non mauria. diriprenderne dritta chasgione. condritto amenderia. cio cheglia po che dolglia mendare uolglia. |
![]() |
Aluento uospan(n)are chi posauere. prendendo quello auere. chio posso elsauere. metando uedere lora. edimorare jmfoco senza pene. pemsare uolglio pur comio dire sauesse. jnguisa sichauesse. lomiodire paresse. frutto jnuoi chura. quanto nelmonddo sisembla dibene. Assai pemsato auendo. tale frutto mi pare nondire mia rasgione. chente sadire laprendo. cosimi vnoldispera lamia uolglia. agio udito chauria. trouare toportta lachasgione. ene comanderia. p(er)zo non uolglio disperare lamia uolglia. |
![]() ![]() |
ISperando cio chedissi auere. aquanto male chauere. mifa lonomsauere. checre crediate chancora. locore mio sicome fa p(er)pene. nonmirimembro chedibene sauese. pe rallegrare chauesse. mi[o] core chegioia paresse .poi chio nonuiuidi ora. membro chio agia nomsento bene. purio grande male auendo. p(er)souramare pemsando lacasgione. vegio chio puraprendo. sio dormo uelglio tutora sento dolglio. ezo p(er)che aueria. ai tando nonmi changiate chasgione. vostra uolglia. |
I |
SEssere potesse. chio ilpotesse auere. anzi chegrande auere. tanto uorei sauere. madonna purunora. chio scriuere sapesse. quante pene ochio jlmio core pingiere sauesse. conquante pene auesse. jnguisa cheparesse. chente il male chetutora. p(er) stare lontano diuoi dolze mio bene. Ezo chio dico auendo. sourano miteria. corasgione. checolmio core nomprendo. altro disio chen uoi credere mi dolglia. ediquesto uoria. chipingiere. micoresse casgione. euoi lomanderia. esaria rico dicompiuta |
Sʹessere potesse chʹio il potesse avere, anzi che grande avere, tanto vorei savere, madonna, pur unʹora, chʹio scrivere sapesse quante pene, o chʹio jl mio core pingiere savesse con quante pene avesse, jn guisa che paresse chentʹè il male che tutora per stare lontano di voi dolze mio bene; e zo chʹio dico avendo, sovrano mi teria co rasgione, ché col mio core nom prendo altro disio, che ʹn voi credere mi dolglia, ed iʹ questo voria, chi pingiere miʹ cor e˙sse casgione, e voi lo manderia, e saria rico di compiuta volglia. |
II |
Credere uolglio lomale co jngraza auere. contol mi ongnaltro auere. edio facio sauere. nomsi fe tale ancora. chenauro gioia eusciero dipene. chiauesse ro emale sauesse. guerire delmale chauesse. p(er)loro nomsauesse. folle saria quellora. chestare nelore dardere none bene. ORo edargieno auendo. non mi toria mia do lglia. dirasgione. ordumque bene maprendo. dimandare losanare delamia dolglia. giamai nomsaueria. bene p(er) male cherere che chasgione. nela dimanderia. delpo co dissi si discourire uolglia. |
Credere volglio lo male cʹo jn graza avere con tôlmi ongnʹaltro avere: ed io facio savere nom si fe tale ancora che nʹavrò gioia e uscierò di pene: chi avessero e male savesse guerire del male ch’avesse per l’or o nom savesse, folle saria quell’ora: ché stare ne lʹor ed ardere non è bene. Oro ed argieno avendo, non mi toria mia dolglia di rasgione; or dumque bene mʹaprendo dimandare lo sanare de la mia dolglia: già mai nom sʹaveria bene per male cherer, e che chasgione ne l’adimanderia? Del poco dissi si discovrire volglia. |
III |
Vnore tale ilsenno nomsi puote auere. come p(er)duto auere. elmi famtin sauere chel fanti nospese ora. chere uolare elpresgione p(er) bene. cotali prieghi chi mol ti nauesse. achilsuo tempo auesse. ematto nomparesse. fossi jmbuona memora. co nosciere dei sefa pescaia bene. Nonmuoue bene auendo. grandi siranzaepene. la rasgione. p(er)zo nonmiriprendo. dizo chio chero p(er)che ilmifa dolglia. nedaltri non mauria. diriprenderne dritta chasgione. condritto amenderia. cio cheglia po che dolglia mendare uolglia. |
Vnore tale il senno nom si puote avere, come perduto avere el miʹ famtin savere che ʹl fantino spese ora chere volare, el presgione per bene; cotali prieghi, chi molti nʹavesse, a chi ʹl suo tempo avesse ematto nom paresse? Fòssi jm buona memora conosciere déi, se faʹ pescaia bene. Non muove bene, avendo gran disiranza e pene, la rasgione: per zo non mi riprendo di zo chʹio chero, perché il mi fa dolglia; néd altri non mʹavria di riprenderne dritta chasgione: con dritto amanderia ciò chʹegli a, po’ che dolglia mendare volglia. |
IV |
Aluento uospan(n)are chi posauere. prendendo quello auere. chio posso elsauere. metando uedere lora. edimorare jmfoco senza pene. pemsare uolglio pur comio dire sauesse. jnguisa sichauesse. lomiodire paresse. frutto jnuoi chura. quanto nelmonddo sisembla dibene. Assai pemsato auendo. tale frutto mi pare nondire mia rasgione. chente sadire laprendo. cosimi vnoldispera lamia uolglia. agio udito chauria. trouare toportta lachasgione. ene comanderia. p(er)zo non uolglio disperare lamia uolglia. |
Al vento voʹ spannare, chʹiʹ posʹavere, prendendo quello avere chʹio posso e ʹl savere, metando vedere lʹòra e dimorate jm foco senza pene. Pemsare volglio pur comʹio dire savesse, jn guisa sì chʹavesse lo mio dire paresse frutto jn voi chura quanto nel monddo se sembla di bene. Assai pemsato avendo, tale frutto mi pare non dire mia rasgione chentʹè, sʹa dir lʹaprendo: così mi vnol dispera la mia volglia; agio udito chʹavria trovare to porta la chasgione, e ne comanderia: per zo non volglio disperare la mia volglia. |
V |
ISperando cio chedissi auere. aquanto male chauere. mifa lonomsauere. checre crediate chancora. locore mio sicome fa p(er)pene. nonmirimembro chedibene sauese. pe rallegrare chauesse. mi[o](1) core chegioia paresse .poi chio nonuiuidi ora. membro chio agia nomsento bene. purio grande male auendo. p(er)souramare pemsando lacasgione. vegio chio puraprendo. sio dormo uelglio tutora sento dolglio. ezo p(er)che aueria. ai tando nonmi changiate chasgione. vostra uolglia. |
Isperando ciò che dissi avere, a quanto male chʹavere mi fa lo nom savere! Che crediate chʹancora lo core mio, si come fa per pene, non mi rimembro che di bene savesse, per allegrare chʹavesse mi[o] core, che gioia paresse. Poi chʹio non vi vidi ora, membro chʹio agia, nom sento bene. Pur io grande male avendo per sovramare, pemsando la casgione vegio chʹio pur aprendo; sʹio dormʹo velglio, tutora sento dolglio: e zo perché averia? aitando non mi changiate chasgione; forsse che manderia pemsiero jn vanechiarmi vostra volglia. |
NOTE:
1) In V, l’ultima lettera della parola è quasi illeggibile. A testo si è proceduto inserendo una possibile ipotesi di lettura tenendo conto anche del contesto generale: mi[o].
Carte Ms. CANZONIERE V: 70v
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Allegrosi cantari,
molta merzé vi chero,
ché mi' facc<i>a dimossa,
se de li mie' vi faccio guerïanza,
che, s'io li fo contrari 5
d'esta guisa, per vero
altri l'ave comossa
in me questa gran disaventuranza.
Voria ben per mio grato
fiorire in altro frutto, 10
ma simile disdotto
che 'l zezer fa bernare
mi 'l fa, ed i<n> cantare
com'egli terminar vo' la mia vita.
Esta stagion non vene 15
che mi doni conforto;
di tai cantar' non fino
come zigola infin che morte prova:
ma la fenice avene
che per morte entra in porto 20
molto gioioso e fino,
e <per> zo è che sé tanto rinova:
ond'io morir voria
sanza dimora avere,
s'io dovesse tenere 25
simigliante natura:
ma Deo de la ventura
prego che deami a savere la possa.
Sì ho ferma credenza
che lo mio nascimento 30
fosse in mala pianeta,
che 'l mi' prego tegn'<i>o nave afondata;
e lunga soferenza
di gravoso tormento
in ciò creder m'aqueta; 35
poi che nulla nonn-è per distinata
e tut<t>o ben vi sta,
grave pena sofèro:
ma cagione fa fero
foco de l'aqua uscire: 40
perzò non m'è da dire
ch'io falli, s'a cotal ramo m'aprendo.
Ben è, la mia, gran doglia:
ch'io non posso guerire,
se quei che m'ha feruto 45
non mi sana com' Pelëùs sua lanza;
e diamante sua voglia
paremene a sentire,
ch'al cor mi stea l'aguto
ch'entro gli ha messo la sua disianza. 50
<. . . . . . . . . . . . . . . .>
è lo mal che me mosse,
come d'ugel che fosse
la sua vita cazzato:
però son disperato, 55
non credo mai sentire gioia d'amore.
Non credetti svenire
com'io sono svenuto
tanto crudelemente,
tant'era alto per la vertù d'amore 60
ben era, a lo ver dire,
fiorin d'oro venuto
d'amor, cui son servente:
prendea di lui tutora il frutto e 'l flore:
ca simile m'avene 65
ch'a˙lLuzefer legato,
che tut<t>o il suo gra<n> stato
perdé 'n un movimento.
D'esto dir non m'allento:
che 'n cotal porto provi chi 'l mi dène. 70
![]() |
Allegrosi chantari. molta merze uichero. chemifacca dimossa. sedelemie uifaccio guerianza. chesio lofo chaltari. diquesta guesa p(er)uero. altri laue comossa. jn me questa grande disauenturanza. uoria bene p(er)mio grato. fiorire jnaltro frutto. masimile disdotto. chelzezere fa bernare. milfa edi chantare. comelgliterminare uolglio lamia uita. |
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Esta stagione nonuene. chemi doni comfortto. ditali chantari nomfino. come zigola jmfino chemortte p(ro)ua. malafenicie auene. che p(er) mortte entra jmportto. molto gio ioso efino. e zoe chese tanto rinoua .Ondio morire uoria sanza dimoramento. sio do vesse tenere similgliante natura. madeo delauentura. pregho chemidea asauere lapossa. Sjo ferma credenza. chelomio nascimento. fosse jnmala pianeta. chelmi prego ten gno naue afondata. elunga soferenza. digrauoso tormento. jncio credere maque ta. poi che nulla no(n)ne p(er) distinata. Etuto bene uista chegraue pena sofero. machasgione fa fero. foco delaqua uscire. p(er)zo nonme dadire. chio falli sacotale ramo maprendo. |
![]() |
Bene lamia grande dolglia. chio nomposso guerire. sequelli chema feruto nonmisana. compelleuss sua lanza. ediamante sua uolglia. paremene asentire. chalcore mistea laguto. chentro gliamesso lasua disianza. Elomale cheme mosse. chome dusgiello che fosse. lasua uita chazato. pero sono disperato. noncredo mai sentire gioia damore. Noncredetti suenire. comio sono suenuto. tanto crudelemente. tantera alto p(er)lauer tu damore. benera alouero dire fiorino doro uenuto. damore chui sono seruente. prendea dillui tutora ilfrutto elfolore. Casimile mauene challuzefero legato. chetuto ilsuo grastato. p(er)de nuno mouimento. desto dire no(n)mallento. chento tale porto p(ro)ui chilmi dene. |
I |
Allegrosi chantari. molta merze uichero. chemifacca dimossa. sedelemie uifaccio guerianza. chesio lofo chaltari. diquesta guesa p(er)uero. altri laue comossa. jn me questa grande disauenturanza. uoria bene p(er)mio grato. fiorire jnaltro frutto. masimile disdotto. chelzezere fa bernare. milfa edi chantare. comelgliterminare uolglio lamia uita. |
Allegrosi chantari, molta merzé vi chero, ché miʹ facca dimossa, se de le mieʹ vi faccio guerïanza, che, sʹio lo fo chaltari di questa guesa, per vero altri lʹave comossa jn me questa grande disaventuranza. Voria bene per mio grato fiorire jn altro frutto, ma simile disdotto che ʹl zezere fa bernare mi ʹl fa, ed i chantare comʹelgli terminare volglio la mia vita. |
II |
Esta stagione nonuene. chemi doni comfortto. ditali chantari nomfino. come zigola jmfino chemortte p(ro)ua. malafenicie auene. che p(er) mortte entra jmportto. molto gio ioso efino. e zoe chese tanto rinoua .Ondio morire uoria sanza dimoramento. sio do vesse tenere similgliante natura. madeo delauentura. pregho chemidea asauere lapossa. |
Esta stagione non vene che mi doni comfortto; di tali chantari nom fino come zigola jm fino che mortte prova: ma la fenicie avene che per mortte entra jm portto molto gioioso e fino, e zo è che sé tanto rinova: ondʹio morire voria sanza dimoramento, sʹio dovesse tenere similgliamente natura: ma Deo de la ventura pregho che mi dea a savere la possa. |
III |
Sjo ferma credenza. chelomio nascimento. fosse jnmala pianeta. chelmi prego ten gno naue afondata. elunga soferenza. digrauoso tormento. jncio credere maque ta. poi che nulla no(n)ne p(er) distinata. Etuto bene uista chegraue pena sofero. machasgione fa fero. foco delaqua uscire. p(er)zo nonme dadire. chio falli sacotale ramo maprendo. |
Sj o ferma credenza che lo mio nascimento fosse jn mala pianeta, che ʹl miʹ prego tengno nave afondata; e lunga soferenza di gravoso tormento jn ciò credere mʹaqueta; poi che nulla nonn-è per distinata e tuto bene vi sta, che grave pena sofèro: ma chasgione fa fero foco de lʹaqua uscire: perzò non mʹè da dire chʹio falli, sʹa cotale ramo mʹaprendo. |
IV |
Bene lamia grande dolglia. chio nomposso guerire. sequelli chema feruto nonmisana. compelleuss sua lanza. ediamante sua uolglia. paremene asentire. chalcore mistea laguto. chentro gliamesso lasua disianza. Elomale cheme mosse. chome dusgiello che fosse. lasua uita chazato. pero sono disperato. noncredo mai sentire gioia damore. |
Ben è, la mia, grande dolglia: chʹio nom posso guerire, se quelli che mʹa feruto non mi sana comʹ Pelleuss sua lanza; e diamante sua volglia paramene a sentire, chʹal core mi stea lʹaguto chʹentro gli a messo la sua disianza. è lo male che me mosse, chome dʹusgiello che fosse la sua vita chazato: però sono disperato, non credo mai sentire gioia dʹamore. |
V |
Noncredetti suenire. comio sono suenuto. tanto crudelemente. tantera alto p(er)lauer tu damore. benera alouero dire fiorino doro uenuto. damore chui sono seruente. prendea dillui tutora ilfrutto elfolore. Casimile mauene challuzefero legato. chetuto ilsuo grastato. p(er)de nuno mouimento. desto dire no(n)mallento. chento tale porto p(ro)ui chilmi dene. |
Non credetti svenire comʹio sono svenuto tanto crudelemente, tantʹera alto per la vertù dʹamore; ben era, a lo vero dire fiorino dʹoro venuto dʹamore, chui sono servente: prendea di llui tutora il frutto e ʹl folore: ca simile mʹavene chʹa lLuzefero legato, che tuto il suo gra stato perdé ʹn uno movimento. Dʹesto dire non mʹallento: che ʹnto tale porto provi chi ʹl mi dene. |
Carte Ms. CANZONIERE V: 70v
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Sovente il mio cor pingo
ad amore, ché˙llà
penson' avere avento:
credo incarnare, eo pingo;
nonn-ho vigor ch'ell'ha: 5
così son di gio' avento.
Mando lo cor, non torna;
ma lo corpo ratorna:
non si racorge a loco,
tanto li piace loco. 10
Così perdo che fo:
credo ben far, non fo.
Co la credenza inganno
la mia mente e me stesso:
credo parlare a boc<c>a. 15
Sì come 'l pesce a 'nganno
prende a l'amo se stesso,
così il mio core imboc<c>a
ciò ch'amore li dà:
credene aver, no 'nd'ha: 20
mostrali gioco a punta,
prendelo a taglio e punta.
Son caduto, or m'apiglio:
neiente è ciò ch'io piglio.
Va', mia canzone, al sag<g>io 25
c'ha 'l nome per contraro:
dilli ch'io son turbato,
perché, di valor sag<g>io,
di me intenda il contraro,
ischiari 'l mio turbato: 30
perché il podere e' s'ha,
dicane ciò che sa;
consigli mia gran pena,
che la sostegno apena:
s'io mi posi o sog<g>iorni 35
o vi perda più giorni.
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Souente ilmio core pingo. adamore chella. pemsso nauere auento. credo jncar nare eo pingo. non(n)o uigore chella. cosi sono digioia auento. Mando locore nontorna. malocorppo ratorna. nonsi racorgie aloco. tanto lipiacie loco. cosi p(er)do chefo. credo bene fare nomfo. |
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Colacredenza jnganno. lamia mente eme stesso. credo parlare apocha. sicomelpe scie anganno. alamo prende se stesso. cosi ilmio core jmboca. Cio chamore lida. cre dene auere non da. mostrali gioco apunta. eprendelo etalglio epunta. sono chaduta ora ma pilglio. neiente e cio chio pilglio. Vamia chanzone alsagio. chalnome p(er)contraro. dilli chio sono turbato. p(er)che di valore sagio. jntenda dime il contraro. ischiari lomio turbato. p(er)cha il podere esa. dichane cio che sa. consilgli lamia grampena. chela sostengno apena. sio miposi osogiorni. oui p(er)da piu giorni. |
I |
Souente ilmio core pingo. adamore chella. pemsso nauere auento. credo jncar nare eo pingo. non(n)o uigore chella. cosi sono digioia auento. Mando locore nontorna. malocorppo ratorna. nonsi racorgie aloco. tanto lipiacie loco. cosi p(er)do chefo. credo bene fare nomfo. |
Sovente il mio core pingo ad amore, ché˙lla pemsssonʹ avere avento: credo jncarnare, eo pingo: nonn-o vigore chʹell’a: così sono di gioia avento. Mando lo core, non torna; ma lo corppo ratorna: non si racorgie a loco, tanto li piacie loco. Così perdo che fo: credo bene fare, nom fo. |
II |
Colacredenza jnganno. lamia mente eme stesso. credo parlare apocha. sicomelpe scie anganno. alamo prende se stesso. cosi ilmio core jmboca. Cio chamore lida. cre dene auere non da. mostrali gioco apunta. eprendelo etalglio epunta. sono chaduta ora ma pilglio. neiente e cio chio pilglio. |
Co la credenza jnganno la mia mente e me stesso: credo parlare a pocha. Sì come ʹl pescie a ʹnganno a lʹamo prende se stesso, così il mio core jmboca ciò chʹamore li dà: credene avere, no ʹndʹa: mostrali gioco a punta, e prendelo e taglio e punta. Sono chaduta, ora mʹapiglio: neiente è ciò ch’io pilglio. |
III |
Vamia chanzone alsagio. chalnome p(er)contraro. dilli chio sono turbato. p(er)che di valore sagio. jntenda dime il contraro. ischiari lomio turbato. p(er)cha il podere esa. dichane cio che sa. consilgli lamia grampena. chela sostengno apena. sio miposi osogiorni. oui p(er)da piu giorni. |
Vaʹ, mia chanzone al sagio ch’al nome per contraro: dilli chʹio sono turbato, perché, di valore sagio, jntenda di me il contraro, ischiari lo mio turbato: percha il podere eʹ sʹa, di chane ciò che sa; consilgli la mia gram pena, che la sostengno apena: sʹio mi posi o sogiorni o vi perda più giorni. |
Carte Ms. CANZONIERE V: 71r
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat 3793
Edizioni: Poeti del Duecento, a cura di Gianfranco Contini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, voll. 2;Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Ahi dolze e gaia terra fiorentina,
fontana di valore e di piagenza,
fior de l'altre, Fiorenza,
qualunque ha più saver ti ten reina.
Formata fue di Roma tua semenza 5
e da Dio solo data la dotrina,
ché per luce divina
lo re Fiorin ci spese sua potenza;
ed eb<b>e in sua seguenza
conti e marchesi, prencipi e baroni, 10
gentil' d'altre ragioni:
cesati fuor d'orgoglio e villania,
miser lor baronia
a ciò che fossi de l'altre mag<g>iore.
Come fosti ordinata primamente 15
da' sei baron' che più avean d'altura,
e ciascun puose cura
ver' sua parte, com' fosse più piacente;
da San Giovanni avesti sua figura,
i be' costumi dal fior de la gente, 20
da' savi il convenente;
in planeta di Lëo più sicura,
di villania fuor, pura,
di piacimento e di valore orata,
sana aira e in gioia formata, 25
diletto d'ogni bene ed abondosa,
gentile ed amorosa,
imperadrice d'ogni cortesia.
Ahimè, Fiorenza, che è rimembrare
lo grande stato e la tua franchitate 30
c'ho detta!, ch'è in viltate
disposta ed abassata, ed in penare
somessa, e sottoposta in fedaltate,
per li tuoi figli co˙llo˙rio portare,
che, per non perdonare 35
l'un l'altro, t'hanno messa in basitate.
Ahïmè lasso, dov'è lo savere
e lo pregio e 'l valore e la franchezza?
La tua gran gentilezza
credo che dorme e giace in mala parte: 40
chi 'mprima disse «parte»
fra li tuo figli tormentato sia.
«Fiorenza» non pos' dir, ché se' sf<i>orita,
né ragionar che 'n te sia cortisia:
chi chi non s'aomilia, 45
già sua bontà non puote esser gradita;
non se' più tua, né hai la segnoria,
anzi se' disorata ed aunita
ed hai perduta vita,
ché messa t'ha ciascuno 'n schiavonia. 50
Da l'un tuo figlio due volte donata
per l'altro consumare e dar dolore,
e per l'altro a segnore
se' oramai e donera'gli il fio:
non val chiedere a Dio 55
per te merzé, Fiorenze dolorosa.
Ché è moltipricato in tua statura
asto e 'nvidïa, noia e strug<g>imento
orgoglioso talento,
avarizza, pigrezza e losura; 60
e ciascuno che 'n te ha pensamento
e' studia sempre di volere usura;
di Dio nonn-han paura
ma sieguen sempre disïar tormento.
Li pic<c>iol', li mezzani e li mag<g>iori 65
hanno altro in cor che non mostran di fora:
per contrado lavora
onde 'l Segnore Idio pien di pietate
per Sua nobilitate
ti riconduca a la verace via. 70
Vai al manoscritto
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Ajdolze egaia terra fiorentina. fontana diualore edipiagienza. fiore delaltre fiorenza. qualunque apiu sauere titene reina. formata fue diroma tua sem enza. eda dio solo data la dotrina. che p(er)lucie diuina. lore fiorino cispese sua potenza. Edebe jmsua seguenza. conti emar chesi prencipi ebaroni. gientili daltre rasgioni. ciesati fuoro dorgolglio euillania. misero loro baronia. acio chefossi delaltre magiore. |
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Come fosti ordinata primamente. dasei baroni che piu aueano daltura. eciaschuno puose chura. versua partte comfosse piu piaciente. dasangiouanni auesti sua fighura. ibecostumi dalfiore delagiente. dasaui jlconuenente. jmplaneta dileo piu sichura. Diuillania fuori pura. dipiacimento ediualore orata. jnsana aira ejngioia formata. dilletto dongni bene edabondosa. gientile edamorosa. jmperadricie dongni cortesia. |
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Aime fiorenza chee rimembrare. logrande stato elatua franchitate. co detta che jnuiltate. disposta edabassata edimpenare. somessa esottoposta jmfedalta te. p(er)li tuoi filgli collorio portare. che p(er)nonp(er)donare. luno laltro tanno messa jnba sitate. Aime lasso doue losauere. elopresgio eloualore elafrancheza. latua grande gie ntileza. credo che dorme egiacie jnmala partte. chimprima disse partte fralituo fil gli tormentato sia. |
![]() |
Fiorenza nomposso dire chese sforita. nera gionare chente sia cortisia. chichi nomsa do milia. gia sua bonta nompuote essere gradita. nomse piu tua neai la sengnoria. an zi se disorata edaunita. edai p(er)duta uita. chemessa ta ciaschuno nischiauonia. Da luno tuo filglio due uoltedonata. p(er)laltro comsumare edare dolore. ep(er)laltro asengnore. seora mai edoneralgli ilfio. nonuale chiedere adio. p(er)te merze fiorenze dolorosa. |
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Kee molti prichato jntua statura. asto enuidia noia estrugimento. orgolglioso talento. auarizia pigreza elosura. eciaschuno chente apemsamento. [e]studia sempre diuolere u sura. didio nonnan(n)o paura. masiegueno sempre disiare tormento. Lipicioli limezani eli magiori. an(n)o altro jncore chenonmostrano difora. p(er)contrado l[auora]. [on]delsengnore jdio pieno dipietate. p(er)sua nobilitate. tiriconduca alaueracie [via] |
I |
Ajdolze egaia terra fiorentina. fontana diualore edipiagienza. fiore delaltre fiorenza. qualunque apiu sauere titene reina. formata fue diroma tua sem enza. eda dio solo data la dotrina. che p(er)lucie diuina. lore fiorino cispese sua potenza. Edebe jmsua seguenza. conti emar chesi prencipi ebaroni. gientili daltre rasgioni. ciesati fuoro dorgolglio euillania. misero loro baronia. acio chefossi delaltre magiore. |
Aj dolze e gaia terra fiorentina, fontana di valore e di piagienza, fiore de lʹaltre, Fiorenza, qualunque a più savere ti tene reina. Formata fue di Roma tua semenza e da Dio solo data la dotrina, ché per lucie divina lo re Fiorino ci spese sua potenza; ed ebe jm sua seguenza conti e marchesi, prencipi e baroni, gientili dʹaltre rasgioni: ciesati fuoro dʹorgolglio e villania, misero loro baronia a ciò che fossi de lʹaltre magiore. |
II |
Come fosti ordinata primamente. dasei baroni che piu aueano daltura. eciaschuno puose chura. versua partte comfosse piu piaciente. dasangiouanni auesti sua fighura. ibecostumi dalfiore delagiente. dasaui jlconuenente. jmplaneta dileo piu sichura. Diuillania fuori pura. dipiacimento ediualore orata. jnsana aira ejngioia formata. dilletto dongni bene edabondosa. gientile edamorosa. jmperadricie dongni cortesia. |
Come fosti ordinata primamente daʹ sei baroni che più aveano dʹaltura, e ciaschuno puose chura verʹ sua partte, comʹ fosse più paciente; da San Giovanni avesti sua fighura, i beʹ costumi dal fiore de la giente, daʹ savi jl convenente; jm planeta di Lëo più sichura, di villania fuori, pura, di piacimento e di valore orata, jn sana aira e ij gioia formata, diletto d’ongni bene ed abondosa, gientile ed amorosa, jmperadricie dʹongni cortesia. |
III |
Aime fiorenza chee rimembrare. logrande stato elatua […](1) franchitate. co detta che jnuiltate. disposta edabassata edimpenare. somessa esottoposta jmfedalta te. p(er)li tuoi filgli collorio portare. che p(er)nonp(er)donare. luno laltro tanno messa jnba sitate. Aime lasso doue losauere. elopresgio eloualore elafrancheza. latua grande gie ntileza. credo che dorme egiacie jnmala partte. chimprima disse partte fralituo fil gli tormentato sia. |
Aimè, Fiorenza, che è rimembrare lo grande stato e la tua[…] franchitate c’o detta!, ch’è jn viltate disposta ed abassata, ed im penare somessa, e sottoposta jm fedaltate, per li tuoi filgli co˙llo˙rio portare che, per non perdonare lʹuno lʹaltro, tʹanno messa jn basitate. Aimè lasso, dovʹè lo savere e lo presgio e lo valore e la francheza? La tua grande gientileza credo che dorme e giacie jn mala partte: chi ʹmprima disse partte fra li tuo filgli tormentato sia. |
IV |
Fiorenza nomposso dire chese sforita. nera gionare chente sia cortisia. chichi nomsa do milia. gia sua bonta nompuote essere gradita. nomse piu tua neai la sengnoria. an zi se disorata edaunita. edai p(er)duta uita. chemessa ta ciaschuno nischiauonia. Da luno tuo filglio due uoltedonata. p(er)laltro comsumare edare dolore. ep(er)laltro asengnore. seora mai edoneralgli ilfio. nonuale chiedere adio. p(er)te merze fiorenze dolorosa. |
«Fiorenza» nom posso dire, ché seʹ sforita, né ragionare che ʹn te sia cortisia: chi chi nom sʹadomilia, già sua bontà nom puote essere gradita; nom seʹ più tua, né ai la sengnoria, anzi seʹ disorata ed aunita ed ai perduta vita, ché messa tʹa ciaschuno ʹn schiavonia. Da lʹuno tuo filglio due volte donata per lʹaltro comsumare e dare dolore, e per lʹaltro a sengnore seʹ oramai e doneralgli il fio: non vale chiedere a Dio per te merzé, Fiorenze dolorosa. |
V |
Kee molti prichato jntua statura. asto enuidia noia estrugimento. orgolglioso talento. auarizia pigreza elosura. eciaschuno chente apemsamento. [e]studia(2) sempre diuolere u sura. didio nonnan(n)o paura. masiegueno sempre disiare tormento. Lipicioli limezani eli magiori. an(n)o altro jncore chenonmostrano difora. p(er)contrado l[auora](3). [on]delsengnore(4) jdio pieno dipietate. p(er)sua nobilitate. tiriconduca alaueracie [via](5) |
Ke è moltiprichato jn tua statura asto è ʹnvidia, noia e strugimento, orgoglioso talento, avarizia, pigreza e losura; e ciaschuno che ʹn te a pemsamento [e] studia sempre di volere usura; di Dio nonn-anno paura ma siegueno sempre disiare tormento. Li picioli, li mezani e li magiori anno altro jn core che non mostrano di fora: per contrado l[avora] [on]de ʹl Sengnore Idio pieno di pietate per Sua nobilitate ti riconuca a la veracie [via]. |
NOTE:
1) In V, tra le lezioni elatua e franchitate è presente una rasura. La lezione a testo risulta totalmente illeggibile.
5) In V, le ultime lettere scritte dal copista sono quasi totalmente illeggibili. A testo si è proceduto inserendo una possibile ipotesi di lettura, tenendo conto anche del contesto generale: [via].
Carte Ms. CANZONIEREV: 71r-v
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat 3793
Edizioni: Poeti del Duecento, a cura di Gianfranco Contini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, voll. 2;Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Quando lo mar tempesta,
per natura che gli ène,
de lo suo tempestare gitta l'onda;
e 'n quella guisa alpesta
è spesso, ché grand'ène 5
la cagion che tempesta <sì> gli abonda.
Vede l'ond'agitare,
già mai non vede posa,
infin che quella cosa
che lo fa tempestare 10
non si parte da˙llui,
perch'è natura i˙llui
di così far, quando i giunge quell'ora.
E per natura getta
la tempesta il maroso, 15
d<ov>unque là ove inchiuder non si pote:
* dunque elli in cui lo getta
fior'è ch'è tempestoso
e che gioie per stagion menare pote.
E da ch'è così certo, 20
bene faria fallanza
chi ponesse fallanza
in ch'io lo metto sper<t>o:
facesse in ciò pur d'una
guisa, com' so, mal sona, 25
ché mare, com' tempesta, l'onda butta. *
Tanto mi par lo dire,
ch'ag<g>io fatto, certano,
che di parlare ancora no ridotto
quel che mi fa languire, 30
ancora che lontano,
m'assai diròllo, come sia condotto.
Ciò natura distina:
sì com'ha sua natura
ciascuna crïatura, 35
ritraie indi gioi' fina;
a quella ch'io avea
traea, da che dovea,
e come pesce per lo mare stava.
Istando più gioioso 40
ne lo mar d'ogni gioia,
ed un'òra crudele cominciòe
a farlo tempestoso,
pur per me donar noia,
ond'ïo morte tosto n'averòe; 45
ché per suo tempestare
mi lasciò smisurato:
con un'onda abutato
lungi m'ha fuor del mare,
e posto in ter<r>a dura 50
e tratto di natura,
<come d'>onde li pesci, ch'indi han vita.
Veggendo ched io sono
di star ne l'aqua fora,
assai isbatuto son per ritornare. 55
Tanto sbatuto sono:
ed ancor non mi fora
per certo dentro mai non <ri>tornare;
ond'è mia vit'a terra
più che non fari' in parte 60
àlbere che si parte,
quand'è verde, da terra:
ma prego sire Deo
che <'n> quella guisa ch'eo
moro, chi morir fa˙mi morir faccia. 65
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QVando lamore tempesta. p(er)natura chegliene. delosuo tempestare gitta londda. e nquella guisa alpesta. espesso che grandene. lachasgione chetempesta gliabonddi. Vede londda gitare. giamai nonuede posa. jmfino chequella cosa chela fa tempesta re. nomsipartte dallui. p(er)che. natura illui. dicosi fare quando gligiungie quellora. |
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E p(er)natura gietta. latempesta ilmaroso. dumque laoue jnchiudere nomsi pote. dumque elli jnchui lo gietta. fiore chetempestoso. echegioie p(er)istasgione menare pote. Edache cosi certto. bene faria fallanza. chi ponesse fallanza. jnchio lometto spero. facie sse jnchio purduna. guisa comfu malsona. chemale come tempesta londda butta. Tanto mipare lodire. chagio fatto ciertano. chediparllare ancora noridotto. quello che mifa languire. ancora chelontano. massai dirollo come sia condotto. Daco natura stino. sicoma sua natura. ciaschuno criatura. ritraie jndi gioie fino. a quella chio auea. tra ea dache douea. ecome pescie p(er) lo mare staua. |
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Istando piu gioioso. nelomare dongni gioia. edunora crudele comincioe. afarllo tempe stoso. pura p(er)me donare noia. ondio fortte mortte tosto naueroe. che p(er)suo tempestare. milascio smjsurato. conunonda abutata. lungima fuori delmare. eposto jntera du ra. etratto dinatura. onde lipesci chindi anno uita. |
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Vegiendo chedio sono. distare nelaqua fora. assai isbatuto sono p(er)ritornare. ma tanto sbatuto sono. edancora nomuifora. p(er) ciertto dentro mai nontornare. Onde mia vita ter(r)a. piu che nomfari jmpartte. maprego sire deo. che quella guisa cheo. moro chi morire mifa morire faccia. |
I |
QVando lamore tempesta. p(er)natura chegliene. delosuo tempestare gitta londda. e nquella guisa alpesta. espesso che grandene. lachasgione chetempesta gliabonddi. Vede londda gitare. giamai nonuede posa. jmfino chequella cosa chela fa tempesta re. nomsipartte dallui. p(er)che. natura illui. dicosi fare quando gligiungie quellora. |
Quando lʹamore tempesta, per natura che gli ène, de lo suo tempestare gitta lʹondda; eʹn quella guisa alpesta è spesso, ché grandʹène la chasgione che tempesta gli abonddi. Vede lʹonddʹagitare, già mai non vede posa, jmfino che quella cosa che la fa tempestare nom si partte da˙llui, perch’è natura i˙llui di così fare, quando gli giungie quell’ora. |
II |
E p(er)natura gietta. latempesta ilmaroso. dumque laoue jnchiudere nomsi pote. dumque elli jnchui lo gietta. fiore chetempestoso. echegioie p(er)istasgione menare pote. Edache cosi certto. bene faria fallanza. chi ponesse fallanza. jnchio lometto spero. facie sse[1] jnchio purduna. guisa comfu malsona. chemale come tempesta londda butta. [1] In V, la lettera a di faciesse è poco leggibile.
|
E per natura gietta la tempesta il maroso, dumque là ove jnchiudere nom si pote: dumque elli jn chui lo gietta fiorʹè chʹè tempestoso e che gioie per istasgione menare pote. E da chʹè così certto, bene faria fallanza chi ponesse fallanza jn chʹio lo metto spero: faciesse jn chʹio pur dʹuna guisa, comʹ fu, mal sona, ché male, come tempesta, lʹondda butta. |
III |
Tanto mipare lodire. chagio fatto ciertano. chediparllare ancora noridotto. quello che mifa languire. ancora chelontano. massai dirollo come sia condotto. Daco natura stino. sicoma sua natura. ciaschuno criatura. ritraie jndi gioie fino. a quella chio auea. tra ea dache douea. ecome pescie p(er) lo mare staua. |
Tanto mi pare lo dire, chʹagio fatto, ciertano, che di parllare ancora no ridotto quello che mi fa languire, ancora che lontano, mʹassai diròllo come sia condotto. Daco natura stino: sì comʹa sua natura ciaschuno criatura, ritraie jndi gioie fino; a quella chʹio avea traea, da che dovea, e come pescie per lo mare stava. |
IV |
Istando piu gioioso. nelomare dongni gioia. edunora crudele comincioe. afarllo tempe stoso. pura p(er)me donare noia. ondio fortte mortte tosto naueroe. che p(er)suo tempestare. milascio smjsurato. conunonda abutata. lungima fuori delmare. eposto jntera du ra. etratto dinatura. onde lipesci chindi anno uita. |
Istando più gioioso ne lo mare dʹongni gioia, ed unʹora crudele cominciòe a farllo tempestoso, pura per me donare noia, ondʹïo fortte mortte tosto nʹaveròe; ché per suo tempestare mi lascò smjsurato: con unʹonda abutata lungi mʹa fuori del mare, e posto jn tera dura e tratto di natura, onde li pesci, chʹindi anno vita. |
V |
Vegiendo chedio sono. distare nelaqua fora. assai isbatuto sono p(er)ritornare. ma tanto sbatuto sono. edancora nomuifora. p(er) ciertto dentro mai nontornare. Onde mia vita ter(r)a. piu che nomfari jmpartte. maprego sire deo. che quella guisa cheo. moro chi morire mifa morire faccia. |
Vegiendo ched io sono di stare ne lʹaqua fora assai isbatuto sono per ritornare. Ma tanto sbatuto sono: ed ancora nom vi fora per ciertto dentro mai non tornare; ondʹè mia vitʹa terra più che nom fariʹ jm partte comʹ al bere che si partte, quandʹè verde, da terra ma prego sire Deo che quello guisa chʹeo moro, chi morire mi fa morire faccia. |
Carte Ms. CANZONIERE V: 71v-72r
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Chïunque altrüi blasma
per torto che li face,
bene si de' laudare
di chi li fa ragione,
ché 'l ben de' star come 'l male in parvenza. 5
Chi pur lo torto blasma
e 'l ben celar li piace,
ben este da blasmare
d'una falsa cagione,
sì come il falso pien di scanoscenza. 10
E zo credendo la mia canoscenza,
però ch'io son blasmato
plus-or forte d'amore
parendomi ingannato,
or co ragione laudarmene voglio, 15
seguendo nel ben ciò che nel mal soglio;
ed a l'amor cui servo
grazze fo di buon core,
palesandomi servo
sovra gli altri per lungo mer<i>tato. 20
Non vo' far com'han fatto
molti che sono e fuoro,
che, s'u<n> to<r>nò i<n> spiacere,
cento piacer' piagenti
hanno somessi e riputati i˙noia. 25
Tut<t>e doglie in affatto
che per amor mi fuoro
con alegro volere
paleso a tut<t>e genti
dimett<erï>a sol per una gioia. 30
Non potreb<b>e mia vita star sì croia
ch'io mi blasmasse mai
d'amor ch'atanto tegno,
che gioia m'ha dato omai:
tut<t>i li mal' passa in ben che m'ha dato. 35
S'al mio chieder m'avesse sormontato,
tanto alto non sare<i>,
ch'a chi più bassa tegno
apreso mi sarei,
pare<n>dom'esser ne lo som<m>o loco. 40
Sed io fosse sicuro
di regnar quanto il mondo,
non poterei servire
tanto né ringrazzare
amor, che 'l suo gran dono n'avanzasse. 45
Non posso star sicuro
ormai con cor giucondo
inver' d'amor fallire,
tanto saria il fallare
co blasimo di me ch'a amor fallasse. 50
Nanti vorei morir, ch'io pur pensasse
di star d'amor diviso:
ch'amor loco m'ha˙ffatto
nel dolze paradiso,
giungendo ben miei rai con quei del sole, 55
donandomi a servire a tal che vuole
di cui servo mi piace
dimorare intrasatto,
servendola verace
in tut<t>e parti <a> tut<t>o il mio podere. 60
Non mi fue con gravezza
lo dolze acordamento
ch'ag<g>io co la mia donna:
lo primo sguardo prese,
confortando me star suo amadore; 65
no˙l mi fe' mia bellezza
né grande insegnamento;
né, cortese sovr'onna,
da me non si difese,
sdegnando me per suo grande valore. 70
Quanto di bene i' tegno è dad amore;
senza amar nonn-è bene;
da˙llui quant'è discende:
però chi l'ha 'n ispene
mantegnalo, sperando guiderdono. 75
Non prende servo senza darli dono,
ancor che la mercede
al servidor no rende
sì tosto com'e' crede,
ch'amor lo face provando gli amanti. 80
Pareglia àlbori e fiori
e verdor' de li prati
e de l'agua chiarore
e lume d'ogni spera
quel<l>a che m'ha e tien per suo servente; 85
tratta tut<t>i gli onori;
de li piacenti stati
som<m>'ha il suo gran valore;
natur'ha di pantera:
lo suo dolz<or> prende tut<t>a la gente. 90
Imperïal coron'ha veramente
di tut<t>a la bieltate;
è d'essere cortese,
savia con umiltate:
a lei inchina quant'è di piacere. 95
Così mi fa sperare grande avere,
facendomi d'amare
sembianti, me palese
di tal gioia aquistare
a compimento de lo mio disio. 100
Compimento di frutto
non mi fa rallegrare
né sì lodar d'amore,
perciò ched io no l'ag<g>io,
e zo riman perch'io non so dov'ène: 105
ché 'l suo valore in tutto
è fermo zo me dare:
ma ralegra il mio core
e lod'amor ch'è mag<g>io,
perch'a la som<m>a gioia m'aferma spene. 110
Ché sae guiderdonar l'omo di bene
l'amar, quando s'aprende
aprendersi di tale
ch'altri non ne riprende
ed amor no ne g<r>ava del parere. 115
Ed io ben vorei tanto del savere,
ched io contar savesse
quanto madonna vale
a quel ch'altrui paresse,
ché zo aver gran dono mi teria. 120
Quant'e quale è <'l> valere
che madonna prosiede
dire non <lo> poria
néd istimar con core,
ch'ella smisura come il ciel st<ell>ato; 125
volerlo fa<r> parere
in gran noia mi riede;
così si storberia
mio alegro valore.
A ciò che non si sturbi da vil lato, 130
e' dò consiglio ad ogni 'namorato
che mantien disïanza
<d'amorosa donzella>
che deg<g>ia gire a danza
quel giorno che domenica s'apella: 135
domenica ogni cosa rinovella
sì come primavera,
cotal vertute è 'n ella.
Tut<t>a gioia ch'om <ha> altera
in domenica mi fue conceputa. 140
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Kjumque altrui blasma. p(er)tortto chelifacie. bene side laudare. dichi lifa rasgione. chelbene de stare come lomale jmparuenza. chi pur lotortto blasma. elbene cielare lipiacie. bene ste dablasmare. duna falssa chagione. sicome ilfalsso pieno dischanoscienza. Ezo credendo lamia chanoscienza. pero chio sono blasmato. pluso re fortte damore. parendomi jngannato. orcorasgione laudare me ne seguendo nelbene cio chenelmale solglio. edelamore chui seruo. graze fo dibuono core. palesando miseruo. souvralglialtri p(er)lungo mertato. |
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Nonuolglio fare comann(n)o fatto. molti chesono efuoro. chesuto noi spiaciere. ciento pia cieri piagienti. anno somessi eriputati jnoia. tute dolglie jnaffatto. che p(er)amore mifuoro. comalegro uolere. paleso atute gienti. dimetta solo p(er)una gioia. Nompote rebe mia uita stare sicroia. chio miblasmasse mai. damore chai tanto tengno. che gioia madato omai. tuti limali passa jmbene chemadato. salmio chiedere mauesse sormontato. tanto alto nomsare. che cha piu bassa tengno. apresso misarei. para dom(m)o essere Nelo somo loco. |
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Sedio fosse sichuro. direngnare quanto ilmonddo. nompoterei seruire. tanto neringra zare. amore chelsuo grandono nauanzasse. nomposso stare sichuro. ormai concore giuco nddo. jnuerdamore fallire. tanto saria ilfallare. co blasimo dime chalamore fallasse. Na nti uorei morire chio purpemsasse. distare damore diuiso. chamore loco maffatto neldo lze paradiso. giungiendo bene miei rai comquelli delsole. donandomi aseruire atale che vuole. dichui seruo mipiacie. dimorare jmtrassatto. seruendo laueracie. jntute pa(r)ti tuto ilmio podere. |
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Non mi fue congraueza. lo dolze acordamento. chagio cola mia donna. loprimo sguardo ngnamento. necortese souronna. dame nomsi difese. as dengnando me p(er)suo grande valore. quanto dibene jtengno e dadamore. senza amare non(n)e bene. dallui quante di sciende. pero chila nispene. mantengnalo sperando gui derdono. nompende seruo senza darlli dono. ancora chelamerciede. alseruidore norende. sitosto come crede. chamore lofacie p(ro)uando gliamanti. |
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Delglialbori efiori. euerdori deliprati. edelagua chiarore. elume dongni spera. qua le chema etiene p(er)suo seruente. tratta tuti glionori. delipiacienti stati. soma il suo grande ualore. natura dipantera. losuo dolze prende tuta lagiente. Jnperiale corona ueramente. dituta labieltate. edessere cortese sauia conumiltate. alei jn china quante dipiaciere. cosi mifa sperare grande auere. faciendomi donare. se mbianti mapalese. ditale gioia acquistare. acompimento delomio disio. |
![]() ![]() |
Compimento difrutto. nonmifa rallegrare. nesi lodare damore. p(er)cio chedio nolagio. ezo rimane p(er)chio nomso douene. chelsuo ualore jntutto. efermo zo me dare. maralegra re ilmio core. elo damore chemagio. p(er)chalasoma gioia maferma spene. Chesae guiderdonare lomo dibene. lamare quando saprende. aprendersi ditale. caltri non(n)e riprende. edamore nonegaua delparere. edio bene uorei tanto delsauere. chio dio contare sauesse. quanto madonna uale. aquello chaltrui paresse che zo auere grande dono miteria. |
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Qvante quello che ualere. chemadonna prosiede. dire nomporia. nedistimare com core. chella smisura come ilcielo lostato. louolere lo fa parere. jngrande noia miriede cosisi storberia. mio alegro uolere. acio chenomsisturbi dauile lato. Edo comsilglio adongni namorato. chemantiene disianza. chedegia gire adanza. quello giorno chedo menicha sapella. domenicha ongni cosa rinouella. sicome primauera. cotale uertute enella. tuta gioia comaltera. jndomenicha mifue concieputa. |
I |
Kjumque altrui blasma. p(er)tortto chelifacie. bene side laudare. dichi lifa rasgione. chelbene de stare come lomale jmparuenza. chi pur lotortto blasma. elbene cielare lipiacie. bene ste dablasmare. duna falssa chagione. sicome ilfalsso pieno dischanoscienza. Ezo credendo lamia chanoscienza. pero chio sono blasmato. pluso re fortte damore. parendomi jngannato. orcorasgione laudare me ne seguendo nelbene cio chenelmale solglio. edelamore chui seruo. graze fo dibuono core. palesando miseruo. souvralglialtri p(er)lungo mertato. |
Kjumque altrüi blasma per tortto che le facie, bene si deʹ laudare di ch li fa rasgione, ché ʹl bene deʹ stare come lo male jm parvenza. Chi pur lo tortto blasma e ʹl bene cielare li piacie, bene ste da blasmare dʹuna falssa chagione, sì come il falsso pieno di schanoscienza. E zo credendo la mia chanoscienza, però chʹio sono blasmato plusore fortte dʹamore parendomi jngannato, or co rasgione laudare mene volglio, seguendo nel bene ciò che nel male solglio; ed è lʹamore chui servo graze fo di buono core, palesandomi servo sovra lgli altri per lungo mertato. |
II |
Nonuolglio fare comann(n)o fatto. molti chesono efuoro. chesuto noi spiaciere. ciento pia cieri piagienti. anno somessi eriputati jnoia. tute dolglie jnaffatto. che p(er)amore mifuoro. comalegro uolere. paleso atute gienti. dimetta solo p(er)una gioia. Nompote rebe mia uita stare sicroia. chio miblasmasse mai. damore chai(1) tanto tengno. che gioia madato omai. tuti limali passa jmbene chemadato. salmio chiedere mauesse sormontato. tanto alto nomsare. che cha piu bassa tengno. apresso misarei. para dom(m)o essere Nelo somo loco. |
Non volglio fare comʹannno fatto molti che sono e fuoro, che, sʹu tono i spiaciere, ciento piacieri piagenti anno somessi e riputati j˙noia. Tute dolglie jn affatto che per amore mi fuoro com alegro volere paleso a tute gienti dimetta solo per una gioia. Nom poterebe mia vita stare sì croia chʹio mi blasmasse mai dʹamore chai tanto tengno, che gioia mʹa dato omai: tuti li mali passa jm bene che mʹa dato. Sʹal mio chiedere mʹavesse sormontato, tanto alto nom sare, che chʹa più bassa tengno apresso mi sarei, paradommo essere ne lo somo loco. |
III |
Sedio fosse sichuro. direngnare quanto ilmonddo. nompoterei seruire. tanto neringra zare. amore chelsuo grandono nauanzasse. nomposso stare sichuro. ormai concore giuco nddo. jnuerdamore fallire. tanto saria ilfallare. co blasimo dime chalamore fallasse. Na nti uorei morire chio purpemsasse. distare damore diuiso. chamore loco maffatto neldo lze paradiso. giungiendo bene miei rai comquelli delsole. donandomi aseruire atale che vuole. dichui seruo mipiacie. dimorare jmtrassatto. seruendo laueracie. jntute pa(r)ti tuto ilmio podere. |
Sed io fosse sichuro di rengnare quanto il monddo, nom poterei servire tanto né ringrazare amore, che ʹl suo gran dono nʹavanzasse. Nom posso stare sichuro ormai con core giuconddo jnver dʹamore fallire, tanto saria il fallare co blasimo di me chʹa lʹamore fallasse. Nanti vorei morire, chʹio pur pemsasse di stare dʹamore diviso: chʹamore loco mʹa˙ffatto nel dolze paradiso, giungiendo bene miei rai com quelli del sole, donandomi a servire a tale che vuole di chui servo mi piacie dimorare jmtrassatto, servendola veracie jn tute parti tuto il mio podere. |
IV |
Non mi fue congraueza. lo dolze acordamento. chagio cola mia donna. loprimo sguardo ngnamento. necortese souronna. dame nomsi difese. as dengnando me p(er)suo grande valore. quanto dibene jtengno e dadamore. senza amare non(n)e bene. dallui quante di sciende. pero chila nispene. mantengnalo sperando gui derdono. nompende seruo senza darlli dono. ancora chelamerciede. alseruidore norende. sitosto come crede. chamore lofacie p(ro)uando gliamanti. |
Non mi fue congraveza lo dolze acordamento chʹagio co la mia donna: lo primo sguardo prese, comfortando me stare suo amadore; no˙l mi feʹ mie belleze né grande jnsengnamento; né, cortese sovrʹonna, da me nom si difese, asdengnando me per suo grande valore. Quanto di bene jʹ tengno è dad amore; senza amare nonn-è bene; da llui quante disciende: però chi lʹa ʹn ispene mantengnalo, sperando guiderdono. Nom pende servo senza darlli dono, ancora che la merciede al servidore no rende sì tosto comʹè crede, chʹamore lo facie provando gli amanti. |
V |
Delglialbori efiori. euerdori deliprati. edelagua chiarore. elume dongni spera. qua le chema etiene p(er)suo seruente. tratta tuti glionori. delipiacienti stati. soma il suo grande ualore. natura dipantera. losuo dolze prende tuta lagiente. Jnperiale corona ueramente. dituta labieltate. edessere cortese sauia conumiltate. alei jn china quante dipiaciere. cosi mifa sperare grande auere. faciendomi donare. se mbianti mapalese. ditale gioia acquistare. acompimento delomio disio. |
Delgli albori e fiori e verdori de li prati e de lʹagua chiarore e lume dʹongni spera quale che mʹa e tiene per suo servente; tratta tuti gli onori; de li piacienti stati somʹa il suo grande valore; natura di pantera: lo suo dolze prende tuta la giente. Jnperïale corona veramente di tuta la bieltate; è dʹessere cortese, savia con umiltate: a lei jnchina quantʹè di piaciere. Così mi fa sperare grande avere, faciendomi donare sembianti, ma palese di tale gioia acquistare a compimento de lo mio disio. |
VI |
Compimento difrutto. nonmifa rallegrare. nesi lodare damore. p(er)cio chedio nolagio. ezo rimane p(er)chio nomso douene. chelsuo ualore jntutto. efermo zo me dare. maralegra re ilmio core. elo damore chemagio. p(er)chalasoma gioia maferma spene. Chesae guiderdonare lomo dibene. lamare quando saprende. aprendersi ditale. caltri non(n)e riprende. edamore nonegaua delparere. edio bene uorei tanto delsauere. chio dio contare sauesse. quanto madonna uale. aquello chaltrui paresse che zo auere grande dono miteria. |
Compimento di frutto non mi fa rallegrare ne si lodare dʹamore, perciò ched io no lʹagio, e zo rimane perchʹio nom so dovʹène: chè ʹl suo valore jn tutto è fermo zo me dare: ma ralegrare il mio core e lodʹamore chʹè magio, perchʹa la soma gioia mʹaferma spene. Ché sae guiderdonare lʹomo di bene lʹamare, quando sʹaprende aprendersi di tale cʹaltri non ne riprende ed amore no ne gava del parere. Ed io bene vorei tanto del savere, chʹio Dio contare savesse quanto madonna vale a quello chʹaltrui paresse ché zo avere grande dono mi teria. |
VII |
Qvante quello che ualere. chemadonna prosiede. dire nomporia. nedistimare com core. chella smisura come ilcielo lostato. louolere lo fa parere. jngrande noia miriede cosisi storberia. mio alegro uolere. acio chenomsisturbi dauile lato. Edo comsilglio adongni namorato. chemantiene disianza. chedegia gire adanza. quello giorno chedo menicha sapella. domenicha ongni cosa rinouella. sicome primauera. cotale uertute enella. tuta gioia comaltera. jndomenicha mifue concieputa. |
Quantʹè quello che valere che madonna prosiede dire nom poria néd istimare com core, chʹella smisura come il cielo lostato; lo volere lo fa parere jn grande noia mi riede; così si storberia mio alegro volere. A ciò che nom si sturbi da vile lato, eʹ dò comsilglio ad ongni ʹnamorato che mantiene disïanza che degia gire a danza quello giorno che domenicha sʹapella: domenicha ongni cosa rinovella sì come primavera, cotale vertute è ʹn ella. Tuta gioia cʹom altera jn domenicha mi fue concieputa. |
NOTE:
1) In V, la parola è poco leggibile, potrebbe essere anche choi.
2) In edizione Menichetti, la lezione riportata in apparato è QVante.
Carte Ms: CANZONIERE V: 72r-v
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Da che mi conven fare
cosa ch'è da biasmare
e da tenere grande fallimento,
donne e donzelle invito;
ch'i' bene si' audito 5
a gl<i> uomini cui ho far parlamento;
e vo' far difensione
del parlare villano
che di me si faria,
se la greve cagione 10
che m'ha dato il cor vano
celar dovesse, che pur loderia.
Amore c'ha semblanza
di fina 'namoranza,
chi lo partisse serìa sconoscente; 15
e ben si può ridire
che fosse a lo ver dire
oltre misura di ciò far fallente;
ed e' così tenuto
serei in ogne parte 20
per non saver lo certo,
ch'anzi vorei feruto
essere in ogni parte,
che tale biasimo in me fosse certo.
Sì come altri amadori 25
che met<t>oro i lor cori
ne le femine amare ben servendo,
coralemente misi
lo mio, né no˙l dimisi,
in una donna, <ed> a˙llei non falendo 30
lungo temp'ho passato.
Certo amor mi tenea
d'ogn'om più altamente:
ed ora m'ha˙ffallato,
ché del propio ch'avea 35
di sé, mi dà d'altro fatto parvente.
Lasso, <era> mia credenza
d'amare <a> som<m>a intenza:
altrui sentenzïando, me lanzava.
Sì com'om non sapiente 40
del fino oro lucente
facëa diligion, piombo avanzava;
era simil di quelli
che vede il busco altrui,
e non sua grande trave. 45
Parmi che nullo ovelli
non de' dir: «son colui
che non ha pari», per gran stato ch'ave.
Se m'avesse commiato
di partire donato, 50
non blasmerei, poi che fallasse:
ché m'era ben gran doglia,
poi ch'e<i> fiore e foglia,
<che> frutto <ancora> di lei <non> pigliasse.
Ma ella mi mostrava 55
di lëalmente amare,
né partir non volea:
ed altro omo amava!
No lo potea celare;
ch'io la vidi che celar lo volea. 60
Forte son lamentato
perché m'ave fallato,
donando sé indel'altrui talento.
Ancora in veritate
più mag<g>ior falsitate 65
m'ha˙ffatta, da blasmare per un cento:
altr'om <a> chi era data
in un'ora che mee
a sé fece venire,
dicendo la spietata: 70
«mïa voglia nonn-èe».
perch'io co˙llui mi dovesse ferire.
Come Cain primero
di far crudele e fero
micidio fu, posso dire che sia 75
el<l>a prima ch'apare
di sì gran fallo fare
in tale guisa, sanza dir bugia.
Dunque saria ragione
che 'n aer e<d> in foco 80
come Caino stesse,
perché <la> tradigione
in ciascheduno loco
similemente pales<at>a stesse.
Ora <ch'>avete audito 85
sì come son tradito,
di ciò ch'io faccio mai non m'incolpate,
ch'io non poria far quella
che degna non foss'ella
a gravezza di lei in veritate: 90
però che l'amava eo
più ch'anche fosse amata
donna da amadore;
tut<t>a gioia c'ha il cor meo
dava a la rinegata, 95
lassa, cui piacean doglie nel mi' core.
Donne ch'onore avete,
donzelle che 'l volete,
intra voi ragionate zo c'ho detto;
<ed> es<s>a biasimate 100
di sì gran falsitate,
ché tenute ne siete per iscritto.
Per non blasmar lo male
molta gente si duole
che già non si doria; 105
tal pensero ancor sale
che lo male far sòle,
che blasmo usato lo ne distoria.
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Da chemiconuene fare. cosa che dabiasmare. edatenere grande fallimento. don(n)e edonzelle jmuito. chibene sia udito. agluomini chuio faro parllamento. Euolglio fare difensione. delparlare uillano. chedime sifaria. selagreue chasgione. chemadato il core uano. cielare douesse che purloderia. Amore che semblanza. difina namoranza. chilopartisse seria sconosciente. ebene sipuo ridire. chefosse alouero dire. oltre misura dicio fare fallente. Ede cosi tenuto. serei jn ogne partte. p(er) nomsauere lociertto. canzi uorei feruto. essere jnongni partte. chetale biasim(m)o jnme fosse ciertto. |
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Sicome altri amadori. chemetoro iloro cori. nelefemine amare bene seruendo. cora le mente misi lomio nenoldimisi. jnuna donna allei nomffalendo. Lungo temppo passato. ciertto amore mitenea. dongnomo piu altamente. edora maffallato. che delp(ro)pio chauea. dise mida altro fatto partente. Lasso mia credenza. damore soma jntenza. altrui sentenziando melanzaua. sicomo mo nomsapien simile diquelli. cheuede jlbusco altrui. enomsua grande traue. parmi chenullomo molli. nonde dire sono collui. chenona pari p(er)grande stato chaue |
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Semauesse conmiato. dipartire donato. nomblasmerei poi chefallasse. chemera bene gran dolglia. poi chefiore efolglia. frutto dillei pilgliasse. Maella mimostraua. dileale mente amare. nepartire nonuolea. edaltro omo amaua. nolopotea cielare. chio lauidi che cielare louolea. Fortte sono lamentato. p(er) chemaue fallato. domando se jndelaltrui talento. anchora jnueritate. piu magiore falsitate. maffatta dablasmare. p(er) vno ciento. Altrome chiera data. jnvnora chemee. ase fecie uenire. diciendo laspietata. mia uolglia non(n)ee. p(er)chio collui midouesse ferire. |
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Come chaino primero. difare crudele efero. micidio fu posso dire chesia. elaprima chapare. disigrande fallo fare. j(n)tale guisa sanza dire busgia. Dumque faria ragione. che naira jmfoco. come chaino stesse. p(er) che tradisgione. jnciascheduno loco. simileme(n)te palese stesse. ORa auete audito. sicome sono tradito. dicio chio faccio mai nonmin colpate. chio nom poria fare quella. chedengna nomfossella. agraueza dillei jnueritate. pero che lamaua eo. piu canche fosse amata. donna da amadore. tuta gioia cha ilcore meo. daua alarine gata. lassai chui piaciesse folglie nelmicore. |
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Donne conore auete. donzelle cheluolete. jntrauoi rasgionate zo codetto. esablasimate. disi grande falsitata. chetenute nesiete p(er) iscritto. p(er) nomblasmare lomale. molta giente siduole. blasimo usato lonedistoria. |
I |
Da chemiconuene fare. cosa che dabiasmare. edatenere grande fallimento. don(n)e edonzelle jmuito. chibene sia udito. agluomini chuio faro parllamento. Euolglio fare difensione. delparlare uillano. chedime sifaria. selagreue chasgione. chemadato il core uano. cielare douesse che purloderia. |
Da che mi convene fare cosa chʹè da biasmare e da tenere grande fallimento, donne e donzelle jmvito; chʹiʹ bene siʹ audito a gl uomini chui o faro parlamento; e volglio fare difensione del parlare villano che di me si faria, se la greve chasgione che mʹa dato il core vano cielare dovesse, che pur loderia. |
II |
Amore che semblanza. difina namoranza. chilopartisse seria sconosciente. ebene sipuo ridire. chefosse alouero dire. oltre misura dicio fare fallente. Ede cosi tenuto. serei jn ogne partte. p(er) nomsauere lociertto. canzi uorei feruto. essere jnongni partte. chetale biasim(m)o jnme fosse ciertto. |
Amore che semblanza di fina ʹnamoranza, chi lo partisse serìa sconosciente; e bene si può ridire che fosse a lo vero dire oltre misura di ciò fare fallente; ed è così tenuto serei jn ogne partte per nom savere lo ciertto, cʹanzi vorei feruto essere jn ongni partte, che tale biasimmo jn me fosse cierto. |
III |
Sicome altri amadori. chemetoro iloro cori. nelefemine amare bene seruendo. cora le mente misi lomio nenoldimisi. jnuna donna allei nomffalendo. Lungo temppo passato. ciertto amore mitenea. dongnomo piu altamente. edora maffallato. che delp(ro)pio chauea. dise mida altro fatto partente. |
Sì come altri amadori che metoro i loro cori ne le femine amare bene servendo, coralemente misi lo mio, né no˙l dimisi, jn una donna, a˙llei nom ffalendo lungo temppʹo passato. Ciertto amore mi tenea dʹongnʹomo più altamente: ed ora mʹa˙ffallato, ché del proprio chʹavea di sé, mi dà altro fatto partente. |
IV |
Lasso mia credenza. damore soma jntenza. altrui sentenziando melanzaua. sicomo mo nomsapien simile diquelli. cheuede jlbusco altrui. enomsua grande traue. parmi chenullomo molli. nonde dire sono collui. chenona pari p(er)grande stato chaue [1] In V, era stato scritto piompo, corretto poi in piombo
|
Lasso mia credenza dʹamore soma jntenza: altrui sentenzïando, me lanzava. Sì comʹomo nom sapiente del fino oro luciente faciëa dilisgione piombo avanzava; era simile di quelli che vede jl busco altrui, e nom sua grande trave. Parmi che null omo molli non deʹ dire :”sono collui che non a pari”, per grande stato chʹave. |
V |
Semauesse conmiato. dipartire donato. nomblasmerei poi chefallasse. chemera bene gran dolglia. poi chefiore efolglia. frutto dillei pilgliasse. Maella mimostraua. dileale mente amare. nepartire nonuolea. edaltro omo amaua. nolopotea cielare. chio[1] lauidi che cielare louolea. [1] In V, la i probabilmente è stata inserita per correggere una a
|
Se mʹavesse conmiato di partire donato, nom blasmerëi poi che fallasse: ché mʹera bene gran dolglia, poi chʹë fiore e folglia, frutto di llei pilgliasse. Ma ella mi mostrava di lëalemente amare, né partire non volea: ed altro omo amava! No lo potea cielare; chʹio la vidi che cielare lo volea. |
VI |
Fortte sono lamentato. p(er) chemaue fallato. domando se jndelaltrui talento. anchora jnueritate. piu magiore falsitate. maffatta dablasmare. p(er) vno ciento. Altrome chiera data. jnvnora[1] chemee. ase fecie uenire. diciendo laspietata. mia uolglia non(n)ee. p(er)chio collui midouesse ferire. [1] In V, la v è stata inserita per correggere una o
|
Fortte sono lamentato perché mʹave fallato, domando sé jndelʹaltrui talento. Anchora jn veritate più magiore falsitate mʹa˙ffatta, da blasmare per uno ciento: altrʹome chi era data jn unʹora che mee a sé fecie venire, diciendo la spietata: «mïa volglia nonn-èe». perchʹio co˙llui mi dovesse ferire. |
VII |
Come chaino primero. difare crudele efero. micidio fu posso dire chesia. elaprima chapare. disigrande fallo fare. j(n)tale guisa sanza dire busgia. Dumque faria ragione. che naira jmfoco. come chaino stesse. p(er) che tradisgione. jnciascheduno loco. simileme(n)te palese stesse. |
Come Chaino primero di fare crudele e fero micidio fu, posso dire che sia e la prima chʹapare di sì grande fallo fare jn tale guisa, sanza dire busgia. Dumque faria ragione cheʹn aira jm foco come Chaino stesse, perché tradisgione jn ciascheduno loco similemente palese stesse. |
VIII |
ORa auete audito. sicome sono tradito. dicio chio faccio mai nonmin colpate. chio nom poria fare quella. chedengna nomfossella. agraueza dillei jnueritate. pero che lamaua eo. piu canche fosse amata. donna da amadore. tuta gioia cha ilcore meo. daua alarine gata. lassai chui piaciesse folglie nelmicore. |
Ora avete audito sì come sono tradito, di ciò chʹio faccio mano non mʹincolpate, chʹio nom poria fare quella che dengna nom fossʹella a graveza di llei jn veritate: però che lʹamava eo più chʹanche fosse amata donna da amadore; tuta gioia cʹha il core meo dava a la rinegata, lassai, chui piaciesse folglie nel miʹ core. |
IX |
Donne conore auete. donzelle cheluolete. jntrauoi rasgionate zo codetto. esablasimate. disi grande falsitata. chetenute nesiete p(er) iscritto. p(er) nomblasmare lomale. molta giente siduole. blasimo usato lonedistoria. |
Donne cʹonore avete, donzelle che ʹl volete, jntra voi rasgionate zo cʹo detto; esa blasimate di sì grande falsitata, ché tenute ne siete per iscritto. Per nom blasmare lo male molta giente si duole che già nom si doria; tal pemsero ancor sale che lo male fare sòle, che blasimo usato lo ne distoria. |
Carte Ms. CANZONE V: 72v
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Or tornate in usanza, buona gente,
di blasimar lo mal quando si face,
se no il mondo perirà in presente,
tanto <ci> abonda la gente fallace
che tutor grana de li frutti rei. 5
Vostro socorso sia sanza fallanza,
a ciò che de lo mal far sia dottanza,
ché non periscan li bon' per li rei.
Lo biasmo date com'è convene<nte>;
ed intendete una gran falsitate 10
che m'ha fatto una donna, cui servente
mio core è stato in molta lëaltate:
mostrandomi d'amar più d'omo nato,
fallito m'ave per altro amadore:
ond'io mi doglio che 'n sì vano core 15
lungo tempo lo mio amore ho dato.
A Giuda ben la posso asumigliare
che baciando ingannò Nostro Segnore;
mai nessuno omo non si può guardare
da quei che vuole ingannar con amore. 20
Vergilio, ch'era tanto sapïente,
per falso amore si trovò ingannato:
così fosse ogne amante vendicato
com'e' si vendicò de la fallente!
Se m'ha fallito, non posso fare altro; 25
io non son lo primero cui avegna:
Salamone ingannato fue, non ch'altro,
ch'era del senno la più somma insegna.
A la grande vendetta mi richiamo,
perch'io spero d'aver grande conforto, 30
guiderdonato chi m'ha fatto torto
più grevemente che non fue Adamo.
Tutto zo che m'ha fatto la mia intenza
era veduta cosa che sareb<b>e:
però quando ella fece <sua> fallenza 35
a lo primiero segnor ched ella eb<b>e,
no˙l conoscea, tant'era compreso:
ingannòmi l'amor come Sansone,
che vide quello per mante stagione
che potea bene creder com' fue preso. 40
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ORa tornate jnusanza buona giente. diblasimare lomale quando sifacie. seno il monddo perira grana delifrutti rei. uostro socorsso sia sanza fallanza. acio che delomale fare sia dottan za. chenomperischano liboni p(er)lirei. |
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Lobiasimo date come siconuene. edintendere vna grande falssitate. chema fatto una don(n)a chui seruente. ilmio core estato jnmolta lealtate. Mostrandomi damore piu domo nato. fallito maue p(er)altro amadore. ondio midolgio chemsiuano core. lungo temppo lomjo amo re odato. Agiuda bene laposso asumilgliare. chebasciando jnganno nostro sengnore. mai nessuno om(m)o nomsi puo guardare. da quelli cheuuole jngan(n)are conamore. Vergilio chera tanto sapiente. p(er)falsso amore sitrouo jngannato. cosi fosse ongne amante uendichato. comesi uendico delaffallente. |
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Sema fallito nomposso fare altro. jo nomsono loprimero chui auengna. salamone jn gannato fue nonchaltro. chera del senno lapiu som(m)a jnsegna. Alagrande uendetta mirichiam(m)o. p(er)chio spero dauere grande comfortto. guiderdonato chima fatto tortto. piu creuemente chenonfue adamo. Tutto zo chema fatto lamia jntenza. era ueduta cosa chesarebe. pero quando ella fecie fallenza. aloprimiero sengnore chedella ebe. Nolconosciea tantera compreso. jngan(n)omi lamore come sansone. cheuide quello p(er)mante stasgione. chepotea bene credere come fue preso. |
I |
ORa tornate jnusanza buona giente. diblasimare lomale quando sifacie. seno il monddo perira grana delifrutti rei. uostro socorsso sia sanza fallanza. acio che delomale fare sia dottan za. chenomperischano liboni p(er)lirei. |
Ora tornate jn usanza, buona giente, di blasimare lo male quando si facie, se no il monddo perirà jm presente, tanto abonda la giente fallacie che tutora grana de li frutti rei. Vostro socorsso sia sanza fallanza, a ciò che de lo male fare sia dottanza, ché nom perischano li boni per li rei. |
II |
Lobiasimo date come siconuene. edintendere vna grande falssitate. chema fatto una don(n)a chui seruente. ilmio core estato jnmolta lealtate. Mostrandomi damore piu domo nato. fallito maue p(er)altro amadore. ondio midolgio chemsiuano core. lungo temppo lomjo(1) amo re odato. |
Lo biasimo date comʹè si convene; ed intendere una grande falssitate che mʹa fatto una donna, chui servente il mio core è stato jn molta lëaltate: mostrandomi dʹamore più dʹomo nato, fallito mʹave per altro amadore: ondʹio mi dolglio che ʹm sì vano core lungo temppo lo mjo amore o dato. |
III |
Agiuda bene laposso asumilgliare. chebasciando jnganno nostro sengnore. mai nessuno om(m)o nomsi puo guardare. da quelli cheuuole jngan(n)are conamore. Vergilio chera tanto sapiente. p(er)falsso amore sitrouo jngannato. cosi fosse ongne amante uendichato. comesi uendico delaffallente. |
A Giuda bene la posso asumilgliare che basciando jngannò Nostro Sengnore; mai nessuno ommo nom si può guardare da quelli che vuole jngannare con amore. Vergilio, chʹera tanto sapïente, per fasso amore si trovò jngannato: così fosse ongne amante vendichato comʹè si vendico de la ffallente! |
IV |
Sema fallito nomposso fare altro. jo nomsono loprimero chui auengna. salamone jn gannato fue nonchaltro. chera del senno lapiu som(m)a jnsegna. Alagrande uendetta mirichiam(m)o. p(er)chio spero dauere grande comfortto. guiderdonato chima fatto tortto. piu creuemente chenonfue adamo. |
Se mʹa fallito, nom posso fare altro; jo nom sono lo primero chui avengna: Salamone jngannato fue, non chʹaltro, chʹera del senno la più somma jnsegna. A la grande vendetta mi richiammo, perchʹio spero dʹavere grande comfortto, guiderdonato chi mʹa fatto tortto più crevemente che non fue Adamo. |
V |
Tutto zo chema fatto lamia jntenza. era ueduta cosa chesarebe. pero quando ella fecie fallenza. aloprimiero sengnore chedella ebe. Nolconosciea tantera compreso. jngan(n)omi lamore come sansone. cheuide quello p(er)mante stasgione. chepotea bene credere come fue preso. |
Tutto zo che mʹa fatto la mia jntenza era veduta cosa che sarebe: però quando ella fecie fallenza a lo primiero sengnore ched ella ebe, no˙l conosciea, tantʹera compreso: jngannòmi lʹamore come Sansone, che vide quello per mante stasgion che potea bene credere come fue preso. |
NOTE:
1) In V, j corregge una o.
Carte Ms. CANZONIERE V: 72v-73r
Manoscritti: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat 3793
Edizioni: Chiaro Davanzati, Rime. Edizione critica con commento e glossario a cura di Aldo Menichetti, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965 (Collezione di opere inedite o rare, 126); Concordanze della Lingua Poetica Italiana delle Origini (CLPIO), vol. I, a cura di d'Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli, Ricciardi, 1992; A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2000; G. Gorni, Repertorio metrico della canzone italiana dalle origini al Cinquecento, Firenze, Cesati, 2008.
Uno disio m'è nato
d'amor tanto corale,
che non posso altro ch'ello:
come fuoco stipato,
tutor sormonta e sale, 5
raprendendomi 'n ello.
Or sono al paragone:
che s'amor per ragione
dona mort'e per uso,
ch'io mora senza induso: 10
così forte m'incama
d'àlbore sanza rama.
Se pe-ragion non dàe
né per uso amor morte,
morte m'ho zo cherendo: 15
così l'una daràe
al cor distretta forte,
ond'io morò volendo.
Di morte no spavento,
ché morire in tormento 20
è allegrezza e gioia,
secondo ch'è gran noia
a quell'uomo morire
c'ha stato di gioire.
Gioia nonn-ho né spero, 25
ch'amor mi fa volere
sanza l'ale volare,
ed in tal loco altero
ch'avrei prima podere
d'esto mondo disfare. 30
Così nonn-è con gab<b>o
s'io doglio e 'l mal, dico. ab<b>o:
ch'amore amar mi face
tal che non mi conface,
tal che n'ag<g>io dottanza 35
pur di farle sembianza.
Dotto ed ho paura
di mostrarle cad eo
l'ami come molto amo,
però ch'oltre misura, 40
secondo che veg<g>io eo,
ella sormonta d'amo
tra le donne a miro:
così, quando la miro
me medesmo disdegno, 45
e dico: non son degno
di sì alto montare:
non vi poria andare.
Asdegn<and>ome gesse,
inver' le sue altezze 50
maraviglia no m'ène,
ch'anche pintura in gesse
di cotante adornezze
non si fece néd ène.
A lo sol dà chiarore, 55
ogni sper'ha splendore
da˙llëi, quanta splende;
ogni vertù ne scende;
l'amar la doteria,
tant'ha di segnoria. 60
Così, s'amor comanda
e vuol pur che l'ami io,
ello fa gran pecato
sed ello a˙llei non manda
ne lo core disio 65
d'amor bene incarnato,
che, com'io l'amo, m'ami
e per sembianza chiami
lo mio core e conforti
ched io amor le porti 70
o, com'altri amadori
com' mia donna la 'nori.
Gli amador' tut<t>i quanti,
le donne e le donzelle
che d'amore hanno cura, 75
con sospiri e con pianti
più che non son le stelle
assai oltre misura,
io fo priego di core
che prieghino l'amore 80
che mi trag<g>a d'eranza
ed ag<g>ia˙me pietanza,
ond'io ag<g>ia cagione
d'allegrare in canzone.
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Vno disio menato. damore tanto corale. chenomposso altro chello. come fuoco stipato. tutora sormonta esale. raprendendomi nello. ORsono alparagone. che samore p(er)rasgione. dona mortte p(er)uso. dalbore sanza rama. |
![]() |
SEperasgione nondae. nep(er)usoamore mortte. mortte temo zo cherendo. cosi luna da rae. alcore disretta fortte. ondio moro morendo. Dimortte nospauento. chemorire jntormento eallegreza egioia. secondo chegrande noia. aquello vomo morire. chastato digioire. Gjoia non(n)o nespe[ro]. chamore mifa uolere. sanza lale uolare. edintale loco altero. cha verei prima pod[ee]. desto mondddo disfare. Cosi non(n)e comgabo. sio dolglio elmale dico abo. chamore amare mifacie. tale che nonmicomfacie. tale chenagio dottanza. pur difarlle sembianza. |
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Dotto edo paura. dimostrarlle chadeo. lami come molto am(m)o. pero coltre misura. secon ddo cheuegio eo. ella sermonta damo. Traledonne amiro. cosi quando lamiro. meme desimo disdengno. edico nomsono dengno. disialto montare. nonui poria andare. |
![]() |
Asdengno me megiesse jnuerlle sue alteze. marauilgliano mene. chanche pintura jn giesse. dicotante adorneze. nomsifecie nedene. Alosole da chiarore. ongni spera spl endore. dallei quanta splende. ongni uertute nesciende. lamare ladot(e)ri gnoria. |
![]() |
Cosi samore comanda. euuole purche lami io. ello fa gramde pechato. sedello allei nonmanda. nelo core disio. damore bene jncarnato. Checomio lamo mami. e p(er)sem bianza chiami. lomio core ecomfortti. chedio amore leportti. ocomaltri amadori. come mia donna lanori. Glia madori tuti quanti. ledon(n)e eledonzelle che damore anno chura. comsospiri ecompianti. piu chenomsono lestelle. assai oltre misura. Jo fo priegio dicore. che prieghino lamore. chemitraga deranza. edagiane pietanza. ondio agia chagione. dallegrare jnchanzone |
I |
Vno disio menato. damore tanto corale. chenomposso altro chello. come fuoco stipato. tutora sormonta esale. raprendendomi nello. ORsono alparagone. che samore p(er)rasgione. dona mortte p(er)uso. dalbore sanza rama. |
Uno disio mʹè nato dʹamore tanto corale, che nom posso altro chello: come fuoco stipato, tutora sormonta e sale, raprendendomi ʹn ello. Or sono al paragone: che sʹamore per rasgione dona mortte per uso, chʹio mora senza jnduso: così fortte mʹinchama dʹàlbore sanza rama. |
II |
SEperasgione nondae. nep(er)usoamore mortte. mortte temo zo cherendo. cosi luna da rae. alcore disretta fortte. ondio moro morendo. Dimortte nospauento. chemorire jntormento eallegreza egioia. secondo chegrande noia. aquello vomo morire. chastato digioire. |
Se per rasgione non dàe né per uso amore mortte, mortte temo zo cherendo: così lʹuna daràe al core distretta fortte, ondʹio morò morendo. Di mortte no spavento, ché morire jn tormento è allegreza e gioia, secondo chʹè grande noia a quello uomo morire cʹha stato di gioire. |
III |
Gjoia non(n)o nespe[ro].(1) chamore mifa uolere. sanza lale uolare. edintale loco altero. cha verei prima pod[ee].(2) desto mondddo disfare. Cosi non(n)e comgabo. sio dolglio elmale dico abo. chamore amare mifacie. tale che nonmicomfacie. tale chenagio dottanza. pur difarlle sembianza. |
Gjoia nonn-o né spe[ro], chʹamore mi fa volere sanza lʹale volare, ed in tale loco altero chʹaverei prima pod[ee] dʹesto monddo disfare. Così nonn-è com gabo sʹio dolglio e ʹl male, dico, abo: chʹamore amare mi facie tale che non mi comfacie, tale che nʹagio dottanza pur di farlle sembianza. |
IV |
Dotto edo paura. dimostrarlle chadeo. lami come molto am(m)o. pero coltre misura. secon ddo cheuegio eo. ella sermonta damo. Traledonne amiro. cosi quando lamiro. meme desimo disdengno. edico nomsono dengno. disialto montare. nonui poria andare. |
Dotto ed o paura di mostrarlle chad eo lʹami come molto ammo, però cʹoltre misura, seconddo che vegio eo, ella sermonta dʹamo tra le donne a miro: così, quando la miro: me medesimo disdengno, e dico: nom sono dengno di sì alto montare: non vi poria andare. |
V |
Asdengno me megiesse jnuerlle sue alteze. marauilgliano mene. chanche pintura jn giesse. dicotante adorneze. nomsifecie nedene. Alosole da chiarore. ongni spera spl endore. dallei quanta splende. ongni uertute nesciende. lamare ladot(e)ri gnoria. |
Asdengnome giesse, jnverʹlle sue alteze maravilglia no mʹène, chʹanche pintura jn giesse di cotante adorneze nom si fecie néd ène. A lo sole dà chiarore, ongni sperʹa splendore da˙llëi, quanta splende; ongni vertute ne sciende; lʹamare la doteria, tantʹa di sengnoria. |
VI |
Cosi samore comanda. euuole purche lami io. ello fa gramde pechato. sedello allei nonmanda. nelo core disio. damore bene jncarnato. Checomio lamo mami. e p(er)sem bianza chiami. lomio core ecomfortti. chedio amore leportti. ocomaltri amadori. come mia donna lanori. |
Così, sʹamore comanda e vuole pur che lʹami io, ello fa gramde pechato se dello a˙llei non manda ne lo core disio dʹamore bene jncarnato, che, comʹio lʹamo, mʹami e per sembianza chiami lo mio core e comfortti ched io amore le portti o, comʹaltri amadori come mia donna la ʹnori. |
VII |
Glia madori tuti quanti. ledon(n)e eledonzelle che damore anno chura. comsospiri ecompianti. piu chenomsono lestelle. assai oltre misura. Jo fo priegio dicore. che prieghino lamore. chemitraga deranza. edagiane pietanza. ondio agia chagione. dallegrare jnchanzone |
Gli amadori tuti quanti, le donne e le donzelle che dʹamore anno chura, com sospiri e com pianti più che nom sono le stelle assai oltre misura, jo fo priego di core che prieghino lʹamore che mi traga dʹeranza ed agia˙ne pietanza, ondʹio agia chagione dʹallegrare jn chanzone. |
NOTE:
1) In V, le ultime due lettere della parola precedenti il punto metrico sono quasi illeggibili. A testo si è proceduto inserendo una possibile ipotesi lettura, tenendo conto anche del contesto generale: nespe[ro].
2) In V, le ultime lettere della parola si leggono con difficoltà. A testo si è proceduto inserendo una possibile ipotesi di lettura,tenendo conto anche del contesto generale: pod[ee].
3) In V, l corregge una e.
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[18] https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.3793/0185
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