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Ja nuns hons pris ne dira sa raison

Linker 241,2; RS 1891; BdT 420,2

Mss.: C 103, P(prov.) 22, f(prov.) 43  =  Roi Richart; K 392, N 180, O 62, U 104, X 252, Zᵃ 137 = anonimo; S(prov.) 1 = rubrica mancante per lacuna materiale.

Metrica: a10 a10 a10 a10 a10 b6 (MW 73,1).

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INTRODUZIONE

1. La terza crociata e la prigionia di Riccardo.

1.1. La partenza per la Terrasanta
Tra il 1192 e il 1194, di ritorno dalla terza crociata, il re d’Inghilterra, conte di Poitou, duca d’Aquitania e d’Angiò, Riccardo I Plantageneto, rimase prigioniero nell’Austria imperiale con grande soddisfazione dei suoi avversari, per primi suo fratello Giovanni e il re di Francia Filippo Augusto. La canzone che Riccardo scrisse durante la sua cattività ha sempre suscitato grande interesse, legato alla figura del suo autore, che sin dall’adolescenza fu accompagnato da una fama di formidabile soldato e uomo di grande carisma. Ma prima di affrontare il suo tormentato ritorno in patria, ricordiamo brevemente gli eventi del suo viaggio oltremare.[1]
Prima di partire per la Terrasanta Riccardo aveva a lungo esitato in patria, diffidando del re francese: nessuno dei due sovrani avrebbe voluto lasciare incustoditi i propri domini in occidente per timore che l’altro potesse approfittarne per estendere i propri confini. Il primo giuramento di non belligeranza tra i due re è siglato il 30 dicembre 1189 e rinnovato il 13 gennaio successivo al Gué-Saint-Rémy. Anche i loro baroni si impegnano a mantenere la pace in assenza dei propri signori. Si concorda infine – sintomo della grande tensione e diffidenza reciproca – una partenza congiunta dei due eserciti, che, rinviata più volte, avverrà solo il 4 luglio 1190.[2] Riccardo non si limita a pacificare il versante francese: conduce anche una spedizione contro i briganti aquitani e rafforza l’alleanza con Sancho VI di Navarra (di cui poco dopo sposerà la figlia) allo scopo di mettere al sicuro la Guascogna dalle rivendicazioni di Raimondo V di Tolosa.
 
1.2. Messina (luglio 1190 - aprile 1191)
La traversata non è priva di contrattempi. Partiti rispettivamente da Marsiglia e da Genova, Riccardo e Filippo Augusto si ritrovano in Sicilia. Qui Riccardo fa valere con le armi i suoi diritti e le sue pretese con Tancredi, il cugino bastardo del re dell’isola Guglielmo il Buono, morto pochi mesi prima. La vedova Giovanna, sorella di Riccardo, era tenuta quasi come prigioniera da Tancredi, che si era proclamato re e si rifiutava di restituirle il dotario e di consegnare al Plantageneto le donazioni promesse dal defunto sovrano. Tancredi aveva l’appoggio di papa Clemente III e di un popolo che mal sopportava l’idea di un re teutonico quale Enrico Hohenstaufen, marito di Costanza d’Altavilla, alla quale Guglielmo aveva destinato la corona. L’arrivo della flotta di Riccardo è sufficiente perché Tancredi si affretti a liberare Giovanna, trattenendo però la dote. Mentre gli inglesi dimostrano palese ostilità al nuovo re, questi e Filippo Augusto sembrano andare di grande accordo. Ai francesi, infatti, è permessa la libera circolazione nella città di Messina e Filippo è ospitato nel palazzo reale. Il 4 ottobre, alcuni disordini nati tra gli uomini di Riccardo e i messinesi sfociano in un attacco al campo aquitano, oltraggio che Riccardo ribalta in breve in un assalto alla città. Una volta conquistata, Messina è affidata agli ordini religiosi militari finché non si fosse giunti ad un accordo sulla successione della corona di Sicilia, la quale non tarda a venire: Tancredi manterrà il regno e la dote di Giovanna e pagherà come risarcimento 20.000 once d’oro. L’alleanza viene rafforzata con un accordo matrimoniale.[3] Riccardo ottiene così le risorse per portare avanti la spedizione mentre Tancredi si assicura un potente alleato contro le rivendicazioni dell’imperatore Enrico VI.
Il soggiorno a Messina si prolunga e verso la fine del febbraio 1191 giunge la notizia che Eleonora d’Aquitania è arrivata a Napoli, accompagnata da Berengaria di Navarra. Riccardo invia alcune navi per andare a prenderle ma Tancredi nega lo sbarco di una terza corte regale in città, troppo affollata perché possa soddisfarne i bisogni. Riccardo si reca allora a Catania, dove Tancredi si era ritirato, per risolvere il curioso imprevisto. Nonostante la tensione, l’accoglienza è festosa; durante l’incontro Tancredi abbandona i sospetti che nutre nei confronti di Riccardo e si decide a manifestargli il reale motivo del rifiuto: ancora una volta il responsabile è Filippo Augusto. Questi gli avrebbe infatti rivelato che Riccardo e l’imperatore, che Eleonora aveva appena incontrato a Lodi, tramavano per il controllo dell’isola. Il re francese gli aveva allora proposto un’alleanza contro il re d’Inghilterra. Scoperto il complotto, Riccardo è furente e, prove alla mano, accusa Filippo Augusto di aver trasgredito i patti prestabiliti. L’accusato controbatte, nega, bolla le accuse come calunnie, volte a sciogliere l’accordo matrimoniale con la sua sorellastra Alice. Costei era stata promessa infante a uno dei figli di Enrico II e affidata con tutta la dote alla corte inglese ormai da ventinove anni. Il matrimonio era stato procrastinato a data indefinita ed era diventato materia di discordia in ogni confronto fra il re di Francia e il re d’Inghilterra. Riccardo non si lascia sfuggire l’occasione e finalmente, forte della colpevolezza del suo avversario, può essere sincero: «Non respingo tua sorella; ma mi è impossibile sposarla, perché mio padre è andato a letto con lei e da lei ha avuto un figlio».[4] Filippo Augusto, doppiamente umiliato, accetta di sciogliere Riccardo dall’accordo matrimoniale dietro pagamento di 10.000 marchi d’argento. Non è chiaro se la dote di Alice, ossia il Vexin e Gisors, dovessero essere restituiti.[5] Eleonora d’Aquitania può dunque raggiungere il figlio prediletto insieme a Berengaria, che Riccardo sposerà il 12 maggio a Limassol. Durante il viaggio verso la Terrasanta una tempesta l’ha sospinto sulle coste cipriote e anche in questa occasione Riccardo si attarda per conquistare l’isola, mosso dalla sua rilevanza strategica e dalla brusca diplomazia dell’imperatore di Cipro Isacco Comneno.[6]
 
1.3. Acri (giugno 1191 - ottobre 1192)
Quando finalmente l’8 giugno 1191 Riccardo giunge nel porto di San Giovanni d’Acri è accolto con grande calore dalle truppe crociate. Il suo arrivo era stato atteso per quattro anni.[7] La sua flotta e il suo esercito superavano notevolmente quelli di Filippo Augusto, che aveva già molti vassalli impegnati in Terrasanta. Il suo sbarco ebbe quindi molta più risonanza e riaccese gli animi degli assedianti ormai stanchi. Filippo si era intanto diretto a Tiro, dove lo aspettava il cugino Corrado di Monferrato, la cui morte avrà un risvolto decisivo nella vicenda della detenzione di Riccardo.            
Aneddoto marginale, ma prezioso per apprendere le dinamiche che seguirono: quando l’11 luglio gli ufficiali di Saladino capitolano e i cristiani occupano Acri, il duca d’Austria e condottiero dell’armata tedesca, Leopoldo V di Babenberg, pretende di innalzare il proprio stendardo accanto a quello inglese e francese. Leopoldo, che si era ritrovato a capeggiare le truppe tedesche sbandate dopo la morte del Barbarossa e che partecipava all’assedio da più tempo, è facilmente messo da parte all’arrivo dei due re, e con i pochi uomini e i pochi mezzi di cui dispone ha un ruolo molto limitato nella presa della città. La sua pretesa di partecipare alla vittoria viene dunque respinta. L’episodio assume caratteri molto vividi in alcune testimonianze, secondo cui Leopoldo fa innalzare dai suoi uomini la propria bandiera ad Acri, ma i soldati inglesi, sprezzando il vessillo che aveva osato equipararsi al loro, lo tolgono dalla sua sede e lo gettano via.[8] Anche se le truppe germaniche non potevano accampare diritti sulla spartizione del bottino né sul merito della vittoria, la reazione inglese rimane un grave affronto e Leopoldo non lo dimenticherà.[9]
Conquistata Acri, Filippo Augusto, che mai si era prestato con fervore all’intervento in Terrasanta, decide di tornare al più presto in patria. L’affrettata partenza è giustificata dal re con i continui malanni che l’avevano colpito[10] e con la diffidenza nei confronti di Riccardo, sospettato persino di aver cercato di avvelenarlo e di tramare con Saladino. Il gesto non mancò di essere giudicato dai contemporanei come un’ingloriosa mancanza ai propri doveri di crociato.[11]  Prima della partenza Riccardo ottiene da Filippo Augusto una promessa di non aggressione, almeno fino al suo ritorno. È probabilmente questo il serement a cui fa riferimento il v. 21 di Ja nus hons pris:[12] come si vedrà, durante la prigionia di Riccardo il re francese non prestò fede all’accordo. Già sulla via del ritorno passerà da Roma per chiedere al papa Celestino III di essere sciolto dal giuramento, adducendo a motivo il presunto tradimento di Riccardo: il papa non solo non accetterà, ma anzi ratificherà ulteriormente l’accordo.[13]
Già durante l’assedio di Acri si erano aperte le dispute su chi avrebbe regnato in Terrasanta: Corrado di Monferrato era il candidato di Filippo Augusto, Guido di Lusignano quello di Riccardo. Un concilio dei condottieri, moderato da un ambasciatore della santa sede, nominò Guido regnante in Terrasanta; alla sua morte gli sarebbe succeduto Corrado.         
Dopo la presa di Acri, il cammino di Riccardo verso Gerusalemme è ricco di successi, ma per non restare sguarnito della flotta, il re è obbligato a tergiversare. Non riportando vittorie decisive, il fervore dei crociati si affievolisce, il fronte compatto dei cristiani inizia a sfaldarsi, le diserzioni cominciano numerose. Corrado rifiuta a lungo di inviare il suo aiuto da Tiro ad Ascalona, se non in cambio del titolo regale. Inoltre, Riccardo riceve dal priore di Hereford notizie sulle usurpazioni perpetuate dal fratello minore Giovanni e si risolve a tornare in patria al più presto. Prima della partenza, però è indispensabile pacificare i rapporti con Corrado poiché, senza l’appoggio di Riccardo, Guido sarebbe rimasto isolato e incapace di mantenere il regno. Riccardo convoca allora un consiglio generale al quale viene chiesto chi tra Guido e Corrado dovesse sedere sul trono di Gerusalemme. All’unanimità viene acclamato il marchese e Riccardo è obbligato a ratificare il verdetto che a lungo aveva tentato di evitare.[14]  Non tarda a sorgere il sospetto di un’implicazione del re inglese quando, pochi giorni dopo, Corrado di Monferrato viene accoltellato e ucciso.[15]  
Il 2 settembre 1192, Riccardo, ammalato e pressato dalle notizie sul malgoverno del fratello, firma il trattato di pace che segna la fine della terza crociata. I soldati sono spossati e Gerusalemme non è stata liberata, ma i crociati controllano le città costiere a sud di Giaffa e i pellegrini cristiani hanno libero accesso ai luoghi santi.
 
1.4. Il ritorno e la prigione (ottobre 1192 - febbraio 1194)
Il 9 ottobre Riccardo parte da Acri per tornare in patria. La via per l’Aquitania attraverso la Linguadoca o la Provenza non è prudente a causa delle ribellioni fomentate da Filippo Augusto e il conte Raimondo di Tolosa. Le flotte del conte e quelle genovesi e pisane, queste ultime alleate dell’imperatore Enrico VI, rendono poi rischioso l’approdo oltre i Pirenei. Anche la via per lo stretto di Gibilterra, sorvegliato dagli arabi, sarebbe lunga e non priva di pericoli.[16] Venuto a conoscenza delle ostilità che ostacolavano il suo ritorno, Riccardo raggiunge Corfù, forse per dirigersi a Venezia. Lascia nell’isola la nave regia e, temendo di essere un facile bersaglio, riparte immediatamente a bordo di una nave corsara, in incognito e portando con sé una piccola scorta. Risalendo l’Adriatico, non è chiaro se per scelta o spinta da un naufragio, la nave approda nei pressi di Aquileia. Da qui il re è costretto a proseguire via terra attraverso i territori austriaci, nei quali sa di non poter certo essere accolto calorosamente. A causa della poca previdenza di un suo servitore, gli austriaci riconoscono che dietro la maschera di un "ricco mercante di ritorno dalla Terrasanta” si nasconde il re d’Inghilterra. Il 21 dicembre 1192 Riccardo è accerchiato nella casa nei sobborghi di Vienna in cui si era rifugiato e deve arrendersi al duca d’Austria Leopoldo, che aveva covato l’odio contro di lui dall’umiliazione subita alla presa di Acri.[17] L’accusa per legittimare l’arresto fu l’assassinio di Corrado, cugino di Leopoldo, di cui molti ritenevano Riccardo il mandante, nonché i torti inflitti all’imperatore di Cipro, anch’esso imparentato al duca d’Austria. Un prigioniero di rango reale comporta anche un riscatto reale e Leopoldo non disdegna di contravvenire alla legge che vieta di arrecare danno ai pellegrini impegnati nella crociata, sotto la protezione della chiesa.[18] Tuttavia, con scorno di Riccardo e di sua madre, la santa sede non si azzarderà a inimicarsi l’impero: la scomunica, insieme a una serie di catastrofi naturali e disgrazie personali, colpisce il duca Leopoldo, ma non Enrico VI.[19]
Durante il periodo di prigionia il re inglese è rinchiuso in diverse fortezze: Leopoldo lo fa custodire nella rocca di Dürnstein, sotto gli occhi attenti di Hadmar II di Kuenring.[20] Attorno all’immaginario della fortezza inespugnabile nacque la leggenda della tour ténébreuse secondo cui il troviere Blondel de Nesle, non sopportando la noncuranza generale a cui era stato abbandonato il re inglese, intraprende un lungo vagabondaggio per l’Europa, finché non lo trova grazie a un jeu parti che i due avevano composto insieme e nessun altro conosceva: quando uno dei due intonò il canto e l’altro lo continuò, Blondel fu certo del luogo dove era tenuto prigioniero il suo re.[21]
Venuto a sapere della cattura, Enrico VI – che incolpava Riccardo di aver favorito Tancredi nell’usurpare il trono di Sicilia, su cui vantava il diritto – invia una lettera che annuncia la lieta novella a Filippo Augusto.[22] Il re di Francia prende subito contatti con Giovanni, il quale ha tutto l’interesse che l’assenza di Riccardo si prolunghi il più possibile. Appena dopo Natale, Giovanni si reca in Francia dove fa omaggio a Filippo Augusto per tutti i territori continentali e insulari e promette di sposarne la sorella Alice; in Inghilterra diffonde la notizia della morte del fratello e cerca nuove alleanze per prenderne il trono ma Eleonora e gli uomini nominati da Riccardo, Guglielmo FitzRalph, Guglielmo di Longchamp e Gualtiero di Coutances, restano fedeli al re, così come il re di Scozia Guglielmo I. Con simili oppositori il piano di Giovanni di prendere il potere con un esercito di mercenari fiamminghi e gallesi, con cui in marzo razzia i territori tra Kinsgton e Winsdor, non può realizzarsi.[23]
Il 6 gennaio 1193 Leopoldo conduce il prigioniero a Ragesburg al cospetto dell’imperatore e il 14 febbraio le trattative si concludono a Würtzburg: Riccardo passerà nelle mani di Enrico VI.[24]
Una copia della lettera dell’imperatore a Filippo Augusto giunge fino al capo giustiziere Gualtiero di Coutances: in un incontro tenuto a Oxford il 28 febbraio viene deciso di inviare gli abati di Boxley e di Robertsbridge in Germania per negoziare la scarcerazione.[25] Il 19 marzo, mentre Leopoldo sta portando il re a Speyer per consegnarlo alla custodia imperiale, gli ambasciatori inglesi intercettano Riccardo a Ochsenfurt: in questa occasione il re viene informato della situazione nelle sue terre e apprende con rammarico del tradimento del fratello Giovanni e delle manovre di Filippo Augusto.[26]
A Speyer Enrico VI ha organizzato un processo contro Riccardo, che si tiene il 21 marzo. Il re d’Inghilterra è accusato dell’assassinio di Corrado di Monferrato, di aver contribuito alla perdita della Sicilia, di aver preso accordi con Saladino e aver così tradito la missione in Terrasanta. Il discorso che Riccardo pronuncia in sua difesa è ricordato dai cronisti come un esempio altissimo di eloquenza, che gli varrà, se non la libertà, il favore della corte e dello stesso imperatore.[27] Il 23 marzo Leopoldo consegna finalmente il prigioniero a Enrico VI, che lo fa custodire nella torre di Trifels, sul Reno, fortezza inespugnabile riservata ai nemici dell’impero.[28] Il 25 marzo Riccardo accetta di pagare 100.000 marchi e di fornire il supporto militare per la riconquista della Sicilia.
Durante la sua cattività Riccardo era informato degli avvenimenti che scuotevano le sue terre, e poteva comunicare e inviare ordini ai suoi uomini: il 28 marzo gli abati di Boxley e Robertsbridge, tornati insieme a Hubert Walter – uomo di fiducia che aveva raggiunto il re in Germania e che sarà poco dopo nominato arcivescovo di Canterbury – avevano portato sue notizie a Eleonora e ai giustizieri; altre missive raggiungono gli ambienti ecclesiastici. Anche il vescovo di Ely ed esiliato cancelliere Guglielmo di Longchamp aveva partecipato al processo e aveva convinto l’imperatore a reintegrare Riccardo alla corte di Speyer, sottraendolo dal confino di Trifels.[29] Quando torna in patria, ha con sé una lettera datata 19 aprile in cui Riccardo scrive alla madre dalla corte di Haguenau, sempre con lo stesso scopo di affrettare l’invio del riscatto e con alcune disposizioni per raccogliere il denaro necessario. Riccardo manda inoltre dei messaggeri a chiedere le navi e gli ostaggi.[30]
Filippo Augusto, temendo il ritorno di Riccardo, rilancia: offre a Enrico VI un’alleanza franco-tedesca e ingenti somme per ritardare la liberazione o cedergli il prigioniero. L’imperatore è tentato di accettare, ma alla fine rispetta gli accordi e tra il 25 e il 29 giugno incontra nuovamente Riccardo a Worms, dove vengono stabiliti i termini finali della scarcerazione: 100.000 marchi d’argento alla liberazione più altri 50.000,[31] con cui Enrico potrà finanziare la spedizione per recuperare la Sicilia. Eleonora, nipote di Riccardo, dovrà infine sposare un figlio di Leopoldo.[32] Riccardo resta prigioniero, almeno per il tempo necessario a raccogliere il riscatto, della cui riscossione si occupa la madre Eleonora: la straordinaria tassa generale ricade su tutti i suoi sudditi, laici – che devono versare grosso modo la quarta parte dei propri beni mobili – come ecclesiastici – a cui vengono requisiti numerosi tesori.[33] Il peso fiscale aggrava una situazione difficile per l’Inghilterra, sia dal punto della stabilità politica sia per la terribile annata che avevano patito i raccolti.
 
1.5. Le allusioni politiche
Che Riccardo fosse al corrente della situazione del regno angioino si trova riscontro anche nella canzone, fitta di allusioni politiche.[34] Il re sapeva che Filippo Augusto aveva preso possesso dei territori del Vexin normanno – il 12 aprile del 1193 Gilberto di Vascoeuil gli consegna senza combattere lo strategico castello di Gisors e il vicino castello di Neufles – e aveva conquistato l’Artois insieme ad alcuni porti sulla Manica.[35] Filippo Augusto arriva con un ampio esercito di francesi e fiamminghi fino al cuore della Normandia, Rouen, ma agli scherni degli assediati il re di Francia volge le spalle e si ritira. Dopo l’incontro di Worms che sanciva l’alleanza anglo-germanica e annunciava il ritorno imminente di Riccardo, il 9 luglio 1193 Filippo Augusto firma una pace vantaggiosa con i giustizieri che proteggevano i territori normanni, un documento molto significativo per comprendere le mutevoli alleanze di quella primavera. La pace è effimera e prima della fine dell’estate Filippo Augusto organizza un’invasione dell’Inghilterra: il 15 agosto sposa la figlia di Cnut VI di Danimarca, nella speranza di ereditare così un antico diritto danese sull’isola. La mattina dopo ci ripensa e, ripudiata la sposa, abbandona anche l’impresa. È proprio a Filippo Augusto che Riccardo si rivolge, quando si lamenta del patto non onorato e dei tumulti che tormentano le sue terre, chiamandolo «mes sires» (v. 20): Riccardo era, infatti, formalmente vassallo del re di Francia per i territori continentali.
Filippo non era il solo ad approfittare dell’assenza del re. Riccardo, nel comporre Ja nus hons pris ne dira sa raison, mira a riunire i vassalli, divisi o ribelli, e a incitarli ad affrettarsi nel raccogliere il denaro necessario al riscatto: al v. 8, egli redarguisce i suoi uomini e i suoi baroni «ynglois, normant, peitavin et gascon». Ruggero di Hoveden ci informa che già nel 1192 il conte di Périgord, il visconte de la Marche e quasi tutti i baroni di Guascogna, approfittando della malattia del siniscalco d’Aquitania, si erano ribellati e avevano devastato i territori di Riccardo.[36] Ademaro di Angoûleme, ribelle per vocazione, era passato dalla parte di Filippo e aveva attaccato i possedimenti di Riccardo in Poitou; cade però prigioniero e ritroviamo il suo nome nel trattato del 9 luglio 1193, in cui Filippo chiede la sua liberazione. Sul versante inglese, nonostante il complessivo insuccesso, l’anno precedente Giovanni era riuscito a tirare dalla sua parte i castellani di Winsdor e Wallington.
Al v. 25 (31 secondo U P S Za) il re prigioniero richiama all’ordine «angevin et torain», definendoli «bacheler», ossia ‘giovani’, o ‘aspiranti cavalieri’, in cui potrebbe leggersi anche un’allusione non priva d’ironia sulle loro abilità belliche. Il bacheler dovrebbe essere un esempio di prodezza, mentre i destinari di Riccardo, ‘ricchi e prosperi’, trascurano le imprese militari.[37] Le due regioni, l’Angiò e la Turenna, erano roccaforti dalla cui fedeltà dipendeva la solidità dei confini[38]: al suo ritorno Riccardo dovrà riconquistare alcune fortezze in questi territori.[39]
Agli amati compagni, «ces/cil de Caheu/Caieu/Chaill et ces/cil de Percherain», menzionati al v. 32 (25 di U P S Za), Riccardo non chiede denaro ma fedeltà o per lo meno correttezza – che almeno non gli facciano guerra ora che non può difendersi. I due personaggi sono stati identificati con Goffredo di Perche e Guglielmo di Cayeux, sulla fedeltà dei quali il re aveva ragione di dubitare.[40] Essi avevano partecipato alla terza crociata e per questo potrebbero essere definiti "compaignon”, ma non proprio al fianco di Riccardo: il primo vestiva la croce rossa francese, il secondo quella verde di Filippo di Fiandra.[41] Goffredo III di Perche (conte dal 1191, muore nel 1202) ebbe un ruolo importante nelle vicende del 1193; nel 1189 aveva sposato Matilda di Sassonia, figlia di Enrico il Leone e della sorella di Riccardo, Matilda d’Inghilterra. Questa parentela e l’importanza strategica della contea di Perche, a sud della Normandia e territorio fondamentale a difesa del Maine, aggravavano la condotta di Goffredo verso il re d’Inghilterra.[42] Il trattato di pace del 9 luglio 1193 ci informa del suo tradimento.[43] Più complesso il caso di Guglielmo di Cayeux,[44] personaggio molto meno documentato e certamente di minore peso politico ed economico ma valoroso cavaliere: è menzionato dalle cronache sulla crociata mentre si difende valorosamente in un combattimento presso Giaffa.[45] È questo l’unico passaggio che ci può permettere di annoverarlo tra gli uomini di Riccardo:[46] il re manda all’attacco i conti di Saint-Pol e di Leicester, a cui affianca Guglielmo e Ottone di Transignees;[47] vedendoli poi circondati dagli arabi, Riccardo interviene in loro soccorso.[48] Rincontriamo poi Guglielmo e Ottone quando, al seguito di Enrico di Champagne, si recano da Corrado di Monferrato ad annunciare le «bones noveles», cioè a comunicargli la sua elezione a re di Gerusalemme, su comando di Riccardo. Se dedurre da questo passo una stretta affiliazione di Guglielmo al re d’Inghilterra pare forzare la lettera[49], nessun valore può essere conferito alla sua fideiussione nel patto di Messina del 1191, poiché essa, in realtà, non è mai avvenuta.[50] L’indizio più convincente, ma finora trascurato, in favore dell’identificazione di Guglielmo di Cayeux è il trattato del 23 luglio 1194 che stipula la tregua tra Filippo Augusto e Riccardo, il quale, tornato dalla prigionia, cerca di riconquistare i territori contestati dal re di Francia.[51] Qui Guglielmo, signore di Mortemer, in Alta Normandia, a sud-ovest di Dieppe, figura tra i baroni inclusi nella tregua per volere di Filippo Augusto, coloro che «melius erant homines sui ante guerram, quam regis Angliae».[52] La pace doveva cioè essere garantita anche per chi aveva tradito il proprio signore ed era passato al servizio dell’avversario; sembra quindi un indizio dell’implicazione di Guglielmo nelle vicende normanne e della sua attitudine oscillante.
Già prima della morte di Riccardo, nel 1197, sembra che Guglielmo di Cayeux fosse entrato tra i fedeli di Giovanni.[53] Al suo fianco, contro Filippo Augusto, si troverà nella battaglia di Bouvines.[54]
Un altro elemento piuttosto labile che è servito a stringere i rapporti tra Riccardo e Guglielmo riguarda la traduzione di Pierre di Beauvais della leggenda latina del viaggio di Carlo Magno in oriente[55]. Essa consiste nell’identificazione del committente dell’opera proprio in Guglielmo di Cayeux: ciò gli è valso la fama di essere un grande estimatore di canzoni di gesta e quindi il perfetto compagno di Riccardo.[56]  Ad invalidare definitivamente questo assunto è il fatto che la menzione del nome di Guglielmo nella rubrica incipitaria dell’opera è tramandata da un solo frammento[57] e non è probabilmente che un’interpolazione, l’argomento è stato messo in discussione da R. N. Walpole, che declassa Guglielmo da patrono a semplice committente di una copia del poema.[58]
Altra legittima osservazione è che tutti i toponimi della canzone sono nomi riferiti a territori e non a singole città: Cayeux sarebbe l’unica. Nemmeno possiamo essere certi che Riccardo si riferisse ad un preciso destinatario: i manoscritti O C U riportano infatti un pronome dimostrativo plurale ces/ceaulz (cil P S Za è sia pl. che sing.): "quelli di Cayeux e quelli del Perche”;  si è tuttavia d’accordo con Lee quando ritiene poco probabile l’ipotesi di un appello collettivo.[59] Si è qui cercato di mettere a fuoco una difficile identificazione, che non si può basare sugli argomenti addotti fino ad oggi ma che può essere confortata da nuovi elementi: si accetta (una volta accettato chaeu/caheu/caieu come lezione originaria) in mancanza di un migliore candidato, il riferimento a Guglielmo di Cayeux,[60] ma in ragione di questo si potrà addurre unicamente il passo de L’estoire de la guerre sainte (v. 7289) e la pace del 23 luglio 1194.
Al contrario del resto della canzone, l’envoi offre riferimenti più chiari, dichiarando esplicitamente a chi è indirizzato – alla sorellastra di Riccardo, la contessa Maria di Champagne – e anche a chi non è indirizzato – l’altra sorellastra, Alice, diventata contessa di Blois e di Chartres per averne sposato il conte, Tebaldo V di Champagne. Da lui aveva avuto Luigi, che eredita il titolo nel 1191: è il suo nome che sostituisce il mot-refrain e chiude la canzone. Dal momento che Alice è nata dal matrimonio tra Eleonora d’Aquitania e Luigi VII, Luigi di Blois è nipote sia del re d’Inghilterra che di quello di Francia. Inizialmente Luigi è schierato con Riccardo, ma Giovanni "senza terra” si guadagnerà il suo appoggio con la concessione di alcune fortezze turrensi.[61] Luigi è il secondo signore a figurare nel trattato del 9 luglio 1193,[62] in contrasto con il re d’Inghilterra per le rendite sulle terre ereditate dal padre. Infine, è probabilmente all’imperatore Enrico VI che alludono i vv. 38-39: «... cil a cui je me clain / et por cui je sui pris.».
 
Entro Natale Eleonora d’Aquitania e Gualtiero di Coutances, raggiungeranno Riccardo a Speyer, portando con loro l’esorbitante riscatto. Il re sarà rilasciato a Mainz il 4 febbraio 1194, solo dopo aver consegnato formalmente l’Inghilterra all’imperatore per riacquisirla come suo vassallo.
Alla luce delle informazioni raccolte, non resta che costatare la mancanza di indizi che permettano una datazione più precisa e ipotizzare che la canzone sia stata composta tra il 25 marzo e l’autunno del 1193.      

 

 

[1] Le imprese di Riccardo nella terza crociata sono narrate con dovizia di dettagli in numerose cronache coeve. In particolare si è consultato l’Itinerarium Peregrinorum et Gestae Regis Ricardi Angliae, cronaca scritta nel primo ventennio del XIII secolo il cui autore fu a lungo identificato con Geoffrey de Vinsauf, ma che fu poi attribuita a Richard de Templo, canonico della Santa Trinità di Londra (ed. a c. di W. Stubbs, London, Longman & Co., 1864). Su questa e altre cronache si basa il resoconto sulle gesta di Riccardo durante la terza crociata di S. Runciman, Storia delle crociate, Torino, 1966 (ed. or. London, 1951). Le altre recenti biografie di Riccardo da cui traggo le informazioni qui raccolte sono J. Flori, Riccardo Cuor di Leone: il re cavaliere, Torino, Einaudi, 2004 (ed. or. Paris, 1999) e J. Gillingham, Richard I, New Haven, Yale University Press, 2002.
[2] Flori, Riccardo cit., p. 74, che a sua volta ne è informato dalla Chronica di Ruggero di Hoveden (ed. W. Stubbs, London, Longman & Co., 1886-1889, III, p. 30).
[3] Una delle figlie di Tancredi, di appena due anni, è promessa al nipote di Riccardo, Arturo di Bretagna, che sarebbe così diventato erede del regno di Sicilia. Cfr. Flori, Riccardo cit., pp. 90-91.
[4] Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, p. 100, trad. da Flori, Riccardo cit., p. 97. 
[5] Cfr. Ibid., p. 102, n. 50 e Gillingham, Richard cit., p. 219.
[6] Una pernacchia, secondo la testimonianza di Ambrogio (L’estoire de la guerre sainte, ed. C. Croizy-Naquet, Paris, Champion, 2014, v. 1460), sarebbe stata la risposta del cipriota alla richiesta di Riccardo di rilasciare i prigionieri catturati e di restituire il bottino razziato dalle navi naufragate sull’isola. Cfr. Flori, Riccardo cit., pp. 103-106.
[7] La terza crociata era stata indetta da papa Gregorio VIII in seguito alla disfatta subita dai crociati nella battaglia di Hattin del 4 luglio 1187 con cui Saladino aveva ripreso il controllo di Gerusalemme e parte della Palestina; nello stesso anno Riccardo prende la croce.
[8] Riccardo di Devizes, Chronicon Ricardi Divisiensis de rebus gestis Ricardi Primi Regis Angliæ, ed. J. Steveson, London, Bentley 1888, p. 53. La notizia è presente anche nell’opera, più tarda, di Gervasio di Canterbury, The historical works of Gervase of Canterbury, ed. W. Stubbs, London, Longman & Co., 1879-1880, p. 88.
[9] Cfr. Gillingham, Richard cit., pp. 224-225.
[10] Un interessante contributo sulle malattie che hanno vessato i due re e i loro eserciti è in T. G. Wagner, P. D. Mitchell, The illnesses of King Richard and King Philippe on the Third Crusade: An Understanding of arnaldia and leonardie, in «Crusades», 10 (2011), pp. 23-44.
[11] Flori si interroga sulle reali cause della defezione di Filippo Augusto: la malattia di certo deve aver avuto un gran peso, ma non meno la preoccupazione per la sua successione, dato che l’erede aveva allora appena quattro anni; inoltre la recente morte di Filippo di Fiandra era un’ottima occasione per rivendicare i propri diritti sull’Artois; non ultima l’invidia verso Riccardo, «un rivale che lo superava in tutto», cfr. Flori, Riccardo cit., p. 117. 
[12] Questo è solo l’ultimo dei patti di non aggressione stipulati: già prima della partenza, nell’inverno 1190, e poi a Messina, in concomitanza dello scioglimento del patto matrimoniale con Alice, i due re si erano accordati per una pacifica spartizione dei territori. Questo sembra però l’unico vero e proprio giuramento che richiede l’impegno del solo Filippo.
[13] Guglielmo di Newburg, Historia regum anglicarum, ed. R. Howlett, in Chronicles and Memorials of the Reigns of Sthephens, Henry II and Richard I, I, London, Longman & Co., 1884, p. 358; cito da Flori, Riccardo cit., p. 119.
[14] Runciman, Storia delle crociate cit., II, p. 740. Flori, Riccardo cit., p.136. Gillingham, Richard cit., pp. 195-196.
[15] A quanto pare, i responsabili dell’assassinio del marchese furono due sicari dello sceicco Rashīd al-Din Sinan, noto come "il Vecchio Uomo della Montagna”, forse in collera con Corrado che aveva depredato una nave carica di sue preziose merci o forse per evitare uno stabile insediamento crociato in Palestina. Cfr. Runciman, Storia delle crociate cit., II, p. 741.
[16] Cfr. Flori, Riccardo cit., p. 149; Gillingham, Richard cit., pp. 230-231.
[17] Cfr. Flori, Riccardo cit., pp. 152-153.
[18] Su questo aspetto insistono i versi di Pietro di Blois, che in Quis acquam tuo capiti (PL, 207, coll. 1131D-1133B, strofe 14-20) paragona l’atto del duca al tradimento di Giuda. Cfr. P. Dronke, The Medieval Lyric, London, Hutchinson University Library, 1968, pp. 213-214.
[19] Cfr. Gillingham, Richard cit., pp. 153-154.
[20] Ibid., p. 233.
[21] La leggenda di Blondel de Nesle è stata diffusa principalmente da Marie-Jeanne L’Héritier de Villandon (1664-1734), figlia dell’historien du Roi e frequentatrice di salotti tra cui quello di Mme de Scudery e Mme Deshoulières, nel romanzo La tour ténebreuse et les jours loumineux, contes anglois accompagnez d’historiettes et tirez d’une ancienne chronique composée par Richard, surnommé Cœur de Lion, roy d’Angleterre, avec le récit de diverses avantures de ce roy, Paris, Veuve Claude Barbin, 1705. Questa trae la narrazione da Recueil de l’origine de la langue et poésie françoise, Paris, 1581, redatta da Claude Fauchet, che a sua volta attinge ad un testo anonimo della metà del XIII secolo, il Récit d’un ménestrel de Reims au treizième siècle, (ed. N. de Wailly, Paris, Renouard, 1876). Per ripercorrere le vicende della leggenda raccoltasi attorno alla figura di Blondel, cfr. Daolmi, Trovatore cit.
[22] La lettera è datata 28 dicembre. Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, p. 195; cfr. Gillingham, Richard cit., p. 222; Flori, Riccardo cit., pp. 155-156.
[23] Gillingham, Richard cit., p. 236. Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, pp. 203-204. Cfr. anche J. T. Appleby, England without Richard, 1189-1199, London, Bell, 1969, pp. 107-108.
[24] Riccardo avrebbe dovuto dare 100.000 marchi (da spartire tra i due carcerieri), sotto forma di dote di Eleonora di Bretagna, per il matrimonio con il figlio di Leopoldo, oltre che a fornire un supporto militare a Enrico VI per intraprendere la riconquista della Sicilia. Inoltre, come garanzia, Riccardo dovrà fornire duecento ostaggi. Gillingham, Richard cit., p. 235.
[25] J. A. Brundage, Richard Lion Heart, New York, Scribner, 1974, p. 184.
[26] Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, p. 198.
[27] Rodolfo di Coggeshall, Radulphi de Coggeshall Chronicon Anglicanum, ed. J. Stevenson, London, Longman & Co., 1875, pp. 58-60. Cfr. Gillingham, Riccardo cit., pp. 237-238.
[28] Rodolfo di Diceto, Raduphi de Diceto Decani Londiniensis Opera Historica, ed. W. Stubbs, London, Longman & Co., 1876, II, p. 107.
[29] Ibid. p. 239.
[30] Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, per gli ambasciatori p. 205; per le navi p. 206; per le richieste di contribuzione alla raccolta del riscatto pp. 208-211; per la nomina Hubert Walter p. 213. Cfr. Gillingham, Richard cit., pp. 238-239 e Flori cit., Riccardo cit., p. 159.
[31] Il patto prevede però la possibilità di non pagare la seconda parte del riscatto se Riccardo fosse riuscito a riavvicinare suo cognato Duca di Sassonia Enrico il Leone all’imperatore.
[32] Ibid.
[33] Cfr. Ibid., pp. 159 e 163.
[34] I riferimenti politici del componimento sono esplicitati nel saggio di C. Lee, Nota sulla rotrouenge di Riccardo Cuor di Leone, in «Rivista di studi testuali», VI-VII (2004-2005), pp. 139-151.
[35] Cfr. Ibid., p. 147. La restituzione delle piazzeforti normanne era parte del patto tra Giovanni e Filippo, cui vengono cedute nell’aprile 1193. Cfr. Flori, Riccardo cit., p. 169.
[36] Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, p. 194. Hélie V Talleyrand fu conte di Périgord dal 1166 alla sua morte nel 1205.
[37] Come ribadisce ai vv. 29-30: «De belles armes sont ore vuit li plain, / por ce que je sui pris».
[38] Lee, Nota cit., p. 146.
[39] Tours, Amboise, Montbason, Montrichard e soprattutto Loches; cfr. Flori, Riccardo cit., p. 169.
[40] La traduzione di «qu’il ne sont pas certain» v. 33 (27 di U P S Za) dovrà esprimere il senso di ‘che sono vacillanti’, ‘che sono in dubbio’.
[41] P. Meyer, L’Histoire de Guillaume le Maréchal, comte de Striguil et de Pembroke, régent d’Angleterre de 1216 à 1219, Paris, Librairie Renouard, 1891-1901, I, p. 165 (v. 4547); III, p. 54. Qui Guglielmo di Cayeux è enumerato tra i cavalieri di Fiandra in un torneo Lagny-sur-Marne.
[42] Lee, Nota cit., p. 147. In Goffredo di Perche aveva riposto fiducia nel 1189 per proteggere i territori di confine dalle incursioni francesi, cfr. Gillingham, Richard cit., p. 103.
[43] «Comes particii redditus suos in Anglia integre habebit, et rex Angliae et sui pacem ei tenebunt», Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, p. 218.
[44] Sull’identificazione del toponimo con Cayeux cfr. Lee, Nota cit., pp. 147-148. Lee accoglie in queste identificazioni l’ipotesi proposta da Gillingham; bisogna però puntualizzare che l’idea che Guglielmo di Cayeux fosse passato «dalla parte di Filippo» (ibid., p. 147) non può essere un argomento a supporto della sua identificazione con «ces de Caïeu» chiamato in causa in Ja nus hons pris, perché Gillingham specifica che l’ipotesi di una complicità tra Guglielmo e il re di Francia non è che una deduzione formulata sulla base della canzone stessa («that [change of allegiance] from William is an inference from Richard’s peom» Gillingham, Richard cit., p. 241, n. 68). In realtà già G. Paris aveva identificato Guglielmo di Cayeux come il destinatario dell’emistichio (La traduction de la légende latine du voyage de Charlemagne à Constantinople, in «Romania», XXI (1892), pp. 263-264 e poi in Ambrogio, L’estoire de la guerre sainte, ed. G. Paris, Paris, Imprimerie nationale, 1892, p. 543), considerandolo un personaggio vicino a Riccardo. Egli si basa però su due passi de L’estoire (cfr. supra) e su una fideiussione di Guglielmo nel patto di Messina, documento per cui Paris rinvia il lettore a «Histor. de France, XVII, p. 53» ossia Rigordo, Gesta Philippi Augustus francorum regis in Recueil des historiens de Gaule et de la France, Tome 17, a c. di M.-J.-J. Brial, nouv. éd. sous la direction de M. L. Delisle, Paris, Palmé, 1878, p. 53. Se si segue il rimando bibliografico, si trova il nostro «Will. de Ket» (ossia «Kaer al. Kaeu», ibid. n. 2) come fideiussore del re d’Inghilterra nella pace siglata "apud Goleton” con Filippo Augusto: si tratta però di un documento che data ormai al 1200 e il re d’Inghilterra non è più Riccardo ma Giovanni (da notare che qui Goffredo di Perche è tra i fideiussori del re di Francia). Il patto di Messina cui sembra pensare Paris è invece riportato alle pp. 32-33 delle stesse Gesta Philippi; qui compare come fideiussore il Pontivi Comes, che l’editore di Rigordo glossa «Guillelmus»: si tratta invece del padre di questi, Giovanni, partito per la crociata nel 1190 e morto ad Acri il 30 giugno dell’anno seguente (C. Brunel, Recueil des Actes des Comtes de Pontieu (1026-1279), Paris, Imprimerie Nationale, 1930, p. VI). Dalla confusione di questi due documenti nasce forse la confusione tra Guglielmo, conte di Ponthieu (colui che sposerà finalmente Alice, sorella di Filippo Augusto), e Guglielmo di Cayeux, città situata in Ponthieu. L’atto siglato a Messina, datato marzo 1191, è edito anche da H.-F. Delaborde, Recueil des actes de Philippe-Auguste, roi de France, Paris, Imprimerie Nationale, 1916, pp. 464-466.
[45] È il 6 novembre 1191. Nell’Itinerarium peregrinorum cit. (lib. VI, cap. XXX) compare Willelmus de Cageu, su cui la nota di Stubbs «Probably Cayeux in Ponthieu» (ibid. p. 292 n. 6); il passo dell’Itinerarium è strettamente legato –  non ne è probabilmente che la traduzione ­– a quello di Ambrogio, dove compare come Guillaumes de Caieu (Ambrogio, L’estoire cit., ed. Croizy-Naquet, v. 7289, p. 560) e de Caieu Willames (ibid., v. 8655: carec secondo l’ed. Croizy-Naquet, p. 605 – che però non pare una lettura corretta –, carer, secondo l’ed. Paris, col. 231, è la lezione del manoscritto: la correzione in caieu è di Paris).
[46] Senza successo lo si cercherebbe in J. H. Round, Some English Crusaders of Richard I, in «The English Historical Review», 18 (1903), 71, pp. 475-481, F. Vielliard, Richard Cœur de Lion et son entourage normand : le témoignage de l’Estoire de la guerre sainte, in «Bibliothèque de l’école des chartes», 160 (2002), 1, pp. 5-52 o in A. V. Murray, Participants in the Third Crusade (act. 1190-1192), in Oxford Dictionary of National Biography <http://www.oxfroddnb.com [1]>. Per ulteriori riferimenti e fonti per la terza crociata cfr. D. Power, The preparation of Count John I of Sées for the Third Crusade, in Crusading and Warfare in the Middle Ages : Realities and Representations. Essays in Honour of John France, a c. di S. John e N. Morton, Farnham, Ashgate, 2014, pp. 143-161, in particolare pp. 144-146. Si consideri che il combattimento è successivo alla morte di Filippo di Fiandra.
[47] Otho, uno degli uomini sotto il comando di Filippo di Fiandra (P. Roger, Noblesse et chevalerie du comté de Flandre, d’Artois et de Picardie, Amiens, de Duval et Herment, 1843, p. 80) è al suo fianco anche nell’episodio appena descritto ed è una compagnia che gli fa onore: in entrambi i casi il nome Transignees prepara la rima a «ço erent genz de hautes lignee», elogiando, s’intende, anche Guillaume. Questo personaggio vicino a Guillaume, è forse (l’atto è sospetto) tra i debitori di cui, dopo la morte di Filippo di Fiandra, il re di Francia salderà i conti (Delaborde, Recueil cit., I, 478-479).
[48] Ambrogio, L’estoire cit., vv. 7287-7366.
[49] Riccardo, che era sempre stato avverso all’elezione di Corrado, concede che si vada ad avvertire il marchese: «E quant chescons por lui proia, / Lors le volt e si otreia
/ Que hautes genz por lui alassent /
E que a grant joie ramenassent» ibid. vv. 6641-8644; «Lors s'atornerent li message :
/ Li coens Henris, cil de Champaine, / Si fud o lui en sa compaine / Mis sire Otes de Transignees :
/ Ço erent genz de hautes lignees;
/ Si i fud de Caieu Willames.
/ Lores mistrent es chiefs les hiaumes, / Le message alerent porter / E le marchis rocomforter, / E dire lui bones noveles / Que mult semblèrent a lui bêle / E as Franceis qui a Sur erent» Ibid. vv. 8650-8661. A questo passo fa eco l’Itinerarium peregrinorum cit., lib. V, cap. XXIV: «Hi cum suorum obsequio galeati procedunt versus Tyrum, properantes Marchiso diu desideratum ferre nuncium optimum».
[50] Cfr. nota 46.
[51] Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, p. 258.
[52] Ibid.
[53] Il 16 ottobre 1197, a Rouen, Riccardo concede le città di Dieppe e Botteilles a Gualtiero di Coutances, con una schiera di testimoni tra le persone più importanti del regno. Lo stesso giorno Giovanni conferma la concessione: i testimoni sono gli stessi, ma a questi se ne aggiungono quattro, tra i quali Guglielmo di Cayeux. Si può dunque immaginare che, più che legato a Riccardo, Guglielmo fosse al seguito del fratello minore (L. Landon, The intinerary of King Richard I, with studies on certain matters of interest connected with his reign, London, Ruddock & sons, 1935, pp. 123-124). Già l’8 settembre 1197 è presente all’incontro di Rouen tra Giovanni e Baldovino di Fiandra (ibid. p. 118) e compare più volte nei rotoli dell’échiquier del 1198 (T. Stapleton, Observation on the Great Rolls of the Exchequer of Normandy, in Magni rotuli scaccarii Normanniae sub regibus Angliae, London, Sumptibus Soc. Antiq. Londiniensis, 1844, II, pp. lxxiv, cxxi, cxxix, clxxviii, clxxix, ccxxiv, ccxxvii). Il 22 maggio 1200 è tra gli uomini di Giovanni nella già menzionata pace tra Inghilterra e Francia (Delaborde, Recueil des actes de Philippe-Auguste cit., I, no 633, pp. 178-185, «Willelmo di Keu» compare a p. 184). Prima di Bouvines Guglielmo prende parte alla crociata antialbigese e incontra Simone di Monfort a Termes (Petri Vallium Sarnai Monachi Historia Albigensis, ed. P. Guébin, E. Lyon, Paris, Champion, 1926, I, pp. 170-171, III, p. 58; cfr. D. Power, Who Went on the Albigensian Crusade?, in «English Historical Review», CXXVIII (2013), 534, pp. 1047-1085, Guglielmo e il figlio Eustachio sono citati con le rispettive fonti a p. 1059). Un’ultima osservazione, peraltro non dirimente, è che fiammingo era il contingente che insieme all’esercito di Filippo si era spinto fino a Rouen nella primavera del 1193 (Gillingham, Richard cit., p. 241) e alleata di Giovanni era la flotta fiamminga con cui Filippo voleva sbarcare in Inghilterra quella stessa estate (Flori, Riccardo cit., p. 160). Altre informazioni su Guglielmo di Cayeux in D. Power, The Norman Frontier in the twelfth and early thirteenth centuries, Cambridge, Cambridge University Press, 2004, pp. 403, 418, 419, 425, 437, 456.
[54] Per lui viene pagato un riscatto a Filippo Augusto, cfr. Guglielmo Armorico, De gestis Philippi Augusti francorum regis, in Brial-Delisle, Recueil cit., XVII, p. 108.
[55] Si tratta di una traduzione del Iter Caroli magni ad Ierusalem ovvero Descriptio qualiter Karolus Magnus clavem et coronam Domini a Constantinopoli Aquisgrani detulerit, qualiterque Carolus Calvus hec ad sanctum Dyonisium retulerit. Pierre de Beauvais affiancò alla sua traduzione del leggendario viaggio di Carlo Magno a Costantinopoli e Gerusalemme, anche una traduzione anonima (che a lui è stata a lungo attribuita) della cronaca dello Pseudo-Turpino, che narra le imprese dell’imperatore in Spagna, ugualmente prive di fondamento storico. I testi sono editi da R. N. Walpole, Charlemagne's Journey to the East : the French Translation of the Legend by Pierre of Beauvais, in Semitic and Oriental studies, a volume presented to William Popper, a c. di W. J. Fischel, Berkeley, Los Angeles, University of California press, 1951, pp. 433-456 e Id., An Anonymous Old French Translation of the Pseudo-Turpin Chronicle, Cambridge, Massachusetts, The Mediaeval Academy of America, 1979; si cfr. inoltre Id., The Old French Johannes Translation of the Pseudo-Turpin Chronicle, Berkeley, Los Angeles, London, University of California Press, 1976. Oltre agli studi introduttivi degli studi appena citati un quadro generale delle opere di Pierre de Beauvais è offerto da P. Meyer, Notices sur deux anciens manuscrits françaisayant appartenu au marquis de la Clayette (Bibliothèque nationale, Moreau 1715-1719), in Notices et extraits des manuscrits de la bibliothèque nationale et autres bibliothèques, Paris, Imprimerie nationale, 1890, pp. 1-90; M. L. Berkey, Pierre de Beauvais, An Introduction to His Works, in «Romance Philology» 18 (1965), 4, pp. 387-398.
[56] G. Paris, La traduction cit., ne dà la notizia; è poi Powicke, The Loss of Normandy: Studies in the History of the Angevin Empire, London, Manchester, Sherrat & Hugues, 1913, pp. 163-164 e 2a ed. Manchester, Manchester University Press, 1961, pp. 108-109, che ne deduce la passione letteraria e l’amicizia con Riccardo, circolarmente fondata sulla canzone.
[57] P4: Paris, Bibliothèque nationale de France, fr. 2168, 146vA (l. 23).
[58] R. N. Walpole, The Old French Johannes Translation of the Pseudo-Turpin Chronicle, Berkeley, Los Angeles, London, University of California Press, 1976, pp. 52-54. In realtà, anche se l’ipotesi di Walpole è probabilmente corretta, l’argomentazione su cui si basa non è solida: «Guillaume was a gentlemen of Ponthieu, a vassal and close friend of Richard Lion Heart whose companion-at-arms he had been on the third crusade. After the death of Richard, he had won the equal confidence with John, to whose cause he remained faithful, eventually fighting on his side at Bouvines where he was taken prisoner. This allegiance could not have endeared him to the supporters of Philip Augustus, among whom none was more staunch and active than the warrior - bishop of Beauvais, a king’s cousin, Philippe de Dreux, who for so long was patron of Pierre de Beauvais. He had always been the arch enemy of Richard of England, and he and Guillaume de Cayeux were foes on the battlefield of Bouvines. The assertion made in the prologue of P4, to the effect that Guillaume de Cayeux was patron of Pierre’s translation of the Descriptio, seems then surprising on the face of it, for, if authentic, it would mean that momentarily Pierre had found favor in a house that could only have been inimical to the one which had constantly befriended him. There is no sign in the biographical details we know of Pierre that such a disruption of his quiet existence in Beauvais ever occurred.» ibid. p. 53. L’argomento, ancora fondato sulle informazioni di G. Paris, sottovaluta fortemente la situazione politica del tempo, la possibilità che Guglielmo sia già dalla parte di Giovanni quando questo si oppone a Riccardo e rende omaggio a Filippo Augusto; in realtà Walpole non considera adeguatamente la canzone stessa – su cui si basa, direttamente o attraverso Paris, il suo argomento –  che invita a considerare un’oscillazione delle alleanze da parte di Guglielmo.
[59] Il motivo di questa preferenza espressa da Lee, RS 1891 cit., nota ai vv. 31-36, è la precisione con cui questi personaggi si adattano alle circostanze, un argomento che in questo contributo si è cercato di mitigare. Si resta, ad ogni modo, della stessa opinione, piuttosto sulla base del tono della strofe, per il fatto che è più probabile esprimere un simile affetto ad una singola persona che ad un popolo, e soprattutto per la fedeltà che il re professa, la quale è ben difficile immaginare rivolta ad una regione, cfr. Commento al v. 32.
[60] Si resta perplessi sul perché Riccardo non faccia menzione, tra gli altri signori del Caux (il toponimo è così simile a "caeu”, ma non è con esso linguisticamente sovrapponibile per etimo e metrica), di Ugo di Gournay, di cui il re aveva ben ragione di lamentarsi.
[61] Flori, Riccardo cit., p. 169.
[62] Ruggero di Hoveden, Chronica cit., III, p. 218.
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EDIZIONE






5

Ja nuns hons pris ne dira sa raison,
adroitement, se dolentement non,
mais par esfort puet il faire chançon.
Mout ai amis, mais povre sont li don;
honte y auront se, por ma reançon,
sui ça deus yvers pris.
 
Mai un prigioniero parlerà della sua condizione
adeguatamente, se non con dolore,
ma può, con sforzo, comporre una canzone.
Ho molti amici, ma poveri sono i doni;
ne avranno macchiato l’onore, se per via del riscatto
resto qui due inverni prigioniero.

 
I. om. S. v. 1: nuns] nuls C, nus U K N X P Zᵃ, null f; hons] hon N, hom P f, homs Zᵃ; sa raison / adroitement] adroitement /sa reson N. v. 2: se dolentement non] s’ensi com dolan non C, s’ansi con dolans hons U, s. dolantement n. N, si (se P) com hom (hon Zᵃ) dolanz (dolans f, dolent P) non P f Zᵃ. v. 3: esfort] confort C U Zᵃ, conort P f; puet il] pot il P, deu hom f. v. 4: mout] moult C, molt U N X, mult K, pro P Zᵃ, pron f; ai amis] ai d’amis C, ai d’amins U, a d’amis P Zᵃ, ai d’amixs f; sont] en sont K N X, son P f Zᵃ. v. 5: y auront se] en auron se C U, lur er si f. v. 6: sui] seux C, suix U, soi P, estauc f; ça] ces C U, sai P, om. f, çau Zᵃ; yvers] ivers C K Zᵃ, yver P, uverns f.
I. v. 1: ja] iai C, Ya f; ne] non P f Zᵃ; dira] dirait C, dirat U; raison] raizon C, reson K N, razon f. v. 2: adroitement] adroitament U, adreitament P, adrechamens f. v. 3: mais] maix C, mes K N X Zᵃ, mas P f; par] per C U P; faire] fere K N Zᵃ; chançon] chanson C U P f, chanzon Zᵃ. v. 4: mout] moult C, molt U N X, mult K, pro P Zᵃ, pron f; mais] mes K N X Zᵃ, mas P f; povre] paupres f; li don] le don Zᵃ. v. 5: honte] onta P, ancta f; por] par f, pour K; reançon] reanson C, reençon K, raençon N X, reezon P, rezemson f. v. 6: deus] dos P f.
 



10


Ce sevent bien mi home et mi baron,
ynglois, normant, poitevin et gascon,
que je n’ai nul si povre compaignon
que je lessaisse, por avoir, en prison.
Je nou di mie por nulle retraçon
car encor sui je pris.
 
Ben sanno i miei uomini e i miei baroni,
inglesi, normanni, pittavini e guasconi
che nessun compagno stimerei tanto misero
da lasciarlo in prigione per denaro.
Non lo dico certo per biasimo
perché ancora sono prigioniero.
II. om. S. v. 7: ce sevent bien] se seivent bien C, ceu sevent bien U, ce senen bien N, or sachon bien (ben P) P f, bien lo sevent Zᵃ. v. 9: n’ai nul] n’avoie C U P Zᵃ, nul X (-1), non ai mia f. v. 10: que je lessaisse por avoir] qu’ieu par aver lo laises f. v. 11: je nou di] je nel di C K N X, je no di U, ge no·l di P, non o dic f, je nil di Zᵃ; mie] pais C, pas U N P, mia f, om. Zᵃ (-1); por nulle retraçon] par guap si per ver non f. v. 12: car] maix C, mais U, mas P, ez f, mes Zᵃ; je] om. O (-1), ge N P, gi f.
II. v. 7 mi] miei f; home] honme N Zᵃ, hom P f; et] e U P f Zᵃ; mi baron] miey baron f. v. 8: ynglois] inglois C, englois U K N X, engles P f, englais Zᵃ; normant] normanz O, normant et X, norman P, normans f; poitevin] pettavin P, peitavins f; gascon] guascon P f. v. 9: que je] ke je C, qe ge P, qu’ieu f; povre] paure f; compaignon] conpaignon K N X, compagnon P, compainhon f, copaignon Zᵃ. v. 10: que je] ke je C, cui je U; lessaisse] laissaise C, lessasse K, laissasse N P, laisasse X, laises f, laissase Zᵃ; por] pour K, par f; avoir] aver P f; en] an U; prison] preison P, prizon f. v. 11: por] par U f Zᵃ, pour K; nulle] nule O K N X, nulla P, (guap si f); retraçon] retraisson C, retraison U P; v. 12: encor] emcor C, ancor U, oncor K f, anqar P; sui] seux C, suix U, soi P, suy f.
 


15



Or sai je bien de voir certeinnement
que mors ne pris n’a ami ne parent,
quant on me faut por or ne por argent.
Mout m’est de moi mes plus m’est de ma gent,
qu’apres lor mort auront reprochement,
se longuement sui pris.
 
Ora so bene e con certezza
che un morto o un prigioniero non ha amico né parente,
poiché vengo abbandonato per oro e per argento.
Molto per me temo, ma più per la mia gente,
che dopo la morte porterà il disonore,
se a lungo resto prigioniero.
 
III. om. S. v. 13: or sai je bien] o. s. ge b. U, tan sai eu P (-1), car sapchon bien f; de voir] de ver P, en ver f. v. 14: que] ke C, com P, coms f, qe Zᵃ; mors ne pris] mors ne priset U, je ne pris O K N X, mort ne (nj f) pris P f, morz ne pris Zᵃ; n’a ami] n’ait amin C, ne amins U, ne ami O K N X, n’a amie P, non amic f. v. 15: on] hon N Zᵃ, il P; faut] lait C U, laissent P, laison f; ne] et X, ni P f. v. 16: mout m’est de moi] moult m’e. d. moy C, molt m’e. d. m. K N X U Zᵃ, mal m’es de mi P, mal m’es par moi f; mes plus] maix plus C, mais plus U, mas peiz P, mas pietz f; m’est de] m’es por P, m’es par f, m’est por Zᵃ. v. 17: qu’apres] c’apres C U, q’apres P, despos f; lor] ma C U P Zᵃ, leur K, la X f; auront] aurai O, n’avron P, n’aurant f, n’auront Zᵃ; reprochement] reproche grant C, reprochier grant U, reprozhament P, repropchemant f, reprocement Zᵃ. v. 18: se longuement sui] se l. seux C, se longement suis U, tan longamen soi P, si sa mi laison f, car tant ai esté Zᵃ.
III. v. 13: certeinnement] certainnement C, certainement U K N X Zᵃ, certanament P, sertanemant f. v. 14: ne] ni f; parent] parant U. v. 15: quant] cant C, qant P Zᵃ; me] mi f; por or] pour or K, por X (-1), par aur f; por argent] p. airgent C, pour a. K, par a. f. v. 16: gent] jent f.
 

20




N’est pas mervoille se j’ai le cuer dolent,
quant mes sires mest ma terre en torment.
S’il li membrast de nostre soirement
que nos feismes andui communement,
je sai de voir que ja trop longuement
ne seroie ça pris.
 
Nessuno stupore per il mio cuore afflitto,
dal momento che il mio signore infonde il tormento nella mia terra.
Se si ricordasse del nostro giuramento
che assieme stringemmo concordi,
so per certo che non resterei ormai troppo a lungo
qui, prigioniero.
 
IV. v. 19: om. S; n’est pas mervoille] n’est pas (pais U) mervelle C U, [.]est p. m. N, no·m merveill P (-1), no·m meravill f, ne me merveil Zᵃ. v. 20: mest ma terre en toment] tient ma t. en (a U) t. C U, met m. t. e. t. K X N, met m. terra e. t. P Zᵃ, me amicz e turmant f. v. 21: s’il] s’or C U, no P S, or f, se Zᵃ; de nostre] de nostre de nostre X (+3). v. 22: que nos feimes andui] que fezemis el sans f. v. 23: je sai de voir] bien s. d. v. C U, bem sai de ver (voir S) P S, or sai je bien f, donc sai je bien Zᵃ; que ja trop] ke seans C, que ceuans U, qe gaire P S, qe ia plus Zᵃ. v. 24: ne seroie] non serai P S f, non s. Zᵃ; ça] pais C, pas U, eu sa P S, ia so f.
IV. v. 19: se j’ai] s’eu ai P, si g’ai f, s’eo hai Zᵃ; le] lou C, lo U P f ; cuer] cor P f Zᵃ; dolent] dolant U O f. v. 20: quant me sires] cant m. s. U, qe mes senher P, qe mes sire S, que me s. f, qant mi s. Zᵃ. v. 21: membrast] menbroit C, manbroit U, membra P, remembra S, membre f; de] del P S f; nostre] nostr(..) S; soirement] sairement C U X, serement K N, segrament P, sagremant f, seramt Zᵃ (-1). v. 22: que] ke C, qe P S Zᵃ; feimes] feismes C U P S Zᵃ, fesismes X, (fezemis f); andui] anduj C, andos P S, amdeus Zᵃ, (el sans f); communement] communament U, comnunaument K, comunement X, comunelment P, comunel(..) S, cominalmant f, comuniument Zᵃ. v. 23: longuement] longemant U f, longament P, longamen(..) S, longement Zᵃ.
 
25




30

Ce sevent bien angevin et torain,
cil bacheler qui or sont riche et sain,
qu'encombrez sui loing d'aus en autrui main.
Forment m'aidassent, mais il ne voient grain!
De belles armes sont ores vuit li plain,
por ce que je sui pris.
 
Sanno bene angioini e turrenesi,
quei giovani che ora sono ricchi e in salute,
che sono rinchiuso lontano da loro in mano altrui.
Fortemente fossero venuti in mio soccorso, ma non si accorgono di nulla!
Delle belle armi sono ora vuote le pianure,
poiché io sono prigioniero.
 
V. (VI. U P S Zᵃ) om. f. v. 25: ce sevent bien] se seivent b. C, or sevent b. U, or sachent ben P S, bien le sevent Zᵃ. v. 26: cil] li Zᵃ; qui or] ki or C, qi P S Zᵃ; riche] fort U, legier P S, delivre Zᵃ. v. 27: om. S; loign d’aus] loing deans C (+1), lons d’a. U, loig d’a. N, e pris P, loing d’eus Zᵃ; autrui] autre O K N X; main] mains C U. v. 28: om. S; forment m’aidessent] f. m’amoient C, formant m’aidaissent U, f. m’aidassent K N X, il m’aiuvassen P, bien m’aidassent Zᵃ; mais il] mais or C, mes il K X Zᵃ, me il N, mas il P; ne voient] ne m’ainme C, ni voient U, nen oient O, ne voien N, no veun P, n’avoient Zᵃ. v. 29: om S; beles] belles C P Zᵃ, bele U; sont ore] s. ores C U, s. era P, oi sun Zᵃ; vuit li] veut li C, veut cil U, vuit  et O K X, wit et N, voit li P, vit li Zᵃ. v. 30: om. S; por ce que] por tant que (ke C) C U, per zo qe P, por ce qe Zᵃ.
V. (VI. U P S Zᵃ). v. 25: angevin] enievin P S; torain] torrain K. v. 26: bacheler] baicheleir C, bachaeler N, bachelier X, bachaliers P S, bachaler Zᵃ; sont] son P S; et] e P Zᵃ. v. 27: qu’encombrez] k’encombreis C, can combreis U, qu’enconbre N, q’encobres X, q’engombre P, q’engonbrez Zᵃ; sui] seux C, suix U, soi P; en] an U. v. 29 armes] airmes C. v. 30: je] ge P; sui] seux C, suix U.
 



35


Mes compaignons, que j’amoie et que j’ain,
ces de Chaeu et ces de Percherain,
di lor, Chançon, q’il ne sont pas certain,
c’onques vers aus ne oi faus cuer ne vain;
s’il me guerroient il feront que vilain,
tant com je serai pris.
 
Ai miei compagni, che amavo ed amo,
quelli di Cayeux e del Perche,
Canzone, di’ loro, giacché si trovano nel dubbio,
che mai nei loro confronti ebbi cuore falso o volubile:
agirebbero da vili, se contro me muovessero battaglia
mentre sono prigioniero.
 
VI. (V. U P S Zᵃ) om. K N X f. v. 31: mes compaignons] m. compaingnons U, mi conpagnon P S, mi compaignon Zᵃ; que j’amoie et que j’ain] cui j’a. et cui j’a. C U, cui j’amoi et (e P) cui j’am P S, qe je a. e qe j’a. Zᵃ. v. 32: ces de chaeu] cealz de caheu C, ces dous cahuil U, cil de chaill P S, cil de chaieu Zᵃ; et ces de percherain] et ceaulz de percheraim C, et ces dou porcherain U, e cil de perserain P, et cil de perseran S, e cil de percerain Zᵃ. v. 33: di lor chançon] me di chanson C U, de lor chanzon P, d. l. chanzon S, chanzon di lor Zᵃ; q’il] k’il C, qui U. v. 34: c’onques vers aus] nonkes vers eaus C, unca vers els P S, qe je eusse vers els Zᵃ; ne oi faus cuer ne] no le cuer fauls ne C, nan oi cuer faus ne U, non oi cor fals ni P S, faus cuer nea Zᵃ; v. 35: sil] cil U, s’or Zᵃ; il feront] font moult (molt U) C U, il feron P S, trop ferent Zᵃ. v. 36: tant com] por tant ke C, tan com P S; je] ge P S; serai] seux C, soie P S Zᵃ.
VI. (V. U P S Zᵃ). v. 33: ne] non P S; pas] pais C. v. 35: me] mi Zᵃ; guerroient] gueroient C, guerroent S, gerroient Zᵃ; que] ke C, qe P S, qi Zᵃ; vilain] villain S.
 


40
Contesse suer, vostre pris soverain
vos saut et gart cil a cui je me clain
et por cui je sui pris.
 
Sorella contessa, il vostro pregio sovrano
vi salvi e conservi colui a cui mi rivolgo
e per cui sono prigioniero.

VII. om. K S; copiato da una mano successiva in U. v. 37: contesse suer] comtesce suer U, contessa soir P, suer contesa f, contese sœr Zᵃ. v. 38: vos saut] vos sault C, vous sat U, sal deus (dieus f) P f; cil a cui] cil a cu U, cil a qui N X, cel per cui P, la bella qu’ieu f, celle por cui Zᵃ; je me clain] je m’en (m’an U) clain U O, je me claim N X, me clam P, mi claim Zᵃ. v. 39: et por cui] et per cui (cu U) C U P, et por ce O X, por ce que N, ni par cui f, e p. c. Zᵃ; je sui] je seux C, sui je O X, ge soi P, soy gi f.
VII. vostre] vestre Zᵃ; pris] prez P, pres f; souverain] souverain N X, sobraun P. v. 38: et gart] et gairt C, et gar N, e garde P, e guart f.
 


Je nel di mie a cele de Chartain,
la mere Loeys.
 
Non mi rivolgo a quella di Chartres,
la madre di Luigi.
 
VIII. om. K S; copiato da una mano successiva in U. v. 40: je nel di pas] je ne di pais C, je nou di pas U, je ne di mie X, ge no·l di pas P, non o dic mia f; a cele] de celi C U, a cel N, por cela P, de sella f, por celle Za. v. 41: loeys] loweis C, loweiis U, looys N, loys P Za (-1), de loys f.
VIII. v. 40: chartain] chairtain C, certrain P, charta f, chartrain Za. v. 41: mere] meire C U, maire f.
 

I. Strofe mancante S. v.1: Ja] Iai C, Ia OKNXPZᵃ, Ya f; nus] nuls C, nuns O, null f; hons] hon N, hom Pf, homs Zᵃ; ne] non PfZᵃ; dira] dirait C, dirat U; raison] raizon C, reson KN, razon f; sa raison / adroietement] adroitement / sa reson N. v.2: adroitement] adroitament U, adreitament P,  adrechamens f; s'ensi com dolans non] s'e. c. dolan n. C, s'ansi con dolans hons U, se dolentement (dolantement N) non OKNX, si (se P) com hom (hon Zᵃ) dolanz (dolans f, dolent P) non PfZᵃ. v.3: mais] maix C, mes KNXZᵃ, mas Pf; par] per CUP; esfort] confort CUZᵃ, conort Pf; puet il] pot il P; deu hom f; faire] fere KNZᵃ;  chançon] chanson CUPf, chanzon Zᵃ. v.4: molt] moult C, molt UNX, mult K, pro PZᵃ, pron f; ai d'amis] ai d'amins U, ai amis OKNX, a d'amis PZᵃ, ai d'amixs f; mais] mes XNKZᵃ, mas Pf; povre] paupres f; sont] en sont KNX, son PfZᵃ; li don] le don Zᵃ. v.5: honte] onta P, ancta f; y auront se] lur er si f, en auron se CU; por] par f, pour K; reançon] reanson C, reençon K, raençon NX, reezon P, rezemson f. v.6: sui] seux C, suix U, soi P, estauc f; ça] sai P, om. f, çau Zᵃ; ces CU; deus] dos Pf; yvers] ivers CKZᵃ, yver P; uverns f.
II. Strofe mancante S. v.8: ce sevent bien] ce senen bien N, bien lo sevent Zᵃ, or sachon bien (ben P) Pf,  se seivent bien C, ceu sevent bien U; mi (home)] miei f; home] honme NZᵃ, hom Pf, et] e UPfZᵃ; mi baron] miey baron f; ynglois] inglois C, englois KNXU, engles Pf, englais Zᵃ; normant] normanz O, normant et X, norman P, normans f; poitevin] pettavin P, peitavins f;  gascon] guascon Pf. v.9: que je] ke je C, qe ge P, qu'ieu f; n'avoie] n'ai nul OKN, nul X,  non ai mia f, povre] paure f; compaignon] conpaignon XNK, compainhon f, compagnon P, copaignon Zᵃ. v.10: que je l., por a.] qu'ieu par aver lo laises f; que je] ke je C, cui je U; lessaisse] lessasse K, laissasse NP, laisasse X, laissase Zᵃ, laissaise C, laises f; por] pour K, par f;  avoir] aver Pf; en] an U; prison] prizon f, preison P. v.11: je nel di] Non o dic f, je nous di O, je nil di Zᵃ, je no di U, ge no·l di P; mie] mia f, pas NPU, pais C, om. Zᵃ; por] pour K, par ZᵃfU; nulle] nule OKXN, nulla P, guap; retraçon] retraisson C, retraison UP; por n. r.] par guap si per ver non f. v. 12: mes] mais U, maix C, mas, P car OKXN, ez f; encor] emcor C, ancor U, oncor Kf, anqar P; sui] suy f, seux C, suix U, soi P; je] ge NP, gi f.
III. Strofe mancante S. v.13: or sai je bien] o. s. ge b. U, tan sai eu P, car sapchon bien f,; de voir] de ver P, en ver f; certeinnement] certainnement C, certainement KNXUZᵃ, certanament P, sertanemant f. v.14: que] qe Zᵃ, ke C, com P, coms f; mors ne pris] morz ne pris Zᵃ, mort ne (nj f) pris Pf, je ne pris OKXN, mors ne priset U; n'a ami] ne ami OKXN, non amic f, n'ait amin C, ne amins U, n'a amie P; ne] ni f; parent] parant U. v.15: quant] cant C, qant PZᵃ; on] hon NZᵃ, il P; me] mi f; faut] lait CU, laissent P, laison f; por or] pour or K, por X, par aur f;  ne] et X, ni Pf; por (argent)] pour K, par f; argent] airgent C. v.16:  mout m'est de moi] moult m'e. d. moy C, mout m'e. d. m. KNXUZᵃ;  mal m'es de mi P, mal m'es par moi f; mes plus] maix plus C, mais plus U, mas pietz f, mas peiz P; m'est de] m'est por Zᵃ, m'es por P,  m'es par f; gent] jent f. v.17: qu'apres] c'apres CU, q'apres P, despos f; ma] la Xf, lor ON, leur K; auront] aurai O, n'aurant f, n'auront Zᵃ, n'avron P; reprochement] reprocement Zᵃ, reprozhament P, repropchemant f, reproche grant C, reprochier grant U. v.18: se longuement sui] car tant ai esté Zᵃ, si sa mi laison f, se l. seux C, se longement suis U, tan longamen soi P.
IV. v. 19 (manca in S): n'est pas merveille] n'e. p. mervoille O, est p. m. N, ne me merveil Zᵃ, no·m meravill f, no·m merveill P, n'est pas (pais U) mervelle CU; se j'ai] s'eo hai Zᵃ, s'eu ai P,  si g'ai f,  le] lo fPU, lou C; cuer] cor ZᵃPf; dolent] dolant OfU. v.20: quant me sires] cant m. s. U, qe mes senher P, qe mes sire S, que me s. f, qant mi s. Zᵃ; met ma terre en toment] tient ma t. en (a U) t. CU, mest m. t. e. t. O, m. m. terra e. t. PZᵃ, me amicz e turmant f. v.21: sil] s'or CU, no PS, or f, se Zᵃ; membrast] menbroit C, manbroit U, membra P, remembra S, membre f; de] del PSf; nostre] nostr(..) S; soirement] sairement CUX, serement KN, segrament P, sagremant f, seramt Zᵃ. v.22: que] ke C, qe PSZᵃ; nos] nous K, om. f; feimes] feismes OKN, fesismes X, fezemis f; andui] anduj C, andos PS, el sans f, amdeus Zᵃ; communement] communament U, comnunaument K, comunement X, comunelment P, comunel(..) S, cominalmant f, comuniument Zᵃ. v.23: bien sai de voir] je sai de voir OKXN, bem sai de ver (voir S) PS, donc sai je bien Zᵃ, or sai je bien f; que ja trop] ke seans C, que ceuans U, qe gaire PS, qe ia plus Zᵃ; longuement] longemant Uf, longament P, longamen(..) S, longement Zᵃ. v.24: ne seroie] non serai PSf, non s. Zᵃ; ça] pais C, pas U, eu sa PS, ia so f.
V. (VI UPSZᵃ) Strofe mancante f. v.25 (31 UPSZᵃ): ce sevent bien] se seivent b. C, or sevent b. U, or sachent ben PS, bien le sevent Zᵃ; angevin] enievin PS; torain] torrain K. v.26 (32 UPSZᵃ): cil] li Zᵃ; bacheler] bachaler Zᵃ, bachelier X, bachaeler N, baicheleir C, bachaliers PS; qui or] qi PSZᵃ, ki or C, sont] son PS; riche] delivre Zᵃ, fort U, legier PS; et] e ZᵃP. v.27 (33 PZᵃU); manca in S: qu'encombrez] q'encobres X, qu'enconbre N; q'engonbrez Zᵃ, q'engombre, k'encombreis C, can combreis U. sui] seux C, suix U; soi P; loign d'aus] loig d'a. N, lons d'a. U, loing d'eus Zᵃ, loing deans C, e pris P; en] an U; autrui] autre OKNX; main] mains CU. v.28 (34 PZᵃU; manca in S: forment m'aidassent] f. m'aidessent O, formant m'aidaissent U, bien m'a. Zᵃ, f. m'amoient C; il ma'aiuvassen P; mais il] mes il XKZᵃ, me il N, mas il P, mais or C; n'envoient] ne voient XK, ne  voien N, nen oient O, n'avoient Zᵃ, ni voient U, no veun P, ne m'ainme C. v.29 (35 PZᵃU); manca in S: belles] beles OKXN, bele U; armes] anmes C; sont ores] s. ore OKNX, s. era P, oi sun Zᵃ; vuit li] vuit (wit N) et OKNX, vit li Zᵃ, veut li C; veut cil U, voit li P. v.30 (36  PZᵃU); manca in S: por ce que] por ce qe Zᵃ, per zo qe P, por tant que (ke C) CU; je] ge P; sui] seux C, suix U.
VI. (V di UPSZᵃ) Strofe mancante KNXf. v.31 (25 UPSZᵃ): mes compaignons]m. compaingnons U, mi conpagnon PS, mi compaignon Zᵃ; que j'amoie et que j'ain] cui j'a. et cui j'a. CU, cui j'amoi et (e P) cui j'am PS, qe je a. e qe j'a. Zᵃ. v.32 (26 UPSZᵃ): ces de chaeu] cealz de caheu C, ces dous cahuil U, cil de chaill PS, cil de chaieu Zᵃ; et ces de percherain] et ceaulz de percheraim C, et ces dou porcherain U, e cil de perserain P, et cil de perseran S, e cil de percerain Zᵃ. v.33 (27 UPSZᵃ): di lor chançon] me di chanson CU, de lor chanzon P, d. l. chanzon S, chanzon di lor Zᵃ; q'il] k'il C, qui U; ne] non PS; pas] pais C. v.34 (28 UPSZᵃ): c'onques vers aus] nonkes vers eaus C, unca vers els PS, qe je eusse vers els Zᵃ; ne oi faus cuer ne] no le cuer fauls ne C, nan oi cuer faus ne U, non oi cor fals ni PS, faus cuer nea Zᵃ; v.35 (29 UPSZᵃ): sil] cil U, s'or Zᵃ; me] mi Zᵃ; guerroient] gueroient C, guerroent S, gerroient Zᵃ; il feront] font moult (molt U) CU, il feron PS, trop ferent Zᵃ; que] ke C qe PS, qi Zᵃ; vilain] villain S. v.36 (30 UPSZᵃ): tant com] por tant ke C, tan com PS; je] ge PS; serai] seux C, soie PSZᵃ.
VII. Envoi mancante KS; in U è copiato da una mano successiva. v.37: Contesse suer] Comtesce suer U, Contessa soir P, Suer contesa f, Contese sœr Zᵃ; vostre] vestre Zᵃ; pris] prez P, pres f; souverain] souverain NX, sobraim P. v.38: vos saut] vos sault C, vous sat U, vos sait O, sal dieus (deus P) Pf; et gart] et gairt C, et gar N, e garde P, e guart f; cil a cui] cil a cu U, cil a qui NX, cel per cui P, la bella qu'ieu f, celle por cui Zᵃ; je me clain] je m'en (m'an U) clain OU, je me claim NX, me clam P, mi claim Zᵃ. v.39: et por cui] et per cui (cu U) CUP, et por ce OX, por ce N, ni par cui f, e p. c. Zᵃ; je sui] je seux C, sui je OX, ge soi P, soy gi f.
VIII. Envoi mancante KS; in U è copiato da una mano successiva. v.40: je nel di pas] je ne di pais C, je nou di pas U, je ne di mie ONX, ge no·l di pas P, non o dic mia f; a cele] de celi CU, a cel N, por cela P, de sella f, por celle Zᵃ; chartain] chairtain C, certrain P, charta f, chartrain Zᵃ. v.41: mere] meire CU, maire f.


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Discussione stemmatica

1. O K N X
Sono gli unici mss. che hanno tràdito la melodia.
Presentano un errore congiuntivo al v. 29 (vuit et plain) più numerose varianti che li accomunano (vv. 2, 3, 4, 23, 39, 40) tra cui alcune evidentemente deteriori (vv. 12, 14, 17, 27).
O presenta una certa indipendenza da K N X: innanzitutto è l’unico dei quattro ad aver conservato la strofe VI; in secondo luogo, anche dal punto di vista musicale O si discosta dalle altre tre attestazioni, tra loro compatte, sia per la tecnica di notazione musicale che per linea melodica.
Si possono escludere relazioni di derivazione tra i quattro mss. per via dei seguenti elementi di valenza separativa: O presenta un’ipometria al v. 12 e un’innovazione al v. 17 (aurai). In K mancano i due envoi. N presenta un errore singolare al v. 1 e discorda dagli altri al v. 39 (por ce que N contro et por ce O X).[1] X presenta un’ipometria al v. 9, un’innovazione al v. 17 (la mort X contro lor/leur mort O K N) oltre ad alcune microvarianti individuali.[2]
Le versioni di K N X sono da considerare alla stessa altezza nello stemma, derivate da un codice interposito comune, a sua volta derivato da un codice interposito comune ad O. 

2. C U
C ed U presentano un errore congiuntivo al v. 33 (me di) e uno al v. 27 (mains).[3]
La discordanza macroscopica tra C e U è l’ordine delle strofi V-VI. C concorda con O (V-VI), mentre U concorda con P S e Za (VI-V): da qui il problema in fase editoriale di determinare la corretta disposizione. Nessun criterio di maggioranza può venire in soccorso su questo interrogativo poiché, in ogni caso, bisogna riconoscere il carattere poligenetico di quest’inversione: se C avesse invertito l’ordine tradito dal subarchetipo, O l’avrebbe fatto autonomamente; nel caso O e C conservassero la giusta disposizione, l’inversione delle strofi sarebbe avvenuta autonomamente in U e P S Za; questo a meno che non siano intervenuti eventi contaminatori tra O e C ovvero tra U e P S Za, i quali restano tuttavia impossibili, per questo testo, da rintracciare o dimostrare.
Si rileva infine il gran numero di varianti singolari di C (il più innovativo tra i francesi insieme a Za) e che gli envois di U sono stati aggiunti da una mano successiva: il v. 39 e la grafia di Loweiis suggeriscono una familiarità con C, ma altri elementi lo accomunano ad O (v. 38, je m’an clain U, je m’en clain O).

3. P S f e Za
3.1. P S f

Del componimento conservato nella prima carta del ms. S è rimasto solo un frammento di pergamena lacerata e talmente rovinata da renderne ardua la lettura. Il frammento riporta i vv. 20-24, 31-36, 25-26, di cui solo i versi dal 24, 31 e 32 sono pervenuti integralmente. Il ms. di Oxford riporta lo stesso ordine delle strofi di P, U e Za; il ms. f invece non riporta affatto le strofi V e VI.  
I tre manoscritti provenzali sono accomunati da una tendenza alla provenzalizzazione, che in f può essere definita una vera e propria opera di traduzione:[4] è sulla base di questi codici che una longeva tradizione ha annoverato Riccardo fra i trovatori.[5] Non per questo è conveniente privarsi di questi testimoni che apportano una serie di dati utili alla costituzione del testo. Principalmente P – ed S quando conservato – ma in minor misura anche f, concordano molte volte con C U quando questi divergono da O K N X. 
La grande prossimità dei mss. P ed S è riscontrabile ai vv. 23, 24, 25, 26, 31, 32, 34. Carattere separativo assume invece la variante al v. 20, dove P mostra la forma provenzalizzata senher, dove S riporta sire conformemente al resto della tradizione,[6] elemento che prova la tendenza autonoma di P verso l’occitano, dal momento che anche f riporta la lezione francese. Si veda anche il v. 23 e il v. 33, dove S si affianca a O e Za, (di lor) non copiando, in questo punto di difficile interpretazione, la lezione di P (de lor). Al v. 21, al contrario, è S che innova (remembra) mentre P (menbra) si mostra relativamente conforme ad f e agli altri manoscritti.[7]         
Nonostante la grafia e la grande autonomia di f,[8] la sua vicinanza con P(S) è suggerita da diverse varianti in comune, ai vv. 3, 4, 7, 14, 16, 20, 24.[9] Infine, al v. 38, f concorda significativamente con P, in una lezione quasi certamente erronea e banalizzante: è ragionevole pensare, trovandosi di fronte alla complessa costruzione dell’envoi, che il subarchetipo di P ed f abbia aggirato il problema affidandosi a Dio: (lezione di N) vos saut et gart; P f: sal Deus/Dieus e garde/guart.

3.2. Za
La posizione stemmatica del canzoniere di Zagabria è problematica per le sue oscillazioni fra le tre famiglie di manoscritti e necessita, per essere più chiara possibile, una trattazione più schematica:[10]
Za + C U O K N X ≠ P (S f): vv. 13, 16, 27, 28, 38.
Za + C U P (S f) ≠ O K N X: vv. 3, 9, 17, 35, 39.
Da queste casistiche si desume che, in ogni caso, Za si colloca al di sopra dei gruppi O K N X o P S f, i quali rispettivamente mostrano innovazioni singolari. Za invece, assieme alla maggioranza, riporterà in questi casi la variante corretta.[11]
Si vedano poi i casi in cui Za si schiera con una famiglia quando le altre due discordano; in almeno due di queste tre casistiche di diffrazione Za conserva la variante corretta (fatta astrazione di eventuali fenomeni contaminatori):
Za + C U ≠ P ≠ f ≠ O K N X: vv. 14, 35.
Za + O K N X ≠ C U ≠ P (S f): vv. 15, 21, 30.
Za + P (S f) ≠ C U ≠  O K N X: vv. 2, 40.
Restano da prendere in considerazione i casi più rilevanti, quelli in cui Za si schiera con una sola famiglia contro le altre due quando queste sono tra loro concordi:
Za + O K N X ≠ C U P S: v. 34.
Una sola occorrenza mostrerebbe una simile configurazione: faus cuer O K N X Za contro cuer faus C U P S, la cui alta possibilità di poligenesi non credo possa essere messa in dubbio, anche per il fatto che Za condivide els P S Za per aus, che riporta il modello di Za tra i provenzali. La configurazione opposta è invece è estremamente più solida:
Za + P (S f) ≠ C U O K N X: vv. 4, (7), 19, 22, 31, 36, 38, 40, 41.
Queste occorrenze spingono a considerare il manoscritto a monte della famiglia provenzale. In particolare si guardino più da vicino i vv. 4 e 19; v. 4:

O K N X (lez. di O): Mout ai amis
C U (lez. di C): Moult ai d’amis
P f Za (lez. di Za): Pro a (ai f) d’amis
 

Pro è una semplice variante adiafora, ma è lezione spiccatamente provenzale[12] e può avere il significato di ‘molto’ o ‘a sufficienza’. Il corrispettivo francese preu[13] è interpretabile solo come sostantivo e l’unica traduzione possibile sarà ‘vantaggio, profitto’, inapplicabile in questo contesto poiché darebbe una lezione semanticamente contraddittoria: ‘ho vantaggio dagli amici, ma poveri sono i doni’. La lezione di Za istaura dunque un forte legame con il gruppo P S f. Un’altra variante nel verso, piccola ma significativa, accomuna P e Za, a d’amis (contro ai d’amis): dopo la cesura sintattica che divide in due la strofe, gli altri testimoni spostano il fuoco sulla prima persona e si collegano a ma reançon (v. 5); al contrario, in P Za, secondo l’interpretazione più probabile,[14] il verbo a crea una continuità con il soggetto in terza persona che regge i vv. 1-3, e perde il collegamento con il verso seguente.
Si osservino poi le diverse lezioni del v. 19:

O K N X (lez. di O): N’est pas mervoille se j’ai le cuer dolant
C U (lez. di U): N’est pas mervelle se j’ai lo cuer dolant
Za: Ne me merveil s’eo hai le cor dolent
P: No·m merveill s’eu ai lo cor dolent (-1)
f: No·m meravill si g’ai lo cor dolant

La vicinanza di Za a f, ma soprattutto a P, è evidente, così come la distanza da O K N X C U. In questi la frase ha una costruzione impersonale e mervoille/mervelle è un sostantivo, mentre in Za e P f merveil/merveill/meravill è un verbo coniugato alla prima persona singolare. La lezione di P f Za, che evita la cesura epica, è evidentemente deteriore. Essa mostra inoltre una tendenza al provenzale non solo dal punto di vista lessicale ma anche sintattico.[15]
La parentela tra P S f Za, suggerita dalle lezioni deteriori dei vv. 4 e 19, è confermata dall’errore al v. 31 (P S Za: Mi compaignon contro C U O: Mes compaignons) dove il contesto sintattico richiede un caso obliquo ma P S Za presentano un caso retto.[16] Ultimo e dirimente elemento: in fine di canzone Za presenta un errore congiuntivo con P, l’ipometria del v. 41, la mere Loys (invece di la mere Loeys riportata dai mss. francesi). L’errore è molto facile da emendare, ed è ciò che fa il copista di f: egli integra la sillaba mancante esplicitando il genitivo tramite una preposizione (la maire de Loys). Il fatto che invece Za non corregga è significativo, conferma una parentela con P e allontana l’ipotesi di contaminazione, poiché un copista dedito all’innovazione come quello di Za, avendo più di un manoscritto a disposizione, non avrebbe mai scelto la versione ipometra.
Si segnala l’opinione di Spetia (Riccardo cit., pp. 112-115), che colloca Za a monte della famiglia O K N X con contaminazione dal ramo provenzale. L’ipotesi si basa sulla lezione faut O K N X Za contro lait C U (v. 15): quest’ultima viene ritenuta archetipica perché simile a laissent P e laison f.
Si è d’accordo sul fatto che il passaggio da faut a lait, o viceversa, sia facilmente spiegabile su basi paleografiche; in ogni caso, la lezione di P f è manifestamente frutto di un’innovazione importante, per cui cambia il soggetto (mentre negli altri è l’impersonale hon, P f incolpano direttamente gli ‘amici e i parenti’ del verso precedente, tramite l’impiego di una 1a pers. plur.) ed è introdotta una cesura epica. In provenzale la forma faut sarebbe stata incomprensibile[17] e ciò avrebbe potuto spingere autonomamente P f ad innovare per rendere il testo facilmente intelligibile. Il fatto che P f abbiano riscritto il verso, che le forme del verbo, il contesto metrico e quello sintattico siano differenti da C U, indebolisce la tesi che vede lait necessariamente come forma archetipica. faut, oltre ad essere perfettamente «accettabile quanto al senso» (ibid. p. 113), ha carattere difficilior per rarità e per precisione nel contesto[18], mentre banalizzazioni quali lait e laissent/laison possono generarsi, per definizione, in maniera poligenetica. A originare un’innovazione al v. 15 attorno al lessema laissar possono aver influito i vv. 9-10, che esprimono lo stesso concetto: «que je n’ai nul si povre compainon / que je laissaisse, por avoir, en prison». Il ricorso al verbo laissar è di facile generazione: lo conferma una constatazione delle modalità di riscrittura di f, che al v. 18, indipendentemente da ogni possibile modello, riporta si sa mi laison pris invece di se longuement sui pris.[19] Una volta accettata la poligenesi di lait e laissent/laison, il ricorso all’ipotesi di contaminazione risulta superfluo.[20]
L’accordo di Za con O K N X per la lezione faut, più che indicare una parentela – per la giustificazione della quale non può essere dirimente una variante adiafora –, sembra indicare la lezione buona. Tutto lo sforzo di applicare un metodo stemmatico sarebbe vanificato se in casi di adiaforia si rifiutasse di riconoscere una lezione archetipica e le si conferisse valore congiuntivo: ci si esporrebbe ad una giusta accusa di inserire un impulso dicotomico nell’analisi filologica, che non potrebbe che generare alberi bipartiti.[21]
Dai dati esposti emerge la parentela di Za con il ramo P S f, la quale è confortata, infine, anche da argomenti geografici: allo stesso contesto culturale di S (Veneto)[22] e P (Italia centrale)[23] – accomunati da un antecedente proveniente dall’Italia settentrionale – appartiene anche il codice miscellaneo di Zagabria, esemplato a Padova nell’ultimo quarto del XIII secolo.[24] Con questi e con f (Arles)[25] condivide, oltre alle molte varianti, una traccia di provenzalizzazione ai vv. 20 (terra P Zaper terre) 4 (pro P f Za), 19 (eu P, eo Za) e 26 (bachaliers P S, bachaler Za), nonché l’avverbio di negazione non[26] dei vv. 1 e 24, dove in francese ci si aspetterebbe il corrispettivo atono ne, lezione corretta attestata da O K N X C U, mentre è regolare in provenzale.[27] Non casuale sarà poi la concordanza della forma italianizzante engombre P, engombrez Za per encombrez.

Stemmata
Nonostante il v. 28 sia sospetto e possa essere frutto di una corruttela comune a tutta la tradizione, l’archetipo resta non dimostrabile. Mancano d’altra parte elementi testuali che suggeriscano più redazioni autoriali, come anche il periodo circoscritto e il carattere d’occasione non depone in favore dell’ipotesi che Riccardo possa essere ritornato sul testo.[28] La tradizione manoscritta presenta la seguente configurazione:


[1] Autonomia grafica e microvarianti di N rispetto a O K X: vv. 1, 4, 7, 11, 15, 27, 28, 35, 39.
[2] Vv. 10, 15, 17, 22.
[3] La relazione tra i mss. C U è ben nota e già trattata da Schwan, Die alfranzösischen Liederhandschriften cit., pp. 173-181. Assodata la dipendenza da una stessa fonte, per completezza si forniscono brevemente i luoghi della canzone che confermano l’indipendenza reciproca: si esclude che C sia stato copiato da U per i vv. 11, 14, 17, 20, 27, 28, 32, 33, 37, 38, e che U non abbia copiato da C per le numerose varianti singolari di quest’ultimo, si vedano solo i vv. 1, 29, 33, 34, e soprattutto l’innovazione al v. 28, dove C aggira agilmente il passaggio corrotto (lezione di U: formant m’aidaissent mais il n’i voient grain) con forment m’amoient mais or ne m’ainme grain. Sull’ordine delle strofi cfr. Commento alla strofe V.
[4] Si vedano tra i caratteri più evidenti gli ibridismi (avrant, feron, sachen, repropchemant), e i provenzalismi (adrechamens, amixs, paupres, estauc, compainhon, guap), cfr. § 2.10. Lista delle lezioni provenzalizzate.
[5] Per molto tempo si è sostenuto che la canzone avesse due redazioni, una francese e una provenzale. Il fondamentale contributo di L. Spetia, Riccardo cit., ha dimostrato l’infondatezza di tale tesi e ne ha tracciato l’origine negli scritti di Jean de Nostredame, possessore del codice provenzale f e amante non disinteressato della lirica occitanica. Riduttivo sarebbe cercare di fare una sintesi della vicenda in questa sede e si rinvia per l’intera questione all’articolo di Spetia.
[6] Che presenta la lezione sires, con il suffisso analogico -s del cas sujet.
[7] O K N X Za: membrast; f: membre; C U: menbroit/manbroit.
[8] Oltre alla lacuna, cfr. vv. 6, 9, 11, 13, 15, 18, 22, 23.
[9] Per ulteriore conferma cfr. anche vv. 2, 10, 16, 19.
[10] Per via del gran numero di varianti individuali è facile osservare come non sia imparentato strettamente a nessun manoscritto. Va esclusa sia l’ipotesi che derivi direttamente da uno dei codici qui presi in considerazione, sia che abbia fatto da modello agli altri.
[11]  Per l’unica eccezione cfr. Commento al v. 3.
[12]Assente in Trouveors. Database della lirica dei trovieri, a c. di P. Canettieri e R. Distilo, 2005 <http://trouveors.textus.org/> [2], se non in segmenti in latino, mentre in TrobVers. Lessico e concordanze
della lirica trobadorica
, a c. di R. Distilo, Messina, 1999 <http://trobvers.textus.org/> [3] se ne possono contare 687 attestazioni. La forma è anche assente dai dizionari di antico francese.
[13] Che è attestato in molte forme da Godefroy: preu, prew, preut, preur, prod, proid, prot, proud, prout etc. L’ipotesi che in questo contesto pro sia un latinismo non mi pare sostenibile.
[14] L’altra interpretazione possibile potrebbe nascere dal fatto che la forma a può in alcuni casi essere interpretata in francese come prima persona singolare (ma non in provenzale).
[15] No·meravilh, è un sintagma comune nella poesia trobadorica, tanto quanto n’est pas merveille in francese; basti citare il solo esempio BdT 70, 12 v.15 «no·m meravilh si s’amors me te pres» (Bernart von Ventadorn, Seine Lieder, a cura di C. Appel, Halle a/S., Niemeyer, 1915, p. 69); si vedano anche le numerosissime occorrenze del corrispettivo sintagma «be·m merveill».
[16] La questione è però affrontata diversamente da Lee, Nota cit. e RS 1891 cit., cfr. Commento al v. 31. La provenienza italiana dei tre copisti invita a considerare anche la possibilità di un’origine poligenetica dell’irregolarità.
[17] All’interno del corpus poetico occitanico, faut è attestato una sola volta nell’accezione di ‘mancare’: BdT 389, 20 v. 42 «per di so don ma dompna faut», W. T. Pattison, The life and works of the troubadour Raimbaut d’Orange, Minneapolis, The University of Minnesota Press, 1952, p. 138. La versione faut è del solo A (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat., 5232) mentre l’altro testimone, il ms. a (Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ricc. 2814), non comprende e riporta raut. È molto probabile che faut sia la buona lezione, poiché l’autore, Raimbaut d’Aurenga, lo utilizza in un contesto di rime ricercate tra cui inserisce anche il proprio nome. Completamente diverso il caso delle occorrenze della forma faut nell’accezione di ‘aver bisogno’, ampiamente attestata nei misteri.
[18] Cfr. DMF: Dictionnaire du Moyen Français, version 2015 (DMF 2015). ATILF - CNRS & Université de Lorraine. Site internet : http://www.atilf.fr/dmf [4], "faillir” II. A. 2. a): «Faillir à qqc. ”Ne pas faire ce qu’il faut concernant qqc., se dérober à qqc.”».
[19] Lo studio più approfondito delle fonti del canzoniere Za non dà purtroppo alcun vero appiglio per orientarsi nella tradizione e non può contribuire a supportare l’ipotesi di una famiglia Za O K N X: l’analisi di L. Spetia, «Intavulare», Tables de chansoniers romans.  II. Chansonniers français, 2. H (Modena, Biblioteca Estense), Za (Bibliothèque Métropolitaine de Zagreb), Liège, Université de Liège, 1997, pp. 109-111 (ma già Ead. Il MS. MR 92 cit. p. 255-272), espone chiaramente che il canzoniere di Zagabria è principalmente legato al ms. H per le canzoni II-VIII e XI-XIV, mentre una fonte di tipo O K N P X è propria al canzoniere di Thibaud de Champagne (XV-XXII), che va considerato un’unità a sé. Per le canzoni che chiudono il canzoniere (XXIV e XXV) Spetia individua due fonti, una di tipo O K N X M T e l’altra in comune con H. Come si ricorderà, la canzone di Riccardo occupa la prima posizione nel canzoniere e non ha quindi un contatto immediato con le canzoni XXIV e XXV. Spetia ipotizza l’esistenza di un modello francese provenzalizzato in ambiente veneto contenente le tre liriche I, XXIV, XXV risalente alla stessa fonte di H, da cui proverrebbe anche la testimonianza di Ja nuns hons pris di P S f. Purtroppo, dal momento che la canzone di Riccardo non è contenuta in H, né XXIV e XXV sono contenute in P S o f, ciò è impossibile da verificare. D’altronde, una tale verifica non avrebbe alcuno peso nel presente studio: che una tale fonte sia esistita e che il copista di Za l’abbia utilizzata non implica certo l’esistenza di un modello parallelo di fonte O K N P X M T contenente le stesse tre liriche. Se dunque XXIV e XXV sono pervenute in doppia copia a Za non vuol dire che lo stesso sia avvenuto per I. Inoltre i componimenti operano secondo modalità di contaminazione molto differenti e con differenti fonti, cfr. F. Zinelli, D’une collection de tables de chansonniers romans (avec quelques remarques sur le chansonnier estense), in «Romania», 122 (2004), 1-2, pp. 46-110, in particolare pp. 106-107 (in XXV, l’influenza sembra provenire da M T e, aggiungo, la fonte in comune con H costituisce la base, non l’apporto contaminatorio). L’ipotesi necessita dunque di basarsi esclusivamente su un’analisi interna: se fosse dimostrabile una base O K N X per Ja nuns hons pris in Za, ciò potrebbe essere usato in supporto della tesi di un modello di tipo O K N P X M T comune anche a XXIV e XXV; per ovvi motivi di logica formale, il ragionamento inverso è inapplicabile, poiché vorrebbe dimostrare il postulato a partire dalla deduzione. Anche se certamente Za ha avuto sottomano materiali di matrice O K N X, il liederbuch di Thibaud e le canzoni XXIV e XXV, che tra questi ci fosse anche la canzone di Riccardo è tutt’altro che scontato.
[20] Bisognerebbe altrimenti immaginare che il copista abbia contaminato ben undici volte, abbia altrove indovinato la lezione più alta e solo una volta (magari due, se si considera l’ordine delle parole faus cuer al v. 34) mantenuto la lezione di base quando non condivisa con gli altri manoscritti: se proprio si ritenesse irrinunciabile il ricorso alla contaminazione, ben più economico sarebbe ipotizzare una base di tipo P S f e una fonte secondaria di matrice O K N X, anche in ragione della patina linguistica e delle microvarianti in comune con i provenzali, le quali è assai improbabile si introducano nel testo per collazione.
[21] Altra obbiezione che ne nasce: considerando la lezione di P f al v. 15 derivata da quella tramandata da C U, perché legare i due rami O K N X e Za piuttosto che C U con P S f? Entrambe le operazioni infatti comportano lo stesso grado di arbitrarietà.
[22] Cfr. L. Borghi Cedrini, «Intavulare», Tavole di canzonieri romanzi. I. Canzonieri provenzali. 5. Oxford, Bodleian Library, S (Douce 269), Modena, Mucchi, 2004, p. 28. Si attende la pubblicazione dello studio del dott. Giulio Martire, che sposta più a sud la localizzazione.
[23] Cfr. S. Bertelli, Nota sul canzoniere provenzale P e sul Martelli 12, in «Medioevo e Rinascimento», XVIII/n.s. XVI (2004), pp. 369-375. G. Noto, «Intavulare», Tavole di canzonieri romanzi. (serie coordinata da Anna Ferrari) I. Canzonieri provenzali. 4. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, P (Plut. 41.42), Modena, Mucchi, 2003, raccoglie una dettagliata bibliografia.
[24] L. Spetia, Il MS. MR 92 cit. pp. 238-240; Ead., Codice miscellaneo di testi francesi e mediolatini, Zagreb metr. MR 92 in La miniatura a Padova dal Medioevo al Settecento, dir. da G. Canova Mariani; a c. di G. Baldissin Molli, G. Canova Mariani, F. Toniolo, Modena, F. C. Panini, 1999, pp. 564-565.
[25] Cfr. F. Zufferey, Recherches linguistiques sur les chansonniers provençaux, Genève, Librairie Droz, 1987, pp. 207-225, in particolare, pp. 223-224.
[26] Nel ms. Zanon è rappresentato al v. 1 da un n con titulus: Archibald (La chanson, p. 151) scioglie ne; più paleograficamente corretta l’interpretazione di L. Spetia (Il ms. MR 92 cit.), che trascrive n’en (p. 254), la quale sarebbe però una lezione certamente erronea, sia perché non se ne trova riscontro in nessun altro dei manoscritti, sia per il suo senso intrinseco («mai prigioniero non ne dirà il proprio discorso»?); credo che l’abbreviazione vada dunque sciolta alla maniera latina, non, che è appunto la lezione di P f.
[27] La coincidenza dei mss. provenzali non permette di liquidare elementi come italianismi, seppure vi è la possibilità che alcuni elementi possono essere interpretati come tali.
[28] Più complessa la questione della versione provenzalizzata, di cui Spetia, Riccardo cit., ha convincentemente dimostrato un’antecedente francese; la tesi è confermata dalla relazione con Za, che avendo errori in comune con P S f comporta che la provenzalizzazione sia avvenuta ad uno stadio medio della tradizione e che quindi non può essere di mano di Riccardo.
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Collazione

v. 1

X: Ia nus hons pris ne dira sa raison
O: Ia nuns hons pris ne dira sa raison
N: Ia nus hon pris ne dira adroitement
K: Ia nus hons pris ne dira sa reson
Zᵃ: Ia nus homs pris non dira sa raison
f: Ya null hom pris non dira sa razon
C: Iai nuls hons pris ne dirait sa raixon
U: Ja nus hons pris ne dirat sa raison
P: Ia nus hom pris non dira sa raison
S: strofe mancante
 
v. 2

X: adroitement, se dolentement non;
O: adroitement, se dolantement non;
N: sa reson, se dolentement non,           (-1)
K: adroitement, se dolentement non,
Zᵃ: adroitement, si com hon dolanz non,
f: adrechamens, si com hom dolans non,
C: adroitement, s'ensi com dolan non,
U: adroitament, s'ansi con dolans hons,
P: adreitament, se com hom dolent non,
S: strofe mancante
 
v. 3

X: mes par esfors puet il faire chançon.
O: mais par esfort puet il faire chançon
N: mes par esfors puet il fere chançon.
K: mes par esfors puet il fere chançon
Zᵃ: mes par confort puet il fere chanzon.
f: mas par conort deu hom faire chanson.
C: maix per confort puet il faire chanson.
U: mais per confort puet il faire chanson.
P: mas per conort pot il faire chanson.
S: strofe mancante
 
v. 4

X: Molt ai amis, mes povre en sont li don,
O: Mout ai amis, mais povre sont li don,
N: Molt ai amis, mes povre en sont li don,
K: Mult ai amis, mes povre en sont li don,
Zᵃ: Pro a d'amis, mes povre son le don,
f: pron ai d'amixs mas paupres son li don
C: Moult ai d'amis maix povre sont li don,
U: Molt ai d'amins, mais povre sont li don,
P: Pro a d'amis, mas povre son li don;
S: strofe mancante
 
v. 5

X: honte y auront se, por ma raençon
O: honte y auront se, por ma reançon,
N: honte y auront se, por ma raençon,
K: honte y auront se, pour ma reençon,
Zᵃ: honte y auront se, por ma raençon,
f: ancta lur er si, par ma rezemson,
C: honte en auront se, por ma reanson,
U: honte en auront se, por ma reançon,
P: onta y auron se, por ma reezon,
S: strofe mancante
 
v. 6

X: sui ça deus yvers pris.
O: sui ça deus yvers pris.
N: sui ça deus yvers pris
K: sui ça deus ivers pris.
Zᵃ: sui çau deus ivers pris.
f: estauc dos uverns pris.
C: seux ces deus ivers pris.
U: suix ces deus yvers pris.
P: soi sai dos yver pris.
S: strofe mancante
 
v. 7

X: Ce sevent bien mi home et mi baron,
O: Ce sevent bien mi home et mi baron,
N: Ce seven1 [5] bien mi honme et mi baron
K: Ce sevent bien mi honme et mi baron,
Zᵃ: Bien lo sevent mi home e mi baron,
f: Or sachon bien, miei hom e miey baron
C: Se seivent bien mi home et mi baron,
U: Ceu sevent bien mi home e mi baron
P: Or sachon ben, mi hom e mi baron
S: strofe mancante
 
v. 8

X: englois, normant et poitevin et gascon,
O: ynglois, normanz, poitevin et gascon,
N: englois, normant, poitevin et gascon,
K: englois, normant, poitevin et gascon,
Zᵃ: englais, normant, poitevin e gascon,
f: engles, normans, peitavins et guascon,
C: inglois, normant, poitevin et gascon,
U: englois, normant, poitevin et gascon,
P: engles, norman, pettavin et guascon,
S: strofe mancante
 
v. 9

X: que je nul si povre conpaignon              (-1)
O: que je n'ai nul si povre compaignon
N: que je n'ai nul si povre conpaignon
K: que je n'ai nul si povre conpaignon
Zᵃ: qe je n'avoie si povre copaignon
f: qu'ieu non ai mia si paure compainhon
C: ke je n'avoie si povre compaignon
U: que je n'avoie si povre compaignon
P: qe ge n'avoie si povre compagnon
S: strofe mancante
 
v. 10

X: que je laisasse, por avoir, en prison.
O: que je lessaisse, por avoir, en prison.
N: que je laissasse, por avoir, en prison
K: que je lessasse, pour avoir, en prison.
Zᵃ: qe je laissase par avoir en prison.
f: qu'ieu par aver lo laises en prizon.
C: ke je laissaise, por avoir, en prixon,
U: cui je laissaisse, por avoir, an prixon.
P: q'eu laissasse, por aver, en preison.
S: strofe mancante
 
v. 11

X: je neˑl di mie por nule retraçon,
O: Je nou di mie por nule retraçon
N: je neˑl di pas por nule retraçon,
K: Je neˑl di mie pour nule retraçon,
Zᵃ: Je niˑl di par nulle retraçon,             (-1)
f: Non o dic mia par guap si per ver non
C: Je neˑl di pais por nulle retraisson,
U: Je no di pas par nulle retraison,
P: Ge nol di pas por nulla retraison,
S: strofe mancante
 
v. 12

X: car encor sui je pris.
O: car encor sui pris.              (-1)
N: car encor sui ge pris.
K: car oncor sui je pris.
Zᵃ: mes encor sui je pris.
f: ez oncor suy gi pris.
C: maix emcor seux je pris.
U: mais ancor suix je pris.
P: mas anqar soi ge pris.
S: strofe mancante
 
v. 13

X: Or sai je bien de voir certainement
O: Or sai je bien de voir certeinnement
N: Or sai je bien de voir certainement
K: Or sai je bien de voir certainement
Zᵃ: Or sai je bien de voir certainement
f: Car sapchon bien en ver sertanemant
C: Or sai je bien de voir certainnement
U: Or sai ge bien de voir certainement
P: Tan sai eu de ver certanament
S: strofe mancante
 
v. 14

X: que je ne pris ne ami ne parent
O: que je ne pris ne ami ne parent
N: que je ne pris ne ami ne parent,
K: que je ne pris ne ami ne parent,
Zᵃ: qe morz ne pris n'a ami ne parent
f: coms mort nj pris non amic ni parent.
C: ke mors ne pris n'ait amin ne parent,
U: que mors ne priset ne amins ne parant,
P: com mort ne pris n'a amie ne parent,
S: strofe mancante
 
v. 15

X: quant on me faut p[or] or et por argent.
O: quant on me faut por or ne por argent.
N: quant hon me faut por or ne por argent.
K: quant on me faut pour or ne pour argent.
Zᵃ: qant hon mi faut por or ne por argent.
f: Car si mi laison par aur ni par argent,
C: quant on me lait por or ne por airgent.
U: cant on me lait por or ne por argent.
P: qant il me laissent por or ni por argent.
S: strofe mancante
 
v. 16

X: Molt m'est de moi, mes plus m'est de ma gent,
O: Mout m'est de moi, mes plus m'est de ma gent,
N: Molt m'est de moi, mes plus m'est de ma gent
K: Molt m'est de moi, mes plus m'est de ma gent,
Zᵃ: Molt m'est de moi, mes plus m'est por ma gent,
f: mal m'es par moi, mas pietz m'es par ma jent.
C: Moult m'est de moy, maix plux m'est de ma gent,
U: Molt m'est de moi, mais plus m'est de ma gent,
P: Mal m'es de mi, mas peiz m'es por ma gent,
S: strofe mancante
 
v. 17

X: qu'apres la mort auront reprochement
O: qu'apres lor mort aurai reprochement,
N: qu'apres lor mort auront reprochement
K: qu'apres leur mort auront reprochement
Zᵃ: q'apres ma mort n'auront reprocement,
f: Despos la mort n'aurant repropchemant,
C: c'apres ma mort auront reproche grant
U: c'apres ma mort auront reprochier grant
P: q'apres ma mort n'avron reprozhament,
S: strofe mancante
 
v. 18

X: se longuement sui pris.
O: se longuement sui pris.
N: se longuement sui pris.
K: se longuement sui pris.
Zᵃ: car tant ai esté pris.
f: si sa mi laison pris.
C: se longuement seux pris.
U: se longement suis pris.
P: tan longamen soi pris.
S: strofe mancante
 
v. 19

X: N'est pas merveille se j'ai le cuer dolent,
O: N'est pas mervoille se j'ai le cuer dolant,
N: [N']est pas merveille se j'ai le cuer dolent,
K: N'est pas merveille se j'ai le cuer dolent,
Zᵃ: Ne me merveil s'eo hai le cor dolent
f: No∙m​ meravill si g'ai lo cor dolant,
C: N'est pais mervelle se j'ai lou cuer dolent,
U: N'est pas mervelle se j'ai lo cuer dolant,
P: No∙m merveill s'eu ai lo cor dolent,             (-1)
S: verso mancante
 
v. 20

X: quant mes sires met ma terre en torment;
O: quant mes sires mest ma terre en torment;
N: quant mes sires met ma terre en torment,
K: quant mes sires met ma terre en torment;
Zᵃ: qant mi sires met ma terra en torment;
f: que me sires, me amicz e turmant,
C: quant mes sires tient ma terre en torment,
U: cant mes sires tient ma terre a torment;
P: qe mes senher met ma terra en torment.
S: Qe mes sire me................
 
v. 21

X: s'il li membrast de nostre sairement
O: s'il li membrast de nostre soirement,
N: s'il li menbrast de nostre serement
K: s'il li membrast de nostre serement,
Zᵃ: se li membrast de nostre seramt
f: or li membre del nostre sagremant
C: s'or li menbroit de nostre sairement,
U: s'or li manbroit de nostre sairement,
P: No li menbra del nostre segrament,
S: No li remenbra del nostr.......
 
v. 22

X: que nos fesismes andui comunement,
O: que nos feismes andui communement,
N: que nos feismes andui communement
K: que nous feismes andui comnunaument
Zᵃ: qe nos feimes amdeus comuniument
f: que fezemis el sans cominalmant.
C: ke nos feimes anduj communement,
U: que nos feimes andui communament
P: qe nos feimes andos comunelment.
S: Qe nos feimes andos comunelm........
 
v. 23

X: je sai de voir que ia trop longuement
O: je sai de voir que ia trop longuement
N: je sai de voir que ia trop longuement
K: je sai de voir que ia trop longuement
Zᵃ: Donc sai je bien qe ia plus longement
f: Or sai je bien que ia trop longemant
C: bien sai de voir ke seans longuement
U: bien sai de voir que ceu ans longemant
P: Bem sai de ver qe gaire longament
S: Ben sai de voir qe gaire longamen....
 
v. 24

X: ne seroie ça pris.
O: ne seroie ça pris.
N: ne seroie ça pris.
K: ne seroie ça pris.
Zᵃ: non seroie ça pris.
f: non serai ia so pris.
C: ne seroie pais pris.
U: ne seroie pas pris.
P: non serai eu sa pris.
S: non serai eu sa pris.
 
v. 25 (31 UPSZᵃ)

X: Ce sevent bien angevin et torain,
O: Ce sevent bien angevin et torain,
N: Ce sevent bien angevin et torrain,
K: Ce sevent bien angevin et torain,
Zᵃ: Bien le sevent angevin et torain,
f: strofe mancante
C: Se sevent bien angevin et torain,
U: Or sevent bien angevin et torain,
P: Or sachent ben enievin e torain,
S: Or sachent ben enievin et torain,
 
v. 26 (32 UPSZᵃ)

X: cil bachelier qui or sont riche et sain,
O: cil bacheler qui or sont riche et sain,
N: cil bachaeler qui or sont riche et sain,
K: cil bacheler qui or sont riche et sain,
Zᵃ: li bachaler qi sont delivre e sain
f: strofe mancante
C: cil baicheleir ki or sont riche et sain,
U: cil bacheler qui or sont fort et sain,
P: cil bachaliers qi son legier e sain,
S: cil bachaliers qi son legier et sain
 
v. 27 (33 UPSZᵃ)

X: qu'encobres sui loign d'aus en autre main.
O: qu'encombrez sui loing d'aus en autre main
N: qu'enconbre sui loig d'aus en autre main.
K: qu'encombrez sui loing d'aus en autre main
Zᵃ: q'engonbrez sui loing d'eus en autrui main.
f: strofe mancante
C: k'encombreis seux loing deans en autrui mains;
U: c'ancombreis suis lons d'aus an autrui mains;
P: q'engombre soi e pris en autrui main.
S: verso mancante
 
v. 28 (34 UPSZᵃ)

X: Forment m'aidassent, mes il ne voient grain.
O: Forment m'aidessent, mais il nen oient grain.
N: Forment m'aidassent, me il ne voien grain;
K: forment m'aidassent, mes il ne voient grain,
Zᵃ: Bien m'aidassent, mes il n'avoient grain.
f: strofe mancante
C: forment m'amoient maix or ne m'ainme grain.
U: formant m'aidaissent mais il n'i voient grain
P: Il m'aiuvassen! Mas il no veun grain.
S: verso mancante
 
v. 29 (35 UPSZᵃ)

X: De beles armes sont ore vuit et plain,
O: De beles armes sont ore vuit et plain,
N: de beles armes sont ore wit et plain,
K: de beles armes sont ore vuit et plain,
Zᵃ: De belles armes oi sun vit li plain,
f: strofe mancante
C: De belles airmes sont ores veut li plain,
U: de belle armes sont ores veut cil plain
P: De belles armes sont era voit li plain,
S: verso mancante
 
v.30 (36 UPSZᵃ)

X: por ce que je sui pris.
O: por ce que je sui pris.
N: por ce que je sui pris
K: pour ce que je sui pris.
Zᵃ: por ce qe je sui pris .
f: strofe mancante
C: por tant ke je seux pris.
U: por tant que je suix pris.
P: per zo qe ge soi pris.
S: verso mancante
 
v. 31 (25 UPSZᵃ)

X: strofe mancante
O: Mes compaignons que j'amoie et que j'ain
N: strofe mancante
K: strofe mancante
Zᵃ: Mi compaignon qe je amoie e qe j'ain,
f: strofe mancante
C: Mes compaignons, cui j'amoie et cui j'ain,
U: Mes compaingnons, cui j'amoie et cui j'ain,
P: Mi conpagnon cui j'amoi e cui j'am,
S: Mi conpaignon cui j'amoi et cui j'am,
 
v. 32 (26 UPSZᵃ)

X: strofe mancante
O: ces de Chaeu et ces de Percherain,
N: strofe mancante
K: strofe mancante
Zᵃ: cil de Chaieu e cil de Percerain,
f: strofe mancante
C: cealz de Caheu et ceaulz de Percheraim,
U: ces dous Cahuil et ces dou Porcherain,
P: cil de Chaill e cil de Persarain,
S: cil de Chaill et cil de Perseran,
 
v. 33 (27 UPSZᵃ)

X: strofe mancante
O: di lor chançon, q'il ne sont pas certain,
N: strofe mancante
K: strofe mancante
Zᵃ: chanzon di lor, q'il ne sont pas certain
f: strofe mancante
C: me di, Chanson, k'il ne sont pais certain.
U: me di, Chanson, qui ne sont pas certain,
P: de lor, Chanzon, q'il non sont pas certain,
S: di lor chanzon, q'il non sont pas certain;
 
v.34 (28 UPSZᵃ)

X: strofe mancante
O: c'onques vers aus ne oi faus cuer ne vain;
N: strofe mancante
K: strofe mancante
Zᵃ: qe je eusse vers els faus cuer nea vain;
f: strofe mancante
C: Nonkes vers eaus n'o le cuer fauls ne vain,
U: c'onques vers aus nan oi cuer faus ne vain.
P: unca vers els non oi cor fals ni vain.
S: unca vers els non oi cor fals ni vain
 
v. 35 (29 UPSZᵃ)

X: strofe mancante
O: s'il me guerroient il feront que vilain,
N: strofe mancante
K: strofe mancante
Zᵃ: s'or mi gerroient trop ferent qi vilain,
f: strofe mancante
C: s'il me gueroient il font moult ke vilain,
U: Cil me guerroient, il font molt que vilain,
P: S'il me guerroient il feron qe vilain
S: [s]il me guerroent il feron qe villain,
 
v. 36 (30 UPSZᵃ)

X: strofe mancante
O: tant com je serai pris.
N: strofe mancante
K: strofe mancante
Zᵃ: tant com je soie pris.
f: strofe mancante
C: por tant ke je seux pris.
U: tant com je serai pris.
P: Tan com ge soie pris.
S: Tan com ge soie pris.
 
v. 37

X: Contesse suer vostre pris souverain
O: Contesse suer vostre pris soverain
N: Contesse suer vostre pris souverain
K: envoi mancante
Zᵃ: Contese sœr vestre pris soverain
f: Suer contesa, vostre pres sobeiran
C: Contesse suer, vostre pris soverain,
U: Comtesce suer, vostre pris soverain
P: Contessa soïr, vostre prez sobraim
S: envoi mancante
 
v. 38

X: vos saut et gart cil a qui je me claim
O: vos saut et gart cil a cui je m'en clain
N: vos saut et gar cil a qui je me claim
K: envoi mancante
Zᵃ: vos saut et gart celle por cui mi claim
f: sal Dieus e guart la bella qu'ieu iam tant
C: vos sault et gairt cil a cui je me clain
U: vous sat et gart cil a cu je m'an clain
P: sal Deus e garde cel per cui me clam
S: envoi mancante
 
v. 39

X: et por ce sui je pris.
O: et por ce sui je pris.
N: por ce que je sui pris.
K: envoi mancante
Zᵃ: e por cui je sui pris.
f: ni par cui soy gi pris.
C: et per cui je seux pris.
U: et per cu je sui pris.
P: et per cui ge soi pris.
S: envoi mancante
 
v. 40

X: Je ne di mie a cele de Chartain,
O: Je ne di mie a cele de Chartain,
N: Je ne di mie a cel de Chartain
K: envoi mancante
Zᵃ: Je neˑl di pas por celle de Chartrain
f: Non o dic mia de sella de Charta,
C: Je ne di pais de celi de Chairtain,
U: je nou di pas de celi de Chartain
P: Ge no·l di pas por cela de Certrain
S: envoi mancante
 
v. 41

X: la mere Loeys.
O: la mere Loeys.
N: la mere Looys.
K: envoi mancante
Zᵃ: la mere Loys.      (-1)
f: la maire de Loys.
C: la meire Loweis.
U: la meire Loweiis.
P: la mere Loys.        (-1)
S: envoi mancante

1 [6]Il ms riporta senen
2 [7]L'envoi del ms U è stato aggiunto successivamente.
 

 
 
 
 
 

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Subarchetipi a confronto



I.






5
Subarchetipo OKNX
Ja nuns hons pris ne dira sa raison,
adroitement, se dolentement non, 
mais par esfort puet il faire chançon.
Mout ai amis, mais povre sont li don;
honte y auront se, por ma reançon,
sui ça deus yvers pris.

Subarchetipo CU
Ja nus hons pris ne dirat sa raison
adroitament, s'ensi com dolans non,
mais per confort puet il faire chanson.
Molt ai d'amis, mais povre sont li don,
honte en auront se, por ma reançon,
suis ces dos yvers pris.

Subarchetipo PSfZᵃ
Ja nus homs pris non dira sa raison
adroitement, si com hon dolanz non,
mes par confort puet il fere chanzon.
Pro ai d'amis, mes povre son li don,
honte y auront se, por ma raençon,
sui ça deus ivers pris.

II.




10

Ce sevent bien mi home et mi baron,
ynglois, normant, poitevin et gascon,
que je n’ai nul si povre compaignon
que je lessaisse, por avoir, en prison.
Je nou di mie por nulle retraçon
car encor sui je pris.
Ceu sevent bien mi home e mi baron
englois, normant, poitevin et gascon,
que je n'avoie si povre compaignon
que je laissaisse, por avoir, en prison.
Je nol di pas par nulle retraison,
mais ancor suis je pris.

Or sachon bien mi home e mi baron,
englais, normant, poitevin e gascon,
qe je n'avoie si povre compaignon
qe je laissasse par avoir en prison.
Je nil di pas par nulle retraçon,
mes encor sui je pris.

III.



15


Or sai je bien de voir certeinnement
que mors ne pris n’a ami ne parent,
quant on me faut por or ne por argent.
Mout m’est de moi mes plus m’est de ma gent,
qu’apres lor mort auront reprochement,
se longuement sui pris. 
Or sai ge bien de voir certainement
que mors ne pris n’a amis ne parent,
cant on me lait por or ne por argent.
Molt m'est de moi mais plus m'est de ma gent,
c'apres ma mort auront reprochement
se longement suis pris.
Or sai je bien de voir certainement
qe morz ne pris n'a ami ne parent
qant hon mi faut por or ne por argent.
Molt m'est de moi, mes plus m'est por ma gent,
q'apres ma mort n'auront reprocement,
si longament sui pris.

IV.


20



N’est pas mervoille se j’ai le cuer dolent,
quant mes sires mest ma terre en torment.
S’il li membrast de nostre soirement
que nos feismes andui communement,
je sai de voir que ja trop longuement
ne seroie ça pris.
N'est pas mervelle se j'ai lo cuer dolant,
cant mes sires tient ma terre a torment.
S'or li manbroit de nostre sairement,
que nos feimes andui communament,
bien sai de voir que seans longemant
ne seroie pas pris.

Ne me merveil s'eo hai le cor dolent
qant mes sires met ma terra en torment.
Se li membrast de nostre serament
qe nos feimes amdeus comuniument,
bien sai de voir qe ja trop longement
non seroie ça pris.

V.
25




30
Ce sevent bien angevin et torain,
cil bacheler qui or sont riche et sain,
qu'encombrez sui loing d'aus en autrui main.
Forment m'aidassent, mais il ne voient grain!
De belles armes sont ores vuit li plain,
por ce que je sui pris.
Or sevent bien angevin et torain,
cil bacheler qui or sont riche et sain,
c’encombreis suis lons d'aus en autrui main;
formant m'aidaissent mais il n’i voient grain
de belle armes sont ores veut li plain,
por tant que je suis pris.

Se sevent bien angevin et torain,
cil bachaler qi sont delivre e sain
q'engonbrez sui loing d'eus en autrui main.
Bien m'aidassent, mes il n'avoient grain.
De belles armes oi sun vit li plain,
por ce qe je sui pris .

VI.




35
Mes compaignons, que j’amoie et que j’ain,
ces de Chaeu et ces de Percherain,
di lor, Chançon, q’il ne sont pas certain,
c’onques vers aus ne oi faus cuer ne vain;
s’il me guerroient il feront que vilain,
tant com je serai pris.
Mes compaingnons cui j'amoie et cui j'ain,
ces dous Cahuil et ces dou Porcherain,
me di, Chanson, qu’il ne sont pas certain,
c'onques vers aus n’en oi cuer faus ne vain;
s’il me guerroient il font molt que vilain
tant com je serai pris.

Mi compaignon qe je amoie e qe j'ain,
cil de Chaieu e cil de Percerain,
di lor, Chanzon, q'il ne sont pas certain
qe onques vers els non oi faus cuer ne vain;
s'il mi gerroient il feront qe vilain,
tant com je soie pris.

VII.



Contesse suer, vostre pris soverain
vos saut et gart cil a cui je me clain
et por cui je sui pris.
Comtesce suer, vostre pris soverain
vous sat et gart cil a cui je m'en clain
et per cui je sui pris.

Contese sœr vostre pris soverain
vos saut, et gart celle por cui mi clain
e por cui je sui pris.

VIII.
40

Je nel di mie a cele de Chartain,
la mere Loeys.
Je ne di pas de celi de Chartain
la meire Loweiis.
Je ne·l di pas por celle de Chartrain
la mere Lo<e>ys.
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Tradizione manoscritta

Canzonieri francesi:
  • CANZONIERE C [8]
  • CANZONIERE K [9]
  • CANZONIERE N [10]
  • CANZONIERE O [11]
  • CANZONIERE U [12]
  • CANZONIERE X [13]
  • CANZONIERE Zᵃ [14]

 
Canzonieri provenzali:
  • CANZONIERE P [15]
  • CANZONIERE S [16]
  • CANZONIERE f [17]

  
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CANZONIERE C

Guarda il manoscritto su e-codices [18]

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Riproduzione fotografica

 

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Edizione diplomatica

Iai nuls hons pris ne dirait sa raixon adroitement sensi com dolans
non. maix per confort puet il faire chanson. moult ai damis maix poure
sont li don. honte en auront se por ma reanson. seux ces .ij. iuers pris.

 

Se seiuent bien mi home (et) mi baron. inglois normant poiteuin et gascon.
ke ie nauoie si poure compaignon. ke ie laissaise por auoir en prixon. ie nel
di pais por nulle retraisson. maix emcor seux ie pris. OR sai ie bien de uoir
certai(n)nement. ke mors ne pris nait amin ne parent. q(a)nt on me lait por or
ne por airgent. m(ou)lt mest de moy maix plux mest de ma gent capres ma mort
auront reproche grant. se longuement seux pris. Nest pais meruelle se iai
lou cuer dolent. q(a)nt mes sires tient materre entorment. sor li menbroit de
nostre sairement. ke nos feimes anduj co(m)munement. bien sai deuoir ke sea(n)s
longuement. ne seroie pais pris. Se seiuent bien angeuin (et) torain. cil baiche
leir ki or sont riche (et) sain. kencombreis seux loing deans en autrui mains.
forment mamoient maix or ne mai(n)me grain. de belles airmes sont ores ueut
li plain. por tant ke ie seux pris. Mes compaignons cui iamoie et cui iain. cealz
de caheu (et) ceaulz de percheraim. me di chanson kil ne sont pais certain. nonkes
uers eaus no le cuer fauls ne uain. sil me gueroient il font m(ou)lt ke vilain. por
tant ke ie seux pris. Contesse suer uostre pris souerain. uos sault (et) gairt
cil acui ie me clain (et) per cui ie seux pris. ie ne dipais de celi de chairtain. la
meire loweis.

 

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Edizione diplomatico-interpretativa

I.
Iai nuls hons pris ne dirait sa raixon adroitement sensi com dolans
non. maix per confort puet il faire chanson. moult ai damis maix poure
sont li don. honte en auront se por ma reanson. seux ces .ij. iuers pris.
Iai nuls hons pris ne dirait sa raixon
adroitement, s'ensi com dolan non,
maix per confort puet il faire chanson.
Moult ai d'amis, maix povre sont li don,
honte en auront se, por ma reanson,
seux ces dos ivers pris.
II.
Se seiuent bien mi home (et) mi baron. inglois normant poiteuin et gascon.
ke ie nauoie si poure compaignon. ke ie laissaise por auoir en prixon. ie nel
di pais por nulle retraisson. maix emcor seux ie pris. 
Se seivent bien mi home et mi baron,
inglois, normant, poitevin et gascon,
ke je n'avoie si povre compaignon
ke je laissaise, por avoir, en prixon,
Je nel di pais por nulle retraisson,
maix emcor seux je pris.
III.
                                                                                   OR sai ie bien de uoir
certai(n)nement. ke mors ne pris nait amin ne parent. q(a)nt on me lait por or
ne por airgent. m(ou)lt mest de moy maix plux mest de ma gent capres ma mort
auront reproche grant. se longuement seux pris. 
Or sai je bien de voir certainnement
ke mors ne pris n'ait amin ne parent,
quant on me lait por or ne por airgent.
Moult m'est de moy, maix plux m'est de ma gent,
c'apres ma mort auront reproche grant
se longuement seux pris.
IV.
                                                                                      Nest pais meruelle se iai
lou cuer dolent. q(a)nt mes sires tient materre entorment. sor li menbroit de
nostre sairement. ke nos feimes anduj co(m)munement. bien sai deuoir ke sea(n)s
longuement. ne seroie pais pris.
N'est pais mervelle se j'ai lou cuer dolent,
quant mes sires tient ma terre en torment,
s'or li menbroit de nostre sairement,
ke nos feimes anduj communement,
bien sai de voir ke seans longuement
ne seroie pais pris.
V.
                                                           Se seiuent bien angeuin (et) torain. cil baiche
leir ki or sont riche (et) sain. kencombreis seux loing deans en autrui mains.
forment mamoient maix or ne mai(n)me grain. de belles airmes sont ores ueut
li plain. por tant ke ie seux pris. 
Se seivent bien angevin et torain,
cil baicheleir ki or sont riche et sain,
k'encombreis seux loing deans en autrui mains;
forment m'amoient maix or ne m'ainme grain.
De belles anmes sont ores veut li plain,
por tant ke je seux pris.
VI.
                                                       Mes compaignons cui iamoie et cui iain. cealz
de caheu (et) ceaulz de percheraim. me di chanson kil ne sont pais certain. nonkes
uers eaus no le cuer fauls ne uain. sil me gueroient il font m(ou)lt ke vilain. por
tant ke ie seux pris.
Mes compaignons, cui j'amoie et cui j'ain,
cealz de Caheu et ceaulz de Percheraim,
me di, Chanson, k'il ne sont pais certain.
Nonkes vers eaus no le cuer fauls ne vain,
s'il me gueroient il font moult ke vilain,
por tant ke je seux pris.
VII.
                                     Contesse suer uostre pris souerain. uos sault (et) gairt
cil acui ie me clain (et) per cui ie seux pris.
Contesse suer, vostre pris soverain,
vos sault et gairt cil a cui je me clain
et per cui je seux pris.
VIII.
                                                                           ie ne dipais de celi de chairtain. la
meire loweis.
Je ne di pais de celi de Chairtain,
la meire Loweis.
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Edizione interpretativa e traduzione

Iai nuls hons pris ne dirait sa raixon
adroitement, s'ensi com dolan non,
maix per confort puet il faire chanson.
Moult ai d'amis, maix povre sont li don,
honte en auront se, por ma reanson,
seux ces dos ivers pris.

Se seivent bien mi home et mi baron,
inglois, normant, poitevin et gascon,
ke je n'avoie si povre compaignon
ke je laissaise, por avoir, en prixon,
Je nel di pais por nulle retraisson,
maxs emcor seux je pris.

Or sai je bien de voir certainnement
ke mors ne pris n'ait amin ne parent,

quant on me lait por or ne por airgent.
Moult m'est de moy, maix plux m'est de ma gent,
c'apres ma mort auront reproche grant
se longuement seux pris.

N'est pais mervelle se j'ai lou cuer dolent,
quant mes sires tient ma terre en torment,
s'or li menbroit de nostre sairement,
ke nos feimes anduj communement,
bien sai de voir ke seans longuement
ne seroie pais pris.

Se seivent bien angevin et torain,
cil baicheleir ki or sont riche et sain,
k'encombreis seux loing deans en autrui mains;
forment m'amoient maix or ne m'ainme grain.
De belles anmes sont ores veut li plain,
por tant ke je seux pris.

Mes compaignons, cui j'amoie et cui j'ain,
cealz de Caheu et ceaulz de Percheraim,
me di, Chanson, k'il ne sont pais certain.
Nonkes vers eaus no le cuer fauls ne vain,
s'il me gueroient il font moult ke vilain,
por tant ke je seux pris.

Contesse suer, vostre pris soverain,
vos sault et gairt cil a cui je me clain
et per cui je seux pris.

Je ne di pais de celi de Chairtain,
la meire Loweis.

Mai nessun prigioniero esprimerà il suo pensiero
direttamente, così come non fosse afflitto,
ma, per conforto, può comporre una canzone.
Ho molti amici, ma poveri sono i doni,
ne saranno disonorati se, per via del mio riscatto,
resto questo secondo inverno prigioniero.

Ben sanno i miei uomini e i miei baroni,
inglesi, normanni, pittavini e guasconi,
che io non avrei compagno tanto misero
da lasciarlo, per ricchezze, in prigione.
Non lo dico affatto per rimprovero,
ma ancora sono prigioniero.

Ora vedo con certezza
che morto o prigioniero non ha amico né parente,
dal momento che vengo abbandonato per oro e per argento.
Molto mi importa di me, ma ancor più della mia gente,
che dopo la mia morte avrà grande disonore
se resto a lungo prigioniero.

Non c'è da meravigliarsi se ho il cuore dolente,
quando il mio signore tiene la mia terra inquieta,
se ora si ricordasse del nostro giuramento,
che entrambi siglammo di comune accordo,
sono certo che qui dentro non sarei
a lungo prigioniero.

Sanno bene angioini e turrensi,
quegli scudieri che ora sono ricchi e prosperi,
che sono rinchiuso lontano in mano altrui;
mi amavano molto, ma ora non mi amano affatto.
Di grandi animi sono ora vuote le pianure,
poiché io sono prigioniero.

I miei compagni, che amavo e che amo,
quelli di Caen e quelli di Perche,
mi dico, Canzone, che non sono certi.
Mai nei loro confronti ho cuore falso né volubile;
se mi muovessero battaglia, sarebbero veramente ignobili,
perché sono prigioniero.

Sorella contessa, il vostro mirabile valore
vi salvi e protegga colui a cui mi lamento
e per cui sono prigioniero.

Non mi rivolgo di quella di Chartres,
la madre di Luigi.

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CANZONIERE K

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[20]

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Edizione diplomatica

Ia nus hons pris ne dira
 
sa reson; adroitement se dolen
 
 
tement non; mes par esfors
 
 
puet il fere chancon; mult
 
 
ai amis mes poureen sont li
 
 
don; honte iauront se pour
 
 
ma reencon. sui ca .ii. iu(er)s p(ri)s.
Ce seuent bien mi honme
et mi baron; englois norma(n)t
poiteuin et gascon que ie
nai nul si poure conpaignon.
que ie lessasse pour auoir en
prison. ie nel di mie pour nule
retracon; car oncor sui ie pris.
 
 
 
Or sai ie bien de uoir certai
nement que ie ne pris ne ami
ne parent. quant on me faut
pour or ne pour argent. mult
mest de moi mes plus mest
de ma gent. quapres leur mort
auront reprochement se lon
guement sui pris.
 
 
 
                                   Nest pas
merueille se iai le cuer dolent;
quant mes sires met ma t(er)re
en torment. sil li membrast de
nostre serement. que nous feis
mes andui conmunaument.
ie sai de uoir que ia trop lon
guement. ne seroie ca pris.
 
 
 
Ce seuent bien angeuin et
torain; cil bacheler qui or so(n)t
riche et sain. quencombrez sui
loing daus en autre main. for
ment maidassent mes il ne uoi
ent grain de beles armes so(n)t
ore uuit et plain; pour ce que
ie sui pris.
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Edizione diplomatico-interpretativa

Ia nus hons pris ne dira
 
 
 
sa reson; adroitement se dolen
 
 
tement non; mes par esfors
 
 
puet il fere chancon; mult
 
 
ai amis mes poureen sont li
 
 
don; honte iauront se pour
 
 
ma reencon. sui ca .ii. iu(er)s p(ri)s.
I.
Ia nus hons pris ne dira sa reson
adroitement, se dolentement non,
mes par esfors puet il fere chançon.
Mult ai amis, mes povre en sont li don,
honte y auront se, pour ma reençon,
sui ça dos ivers pris.
Ce seuent bien mi honme
et mi baron; englois norma(n)t
poiteuin et gascon que ie
nai nul si poure conpaignon.
que ie lessasse pour auoir en
prison. ie nel di mie pour nule
retracon; car oncor sui ie pris.
II.
Ce sevent bien mi honme et mi baron,
englois, normant, poitevin et gascon,
que je n'ai nul si povre conpaignon
que je lessasse, pour avoir, en prison.
Je nel di mie pour nule retraçon,
car oncor sui je pris.
Or sai ie bien de uoir certai
nement que ie ne pris ne ami
ne parent. quant on me faut
pour or ne pour argent. mult
mest de moi mes plus mest
de ma gent. quapres leur mort
auront reprochement se lon
guement sui pris.
III.
Or sai je bien de voir certainement
que je ne pris ne ami ne parent,
quant on me faut pour or ne pour argent.
Molt m'est de moi, mes plus m'est de ma gent,
qu'apres leur mort auront reprochement
se longuement sui pris.
                                   Nest pas
merueille se iai le cuer dolent;
quant mes sires met ma t(er)re
en torment. sil li membrast de
nostre serement. que nous feis
mes andui conmunaument.
ie sai de uoir que ia trop lon
guement. ne seroie ca pris.
IV.
N''est pas merveille se j'ai le cuer dolent,
quant mes sires met ma terre en torment;
s'il li membrast de nostre serement,
que nous feismes andui comnunaument
je sai de voir que ja trop longuement
ne seroie ça pris.
Ce seuent bien angeuin et
torain; cil bacheler qui or so(n)t
riche et sain. quencombrez sui
loing daus en autre main. for
ment maidassent mes il ne uoi
ent grain de beles armes so(n)t
ore uuit et plain; pour ce que
ie sui pris.
V.
Ce sevent bien angevin et torain,
cil bacheler qui or sont riche et sain,
qu'encombrez sui loing d'aus en autre main
forment m'aidassent, mes il ne voient grain,
de beles armes sont ore vuit et plain,
pour ce que je sui pris.
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Edizione interpretativa e traduzione

Ia nus hons pris ne dira sa reson
adroitement, se dolentement non,
mes par esfors puet il fere chançon.
Mult ai amis, mes povre en sont li don,
honte y auront se, pour ma reençon,
sui ça dos ivers pris.

Ce sevent bien mi honme et mi baron,
englois, normant, poitevin et gascon,
que je n'ai nul si povre conpaignon
que je lessasse, pour avoir, en prison.
Je nel di mie pour nule retraçon,
car oncor sui je pris.

Or sai je bien de voir certainement
que je ne pris ne ami ne parent,
quant on me faut pour or ne pour argent.
Molt m'est de moi, mes plus m'est de ma gent,
qu'apres leur mort auront reprochement
se longuement sui pris.

[N']eit pas merveille se j'ai le cuer dolent,
quant mes sires met ma terre en torment;
s'il li membrast de nostre serement,
que nous feismes andui comnunaument
je sai de voir que ja trop longuement
ne seroie ça pris.

Ce sevent bien angevin et torain,
cil bacheler qui or sont riche et sain,
qu'encombrez sui loing d'aus en autre main
forment m'aidassent, mes il ne voient grain,
de beles armes sont ore vuit et plain,
pour ce que je sui pris.

Mai nessun prigioniero esprimerà il suo pensiero
direttamente, se non con dolore,
ma con sforzo può comporre una canzone.
Ho molti amici, ma poveri sono i loro doni,
ne saranno disonorati se, per via del mio riscatto,
due inverni resto qui prigioniero.

Ben sanno i miei uomini e i miei baroni,
inglesi, normanni, pittavini e guasconi,
che non ho nessun compagno tanto misero
da lasciarlo, per ricchezze, in prigione.
Non lo dico certo per rimprovero,
ma perché ancora sono prigioniero.

Ora so con certezza
che non stimo amico né parente,
dal momento che mi disertano per oro o per argento.
Molto mi importa di me, ma ancor più della mia gente,
che dopo la loro morte sarà disonorata
se a lungo resto prigioniero.

Non c'è da meravigliarsi se ho il cuore dolente,
quando il mio signore infonde il tormento nella mia terra;
se si ricordasse del nostro giuramento,
che entrambi siglammo di comune accordo,
sono certo che non sarei ormai
troppo a lungo qui prigioniero.

Sanno bene angioini e turrensi,
quegli scudieri che ora sono ricchi e prosperi,
che sono rinchiuso lontano da loro, in mano altrui.
Ferverti venissero in mio aiuto! ma non vedono nulla.
Di belle armi sono ora vuoti e pieni,
poiché io sono prigioniero.

 

 

 

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CANZONIERE N

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Edizione diplomatica

  

Ianus hon pris ne dira

  

adroitement. sareson se dolen

  

tement non. mes par esfors

   

puet il fere chancon. m(o)lt

  

ai amis mes poure ensont

  

lidon. honte iauront se por

  

ma raencon. sui ca .ij. yuers p(ri)s

Cesenen b(ie)n mi honme et mi ba

ron. englois. normant. poiteuin

et gascon, que ie nai nul sipou(re)

conpaignon. queie laissasse por

avoir enprison. ie nel di pas por

nule retracon. car encor sui ge

pris. Or sai ie b(ie)n deuoir cer

tainem(en)t; que ie ne pris ne ami

ne parent. q(ua)nt hon mefaut por

or ne por argent. m(o)lt mest de

moi. mes plus mest de magent

quapr(e)s lor mort auront repro

           chement se longuement

           sui pris; [..]est pas merueil

le se iai lecuer dolent. q(ua)nt mes

sires met materre entorment.

sil li menbrast de n(ost)re serement

que nos feismes andui comnune

ment. iesai deuoir que iatrop

lon guement ne seroie ca pris.

Ce seuent b(ie)n angeuin et tor

rain cil bacha(e)ler. qui or sont

riche et sain. q(ue)nconbre sui loig

daus en autremain. forment ma

idassent. meil ne uoien grain. de

beles armes sont ore wit et plain

porce queie suipris. Contessesu

er u(ost)re pris souuerain vos saut

et gar cil aqui ieme claim. porce

que ie sui pris. jenedi mie acele

de chartain lamere looys.

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Edizione diplomatico-interpretativa

Ianus hon pris ne dira
 
 
adroitement. sareson se dolen
 
 
tement non. mes par esfors
 
  
puet il fere chancon. m(o)lt
 
 
ai amis mes poure ensont
 
 
lidon. honte iauront se por
 
 
ma raencon. sui ca .ij. yuers p(ri)s
I.
Ia nus hon pris ne dira adroitement
sa reson, se dolentement non,
mes par esfors puet il fere chançon.
Molt ai amis, mes povre en sont li don,
honte y auront se, por ma raençon,
sui ça deus yvers pris.
Cesenen b(ie)n mi honme et mi ba
ron. englois. normant. poiteuin
et gascon, que ie nai nul sipou(re)
conpaignon. queie laissasse por
avoir enprison. ie nel di pas por
nule retracon. car encor sui ge
pris.
II.
Ce seven bien mi honme et mi baron
englois, normant, poitevin et gascon,
que je n'ai nul si povre conpaignon
que je laissasse, por avoir, en prison
je nel di pas por nule retraçon,
car encor sui ge pris.
        Or sai ie b(ie)n deuoir cer
tainem(en)t; que ie ne pris ne ami
ne parent. q(ua)nt hon mefaut por
or ne por argent. m(o)lt mest de
moi. mes plus mest de magent
quapr(e)s lor mort auront repro
           chement se longuement
           sui pris; 
III.
Or sai je bien de voir certainement
que je ne pris ne ami ne parent,
quant hon me faut por or ne por argent.
Molt m'est de moi, mes plus m'est de ma gent
qu'apres lor mort auront reprochement
se longuement sui pris.
                         [..]est pas merueil
le se iai lecuer dolent. q(ua)nt mes
sires met materre entorment.
sil li menbrast de n(ost)re serement
que nos feismes andui comnune
ment. iesai deuoir que iatrop
lon guement ne seroie ca pris.
IV.
[N']est pas merveille se j'ai le cuer dolent,
quant mes sires met ma terre en torment,
s'il li menbrast de nostre serement
que nos feismes andui communement
je sai de voir que ja trop longuement
ne seroie ça pris.
Ce seuent b(ie)n angeuin et tor
rain cil bacha(e)ler. qui or sont
riche et sain. q(ue)nconbre sui loig
daus en autremain. forment ma
idassent. meil ne uoien grain. de
beles armes sont ore wit et plain
porce queie suipris. 
V.
Ce sevent bien angevin et torrain,
cil bachaeler qui or sont riche et sain,
qu'enconbre sui loig d'aus en autre main.
Forment m'aidassent, me il ne voien grain;
de beles armes sont ore wit et plain,
por ce que je sui pris.
     Contessesu
er u(ost)re pris souuerain vos saut
et gar cil aqui ieme claim. porce
que ie sui pris.
VI.
Contesse suer, vostre pris souverain
vos saut et gar cil a qui je me claim
por ce que je sui pris.
                          jenedi mie acele
de chartain lamere looys.
VII.
Je ne di mie a cel de Chartain
la mere Looys.
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Edizione interpretativa e traduzione

Ia nus hon pris ne dira adroitement
sa reson, se dolentement non,
mes par esfors puet il fere chançon.
Molt ai amis, mes povre en sont li don,
honte y auront se, por ma raençon,
sui ça deus yvers pris

Ce seven bien mi honme et mi baron
englois, normant, poitevin et gascon,
que je n'ai nul si povre conpaignon
que je laissasse, por avoir, en prison
je nel di pas por nule retraçon,
car encor sui ge pris.

Or sai je bien de voir certainement
que je ne pris ne ami ne parent,
quant hon me faut por or ne por argent.
Molt m'est de moi, mes plus m'est de ma gent
qu'apres lor mort auront reprochement
se longuement sui pris.

[N']est pas merveille se j'ai le cuer dolent,
quant mes sires met ma terre en torment,
s'il li menbrast de nostre serement
que nos feismes andui communement
je sai de voir que ja trop longuement
ne seroie ça pris.

Ce sevent bien angevin et torrain,
cil bachaeler qui or sont riche et sain,
qu'enconbre sui loig d'aus en autre main.
Forment m'aidassent, me il ne voien grain;
de beles armes sont ore wit et plain,
por ce que je sui pris

Contesse suer, vostre pris souverain
vos saut et gar cil a qui je me claim
por ce que je sui pris.

Je ne di mie a cel de Chartain
la mere Looys.

 

Mai nessun prigioniero esprimerà direttamente
il suo pensiero, se non con dolore,
ma con sforzo può comporre una canzone.
Ho molti amici, ma poveri sono i loro doni;
ne saranno disonorati se, per via del mio riscatto,
due inverni resto qui prigioniero.

Ben sanno i miei uomini e i miei baroni,
inglesi, normanni, pittavini e guasconi,
che non ho nessun compagno tanto misero
da abbandonarlo, per ricchezze, in prigione.
Non lo dico per rimprovero,
ma perché sono ancora prigioniero.

Ora so con certezza
che non stimo amico né parente,
dal momento che mi disertano per oro o per argento.
Molto mi importa di me, ma ancor più della mia gente,
ché dopo la loro morte sarà disonorata
se a lungo resto prigioniero.

Non c'è da meravigliarsi se ho il cuore dolente,
quando il mio signore infonde il tormento nella mia terra.
Se si ricordasse del nostro giuramento,
che entrambi siglammo di comune accordo,
sono sicuro che non sarei ormai
troppo a lungo qui prigioniero.

Sanno bene angioini e turrensi,
quegli scudieri che ora sono ricchi e prosperi,
che sono rinchiuso lontano da loro, in mano altrui.
Ferverti venissero in mio aiuto! Ma non vedono niente;
di armi eleganti sono ora privi e carichi,
poiché io sono prigioniero.

Sorella Contessa, il vostro mirabile valore
vi salvi e protegga colui a cui porgo i miei lamenti,
dal momento che sono prigioniero.

Non mi rivolgo certo a quella di Chartres,
la madre di Luigi.

 

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CANZONIERE O

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Edizione diplomatica

  

 

Ia nu(n)s hons pris ne dira sa rai

  

son. a droitement se dolante

  

ment non. mais par esfort

  

puet il faire chancon. mout

  

ai amis. mais poure sont li

  

don. honte iauront se por ma

  

reanco(n) sui ca .ii. yuers pris.

 

Ce seuent bien mi home et
mi baro(n). ynglois. norma(n)z. poi
teuin et gascon. q(ue) ie nai nul si
poure co(m)paigno(n). que ie lessais
se por auoir en p(ri)son. ie nou di
mie por nule retracon car en
cor sui pris. Or sai ie bien
de uoir certei(n)nement queie
ne pris ne ami ne pare(n)t q(ua)nt
on me faut por or ne por arge(n)t.
mout mest de moi mes plus
mest de ma gent. qua pres lor
mort aurai rep(ro)chem(en)t. se lon
guem(en)t sui p(ri)s. Nest pas m(er)
uoille se iai le cuer dola(n)t q(ua)nt
mes sires mest ma t(er)re en tor
ment. sil li me(m)brast de n(ost)re soi

 

rem(en)t. q(ue) nos feismens a(n)dui (com)mu
nem(en)t. ie sai de uoir q(ue) ia t(ro)p lon
guem(en)t ne seroie ca p(ri)s Ce
seuent bien angeuin et torain.
cil bacheler qui or sont riche et
sain. que(n)combrez sui loi(n)g daus
en autre main. form(en)t maides
sent. mais il nen oient grain.
de beles armes sont ore vuit
et plain. por ce q(ue) ie sui pris.
Mes compaignons q(ue) iamoi
e et que iain. ces de chaeu et ces
de percherain. di lor chancon
q(i)l ne s(o)nt pas certain conq(ue)s
uers aus ne oi faus cuer ne
uain. sil me guerroie(n)t il fero(n)t
que vilain. tant co(m) ie serai p(ri)s
Contesse suer u(ost)re pris so
verain vos saut et gart cil a
cui ie men clain et por ce sui ie
pris. ie ne di mie a cele de char
tain la mere loeys. 

 

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Edizione diplomatico-interpretativa

Ia nu(n)s hons pris ne dira sa rai
           
 
son. a droitement se dolante
 
 
ment non. mais par esfort
 
 
puet il faire chancon. mout
 
 
ai amis. mais poure sont li
 
 
don. honte iauront se por ma
 
 
reanco(n) sui ca .ii. yuers pris.
 
I.
Ia nuns hons pris ne dira sa raison
adroitement, se dolantement non;
mais par esfort puet il faire chançon.
Mout ai amis, mais povre sont li don,
honte y auront se, por ma reançon,
sui ça deus yvers pris.
Ce seuent bien mi home et
mi baro(n). ynglois. norma(n)z. poi
teuin et gascon. q(ue) ie nai nul si
poure co(m)paigno(n). que ie lessais
se por auoir en p(ri)son. ie nou di
mie por nule retracon car en
cor sui pris.
II.
Ce sevent bien mi home et mi baron,
ynglois, normanz, poitevin et gascon,
que je n'ai nul si povre compaignon
que je lessaisse, por avoir, en prison.
Je nou di mie por nule retraçon
car encor sui pris.
                     Or sai ie bien
de uoir certei(n)nement queie
ne pris ne ami ne pare(n)t q(ua)nt
on me faut por or ne por arge(n)t.
mout mest de moi mes plus
mest de ma gent. qua pres lor
mort aurai rep(ro)chem(en)t. se lon
guem(en)t sui p(ri)s.
III.
Or sai je bien de voir certeinnement
que je ne pris ne ami ne parent
quant on me faut por or ne por argent.
Mout m'est de moi, mes plus m'est de ma gent,
qu'apres lor mort aurai reprochement,
se longuement sui pris.
                                  Nest pas m(er)
uoille se iai le cuer dola(n)t q(ua)nt
mes sires mest ma t(er)re en tor
ment. sil li me(m)brast de n(ost)re soi
rem(en)t. q(ue) nos feismens a(n)dui (com)mu
nem(en)t. ie sai de uoir q(ue) ia t(ro)p lon
guem(en)t ne seroie ca p(ri)s
IV.
N'est pas mervoille se j'ai le cuer dolant,
quant mes sires mest ma terre en torment;
s'il li membrast de nostre soirement,
que nos feismes andui communement,
je sai de voir que ja trop longuement
ne seroie ça pris.
                                                Ce
seuent bien angeuin et torain.
cil bacheler qui or sont riche et
sain. que(n)combrez sui loi(n)g daus
en autre main. form(en)t maides
sent. mais il nen oient grain.
de beles armes sont ore vuit
et plain. por ce q(ue) ie sui pris.
V.
Ce sevent bien angevin et torain,
cil bacheler qui or sont riche et sain,
qu'encombrez sui loing d'aus en autre main
Forment m'aidessent! Mais il nen oient grain.
De beles armes sont ore vuit et plain,
por ce que je sui pris.
Mes compaignons q(ue) iamoi
e et que iain. ces de chaeu et ces
de percherain. di lor chancon
q(i)l ne s(o)nt pas certain conq(ue)s
uers aus ne oi faus cuer ne
uain. sil me guerroie(n)t il fero(n)t
que vilain. tant co(m) ie serai p(ri)s
VI.
Mes compaignons que j'amoie et que j'ain
ces de Chaeu et ces de Percherain,
di lor chançon, q'il ne sont pas certain,
c'onques vers aus ne oi faus cuer ne vain;
s'il me guerroient il feront que vilain,
tant com je serai pris.
Contesse suer u(ost)re pris so
verain vos saut et gart cil a
cui ie men clain et por ce sui ie
pris.
VII.
Contesse suer, vostre pris soverain
vos saut et gart cil a cui je m'en clain
et por ce sui je pris.
         ie ne di mie a cele de char
tain la mere loeys.
VIII.
Je ne di mie a cele de Chartain,
la mere Loeys.
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Edizione interpretativa e traduzione

Ia nuns hons pris ne dira sa raison
adroitement, se dolantement non;
mais par esfort puet il faire chançon.
Mout ai amis, mais povre sont li don,
honte y auront se, por ma reançon,
sui ça deus yvers pris.

Ce sevent bien mi home et mi baron,
ynglois, normanz, poitevin et gascon,
que je n'ai nul si povre compaignon
que je lessaisse, por avoir, en prison.
Je nou di mie por nule retraçon
car encor sui pris.

Or sai je bien de voir certeinnement
que je ne pris ne ami ne parent
quant on me faut por or ne por argent.
Mout m'est de moi, mes plus m'est de ma gent,
qu'apres lor mort aurai reprochement,
se longuement sui pris.

N'est pas mervoille se j'ai le cuer dolant,
quant mes sires mest ma terre en torment;
s'il li membrast de nostre soirement,
que nos feismes andui communement,
je sai de voir que ja trop longuement
ne seroie ça pris.

Ce sevent bien angevin et torain,
cil bacheler qui or sont riche et sain,
qu'encombrez sui loing d'aus en autre main
Forment m'aidessent! Mais il nen oient grain.
De beles armes sont ore vuit et plain,
por ce que je sui pris.

Mes compaignons que j'amoie et que j'ain
ces de Chaeu et ces de Percherain,
di lor chançon, q'il ne sont pas certain,
c'onques vers aus ne oi faus cuer ne vain;
s'il me guerroient il feront que vilain,
tant com je serai pris.

Contesse suer, vostre pris soverain
vos saut et gart cil a cui je m'en clain
et por ce sui je pris.

Je ne di mie a cele de Chartain,
la mere Loeys.

 

Mai nessun prigioniero esprimerà il suo pensiero
direttamente, se non con dolore;
ma con sforzo può comporre una canzone.
Ho molti amici, ma poveri sono i doni,
ne saranno disonorati se, per via del mio riscatto,
due inverni resto qui prigioniero.

Ben sanno i miei uomini e i miei baroni,
inglesi, normanni, pittavini e guasconi,
che non ho nessun compagno tanto misero
da lasciarlo, per ricchezze, in prigione.
Non lo dico certo per rimprovero,
ma perché sono ancora prigioniero.

Ora so con chiarezza
che non stimo amico né parente,
dal momento che mi disertano per oro o per argento.
Molto mi importa di me, ma ancoe più della mia gente,
ché dopo la loro morte sarò disonorato,
se a lungo resto prigioniero.

Non c'è da meravigliarsi se ho il cuore dolente,
quando il mio signore infonde il tormento nella mia terra;
se si ricordasse del nostro giuramento,
che entrambi siglammo di comune accordo,
sono certo che non sarei ormai
troppo a lungo qui prigioniero.

Sanno bene angioini e turrensi,
quegli scudieri che ora sono ricchi e prosperi,
che sono rinchiuso lontano da loro, in mano altrui.
Ferverti venissero in mio aiuto! Ma non sentono nulla.
Di belle armi sono ora vuoti e pieni,
poiché io sono prigioniero.

Ai miei compagni che amavo e che amo,
quelli di Caen e quelli di Perche,
invio la canzone a loro, che si trovano nel dubbio,
che mai nei loro confronti ebbi cuore falso o volubile;
Agirebbero da vili, se mi muovessero battaglia
mentre io sono prigioniero.

Sorella contessa, il vostro mirabile valore
vi salvi e guardi colui a cui porgo i miei lamenti
e per cui sono prigioniero.

Non mi rivolgo certo a quella di Chartres,
la madre di Luigi.

 

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CANZONIERE P

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Edizione diplomatica

Reis Rizard
 
Ia nus hom pris non dira sa raison
adreitament se com hom dolent non
Mas per conort pot il faire chanson
Pro adamis mas pouvre son li don
Onta iauron se por ma reezon
Soisai dos yuer pris
Or sachon ben mi hom e mi baron
Engles norman pettavin et guascon
Qe ge nauoie si poure (com)pagnon
Qeu laissasse por auer en preison
Ge nol di pas por nulla retraison
Mas anqar soi ge pris
Tan sai eu de uer certanament
Com mort ne pris na amic ne pare(n)t
Qant il me laissent p(or)or ni p(or)argent
Mal mes de mi mas peiz mes por ma gent
Qa pres ma mort nauron rep(ro)zhament
Tan longamen soi pris
Nom merueill seu ai lo cor dolent
Qe messenher met ma terra en torment.
Noli menbra del nostre segrament
Qe nos feimes andos comunelment
Bem sai de uer qe gaire longament
Nonserai eu sa pris
Mi conpagnon cui iamoi e cui iam
Cil de chaill e cil de persarain
De lor chanzon qil no(n) sont pas certain
Unca uers els non oi cor fals ni uain
Sil me guerroient il feron qe uilain
Tan com ge soie pris
Or sachent ben enieuin e torain
Cil bachaliers qi son legier e sain
Qen gombre soi e pris en autrui main
Il ma iuuassen mas il no ueun grain
De belles armes sont era uoit li plain
Per zo ge ge soi pris
Contessa soir uostre prez sobraun
Sal deus e garde cel p(er) cui me clam
Et per cui ge soi pris
Ge nol di pas por cela de certrain
La mere loys
 
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Edizione interpretativa e traduzione

Ia nus hom pris non dira sa raison
adreitament, se com hom dolent non,
mas per conort pot il faire chanson.
Pro a d'amis, mas pouvre son li don;
onta y auron se, por ma reezon,
soi sai dos yver pris.

Or sachon ben, mi hom e mi baron
engles, norman, pettavin et guascon,
qe ge n'avoie si povre compagnon
q'eu laissasse, por aver, en preison.
Ge nol di pas por nulla retraison,
mas anqar soi ge pris.

Tan sai eu de ver certanament
com mort ne pris n'a amic ne parent ,
qant il me laissent por or ni por argent.
Mal m'es de mi, mas peiz m'es por ma gent,
q'apres ma mort n'avron reprozhament,
tan longamen soi pris.

No∙m merveill s'eu ai lo cor dolent,
qe mes senher met ma terra en torment.
No li menbra del nostre segrament
qe nos feimes andos comunelment.
Bem sai de ver qe gaire longament
non serai eu sa pris.

Mi conpagnon cui j'amoi e cui j'am
cil de Chaill e cil de Persarain,
de lor, Chanzon, q'il non sont pas certain,
unca vers els non oi cor fals ni vain.
S'il me guerroient il feron qe vilain
Tan com ge soie pris.

Or sachent ben enievin e torain,
cil bachaliers qi son legier e sain,
q'engombre soi e pris en autrui main.
Il m'aiuvassen! Mas il no veun grain.
De belles armes sont era voit li plain,
per zo qu ge soi pris.

Contessa soir, vostre prez sobraun
sal Deus e garde cel per cui me clam
et per cui ge soi pris.

Ge nol di pas por cela de Certrain
la mere Loys.

Mai nessun un prigioniero esprimerà il suo pensiero
direttamente, se non come un uomo afflitto,
ma per farsi forza può comporre una canzone.
Ho amici in abbondanza, ma poveri sono i doni;
ne saranno disonorati se, per mia ragione,
sono qui due inverni prigioniero.

Ora sappiamo bene, miei uomini e miei baroni,
inglesi, normanni, pittavini e guasconi,
che io non avrei compagno tanto misero
da lasciarlo, per ricchezze, in prigione.
Non lo dico affatto per rimprovero,
ma ancora sono prigioniero.

Vedo con tale certezza
che morto o prigioniero non ha amico né parente,
dal momento che mi abbandonano per oro e per argento.
Provo dolore per me, ma più per la mia gente,
che dopo la mia morte, ne riceverà rimprovero,
tanto a lungo sono prigioniero.

Non mi meraviglio se ho in cuore dolente,
ché il mio signore infonde il tormento nella mia terra.
Non ricordò del nostro giuramento
che entrambi siglammo di comune accordo.
So con certezza che non molto a lungo
resterò qui prigioniero.

I miei compagni che amavo e che amo
quei di Caen e quei di Perche,
loro, canzone, che non sono certi,
mai nei loro riguardi ebbi cuore falso né volubile.
Agirebbero da vili, se mi muovessero battaglia
mentre sono prigioniero.

Ora sappiano bene angioini e turrensi,
quegli scudieri che sono spensierati e prosperi,
che sono rinchiuso e prigioniero in mani altrui.
M'aiutassero! ma non vedono nulla.
Di belle armi sono ora vuote le piane,
poiché sono prigioniero.

Sorella contessa, Dio salvi il vostro mirabile valore,
e guarda colui per cui mi lamento
e per cui sono prigioniero.

Non lo dico per quella di Chartres,
la madre di Luigi.

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Edizione diplomatico-interpretativa

Ia nus hom pris non dira sa raison
adreitament se com hom dolent non
Mas per conort pot il faire chanson
Pro adamis mas pouvre son li don
Onta iauron se por ma reezon
Soisai dos yuer pris
I.
Ia nus hom pris non dira sa raison
adreitament, se com hom dolent non,
mas per conort pot il faire chanson.
Pro a d'amis, mas pouvre son li don;
onta y auron se, por ma reezon,
soi sai dos yver pris.
Or sachon ben mi hom e mi baron
Engles norman pettavin et guascon
Qe ge nauoie si poure (com)pagnon
Qeu laissasse por auer en preison
Ge nol di pas por nulla retraison
Mas anqar soi ge pris
II.
Or sachon ben, mi hom e mi baron
engles, norman, pettavin et guascon,
qe ge n'avoie si povre compagnon
q'eu laissasse, por aver, en preison.
Ge nol di pas por nulla retraison,
mas anqar soi ge pris.
Tan sai eu de uer certanament
Com mort ne pris na amic ne pare(n)t
Qant il me laissent p(or)or ni p(or)argent
Mal mes de mi mas peiz mes por ma gent
Qa pres ma mort nauron rep(ro)zhament
Tan longamen soi pris
III.
Tan sai eu de ver certanament
com mort ne pris n'a amic ne parent,
qant il me laissent por or ni por argent.
Mal m'es de mi, mas peiz m'es por ma gent,
q'apres ma mort n'avron reprozhament,
tan longamen soi pris.
Nom merueill seu ai lo cor dolent
Qe messenher met ma terra en torment.
Noli menbra del nostre segrament
Qe nos feimes andos comunelment
Bem sai de uer qe gaire longament
Nonserai eu sa pris
IV.
No∙m merveill s'eu ai lo cor dolent,
qe mes senher met ma terra en torment.
No li menbra del nostre segrament
qe nos feimes andos comunelment.
Bem sai de ver qe gaire longament
non serai eu sa pris.
Mi conpagnon cui iamoi e cui iam
Cil de chaill e cil de persarain
De lor chanzon qil no(n) sont pas certain
Unca uers els non oi cor fals ni uain
Sil me guerroient il feron qe uilain
Tan com ge soie pris
V.
Mi conpagnon cui j'amoi e cui j'am
cil de Chaill e cil de Persarain,
de lor, Chanzon, q'il non sont pas certain,
unca vers els non oi cor fals ni vain.
S'il me guerroient il feron qe vilain
Tan com ge soie pris.
Or sachent ben enieuin e torain
Cil bachaliers qi son legier e sain
Qen gombre soi e pris en autrui main
Il ma iuuassen mas il no ueun grain
De belles armes sont era uoit li plain
Per zo ge ge soi pris
VI.
Or sachent ben enievin e torain,
cil bachaliers qi son legier e sain,
q'engombre soi e pris en autrui main.
Il m'aiuvassen! Mas il no veun grain.
De belles armes sont era voit li plain,
per zo qu ge soi pris.
Contessa soir uostre prez sobraun
Sal deus e garde cel p(er) cui me clam
Et per cui ge soi pris
VII.
Contessa soir, vostre prez sobraun
sal Deus e garde cel per cui me clam
et per cui ge soi pris.
Ge nol di pas por cela de certrain
La mere loys
VIII.
Ge nol di pas por cela de Certrain
la mere Loys.
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CANZONIERE S

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Edizione diplomatica

N.....
Q e messire me................................
N o li remembra del nostre..............
Q e nos feimes andos comunelm.....
B en sai de uoir qe gaire longamen.
N on serai eu sa pris.

Mi conpaignon cui iamoi et cui iam
C il de chaill et cil de perseran.
D i lor chanzon qil non sont pas certain.
V nca uers els non oi cor fals ni uain.
S il me guerroent il feron qe uillain.
T an com ge soie pris.

Or sachent ben enieuin et torain
C il bachaliers qi son legier et sain
 

 

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Edizione diplomatico-interpretativa

N.....
Q e messire me................................
N o li remembra del nostre..............
Q e nos feimes andos comunelm.....
B en sai de uoir qe gaire longamen.
N on serai eu sa pris.
I.
Qe mes sire me..................................
No li remenbra del nostr..................
Qe nos feimes andos comunelm........
Ben sai de voir qe gaire longamen....
non serai eu sa pris.
Mi conpaignon cui iamoi et cui iam
C il de chaill et cil de perseran.
D i lor chanzon qil non sont pas certain.
V nca uers els non oi cor fals ni uain.
S il me guerroent il feron qe uillain.
T an com ge soie pris.
II.
Mi conpaignon cui j'amoi et cui j'am,
cil de Chaill et cil de Perseran,
di lor, Chanzon, q'il non sont pas certain;
unca vers els non oi cor fals ni vain;
[s]'il me guerroent il feron qe villain,
tan com ge soie pris.
Or sachent ben enieuin et torain
C il bachaliers qi son legier et sain
III.
Or sachent ben enievin et torain,
cil bachaliers qi son legier et sain
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Edizione interpretativa e traduzione

Qe mes sire me..................................
No li remenbra del nostr..................
Qe nos feimes andos comunelm........
Ben sai de voir qe gaire longamen....
non serai eu sa pris.

Mi conpaignon cui j'amoi et cui j'am,
cil de Chaill et cil de Perseran,
di lor, Chanzon, q'il non sont pas certain;
unca vers els non oi cor fals ni vain;
[s]'il me guerroent il feron qe villain,
tan com ge soie pris.

Or sachent ben enievin et torain,
cil bachaliers qi son legier et sain

Che il mio signore........................................
Non ricordò del nostro...............................
Che entrambi siglammo di comune accordo
So con certezza che non molto a lungo
resterò qui prigioniero.

I miei compagni che amavo e che amo,
quelli di Caen e di Perche,
di' loro, Canzone, che si trovano nel dubbio:
mai nei loro confronti ebbi cuore falso o volubile;
agirebbero da vili, se mi muovessero battaglia,
mentre sono prigioniero.

Ora sappiano bene angioini e turrensi,
quegli scudieri che sono spensierati e prosperi 

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CANZONIERE U

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[25]

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Edizione diplomatica


Ja nus hons pris ne dirat saraison adroitemant san
si (com)dolans hons mais p(er)confort puet il faire chanson
m(o)lt ai damins mais poure sont lidon honte en a
uront se por ma reancon suix ces .ij. yuers pris.


Ceu seuent b(ie)n mi home e mi baron englois nor
mant poiteuin et gascon q(ue) ie nauoie sipoure (com)paig
non cui ie laissaisse por auoir anprixon ie no di
pas p(ar) nulle retraison mais ancor suix ie p(ri)s.


                                                                                       Or
saige b(ie)n deuoir certai(n)nem(en)t q(ue) mors ne priset ne
amins ne parant cant on me lait por or ne por
argent m(o)lt mest demoi mais pl(us) mest demage(n)t
capres ma mort auront reprochier g(ra)nt se lon
gement suis pris.


                                    Nest pas meruelle se iai lo
cuer dolant cant mes sires tient materre atorm(an)t
sorli manbroit de n(ost)re sairement q(ue) nos feimes
andui (com)munam(en)t b(ie)n sai deuoir q(ue) ceu ans lon
gemant neseroie pas pris.


                                        Mes (com)pai(n)gno(n)s
cui iamoie et cui iain ces dous cahuil et ces dou
porcherain me di chanson q(ui) ne sont pas certain
conq(ue)s vers aus na(n) oi cuer faus ne vain cil me
guerroient il font m(ou)lt q(ue) vilain ta(n)t (com) ieserai p(ri)s.


Or seuent b(ie)n angeuin et torain cil bacheler qui
or sont fort etsain can (com)breis suix lons daus
an autrui mains formant maidaissent mais
il ni voient grain debelle armes sont ores ueut


(com)tesce suer vostre pris soverain vous sat et gart
sil a cu jemanclain etpercu iesuipris jenoudi pas
deceli de chartain la meire loweiis.

 


cil plain por tant que ie suix pris.
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Edizione diplomatico-interpretativa

I.
Ja nus hons pris ne dirat saraison adroitemant san
si (com)dolans hons mais p(er)confort puet il faire chanson
m(o)lt ai damins mais poure sont lidon honte en a
uront se por ma reancon suix ces .ij. yuers pris.
Ja nus hons pris ne dirat sa raison
adroitament, s'ansi com dolans hons,
mais per confort puet il faire chanson.
Molt ai d'amins, mais povre sont li don,
honte en auront se, por ma reançon,
suix ces dos yvers pris.
II.
Ceu seuent b(ie)n mi home e mi baron englois nor
mant poiteuin et gascon q(ue) ie nauoie sipoure (com)paig
non cui ie laissaisse por auoir anprixon ie no di
pas p(ar) nulle retraison mais ancor suix ie p(ri)s.
Ceu sevent bien mi home e mi baron
englois, normant, poitevin et gascon,
que je n'avoie si povre compaignon
cui je laissaisse, por avoir, an prixon.
Je no di pas par nulle retraison,
mais ancor suix je pris.
III.
                                                                                      Or
saige b(ie)n deuoir certai(n)nem(en)t q(ue) mors ne priset ne
amins ne parant cant on me lait por or ne por
argent m(o)lt mest demoi mais pl(us) mest demage(n)t
capres ma mort auront reprochier g(ra)nt se lon
gement suis pris.
Or sai ge bien de voir certainement
que mors ne priset ne amins ne parant,
cant on me lait por or ne por argent.
Molt m'est de moi mais plus m'est de ma gent,
c'apres ma mort auront reprochier grant
se longement suis pris.
IV.
                                   Nest pas meruelle se iai lo
cuer dolant cant mes sires tient materre atorm(an)t
sorli manbroit de n(ost)re sairement q(ue) nos feimes
andui (com)munam(en)t b(ie)n sai deuoir q(ue) ceu ans lon
gemant neseroie pas pris.
N'est pas mervelle se j'ai lo cuer dolant,
cant mes sires tient ma terre a torment;
s'or li manbroit de nostre sairement,
que nos feimes andui communament
bien sai de voir que ceu ans longemant
ne seroie pas pris.
V.
                                             Mes (com)pai(n)gno(n)s
cui iamoie et cui iain ces dous cahuil et ces dou
porcherain me di chanson q(ui) ne sont pas certain
conq(ue)s vers aus na(n) oi cuer faus ne vain cil me
guerroient il font m(ou)lt q(ue) vilain ta(n)t (com) ieserai p(ri)s.
Mes compaingnons cui j'amoie et cui j'ain,
ces dous Cahuil et ces dou Porcherain,
me di, Chanson, qui ne sont pas certain,
c'onques vers aus nan oi cuer faus ne vain.
Cil me guerroient, il font molt que vilain,
tant com je serai pris.
VI.
Or seuent b(ie)n angeuin et torain cil bacheler qui
or sont fort etsain can (com)breis suix lons daus
an autrui mains formant maidaissent mais
il ni voient grain debelle armes sont ores ueut

cil plain por tant que ie suix pris.

Or sevent bien angevin et torain,
cil bacheler qui or sont fort et sain,
c'ancombreis suix lons d'aus an autrui mains;
formant m'aidaissent mais il ni voient grain
de belle armes sont ores veut cil plain,
por tant que je suix pris.
VII.
(Com)tesce suer vostre pris soverain vous sat et gart
sil a cu jemanclain etpercu iesuipris 
Comtesce suer, vostre pris soverain
vous sat et gart cil a cu je m'an clain
et per cu je sui pris.
VIII.
                                                              jenoudi pas
deceli de chartain la meire loweiis.
Je nou di pas de celi de Chartain
la meire Loweiis.
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Edizione interpretativa e traduzione

Ja nus hons pris ne dirat sa raison
adroitament, s'ansi com dolans hons,
mais per confort puet il faire chanson.
Molt ai d'amins, mais povre sont li don,
honte en auront se, por ma reançon,
suix ces dos yvers pris.

Ceu sevent bien mi home e mi baron
englois, normant, poitevin et gascon,
que je n'avoie si povre compaignon
cui je laissaisse, por avoir, an prixon.
Je no di pas par nulle retraison,
mais ancor suix je pris.

Or sai ge bien de voir certainement
que mors ne priset ne amins ne parant,
cant on me lait por or ne por argent.
Molt m'est de moi mais plus m'est de ma gent,
c'apres ma mort auront reprochier grant
se longement suis pris.

N'est pas mervelle se j'ai lo cuer dolant,
cant mes sires tient ma terre a torment;
s'or li manbroit de nostre sairement,
que nos feimes andui communament
bien sai de voir que ceu ans longemant
ne seroie pas pris.

Mes compaingnons cui j'amoie et cui j'ain,
ces dous Cahuil et ces dou Porcherain,
me di, Chanson, qui ne sont pas certain,
c'onques vers aus nan oi cuer faus ne vain.
Cil me guerroient, il font molt que vilain,
tant com je serai pris.

Or sevent bien angevin et torain,
cil bacheler qui or sont fort et sain,
c'ancombreis suix lons d'aus an autrui mains;
formant m'aidaissent mais il ni voient grain
de belle armes sont ores veut cil plain,
por tant que je suixf pris.

Comtesce suer, vostre pris soverain
vous sat et gart cil a cu je m'an clain
et per cu je sui pris.

je nou di pas de celi de Chartain
la meire Loweiis.

Mai nessun prigioniero esprimerà direttamente
il suo pensiero, se non come un uomo afflitto,
ma, per conforto, può comporre una canzone.
Ho molti amici, ma poveri sono i doni,
ne saranno disonorati se, per via del mio riscatto,
sono questo secondo inverno prigioniero.

Ben sanno i miei uomini e i miei baroni,
inglesi, normanni, pittavini e guasconi,
che io non avrei compagno tanto misero
da lasciarlo, per ricchezze, in prigione.
Non lo dico affatto per rimprovero,
ma ancora sono prigioniero.

Ora so con certezza
che un morto non stima né amico né parente,
dal momento che vengo abbandonato per oro e per argento.
Molto mi importa di me, ancor più della mia gente,
che dopo la mia morte riceverà un severo rimprovero
se resto a lungo prigioniero.

Non c'è da meravigliarsi, se ho il cuore dolente,
quando il mio signore tiene la mia terra inquieta;
se ora si ricordasse del nostro giuramento,
che entrambi siglammo di comune accordo,
sono certo che quest'anno
non sarei a lungo prigioniero.

I miei compagni, che amavo e che amo,
quelli del Caen e del Perche,
mi dico, Canzone, che non sono certi,
che mai nei loro confronti ebbi cuore debole o falso.
Questi mi muovessero guerra, sarebbero ignobili oltremodo,
finché io sarò prigioniero.​

Ora ben sanno angioini e turrensi,
quegli scudieri che ora sono prosperi e forti,
che lontano da loro sono rinchiuso in mani altrui;
Ferverti venissero in mio aiuto! ma non vedono nulla.
Di belle armi ora sono vuote quelle pianure,
perché io sono prigioniero.

Contessa sorella, il vostro mirabile valore
vi salvi e protegga colui a cui rivolgo le mie suppliche
e per cui sono prigioniero.

Non mi rivolgo di quella di Chartres,
la madre di Luigi.
 

 

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CANZONIERE X

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Edizione diplomatica

  
  
  
  
  
Ia nus hons pris ne dira
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sa raison. adroitement se do-
 
  
lentement non. mes par es
 
  
fors puet il faire chancon.
 
  
m(o)lt ai amis mes poure en
  
  
sont lidon. honte iauront se

 

  
  
  
por ma raencon. sui ca deus
  
  
yvers pris.
  
  
  
Ce seuent bien mi home et mi
baron. englois normant et poi-
teuin. et gascon. que ie nul si
poure conpaignon queie lai
sasse por auoir enprison. ie
nel di mie por nule retracon
car encor sui ie pris.
  
     
Or sai ie bien deuoir certai-
nement. que ie ne pris ne
ami ne parent. quant on
me faut por et por argent.
m(o)lt mest demoi. mes plus
mest de magent. qua pres
la mort auront reprochem(en).
se longuement sui pris.
  
  
  
Nest pas merueille seiai
le cuer dolent. quant mes
sires met met ma terre en
torment. sil li membrast de
n(ost)re de n(ost)re sairement. q(ue) nos
fesismes andui comunem(en)t.
ie sai deuoir que ia trop lon
guement. ne seroie ca pris.
  

    
[...]e seuent bien angeuin et
 
torain. cil bachelier qui or
sont riche et sain. quencobres
sui loign daus en autre mai(n).
forment maidassent. mes il
ne uoient grain. de beles ar
mes sont ore uuit et plain.
porce que ie sui pris.
  
  
  

Contesse suer u(ost)re pris souue
rain. vos saut et gart cil aqui
ie me claim. et porce sui ie pris.
ie ne di mie a cele de chartai(n)
lamere loeys
 
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Edizione diplomatico-interpretativa

Ia nus hons pris ne dira  
sa raison. adroitement se do-  
lentement non. mes par es
fors puet il faire chancon.
m(o)lt ai amis mes poure en
sont lidon. honte iauront se
por ma raencon. sui ca deus
yvers pris.
I.
Ia nus hons pris ne dira sa raison
adroitement, se dolentement non;
mes par esfors puet il faire chançon.
Molt ai amis, mes povre en sont li don,
honte y auront se, por ma raençon,
sui ça deus yvers pris.
Ce seuent bien mi home et mi
baron. englois normant et poi-
teuin. et gascon. que ie nul si
poure conpaignon queie lai
sasse por auoir enprison. ie
nel di mie por nule retracon
car encor sui ie pris.
II.
Ce sevent bien mi home et mi baron,
englois, normant et poitevin et ​guascon,
que je nul si povre conpaignon
que je laisasse, por avoir, en prison.
je nel di mie por nule retraçon,
car encor sui je pris.
Or sai ie bien deuoir certai-
nement. que ie ne pris ne
ami ne parent. quant on
me faut por et por argent.
m(o)lt mest demoi. mes plus
mest de magent. qua pres
la mort auront reprochem(en).
se longuement sui pris.
III.
Or sai je bien de voir certainement
que je ne pris ne ami ne parent
quant on me faut por [or] et por argent.
Molt m'est de moi, mes plus m'est de ma gent,
qu'apres la mort auront reprochement
se longuement sui pris.
Nest pas merueille seiai
le cuer dolent. quant mes
sires met met ma terre en
torment. sil li membrast de
n(ost)re de n(ost)re sairement. q(ue) nos
fesismes andui comunem(en)t.
ie sai deuoir que ia trop lon
guement. ne seroie ca pris.  
IV.
N'est pas merveille se j'ai le cuer dolent,
quant mes sires met ma terre en torment;
s'il li membrast de nostre sairement,
que nos fesismes andui comunement,
je sai de voir que ja trop longuement
ne seroie ça pris.
[...]e seuent bien angeuin et
    torain. cil bachelier qui or
sont riche et sain. quencobres
sui loign daus en autre mai(n).
forment maidassent. mes il
ne uoient grain. de beles ar
mes sont ore uuit et plain.
porce que ie sui pris.
V.
Ce sevent bien angevin et torain,
cil bachelier qui or sont riche et sain,
qu'encobres sui loign d'aus en autre main.
Forment m'aidassent! Mes il ne voient grain.
De beles armes sont ore vuit et plain,
por ce que je sui pris.
Contesse suer u(ost)re pris souue
rain. vos saut et gart cil aqui
ie me claim. et porce sui ie pris.
VI.
Contesse suer vostre pris souverain
vos saut, et gart cil a qui je me claim
et por ce sui je pris.
ie ne di mie a cele de chartai(n)
lamere loeys
VII.
Je ne di mie a cele de Chartain,
la mere Loeys.
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Edizione interpretativa e traduzione

Ia nus hons pris ne dira sa raison
adroitement, se dolentement non;
mes par esfors puet il faire chançon.
Molt ai amis, mes povre en sont li don,
honte y auront se, por ma raençon,
sui ça deus yvers pris.

Ce sevent bien mi home et mi baron,
englois, normant et poitevin et ​guascon,
que je nul si povre conpaignon
que je laisasse, por avoir, en prison.
je nel di mie por nule retraçon,
car encor sui je pris.

Or sai je bien de voir certainement
que je ne pris ne ami ne parent
quant on me faut por [or] et por argent.
Molt m'est de moi, mes plus m'est de ma gent,
qu'apres la mort auront reprochement
se longuement sui pris.

N'est pas merveille se j'ai le cuer dolent,
quant mes sires met ma terre en torment;
s'il li membrast de nostre sairement,
que nos fesismes andui comunement,
je sai de voir que ja trop longuement
ne seroie ça pris.

Ce sevent bien angevin et torain,
cil bachelier qui or sont riche et sain,
qu'encobres sui loign d'aus en autre main.
Forment m'aidassent! Mes il ne voient grain.
De beles armes sont ore vuit et plain,
por ce que je sui pris.

Contesse suer vostre pris souverain
vos saut, et gart cil a qui je me claim
et por ce sui je pris.

Je ne di mie a cele de Chartain,
la mere Loeys.

Mai nessun prigioniero esprimerà il suo pensiero
sinceramente, se non con dolore;
ma con sforzo può comporre una canzone.
Ho molti amici, ma poveri sono i loro doni,
ne saranno disonorati se, per via del mio riscatto,
due inverni resto qui prigioniero.

Ben sanno i miei uomini e i miei baroni,
inglesi, normanni e pittavini e guasconi,
che non ho nessun compagno tanto misero
da lasciarlo, per ricchezze, in prigione.
Non lo dico certo per rimprovero,
ma perché ancora sono prigioniero.

Ora so con certezza
che non stimo amico né parente,
dal momento che mi disertano per oro e per argento.
Molto mi importa di me, ma ancor più della mia gente
che dopo la morte sarà disonorata,
se a lungo resto prigioniero.

Non c'è da meravigliarsi se ho il cuore dolente,
quando il mio signore infonde il tormento nella mia terra;
se si ricordasse del nostro giuramento
che siglammo entrambi di comune accordo
sono certo che ormai non sarei
troppo a lungo qui prigioniero.

Sanno bene angioini e turrensi,
quegli scudieri che ora sono ricchi e prosperi,
che sono rinchiuso lontano da loro in mani altrui.
Ferverti venissero in mio aiuto!! Ma non vedono niente.
Di belle armi sono ora vuoti e pieni,
perché io sono prigioniero.

Sorella contessa, il vostro mirabile valore
vi salvi e protegga colui al quale porgo i miei lamenti
e per cui sono prigioniero.

Non mi rivolgo certo a quella di Chartres,
la madre di Luigi.

 

 

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CANZONIERE Zᵃ

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Edizione diplomatica


Ia nus homs pris n(on) dira saraison. adroitem(en)t si com ho(n) dolanz no(n). mes
p(ar) confort puet il fere chanzon. pro a dimis mes poure son le don
ho(n)te iauront se por ma raencon sui cau deus iuers pris.
BIen lo seuent mi home emi baron. Englais norma(n)t poiteuin e gas
con qeie nauoie si poure copaigno(n) qeie laissase pauoir en priso(n).
Ie nil di par nulle retracon. Mes encor sui ie pris.
Or saiie bien deuoir c(er)tainem(en)t. q(e) morz ne pris na ami ne pare(n)t.
qa(n)t ho(n) mi faut por or ne por arge(n)t. Molt mest d(e) moi mes pl(us) mest
por ma ge(n)t. Qa p(re)s ma mort nauro(n)t rep(ro)cem(en)t. Car ta(n)t ai este pris.
[N]eme merueil seo hai le cor dolent. Qant mi sires met ma t(er)ra en tor
m(en)t. Selim(em)brast de nostre seramt. qe nos feimes amdeus comuniu
ment. Do(n)c sai ie bien q(e)ia pl(us) lo(n)gem(en)t non seroie ça pris.
MI co(m)paignon qe ie amoie e qe iain. cil de chaieu e cil de p(er)cerain. cha(n)
zon dilor qil ne s(on)t pas c(er)tain. Q(e) ie eusse vers els faus cuer nea
uain. Sor mi gerroie(n)t trop fer(en)t qiuilain ta(n)t co(m)ie soie pris.
BIen le seue(n)t angeui(n) et torain. li bachaler qi s(on)t deliure esain. qen
gonbrez sui loing deus en autrui main. Bien maidassent mes
il nauoie(n)t grain. de belles armes oisu(n)uit li plain. porce q(e) ie sui p(ri)s.
Contese sœr uestre pris souerain uos saut et gart celle por cui mi
claim epor cui ie sui pris.
IE nel di pas por celle de chartrain la mere loys.

 

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Edizione interpretativa e traduzione

Ia nus homs pris non dira sa raison
adroitement, si com hon dolanz non,
mes par confort puet il fere chanzon.
Pro a d'amis, mes povre son le don,
honte y auront se, por ma raençon,
sui çau deus ivers pris.

Bien lo sevent mi home e mi baron,
englais, normant, poitevin e gascon,
qe je n'avoie si povre copaignon
qe je laissase par avoir en prison.
Je nil di par nulle retraçon,
mes encor sui je pris.

Or sai je bien de voir certainement
qe morz ne pris n'a ami ne parent
qant hon mi faut por or ne por argent.
Molt m'est de moi, mes plus m'est por ma gent,
q'apres ma mort n'auront reprocement,
car tant ai esté pris.

Ne me merveil s'eo hai le cor dolent
qant mi sires met ma terra en torment;
se li membrast de nostre seramt
qe nos feimes amdeus comuniument
Donc sai je bien qe ja plus longement
non seroie ça pris.

Mi compaignon qe je amoie e qe j'ain,
cil de Chaieu e cil de Percerain,
chanzon di lor q'il ne sont pas certain
Qe je eusse vers els faus cuer nea vain;
s'or mi gerroient trop ferent qi vilain,
tant com je soie pris.

Bien le sevent angevin et torain,
li bachaler qi sont delivre e sain
q'engonbrez sui loing d'eus en autrui main.
Bien m'aidassent, mes il n'avoient grain.
De belles armes oi sun vit li plain,
por ce qe je sui pris .

Contese sœr vestre pris soverain
vos saut, et gart celle por cui mi claim
e por cui je sui pris.

Je nel di pas por celle de Chartrain
la mere Loys.  
 

Mai nessun prigioniero esprimerà il suo pensiero
direttamente, se non come un uomo afflitto,
ma per conforto può comporre una canzone.
Ho amici in abbondanza, ma poveri sono i doni,
ne avranno vergogna se, per via del mio riscatto,
resto questi due inverni prigioniero.

Ben sanno i miei uomini e i miei baroni
inglesi, normanni, pittavini e guasconi,
che non ho compagno tanto miserabile
che lascerei, per parsimonia, in prigione.
Non lo dico affatto per rimprovero,
ma sono ancora prigioniero.

Ora so con certezza
che un morto né un prigioniero ha amico né parente,
dal momento che mi disertano per oro e per argento.
Molto mi importa di me, ma più per mia gente,
che dopo la mia morte ne sarà disonorata,
perché molto sono stato prigioniero.

Non mi meraviglio se ho il cuore dolente,
quando il mio signore infonde il tormento nella mia terra;
se si ricordasse del nostro giuramento
che entrambi siglammo di comune accordo,
quindi so bene che non sarei
ormai a lungo qui prigioniero.

I miei compagni che amavo e che amo,
quelli di Cayeux e quelli del Perche,
invio la canzone a loro, che si trovano nel dubbio
che fossi stato con loro di cuore falso o volubile;
troppo ignobile sarebbe se mi muovessero battaglia ora,
mentre sono prigioniero.

Lo sanno bene angioini e turrensi,
gli scudieri che sono liberi e prosperi,
che sono rinchiuso lontano da loro, in mani d'altri.
Ben venissero in mio aiuto, ma non ne avevano niente.
Di belle armi sono oggi vuote le pianure,
poiché io sono prigioniero

Sorella contessa, il vostro mirabile valore
vi salvi e guardi colei per cui mi lamento
e per cui sono prigioniero.

Non lo dico a quella di Chartres,
la madre di Luigi.

 

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Edizione diplomatico-interpretativa

I.
Ia nus homs pris n(on) dira saraison. adroitem(en)t si com ho(n) dolanz no(n). mes
p(ar) confort puet il fere chanzon. pro a dimis mes poure son le don
ho(n)te iauront se por ma raencon sui cau deus iuers pris.
Ia nus homs pris non dira sa raison
adroitement, si com hon dolanz non,
mes par confort puet il fere chanzon.
Pro a d'amis, mes povre son le don,
honte y auront se, por ma raençon,
sui çau deus ivers pris.
II.
BIen lo seuent mi home emi baron. Englais norma(n)t poiteuin e gas
con qeie nauoie si poure copaigno(n) qeie laissase pauoir en priso(n).
Ie nil di par nulle retracon. Mes encor sui ie pris.
Bien lo sevent mi home e mi baron,
englais, normant, poitevin e gascon,
qe je n'avoie si povre copaignon
qe je laissase par avoir en prison.
Je nil di par nulle retraçon,
mes encor sui je pris.
III.
Or saiie bien deuoir c(er)tainem(en)t. q(e) morz ne pris na ami ne pare(n)t.
qa(n)t ho(n) mi faut por or ne por arge(n)t. Molt mest d(e) moi mes pl(us) mest
por ma ge(n)t. Qa p(re)s ma mort nauro(n)t rep(ro)cem(en)t. Car ta(n)t ai este pris.
Or sai je bien de voir certainement
qe morz ne pris n'a ami ne parent
qant hon mi faut por or ne por argent.
Molt m'est de moi, mes plus m'est por ma gent,
q'apres ma mort n'auront reprocement,
car tant ai esté pris.
IV.
[N]eme merueil seo hai le cor dolent. Qant mi sires met ma t(er)ra en tor
m(en)t. Selim(em)brast de nostre seramt. qe nos feimes amdeus comuniu
ment. Do(n)c sai ie bien q(e)ia pl(us) lo(n)gem(en)t non seroie ça pris.
Ne me merveil s'eo hai le cor dolent
qant mi sires met ma terra en torment;
se li membrast de nostre seramt
qe nos feimes amdeus comuniument
Donc sai je bien qe ja plus longement
non seroie ça pris.
V.
MI co(m)paignon qe ie amoie e qe iain. cil de chaieu e cil de p(er)cerain. cha(n)
zon dilor qil ne s(on)t pas c(er)tain. Q(e) ie eusse vers els faus cuer nea
uain. Sor mi gerroie(n)t trop fer(en)t qiuilain ta(n)t co(m)ie soie pris.
Mi compaignon qe je amoie e qe j'ain,
cil de Chaieu e cil de Percerain,
chanzon di lor q'il ne sont pas certain
Qe je eusse vers els faus cuer nea vain;
s'or mi gerroient trop ferent qi vilain,
tant com je soie pris.
VI.
BIen le seue(n)t angeui(n) et torain. li bachaler qi s(on)t deliure esain. qen
gonbrez sui loing deus en autrui main. Bien maidassent mes
il nauoie(n)t grain. de belles armes oisu(n)uit li plain. porce q(e) ie sui p(ri)s.
Bien le sevent angevin et torain,
li bachaler qi sont delivre e sain
q'engonbrez sui loing d'eus en autrui main.
Bien m'aidassent, mes il n'avoient grain.
De belles armes oi sun vit li plain,
por ce qe je sui pris.
VII.
Contese sœr uestre pris souerain uos saut et gart celle por cui mi
claim epor cui ie sui pris.
Contese sœr vestre pris soverain
vos saut, et gart celle por cui mi claim
e por cui je sui pris.
VIII.
IE nel di pas por celle de chartrain la mere loys.
Je nel di pas por celle de Chartrain
la mere Loys. 
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CANZONIERE f

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[28]

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Edizione diplomatica

 

Ya null hom pris no(n) dira sarazon. adrechamens si co(m) hom dolans non
mas p(ar) conort deu hom faire chanson. pron ai damixs mas paupres s(on)
li don ancta lur er si p(ar) ma rezemson. estauc .ij. uuer(n)s pris.
Or sachon bien miei hom emiey baron. engles norma(n)s peitaui(n)s
et guascon. quieu no(n) ai mia si paure co(m)painhon. quieu p(ar) auer lo
laises enprizon. no(n) odic mia p(ar) guap si p(er) uer no(n) ezon cor suy gi pris
Car sapcho(n) bien en uer sertanema(n)t. coms mort nj pris no(n) amic
ni parent. car si mi laison p(ar) aur ni p(ar) arge(n)t. mal mes p(ar) moi mas
pietz mes p(ar) ma ient. des pos la mort naura(n)t repropchemant.
si sa mi laison pris.
No(m) merauill si gai lo cor dolant que me sires me amicz eturmant
or li me(m)bre del nostre sagremant. q(ue ) fezemis el sans cominalma(n)t
or sai ie bien q(ue) ia trop longema(n)t. no(n) serai ia so pris
suer co(n)tesa vostre pres sobeira(n). sal dieus eguart la bella quieu
iam ta(n)t. ni p(ar)cui soy gi pris. non odic mia de sella de charta la mai
re de loys

 

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Edizione diplomatico-interpretativa

I.
Ya null hom pris no(n) dira sarazon. adrechamens si co(m) hom dolans non
mas p(ar) conort deu hom faire chanson. pron ai damixs mas paupres s(on)
li don ancta lur er si p(ar) ma rezemson. estauc .ij. uuer(n)s pris.
Ya null hom pris non dira sa razon
adrechamens, si com hom dolans non,
mas par conort deu hom faire chanson.
Pron ai d'amixs mas paupres son li don
ancta lur er si, par ma rezemson,
estauc dos uverns pris.
II.
Or sachon bien miei hom emiey baron. engles norma(n)s peitaui(n)s
et guascon. quieu no(n) ai mia si paure co(m)painhon. quieu p(ar) auer lo
laises enprizon. no(n) odic mia p(ar) guap si p(er) uer no(n) ezon cor suy gi pris
Or sachon bien, miei hom e miey baron
engles, normans, peitavins et guascon,
qu'ieu non ai mia si paure compainhon
qu'ieu par aver lo laises en prizon.
Non o dic mia par guap si per ver non
ez oncor suy gi pris.
III.
Car sapcho(n) bien en uer sertanema(n)t. coms mort nj pris no(n) amic
ni parent. car si mi laison p(ar) aur ni p(ar) arge(n)t. mal mes p(ar) moi mas
pietz mes p(ar) ma ient. des pos la mort naura(n)t repropchemant.
si sa mi laison pris.
Car sapchon bien en ver sertanemant
coms mort nj pris non amic ni parent.
Car si mi laison par aur ni par argent,
mal m'es par moi, mas pietz m'es par ma jent.
Despos la mort n'aurant repropchemant,
si sa mi laison pris.
IV.
No(m) merauill si gai lo cor dolant que me sires me amicz eturmant
or li me(m)bre del nostre sagremant. q(ue ) fezemis el sans cominalma(n)t
or sai ie bien q(ue) ia trop longema(n)t. no(n) serai ia so pris
No·m meravill si g'ai lo cor dolant,
que me sires, me amicz e turmant,
or li membre del nostre sagremant
que fezemis el sans cominalmant.
Or sai je bien que ja trop longemant
non serai ja so pris.
V.
suer co(n)tesa vostre pres sobeira(n). sal dieus eguart la bella quieu
iam ta(n)t. ni p(ar)cui soy gi pris.
Suer contesa, vostre pres sobeiran
sal Dieus e guart la bella qu'ieu jam tant
ni par cui soy gi pris.
VI.
non odic mia de sella de charta la mai
re de loys
Non o dic mia de sella de Charta,
la maire de Loys.
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Edizione interpretativa e traduzione

Ya null hom pris non dira sa razon
adrechamens, si com hom dolans non,
mas par conort deu hom faire chanson.
Pron ai d'amixs mas paupres son li don
ancta lur er si, par ma rezemson,
estauc dos uverns pris.

Or sachon bien, miei hom e miey baron
engles, normans, peitavins et guascon,
qu'ieu non ai mia si paure compainhon
qu'ieu par aver lo laises en prizon.
Non o dic mia par guap si per ver non
ez oncor suy gi pris.

Car sapchon bien en ver sertanemant
coms mort nj pris non amic ni parent.
Car si mi laison par aur ni par argent,
mal m'es par moi, mas pietz m'es par ma jent.
Despos la mort n'aurant repropchemant,
si sa mi laison pris.

No·m meravill si g'ai lo cor dolant,
que me sires, me amicz e turmant,
or li membre del nostre sagremant
que fezemis el sans cominalmant.
Or sai je bien que ja trop longemant
non serai ja so pris.

Suer contesa, vostre pres sobeiran
sal Dieus e guart la bella qu'ieu jam tant
ni par cui soy gi pris.

Non o dic mia de sella de Charta,
la maire de Loys.

Mai nessun prigioniero esprimerà il suo pensiero
direttamente, se non come un uomo sofferente,
ma per farsi forza deve comporre una canzone.
Ho amici in abbondanza ma poveri sono i doni.
Ne saranno disonorati se, per via del mio riscatto,
resto due inverni prigioniero.

Ora sappiamo bene, miei uomini e miei baroni,
inglesi, normanni, pittavini e guasconi,
che io non ho certo un compagno tanto misero
da lasciarlo, per ricchezze, in prigione.
Non lo dico certo per vantarmi
ma perché sono ancora prigioniero.

Sappiamo dunque distinguere chiaramente
che un morto non stima amico né parente.
Ché se mi abbandonano per oro e per argento,
provo dolore per me, ma ancor più per la mia gente.
Dopo la morte ne sarà rimproverata,
se qui mi lascia prigioniero.

Non mi stupisco se ho il cuore addolorato,
che il mio signore, mio amico e tormento,
ora si ricordi del nostro giuramento,
che facemmo reciprocamente.
Ora so bene che ormai troppo a lungo
non sarò qui prigioniero.

Sorella contessa, Dio salvi il vostro
mirabile valore, e guardi la bella che tanto amo
e per cui sono prigioniero.

Non mi rivolgo certo di quella di Chartres,
la madre di Luigi.
 

 

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Glossario

Le forme sono lemmatizzate secondo la norma di Tobler-Lommatzsch; in alternativa si fa riferimento a Godefroy. Nel caso la parola occorra nel componimento solo in forma flessa o in una grafia differente dal dizionario il lemma è reso tra parentesi quadre.

a, prep. 38, 40; a.
adroitement, avv. 2; direttamente, sinceramente.
[aidier], vr. aidassent 28, aiutare, venire in soccorso.
[amer], vr. amoie 31, ain 31; amare.
[ainsi], avv. ensi 2; così.
[al], prep. art. aus, 34, 27; loro.
ami, s.m. ami, 14; amis, 4; amico.
[ambedos], pron. andui 22; entrambi.
après, avv. e prep. 17; dopo.
argent, s.m. 15; argento.
[arme], s.f. armes 29; armi, ma anche, in senso traslato, imprese militari.
autrui, agg. 27; altrui.
avoir, s.m.10; averi, ricchezze.
[avoir], vr. ai 4, 9, 19; a 15; auront 5, 17; oi 34; avere.
bacheler, s.m. 26; giovane uomo; aspirante cavaliere.
baron, s.m. 7; barone, vassallo.
[bel], agg. belles 29; bello.
bien, avv. 7, 13, 23, 25; bene (cfr.voir).
ça, avv. 6, 24; qui.
ce, pron. dim. ce 7, 25, 30; ces 32, cele 40; cil 26, 38; questo.
certain, agg. 33; certo, sicuro; sincero.
certainement, avv. 13; con certezza.
chançon, s.f. 3, 33; canzone.
[clamer], vr. clain 38; appellarsi; lamentarsi.
[come], avv. e cong. com 2; come. (Tant) com 36; mentre, durante il tempo il cui.
communement, avv. 22; di comune accordo.
[compagnon], s.m. compaingnon 9; compaignons 31; compagno.
contesse, s.f. 37; contessa.
cuer, s.m. 19, 34; cuore.
de, prep. de 13, 16, 21, 23, 29, 32, 40; d' 4, 27; di.
deus, agg. num. 6; due.
[dire], vr. dira 1; di 11, 33, 40; dire.
[dolent], agg. dolans 2, dolent 19; dolente.
don, s.m. 4; dono.
[esforz], s.m. esfort; sforzo.
en, prep. 10, 20, 27; in.
[encombrer], vr. encombrez 27; impedire, trattenere; imprigionare.
[encore], avv. encor 12; ancòra.
[envoiier], vr. envoient 28; inviare.
[estre], vr. sont 4, 26, 29, 33; sui 6, 12, 18, 27, 30, 39; est 16, 19; seroie 24; serai 36; essere.
et, cong. 7, 8, 25, 26, 31, 38, 39; e.
[falir], vr. faut 15; venir meno, abbandonare.
faire, vr. faire 3; feismes, 22; fare. feront (que vilain) 35; comportarsi (da villani).
faus, agg. 34; falso, insincero; malevolo.
forment, avv. 28; fortemente, tempestivamente.
[garder], vr. gart 38; proteggere.
gent, s.f. 16; gente, popolo; famiglia.
grain, avv. 28; nulla.
[guerroiier], vr. guerroient 35; attaccare, muovere guerra.
[i], avv. y 5; ne.
[iver], s.m. yvers 6; inverno.
[ome], s.m. home, 7; hons, 1; uomo.
honte, s.f. 5; disonore.
[il], pron. pers. il 3, 28, 33, 35, li 21; egli.
ja, avv. 1; mai. 23; ormai.
je, pron. pers. 9, 10, 11, 12, 13, 30, 36, 38, 39, 40; j', 19, 31; io.
[laisser], vr. laissasse, 10; lasciare, abbandonare.
[le], art. det. li 4, 30; lo 19; la 40; il.
loing, avv. 27; lontano.
longuement, avv. 17, 23; a lungo.
lor pron. pers. 33; loro (dat.).
main, s.f. 27; mani, trasl. balìa, prigionia.
mais, cong. mais 3, 4, 28; mes 12, 16; ma.
[membrer], vr. membrast 21; ricordare.
mere, s.f. 41; madre.
merveille, s.f. 19; meraviglia.
[metre], vr. met 20; mettere.
mie, avv. di neg. 11.
moi, pron. pers. moi 16; me 15, 35, 38; m' 16, 28; me.
[mout], avv. molt 4, 16; molto.
[mon], agg. poss. ma, 5, 16, 17, 20; mes, 20, 31; mi 7; mio.
[morir], vr. mort, 14; morire, ma qui il part. ha funzione di s.m.
[mort], s.f. mors 17; morte.
ne, cong. 14, 34; né.
nel, prep. art. 11, 40; non lo.
non, avv. di neg. non, 2; ne 1, 24, 33, 34; n' 9, 14, 19, 28; non.
nos, pron. pers. 22; noi.
nostre, agg. poss. 21; nostro.
nul, agg. nus 1; nul 9; nulle 11; nessuno.
on, pron. pers. ind. 15; si.
[onque], avv. onques 34; mai.
or, avv. 13, 26; ores 29; ora, adesso.
or, s.m. 15; oro.
par, prep. 3; per.
parent, s.m. 14; parente.
pas, avv. di neg. 19, 33, 40.
plain, s.f. 29; pianura.
plus, avv. 16; più.
[pöoir], vr. puet 3; potere.
por, prep. 5, 10, 11, 15, 30, 39; per.
povre, agg. 4, 9; povero.
[prendre], vr. pris, 1, 6, 12, 14, 18, 24, 30, 36, 39; prendere, ma qui il part. ha funzione di agg. / s.m.: prigioniero.
pris, s. m. 37; pregio.
prison, s.f. 10; prigione.
[cant], cong. quant 15, 20; quando, dal momento che.
que, cong. que 9, 14, 23, 30; c' 34; q(u)' 33, 17, 27; che.
que, pron. rel. que 10, 22, 31; cui 38, 39; qui 26; che.
[räençon], s.f. reançon 5; riscatto.
raison, s.f. 1; pensiero, discorso.
reprochement, s.m. 17; rimprovero.
[retracïon], s.f. retraçon 11; biasimo, rimprovero.
riche, agg. 26; ricco.
sain, agg. 26; sano; in buono stato, prospero.
sairement, s.m. 21; giuramento.
[sauver], vr. saut 38; salvare.
[savoir], vr. sevent 7, 25; sai 13, 23 (cfr. voir); sapere.
se, cong. se 5, 18, 19; s' 2, 21, 35; se.
[seignor], s.m. sires (nomin. con -s analogica) 20; signore.
si, avv. 9; così, a tal punto.
[sel], prep. art. sil 21; se egli; sil 35; se essi.
[son], agg. poss. sa 1; suo.
[soverain], s.m. soverain 37; sovrano, superiore; mirabile.
[seror], s.f. suer 37; sorella.
tant, avv. 36; tanto.
terre, s.f. 20; terra, possedimenti.
torment, s.m. 20; tormento, disordine, tumulto.
trop, avv. 23; troppo.
vain, agg. 34; volubile; insincero.
vers, prep. 34; verso, nei confronti (di qlcn).
vilain, agg. /s.m. 35; villano, fellone.
voir (de) 13, 23; veramente, per certo.
vos, pron. pers. 38 voi.
vostre, agg. poss. 37; vostro.
vuit, agg. 29; vuoto.
y, v. i.

Nomi di luogo o persona

angevin, agg. / s.m. 26; angioino, abitante dell'Anjou.
ynglois agg. / s.m. 8; inglese.
Chaieu, nom. propr. 32; Cayeux, in Piccardia.
Chartain, nom. propr. 40; Chartres.
gascon, agg. / s.m.; guascone.
Loeys, nom. propr. 41; Luigi (di Blois).
normant, agg. / s.m. 8; normanno.
Percherain, nom. propr. 32; Perche.
poitevin, agg. / s.m. 8; pittavino, del Poiteu.
torain, agg. / s.m. 26; turrense, abitante di Tours o della Turenna.

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MUSICA

  • Edizione diplomatico-interpretativa delle melodie [29]
  • Esecuzioni a cura del Laboratorio LMR   [30]
  • Le edizioni musicali [31]​ [32]
       
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Edizione diplomatico interpretativa delle melodie

Ed. S. Milonia 

©

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Esecuzione a cura del Laboratorio LMR

Nota sull'esecuzione della melodia (ms. O) [33]
Ascolta altre esecuzioni [34]
  
Esecuzioni musicali:
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Audio icon Riccardo Cuor di Leone - Ja nuns hons pris ne dira sa raison (ms. O) (voce: Fabiano Pietrosanti) [35]
Audio icon Riccardo Cuor di Leone - Ja nuns hons pris ne dira sa raison (mss. KNX) (voce: Fabiano Pietrosanti) [36]

Nota sull'esecuzione della melodia

Ja nuns hons pris ne dira sa raison (ms.O) - Trascrizione dell'esecuzione [37]

 

Ogni esecuzione è un'interpretazione: la trascrizione musicale della nella registrazione è uno strumento di lavoro e non un'edizione con ambizione scientifica. L'unica trascrizione di autorevolezza filologica consiste nella trascrizione semi-diplomatica [29], dove sono notate semplicemente le altezze dei suoni, senza nessun riferimento ritmico. Non appena la teoria diventa atto, il lavoro filologico perde buona parte del suo rigore. Dal momento che il canto nasce ed assume significato quando si iscrive in un contesto estetico, è a questo criterio che si attiene la scelta esecutiva. Gli sforzi dei grandi esperti di filologia musicale che hanno studiato il componimento di Riccardo Cuor di Leone non sono stati considerati vani ed è sulla base delle conoscenze apprese dai loro scritti che si fonda questa interpretazione, che pur non rispettando rigidamente la lettura in chiave modale ne condivide l’ossatura. L'esecuzione si basa sulla lezione dello Chansonnier Cangé: sull'insegnamento di Tischler e Gennrich l'andamento principale è quello scandito dal III modo[1]. Innanzi tutto si è privilegiato l'uso di una grafia agevole per il musicista, senza varianti né segni che non siano ordinariamente utilizzati nella notazione moderna. La suddivisione in 3/4 mi è parsa la più congeniale per dividere in tre la battuta, ma senza costringere la melodia in un andamento ternario.
Un elemento importante, che è passato inosservato ed è secondo me fondamentale, è la ripetitività dei patterns ritmico-melodici sulla quale si struttura la melodia. Se si considerano le legature costituite da due note e la nota che segue come due parti di un'unica cellula ritmica avremo a che fare solo con gruppi melodici ternari. Infatti queste cellule di tre note e due sillabe avrebbero lo stesso valore dei climacus, cioè le legature costituite da tre note cantate su una sola sillaba. Lo stesso schema ritmico è però rintracciabile, basandosi sulle ripetizioni melodiche, anche in tre note cantate ognuna sulla propria sillaba[2]. Sia questi gruppi di tre note, sia i climacus, sia i gruppi clivis + punctum, sono stati trascritti con due crome legate ad una semiminima, eventualmente allungata in finale di verso. Ho rifiutato l'impiego della terzina, poiché romperebbe bruscamente l'andamento scandito dal III modo.
Osservando lo spartito è possibile notare come si configuri un sistema di patterns ritmici di tre note, che, all'interno del verso, si assemblano in diverse combinazioni: ad esempio il primo verso è composto da due patterns formati da un 1/4 puntato + 1/8 + 1/4 – pattern a – e due patterns composti da 1/8+1/8+1/4 (o 2/4 per allungamento in finale di verso) – pattern b –. Queste cellule ritmiche hanno anche un riscontro melodico: il pattern a si mantiene principalmente su una nota o un range ristretto di note e compone una sorta di arsi nello sviluppo del verso. Il pattern b invece può paragonarsi alla tesi del verso; predilige le discese diatoniche[3].
Il verso 2 presenta un secondo tipo di configurazione ritmico-melodica: pattern a – pattern b – pattern a – pattern b. I versi 3 e 4 ripropongono il medesimo schema: a – a – b – b / a – b – a – b.
Salta all'occhio che i due patterns non hanno uguale durata e non entreranno, secondo lo schema moderno, ognuno perfettamente in una battuta: il pattern a dura 3/4, ma il pattern b dura solamente 2/4. Ai versi 2 e 4 otterremo uno squilibrio, ma solo in apparenza, quando il terzo pattern[4], che è di tipo a, segue ad un pattern di tipo b, e comincia quindi sul terzo quarto della seconda battuta, comportando lo scavalcamento della linea di ​battuta. È forse questo il pregio di questa esecuzione: non bisogna infatti inquadrare le monodie medievali in schemi che non appartengono loro, costringendole in un paradigma di rigide alternanze tra tempi “forti” e tempi “deboli”. Anche Beck quando asserisce che la ternarietà assoluta non è altro che frutto dell'ingegno aritmetico dei mensuralisti, invita a ricordare che il rigore teorico può allontanare dalla realtà pragmatica.
I versi 5 e 6 sono problematici e non pretendo di decifrarli compiutamente, ma ho cercato di dare una veste esteticamente convincente, basandomi su due convizioni: il primo è che il verso 5 rappresenta il preludio al refrain, il momento di massima enfasi; il secondo è che in corrispondenza del tratto verticale, che nel manoscritto separa le note dei due versi, va rispettata una pausa, che consenta di recepire con la giusta chiarezza entrambe le frasi, le quali accorpate creerebbero una lunga e dispersiva catena di note. I primi due patterns del v. 5 non pongono problemi. Ma dalla sillaba ma le incertezze crescono, è infatti il punto di maggiore divergenza fra gli editori. In maniera simile alla scelta fatta da Gennrich, si preferisce lasciare che la sillaba successiva (re-) venga cantata sul terzo quarto della battuta, ma facendo appoggiare la sillaba -an- alla battuta successiva, mantenendo integro il parallelismo melodico con il climacus che chiude il verso. Anche la pausa dunque slitterà alla battuta successiva: i due punctus si trovano quindi "sospesi", dove l'elemento di arsi da cui partono è il silenzio. Non si sarà costretti quindi ad allungare eccessivamente la sillaba y- del v. 6, conferendo la dovuta fluidità alla conclusione.

 

[1] Cfr. Le edizioni musicali: Gennrich [38].
[2] V. 4, sillabe sont li don (do – si – la)
[3] Ex: v. 2 sillaba -ment (do si la), sillabe -te – ment non (do – si – la); ma può presentare intervalli diversi: v1: sillabe rai – son (si sol – sol)
[4] v. 2 sillabe se do – lan (si – re – si)
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Le edizioni musicali

  • Introduzione alle edizioni musicali
  • Guarda le edizioni in sinossi [39]
  • Analisi delle edizioni [40]

  
  
Introduzione alle edizioni musicali.
Dal 1925 sono state proposte varie edizioni musicali di Ja nuns hons pris, espressione di opinioni profondamente diverse di autorevoli studiosi: Frederick Gennrich (1925, 1955, 1958), Jean Beck (1927),  Archibald Thompson Davison in collaborazione con Willi Apel (1949), Samuel Rosenberg e Hans Tischler (1981), e infine Hans Tischler (1997).
Una visione sinottica delle edizioni [41] pone in rilievo le divergenze sull'interpretazione della monodia medievale maturate nello scorso secolo.
Nella prima metà del Novecento il dibattito sulle melodie dei trovieri si è concentrato principalmente sull'interpretazione del ritmo e della durata delle note. La notazione in cui è tradita la melodia della canzone offre infatti precise indicazione diastematiche, ma oscure indicazioni ritmiche. I manoscritti K, X e N, non riportano alcuna indicazione ritmica, notano promiscuamente il punctum e la virga. 
L'interpretazione di questo tipo di notazione, applicato anche ad alcuni testi della musica profana in volgare, nello specifico al repertorio trovierico e trobadorico, non è affatto unanime. Al contrario, è evidente che il canzoniere O riporta una notazione mensurale, suscettibile di una lettura modale, e per questo motivo gli studiosi hanno di gran lunga privilegiato la lezione di questo manoscritto.
L’interpretazione della melodia in chiave modale comporta operazioni incerte: già la scelta della chiave, ma soprattutto la scelta della suddivisione nella battuta sono aspetti delicati, scelte che non potranno che assumere un valore convenzionale, non mimetico. La trascrizione comporta inoltre la scelta di inquadrare i gruppi neumatici in un ritmo binario o ternario: ad esempio una legatura di due note potrà essere interpretata sia come due crome, sia come una terzina formata da una semiminima più una croma; una legatura di tre note sia come due semicrome più una croma, sia come una terzina di crome (o valori proporzionalmente equivalenti). Alcuni editori preferiscono non indicare il valore del tempo ad inizio rigo, altri di abolire ogni indicazione mensurale, la divisione delle battute e il valore di durata delle note.
Beck porta a galla questioni preziose per una prospettiva complessiva del componimento del re Riccardo:
nella sua introduzione argomenta su diversi casi in cui un canto, trascritto da un copista straniero, muta il modo ritmico in cui era scritto originariamente; questa trasposizione avviene per via delle differenti strutture delle lingue romanze, a cui diversi modi si addicono più o meno agevolmente.
Il cambiamento del modo di una melodia è una pratica corrente: vari sono gli esempi di modifiche rimiche, come nello Chansonnier Cangé, in cui sono presenti jeux partis ritmati con modi diversi. Ne consegue che la versificazione non determina, sola, il modo.
Il problema che Beck pone è fondamentale e si intuisce l'importanza che assume nell'interpretazione della tradizione della melodia di Ja nuns hons pris: l'idea che attestazioni di una melodia in notazione modale aiutino a comprendere quelli scritti con una notazione amensurale, ossia che la lezione di O possa aiutare a comprendere quella di KNX, è da giudicare con molta cautela, perché a una stessa versificazione possono corrispondere non solo varie interpretazioni del modo, ma una notazione modale differente.
Partendo da queste premesse, e considerando il carattere amensurale della melodia nei manoscritti KNX, si ravvisa la necessità di un'edizione che non lasci nell'ombra del ritmo di O le melodie che riportano forse non solo un'informazione per difetto, ma testimoniano un livello parallelo della melodia: l'applicazione del modo potrebbe essere una costrizione di una concezione ritmica in un sistema di notazione nuovo. Inoltre il modo che si legge potrebbe non corrispondere a quello originario, ma essere un'interpretazione del copista, che nel caso dello Chansonnier Cangé è non solo un ottimo notatore, ma anche un abile musicista, in grado di trasporre melodie e sanare errori del copista, e certamente capace di sostituire un modo o dare una veste ritmica a un canto che originariamente non l'aveva. Il fatto che ci sia pervenuto un manoscritto che riporta una notazione evidentemente mensurale come quella di O, non esclude che la canzone sia stata concepita come un canto a ritmo libero, declamatorio, simile a quello gregoriano, secondo l'interpretazione che dà della monodia trovierica Hendrik van der Werf [1].
Se, al contrario, il componimento fosse in origine perfettamente inquadrabile in uno schema modale, cosa che in ogni caso non è possibile accertare, il modo applicato alla canzone potrebbe comunque essere frutto dell'interpretazione del notatore, e un'edizione ritmicamente neutra rappresenterebbe un livello della tradizione, certamente incompleto, ma non di minor valore rispetto ad O.
Dare piena autorità al ritmo di O appare allora incauto, perché dove gli altri manoscritti tacciono, attestano un non-ritmo. Inoltre sostanziali varianti melodiche che accomunano KNX, e non sono presenti in O, sono state obliterate in favore dello Chansonnier Cangé.



Edizioni di Friedrich Gennrich
Gennrich edita tre volte la melodia della rotrouenge: con questa definizione di genere, che ebbe e continua ad avere grande fortuna, la musica di Ja nuns hons pris è edita per la prima volta, nel 1925, in Die altfranzösische Rotrouenge : literarhistorisch-musikwissenschaftliche Studie II. Infatti Gennrich, inserisce il componimento di Riccardo nel suo studio sulla rotrouenge in lingua d'oïl per via della sua struttura: due pes (a) costituiti da due versi di dieci sillabe, seguita da una cauda (b) che termina con un ritornello: la parola-refrain «pris». Una rotrouenge si compone di due o più sezioni che ricalcano una stessa melodia, più un ritornello (per le caratteristiche testuali della rotrouenge cfr. Introduzione [42]). Stando all'edizione del testo di Gennrich e non volendo contestare l'identificazione di un refrain in una sola parola, si potrebbe annoverare la canzone tra le rare rotrouenges. Tuttavia, poiché l'edizione è basata su un solo testimone, lo Chansonnier Cangé, sorgono alcune riserve. Se si confrontano le varianti di KNX si osserva che la melodia della seconda strofa è decisamente mutata rispetto alla prima e anche volendo ipotizzare un errore congiuntivo che riporti le note alla stessa altezza diastematica - come fa Tischler – i due piedi ancora non coinciderebbero. L'identificazione del refrain in una sola parola potrebbe allora contribuire a riconsiderare la tesi che fa di Ja nuns hons pris una rotrouenge, o a limitare questa definizione al componimento tradito nel manoscritto O.
La seconda edizione è del 1955, in Altfranzösische Lieder - Tübingen, M. Niemeyer, sostanzialmente identica alla prima; la terza edizione, che propongo in sinossi con gli altri editori, è di pochi anni successiva e appare in Exempla: altfranzösischer Lyrik: 40 altfranzösische Lieder - Darmstadt, F. Gennrich, 1958: questa non si discosta dalle precedenti, fatta eccezione per l’eliminazione dell’indicazione del tempo.
Le note sono scritte in chiave di violino semplice nella versione del 1925, in chiave di violino da eseguire un’ottava sotto nelle edizioni successive. Le battute riportano un ritmo ternario ma a base binaria: 6/4. Il ritmo è identificato principalmente con il III modo, l'ossatura della notazione della canzone è: longa perfecta (= 3 brevis), – brevis – brevis alterata (= 2 brevis). 
Sono quindi rintracciabili tre suddivisioni nel piede che corrispondono a tre "posizioni" nella battuta: la prima della durata di 3/4, la seconda della durata di 1/4, la terza della durata di 2/4.
In notazione moderna: la virga, in prima posizione assume il valore di una longa perfecta e vale 3/4; in terza posizione la longa è imperfecta e vale 2/4 . La brevis – rappresentata dal punctum - in seconda posizione vale 1/8, in terza posizione diventa alterata e vale 2/4. In finale di strofa sia virga che punctum arrivano a valere 3/4.
Il III modo è visualizzato quindi: minima puntata – semiminima – minima.
I gruppi neumatici sono segnalati con legature di valore o semplicemente collegate con uno o più tratti di unione tra i due gambi. Gennrich trascrive i gruppi neumatici composti da due note: 1/4 + 2/4 in prima posizione; 1/8 + 1/8 in seconda posizione ; 1/4 + 1/4 in terza posizione; 1/4 + 2/4 in finale di strofa. Le pliche sono considerate come un semplice gruppo neumatico.
I gruppi neumatici di tre note sono invece trascritti: 1/16 + 1/16 + 2/4 in prima posizione; 1/16 + 1/16 + 1/4 in terza posizione.
  
Edizione di Jean Beck
Jean Beck si basa esclusivamente sul testo del manoscritto O: edita la canzone di Riccardo Cuor di Leone nel 1927, nel volume dedicato allo Chansonnier Cangé (Bibl. Nat. Fr. 846), nella serie Les Chansonniers des Troubadours et des Trouvères della collana Corpus Cantilenarum Medii Aevi. Al primo tomo, dedicato principalmente alle edizioni fotografiche, si affianca il secondo, dove le trascrizioni delle melodie ed edizioni interpretative dei testi contenuti nel codice sono precedute da un'ampia introduzione. Vale la pena riassumerne alcuni passi al fine di comprendere le sue scelte nella trascrizione della melodia.
Per Beck, l'unico modo di comprendere il ritmo della musica medievale passa attraverso lo studio delle fonti, dalle quali, su base statistica, è possibile desumere delle norme generali. Uno dei punti fondamentali dell'introduzione è questo:
«L'analisi ritmica dei tropi, sequenze, organa, conductus e mottetti scritti in notazione mensurale, che indica esattamente la durata delle sillabe cantate, porta ad una prima constatazione: non c'è, nella canzone latina o francese del medio evo alcun rapporto obbligatorio tra le sillabe che portano l'accento tonico delle parole, da una parte, e i tempi forti della misura musicale, all'interno del verso, dall'altra.» J.Beck, Chansonnier des troubadours et des trouvères II, p. 36, traduzione mia)
Questo evidenzierebbe la continuità con la prassi della poesia latina, che sacrifica l'accento tonico di parola alle esigenze del metro. Anche i modi non sarebbero altro che la sopravvivenza dei metri classici (ibid. p. 37). Il III modo, che forma la struttura ritmica della melodia di Ja nuns hons pris, ha infatti un andamento dattilico, (longa – brevis – brevis), e piega sistematicamente l'accento di parola al ritmo del canto (ibid. p. 38).
Una sola regola lega il ritmo e l'accento tonico: la sillaba tonica della rima deve cadere su un tempo forte.
Il passaggio dalla poesia quantitativa a una poesia basata sull'accento e sul numero delle sillabe ha portato a una concezione isosillabica, cioè in cui le sillabe avevano una stessa durata.
Beck si avvale dell'opinione «d'un des meilleurs connaisseurs de la musique polyphonique», Friedrich Ludwig [2], secondo il quale i modi della ritmica primitiva medievale sarebbero stati il V, dove tutte le sillabe si equivalgono in un'unità costituendo un andamento binario (longa perfecta - longa perfecta), e il VI, ad andamento ternario, (brevis brevis brevis – brevis brevis brevis), proprio in virtù dell'equipollenza della durata delle singole note.
Sarebbero le prime forme del discantus, i tenori dei mottetti, caratterizzati dal V modo, i testimoni di questo ritmo primordiale.
Sulla base delle dichiarazioni dei musicisti e dei testi stessi, Beck si schiera contro una ternarietà assoluta, che reputa «une merveille d'ingéniosité arithmétique» dei mensuralisti: una perfezione teorica non deve corrispondere necessariamente alla pratica.
Allargando la prospettiva ad una visione mondiale e interculturale della pratica musicale, Beck sostiene che la ternarietà della scuola mensuralista medievale sia schiacciata dal numero di esempi di ritmo binario: la ternarietà teorica segue nei fatti una logica binaria.
Contro la tesi della necessaria ternarietà della musica medievale Beck trae dal Tropario di Burgos e dai Mottetti di Bamberg svariati esempi tra Organa, tenori di mottetti, prose ritmate, e ne evidenzia il ritmo isocrono del V modo - ex omnibus longis et perfectis - che consiste in una serie di sillabe neutre, cantate su note di uguale durata: questo, di marginale applicazione nella trascrizione delle canzoni dei trovatori, predomina nelle composizioni antiche e forma le assi del sistema ritmico medievale.
Tenendo presente le citazioni prese da testi teorici medievali [3] - che avvalorano la tesi di una concezione binaria del ritmo - possiamo comprendere la sua scelta di trascrivere la melodia in uno schema binario:
Lo spartito non riporta l'indicazione di tempo, ma fa corrispondere ogni battuta al valore convenzionale di 2/4. Il decasillabo è suddiviso in quattro piedi dattilici: il piede sarà diviso in tre "posizioni", di cui la prima lunga, la seconda e la terza brevi. In base alla posizione che il neuma occupa nel dattilo Beck assegna un valore di durata: il punctum e la virga valgono 1/4 se in prima posizione, 1/8 se in seconda o terza posizione, 2/4 se in finale di strofa. I gruppi neumatici sono segnalati con legature di valore o semplicemente collegate con uno o più tratti di unione tra i due gambi, a seconda se queste siano crome o semicrome; i gruppi di due note hanno valore uguale fra loro: ogni nota ha una durata di 1/8 se occupa la prima posizione del dattilo, 1/16 ne occupa la seconda o la terza posizione; in finale di strofa, in prima posizione, la seconda nota si allunga e assume il valore di 1/2. Le pliche sono considerate come un semplice gruppo neumatico, nonostante Beck nell'introduzione si soffermi sulla sua peculiare natura liquescente, che descrive come un glissando in finale di nota. I gruppi di tre note non si presentano mai sotto forma di terzine, ma la terza nota vale il doppio delle altre due: le prime due note valgono 1/16 e la terza 1/8, o eventualmente 1/2, se precede una pausa.
 



Edizione di Archibald T. Davison e Willi Apel
L'edizione della canzone è pubblicata in Historical Antology of Music (1949), nell'ambito di un'antologia che passa in rassegna i generi musicali dal medio evo fino al '900. Principale scopo dell'antologia è di essere fruibile sia da studiosi che da studenti ed esecutori, e pertanto cerca di rendere gli spartiti adatti a diversi gradi di abilità di lettura.
Nella breve sezione dedicata alla musica dei trovieri è trascritta, nella versione tradita dallo Chansonnier Cangé, Ja nuns hons pris, classificata come ballade. Evidentemente la definizione di Gennrich non deve aver convinto Davison e Apel, che come esempio di rotrouenge preferiscono citare Pour mon coeur di Guillaume de Vinier, per il quale rinvia proprio al lavoro dello musicologo tedesco.[4]
Nonostante gli editori minimizzino il problema dell’interpretazione modale nella lirica francese («modal rhytm can be applied in most cases, usually without much ambiguity.» p. 216) non applicano uno schema modale alla melodia di Riccardo.
Davison e Apel si discostano dal ritmo binario di Beck, mostrandosi però in accordo con il filologo francese sul valore isosillabico dei neumi.
Ne risulta una partitura poco articolata, isosillabica, in chiave di violino da eseguire un’ottava sotto, in battute da 3/4, senza specificazione di tempo ad inizio di rigo, con equipollenza tra i neumi virga e punctum, (1/4; in finale di verso 2/4). Questi all'occorrenza possono assumere la una durata di 2/4 anche all'interno della frase musicale, come all'ultimo verso, la cui veste ritmica mette a dura prova il trascrittore.
I gruppi neumatici di due note sono, tra loro, di uguale durata (1/8), ma in fine di strofa si allungano fino a riempire tutta la battuta (1/4 + 2/4, con legatura). Le pliche sono considerate come un semplice gruppo neumatico. I gruppi neumatici da tre note sono legati in una terzina di crome (occupano quindi la durata di 1/4), mentre in finale di verso si allungano e si sciolgono dal ritmo terzinato (1/8 + 1/8 + 1/4).
 
Edizione di Hans Tischler
La più recente e più completa edizione si trova nella monumentale opera di Tischler, Trouvère lyrics with melodies : complete comparative edition (American Institute of musicology, Hänssler-Verlag, 1997, vol. XII, n. 1079). Si trovano qui in sinossi i quattro manoscritti: O e K per esteso, per X ed N riporta invece solo le varianti rispetto a K. La canzone viene qui definita una chanson de croisade.
Tischler offre in molti passaggi varianti ritmiche e specifica i punti in cui l'interpretazione è discordante con il dato paleografico.
La trascrizione della melodia del ms. O adotta una lettura modale, prevalentemente secondo il III modo, le cui modalità sono già state spiegate nel paragrafo dedicato all'ed. Gennrich. Per K(NX) invece il ritmo è isosillabico, seppure imbrigliato in una veste mensurale. I gruppi neumatici sono collegati fra loro con i normali tratti di unione tra i gambi, ben distinti dai neumi designati con note singole. L'andamento ternario è espresso in 6/8: Nella trascrizione di O, questa suddivisione spezza a metà la battuta; i primi tre ottavi (prima posizione) sono occupati dalla longa perfecta, (Tischler specifica in nota quando, eccezionalmente, è un punctum a occupare questa posizione) o da un gruppo neumatico; i restanti tre ottavi sono divisi in altre due posizioni, la seconda posizione della durata di 1/8, la terza della durata di 2/8: esse corrispondono rispettivamente a una brevis e a una brevis alterata.
I gruppi neumatici di due note sono trascritti come una coppia di ottavi se in terza posizione, come 1/8 + 2/8 (con parentesi di unione) se in prima posizione.
Il ritmo terzinato di questa suddivisione rende i gruppi neumatici di tre note semplici da gestire, evitando di passare da un andamento binario ad uno ternario: ogni nota del gruppo neumatico assume valore di 1/8, (terzine da 1/16 se in seconda posizione). In finale di strofa il ritmo terzinato si scioglie e il gruppo neumatico è espresso con 1/16 + 1/16 + 1/8 lasciando 1/8 alla pausa.
Per K(NX) la suddivisione in 6/8 rappresenta uno schema più libero, dove ogni ottavo rappresenta un'entità ritmica individuale. Le note hanno la metà del valore rispetto alla notazione di O, e di conseguenza è dimezzato anche il numero delle battute. L'interpretazione modale viene meno e ogni neuma, virga, punctum o gruppo neumatico ha la stessa durata (1/8); la sillaba finale di strofa raddoppia il suo valore e occupa quindi 2/8.
I gruppi neumatici di due note valgono 1/16 ciascuna (variante: legati o divisi), e i gruppi neumatici di tre note da una terzina di sedicesimi (variante: legati o con le prime due note divise dalla terza).
Ogni decasillabo si articola quindi in 12 pulsazioni, 9 sillabe isocrone da 1/8, una finale da 1/4, e una pausa (1/8) che chiude il verso.
Le pliche sono segnalate con un trattino che barra il gambo della seconda nota.
La trascrizione è in chiave di violino da eseguire un’ottava sotto.


 

 

[1] H. van der Werf, scettico nei confronti di un'interpretazione modale, osserva che, se avessero seguito un tale schema notazionale, gli amanuensi avrebbero allora commesso un'enorme quantità di sviste ed errori. (H. van der Werf, The extant troubadour melodies: transcriptions and essays for performers and scholars - Gerald A. Bond text editor, Rochester, published by the author, 1984). Nella testimonianza di O vi riscontrano difatti diverse eccezioni al sistema modale, le quali sia Tischler che Gennrich sono stati obbligati a ignorare o specificare in nota.
[2] F. Ludwig, Zeitschrift der internationalen Musikgesellshaft XI, pp. 37 ss. e Repertorium, pp. 53 ss.
[3] «Intellege quod pes integrum (una unità di misura) intellegitur in qualibet longa in quinti modi.» ( o «longa apud priores organistas duo tantum habuit tempora, sic in metris» (Walter Odington, in Coussemarker, Scriptores, I, 235).
[4] «Less clearly defined and less frequent is the rotrouenge (h), the characteristic feature of which seems to be the repetition of the same melody for all the lines of the stanza except the last, or last two: aaaab/aaabB» Davison, Appel. Historical Antology of Music, p. 216.
 
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Analisi delle edizioni

L'analisi delle scelte di trascrizione si basa principalmente sul manoscritto O, che è stato preso in considerazione da tutti gli editori, mentre gli altri codici sono trascritti solamente nell'opera di Tischler. Si propone qui un'analisi di alcuni casi esemplari mirati ad esporre i criteri seguiti dagli editori, finora enunciati teoricamente [31], e dei punti in cui le trascrizioni divergono per lettura dell'altezza dei neumi o per interpretazione ritmica.

1.

O: rigo 1, neumi 1-6. Chiave di do su terza linea; quattro punctus su terza linea, punctus su quarta linea, punctus nel terzo spazio : do – do – do – do – mi – re.

Beck propone un andamento binario, sullo schema del dattilo, dove il primo neuma è considerato una longa, e vale il doppio dei due seguenti punctus, considerati breves. Davison scrive tre note dello stesso valore. Gennrich e Tischler considerano il primo punctus una longa perfecta e trascrivono le note secondo il paradigma del III modo: la prima nota dura tre pulsazioni di battuta, la seconda una, la terza due. Tutti gli editori ripropongono la medesima interpretazione ritmica dei seguenti tre neumi.

2.

K: rigo 1, neumi 1-7                     N: rigo 1, neumi 1-7                X: rigo 1, neumi 1-7
Chiave di do su quarta linea; sei
punctus (virgae, in N ) su quarta linea e una clivis nel terzo spazio - terza linea: do – do – do – do – do – do – si la.

La linea melodica è monocorde rispetto all'articolazione di O.
Tischler non distingue tra breves e longae, punctus e virgae; trascrive neumi e gruppi neumatici con note o gruppi di note che occupano la stessa durata.

3.

O: rigo 1, neumi 7-9; chiave di do su terza linea; clivis su terza linea – terzo spazio, punctus su seconda linea, clivis nel secondo spazio – primo spazio: si la – sol – la fa.
Per il primo neuma Beck e Davison trascrivono due note di uguale durata: in Beck il neuma occupa metà del piede, la posizione della longa, (due note, ciascuna uguale a 1/8) e suddivide a metà il resto della battuta, in due breves: il punctus è trascritto con una nota da 1/8 e la seconda clivis con due note, ciascuna del valore di 1/16.
Davison invece assegna 1/3 della battuta a ciascun neuma; ne risulta che le clivis, qui come in tutta la trascrizione, hanno lo stesso valore indipendentemente dal contesto; il punctus occupa la stessa durata della clivis.
Gennrich e Tischler non assegnano un valore di durata univoco alle clivis; quella che è in prima posizione nel piede ne occupa la metà, ovvero la durata di una longa perfecta: in questo caso la prima nota del gruppo neumatico vale la metà della seconda; la clivis che occupa la terza posizione nel piede, quello della brevis alterata, è trascritta con due note di uguale durata che si spartiscono l'ultimo terzo della battuta (due note da 1/8 in Tischler, due note da 1/4 in Gennrich). Il punctus, che occupa la seconda posizione nel piede, equivale ad una brevis (del valore di 1/3 di una longa perfecta, e di 1/2 di una longa imperfecta o di una brevis alterata).
Gennrich in tutte e tre le edizioni legge la seconda clivis «si la», gli altri editori sono invece concordi nel leggere «si sol».

4.
                                                                             
N: rigo 2, neuma 5.                X: rigo2, neuma 6.              K: rigo 2, neuma 6.
N: Chiave di fa su seconda linea; K, X chiave di do su quarta linea; virga nel terzo spazio: si.

Tischler segnala una variante di N (do) rispetto a KX (si), che non riscontro.

5.

O: rigo 2, neuma 1. Chiave di do su terza linea; virga nel primo spazio, tratto verticale nel primo spazio: sol – pausa.

La virga, in finale di verso, tende ad allungarsi: Davison le conferisce il doppio della durata, per un totale di due terzi della battuta, la pausa occupa il restante terzo. Gli altri editori assegnano alla nota la metà della battuta.

6.

K: rigo 2, neumi 2- 3.      N: rigo 2, neumi 2-3           X: rigo 2, neumi 2-3
KX: chiave di do su quarta linea; N: chiave di fa su seconda linea; punctus su terza linea, clivis su terza linea – secondo spazio: la – la sol.
KNX riportano una disposizione ritmico-melodica opposta a O. Tischler trascrive regolarmente il punctus e la clivis (= 1/8).

7.

O: rigo 2, neuma 5. Chiave di do su terzo rigo; climacus su terza linea – secondo spazio – terza linea: do si la.
Beck mantiene l'andamento binario, e assegna al neuma la durata complessiva della longa: le prime due note valgono la metà della terza (1/16 + 1/16 + 1/8). Davison, ligio all'andamento isosillabico, assegna lo stesso valore[1] a tutti i neumi: trascrive una terzina di crome.
La più evidente discordanza tra Tischler e Gennrich riguarda i gruppi neumatici di tre note, non esente da ambiguità nella notazione modale: entrambi assegnano al gruppo neumatico la durata complessiva di una longa perfecta poiché occupa la prima posizione del piede, ma Tischler trascrive tre note da un 1/8, mentre Gennrich le interpreta con due note da 1/16 legate ad una di 2/4[2]: l'andamento ternario del primo si oppone all'aspetto binario del secondo. Come mostrano le discordanze, questo è un punto che necessita di un particolare sforzo esegetico: la versione di Gennrich comporta un'innegabile forzatura in sede esecutiva, che nessuna trascrizione risolve completamente, né il rigore metodologico di Beck né l'isosillabismo di Davison, che costringe tre note in un terzo della battuta. Tischler offre l'interpretazione più funzionale, ma sembra che le due seguenti note restino irrelate nel contesto, non comportando la ripetizione dei patterns ritmico-melodici sui quali si sviluppa la linea del canto.

8.
       

X: rigo 3, neumi 5-7. Chiave di do su terza linea; plica su primo spazio -primo rigo, due virgae (gambo corto o evanescente) su primo spazio e prima riga: sol fa – sol – la.

X: rigo 4, neumi 1-5. Chiave di do su quarta linea; 5 virgae (di cui la quarta con gambo corto o evanescente) su terza linea: la – la – la – la – la.

N: rigo 3, neumi 4-8. Chiave di do su quarta linea; clivis nel secondo spazio – seconda linea, virga nel secondo spazio, punctus e punctus caudatus su terza linea: sol fa – sol – la – la. N: rigo 4 , neumi 1-4. Chiave di do su quarta linea; virga, punctus, virga (? gambo corto) e punctus (caudatus?) su terza linea: la – la – la – la.

K: rigo 3, neumi 4-7. Chiave di do su quarta linea; clivis e virga nel secondo spazio, due punctus su terzo rigo: sol fa – sol – la – la.

K: rigo 4, neumi 1-4. Chiave di do su quarta linea; punctus e tre punctus (caudatus): la – la – la – la.

 

Tutti e tre i manoscritti sono concordi per la lezione: sol fa – sol – la – la – la – la – la – la. Tischler, forse per non sacrificare la simmetria con la prima strofa, trascrive: si – la – si – do – do – do – do. L'editore, riferito al manoscritto N, nota che la chiave è scritta una linea troppo in alto, perciò le sette note precedenti  ​(Cfr. Nota 2b dell'edizione [43] di Tischler [43], riportata in calce alla trascrizione, dove dice che le sette note sono le "successive") sembrano essere scritte una terza più basso. Lo stesso sembra dire di X, mentre per K si suppone lo abbia lasciato sottinteso. Si vedano però le note che precedono nel rigo:

K: rigo 3, neumi 1-4. Chiave di do su quarta linea; punctus su quarta linea, punctus nel terzo spazio, pressus nel terzo spazio – terzo spazio – terza linea, tratto verticale nel terzo spazio, clivis nel secondo spazio – seconda linea: do – si – si si la – sol fa. N: rigo 3, neumi 1-4. Chiave di do su quarta linea; virga su quarta linea, virga nel terzo spazio, pressus nel terzo spazio – terzo spazio – terza linea, tratto verticale nel terzo spazio, clivis nel secondo spazio – seconda linea: do – si – si si la – pausa – sol fa. X: rigo 3, neumi 1-5. Chiave di do su terza linea; virga nel secondo spazio, punctus su terza linea, virga nel secondo spazio, pressus nel secondo spazio – secondo spazio – seconda linea, clivis nel secondo spazio – seconda linea: si - do – si – si si la1 – sol fa.

1 Neuma 4: Tischler segnala una variante di X che non riscontro.

Tutti e tre i manoscritti riportano la stessa lezione; Tischler, che riscontra un errore comune alla tradizione nel posizionamento della chiave, non apporta modifiche alle note precedenti alla clivis, seppure esse si trovino sullo stesso rigo e le altezze dei suoni siano perciò soggette allo stesso parametro di notazione.

Oltre alle notevoli variazioni che diversificano la seconda strofa di KNX dalla prima, e volendo considerare legittima la correzione apportata da Tischler, almeno per quanto riguarda la melodia questi tre manoscritti, non sarebbe possibile classificare il componimento come una rotrouenge, perché la struttura delle strofe sarebbe: abc|d, e non aab|c

9.

O: rigo 4, neuma 5. Chiave di do su terza linea; plica nel secondo spazio – seconda riga: si (la).

Tutti gli editori trascrivono la plica con due note di uguale valore; solo Tischler la segnala con un trattino che barra il gambo della nota discendente. Gli altri, che non trascrivono la seconda strofa, ma con un segno di ripetizione rimandano alla melodia della prima, incorrono necessariamente in una semplificazione. Infatti le trascrizioni di Davison e di Beck assegnano le note della clivis (si sol) della sillaba rai(-son), cantato nella prima strofa (Cfr. par 3)​, anche alla sillaba chan(-son) della seconda strofa, alla quale, nel manoscritto, è assegnata la plica in questione; Gennrich al contrario assegna ad entrambe le sillabe le note della plica (si la).

10.

O: rigo 7, neumi 3-8. Chiave di do su terza linea; climacus su terza linea – secondo spazio – primo spazio, tratto verticale nel primo spazio, punctus su terza linea, punctus nel terzo spazio, clivis su terza linea – secondo spazio, punctus su seconda linea, climacus nel secondo spazio – seconda linea – primo spazio: do si sol – pausa – do – re – do si – la – si la sol.

É il passaggio più complicato della melodia: seguendo lo schema del III, Gennrich e Tischler assegnano al primo climacus la durata di una longa perfecta, non interrompono la battuta, e vi accorpano l'inizio del verso finale, costituito da due punctus, per terminare regolarmente il piede (con brevis + brevis alterata); segue il nuovo piede: alla clivis è assegnata la durata della longa perfecta, al successivo punctus la brevis, all'ultimo climacus la brevis alterata. I due studiosi applicano quindi regolarmente i criteri già esposti. Davison e Beck, privilegiano invece la regolare pausa alla fine del verso, evidenziata dal tratto verticale – e obliterata dalle edizioni di Tischler e Gennrich come non significativa in ambito ritmico. Fanno coincidere quindi l'inizio del verso con l'inizio della battuta: entrambi conferiscono ai due punctus una durata uguale (Beck: 1/8 + 1/8; Davison: 1/4 + 1/4), e completano la battuta trascrivendo la clivis con due note di uguale lunghezza (1/8 + 1/8). Perché il mot-refrain cada su un «tempo forte», ossia ad inizio battuta, Davison è costretto ad assegnare una durata eccezionale all'ultimo punctus (=2/4) per terminare la battuta con una terzina di crome. Tischler e Gennrich, che come si è visto, si differenziano nella suddivisione adottata e nella gestione dei gruppi neumatici di tre note in prima posizione nel piede, concordano sul finale, nell'attuare una condensazione degli elementi melodici (clivis, punctus e climacus in una sola battuta) che crea una pregevole fioritura sul finale. Il riposo tra un verso e l'altro è la discordanza più apprezzabile tra gli editori, comporta infatti uno scarto nel numero delle battute. Affiorano allora due diverse concezioni strutturali della canzone: una che vede una serie di tre strofe alle quali segue una strofa più breve "dedicata" al mot-refrain, forma che forse rispecchia più fedelmente lo schema metrico testuale; può essere altrimenti intesa come una canzone di due strofe alle quali ne segue una più lunga che termina con il mot-refrain: questa interpretazione rischia di non dare alla cadenza la risonanza di cui necessita per essere recepita, risultando dispersiva all'orecchio. Beck, nel suo studio sullo chansonnier Cangé, mette in risalto l'accuratezza quasi maniacale del notatore, esperto musicista, che difficilmente scrive indicazioni superflue o confuse: anche se complica il quadro metrico della melodia, la pausa che leggiamo e che divide i due versi probabilmente non è semplicemente una svista o un segno convenzionale.

 

[1] Ma non ai neumi in finale di verso, o eccezionalmente alla battuta 22, per ovviare all'ambigua forma ritmica nel finale della cobla.

[2] Necessario tener presente che Tischler scrive in 6/8 e Gennrich in 6/4.

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[6] http://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=node/179/edit#sdfootnote1anc
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[8] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/canzoniere-c
[9] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/canzoniere-k
[10] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/canzoniere-n
[11] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/canzoniere-o
[12] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/canzoniere-u-7
[13] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/canzoniere-x
[14] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/canzoniere-z%E1%B5%83
[15] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/canzoniere-p
[16] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/canzoniere-s
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[18] https://www.e-codices.unifr.ch/en/bbb/0389/103v/0/Sequence-2614
[19] http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b550063912/f420.image.r=arsenal%205198.langEN
[20] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=gallica.bnf.fr/ark%3A/12148/btv1b550063912/f420.image.r%3Darsenal%25205198.langEN
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[28] http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b6000800f/f96.image.r=12472.langEN
[29] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/edizione-diplomatico-interpretativa-delle-melodie
[30] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/esecuzione-cura-del-laboratorio-lmr
[31] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/le-edizioni-musicali
[32] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/esecuzione-musicale-cura-del-laboratorio-lmr
[33] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/nota-sullesecuzione-della-melodia
[34] http://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=content/riccardo-cuor-di-leone-ja-nuns-hons-pris-ne-dira-sa-raison#
[35] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/sites/default/files/JA%20nus%20Fabiano%20-%20O.mp3
[36] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/sites/default/files/Ja%20nus%20Fabiano%20KXN%20FINALE%20-%2018%3A06%3A18%2C%2018.20.mp3
[37] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/sites/default/files/ja%20nus%20hons%20pris%20ne%20dira%20sa%20raison%2023%20apr%2014.pdf
[38] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/le-edizioni-musicali#friedrichGennrich
[39] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/sites/default/files/sinossi%20nuova_2.pdf
[40] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/analisi-delle-edizioni
[41] http://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/sites/default/files/sinossi%20nuova_2.pdf
[42] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=laboratorio/introduzione-1
[43] http://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/sites/default/files/sinossi%20nuova.pdf
[44] http://www.atilf.fr/dmf.