La canzone Tutto 'l dolor ch'eo mai portai fu gioia è composta da sette stanze: le prime cinque di 14 versi (13 endecasillabi e 1 settenario) e le ultime due di 6 versi (5 endecasillabi e 1 settenario), che formerebbero la cauda. La canzone è formata da coblas singulars, ma è anche importante notare la presenza di cobals capcaudadas (IV - V) e di coblas capdenals (II - III- V).
I.
1 - 4
'Tutto il dolore che io ho sempre sostenuto fu gioia | e la gioia (è) niente in confronto al dolore | del mio povero cuore al quale solo la morte può venire in aiuto, | poiché ormai non riesco a vedere nient’altro che abbia (più) valore'.
L'incipit è caratterizzato dalla comune e apparentemente paradossale forma dell'amor cortese, che unisce gioia e dolore, un lessico sia euforico (gioia, piacer) che disforico (dolor, noia, tristore, povertà, oltraggio); si noti la forma chiasmica dei vv. 1 - 2: dolor, gioia e gioia, dolore. Questa commistione evidenzia subito il furor amoroso e l’impossibilità di amare l’amata, concetto ben presente nella «passio quaedam innata, procedens ex visione et immoderata cogitatione» di Andrea Cappellano [De Amore, I.I]. Gli ultimi due versi (3 - 4) spiegano e amplificano il paradosso precedente: la gioia provata, seppur ricavata da un dolore, nulla può in confronto al dolore del cuore, al quale solo la morte potrà porre eterno rimedio, dato che il poeta non vede valore in nessun altra cosa. ♦ 1. eo: freq. senza anafonesi normalmente ad Arezzo (Castellani), come Deo, meo. Da notare che V e P riportano la forma in anafonesi (io). ♦ 2. neente: ‘niente’, forma non ancora dissimilata, là dove neiente avrebbe provocato ipermetria; neiente (< ne-gente) è forma tramandata sia in antico senese che in aretino (Rohlfs); apo: 'nei confronti di'. ♦ 3. meo: forma più freq. in L rispetto a mio; cor: parola poetica per eccellenza, sempre senza dittongo. sochorga: tipica resa grafica <-ch-> per la resa della velare sorda, in oscillazione, ad esempio, con <c-> (cfr. v. 4). Prevalgono le scrizioni <ca>, <co>, <cu> su quelle <cha> ecc. ♦ 4. veo: ‘vedo’, con sincope (cfr. anche vao, presente passim in L).
5 - 8
'Perché, prima del piacere, la noia può poco, | ma dopo [il piacere], [la noia] ha potere di dar troppo dolorsamente tristezza a un uomo: | è d’uso che la povertà si presenti maggiore | a colui che ritorna (nuovamente in quello stato), piuttosto che a chi ci entra (per la prima volta)'.
Il dolore, quindi, prevale e parrebbe essere associato al concetto di povertà: il poeta ama, ma il dolore lo fa tornare in uno stato di povertà sottraendolo all’amore, alla vera ricchezza (ciò può essere confermato dal v. 23: «Ch’a lo riccor d’amor null’altro è pare»). Da notare, anche qui, la figura chiasmica e cronologica (vv. 5 - 6): prima, poi; noia, tristoro. Sebbene forte troppo possa anche concordarsi con tristore, se rispettiamo la sequenza quantitativa sancita da poco, prima, e troppo forte, dopo, gli agg. sarebbero da ricondurre logicamente a noia. ♦ 5. pò: ‘può’, esito non dittongato (< lat. POTET), pote si oppone alla forma ditt., forse perché sentito come latinismo; noia: dal. provenz. enoja ('noia', ma anche 'tristezza'). ♦ 6. forte: 'dolorosamente' (Contini). ♦ 7. conven: ‘conviene’, mancato ditt.; prevalenza in L di vene su viene. ♦ 8. ritornator: 'chi si viene a trovare di nuovo in un determinato stato o condizione' (TLIO, la forma è prima e unica attestazione), non sonorizzato (insieme a entrator), a differenza di V e R.
9 - 11
'Dunque io - povero me! - sono ritornato in povertà, | dopo essere stato ricco, | come mai non fece nessuno del mio stesso lignaggio'.
Il dunque incipitale riprende il concetto precedente sul topos della povertà: il poeta, che ha già fatto esperienza ed è quindi ritornatore, torna anche in povertà. L'atto di tornare in una situazione di povertà è eccezionale ed evidenzia una condizione unica per il poeta. ♦ 9. Adonqu’eo: più freq. la forma senza anafonesi. ♦ 10. piò: 'più', l’oscillazione tra giò e giù provoca quella tra piò e più, tipica del toscano antico (dove prevale piò) (cfr. Castellani 2000, p. 290); acquistato: 'dopo essere stato', in senso fig. (TLIO). 11. paraggio: dal prov. paratge ('nobiltà, lignaggio').
12 - 14
'Soffrirà Dio nel non vedermi più vivere in modo da violare la dignità di tutta la gente e fuori del mio senno? | Non credo, a meno che non voglia la mia dannazione'.
Il passo è di difficile interpretazione. Con questa domanda retorica che chiude la stanza, il poeta sembrerebbe chiedere l'aiuto divino per migliorare la sua condizione. ♦ 12. ' sofferrà: ‘soffrirà’, senza sincope vocalica; oltraggio: dal fr. ant. oltrage (DELI); più: qui prevale su piò. Cfr. v. 10. ♦ 13. for: forma freq. aretina (Castellani 2000); sennato: senno (prov. sen) è termine per eccellenza dell'amor cortese, facente parte del Quarteron che vede Razo, Mezura, Humeur, Sens. ♦ 14. vol: in tutto L, nelle forme ‘volere’ è predominante in monottongo; mio: caso di oscillazione anafonetica; dannaggio: dal prov. damnatge (DEI).
II.
15 - 18
'Ahi, povero me, che vidi male, amaro amore, | la vostra soprannaturale bellezza | e l’onorato gradevole piacere | e tutto il bene, che è in voi somma grandezza'.
La seconda stanza si apre con un lamento che prelude a un omaggio nei confronti dell'amata: il poeta sbagliò nel vedere la bellezza e le altre qualità quasi divine della donna, vale a dire che non riuscì a coglierne il senso profondo, amando quindi di un amore superficiale e grezzo, non guardato con la virtù richiesta dall’amor cortese ♦ 15. cfr. GiacLent «amor, vostr'amistate vidi male». 16. sovra natoral: topos letterario fondamentale: la bellezza della donna è sovrannaturale (lett. sopra natura), cioè sine mensura e quindi divina; natoral: o protonica (sviluppo di Ū latina > o ); bellessa: mantiene sempre questa grafia, <-ss->, a indicare una sibilante di grado forte (vd. anche Aresso, Palasso, solasso). Fenomeno principale dei diall. tosc. occ.: perdita (per influsso sett.) dell’elemento occlusivo delle affricate /z/ (sorda e sonora), che vengono a coincidere con /s/ (sorda e sonora), si pensa nella prima metà XII sec. ♦ 17. piacenter: dal prov. plazentier, qui senza palatalizzazione del nesso t + j. ♦ 18. somna: altra parola fortemente connotante una posizione superiore, irraggiungibile; tipica grafia alternativa per somma; grandessa: vd. supra v. 15.
18 - 22
'e sbagliai ancor di più nel vedere il vostro buon cuore | cosa che abbassò il vostro superbo pregio | nel fare di noi due un cuore e un volere,| perché io - più d’ogni altro uomo - mai portai ricchezza (d'amore)'.
L'accento torna sull'errore d'amore, il quale consiste nel non capirne l'altezza: il poeta, uomo reso povero da un amore cieco e non degno, ha contaminato il candore dell'amata, portandola al suo stesso livello, non avendo mai portato con sé la vera ricchezza d'amore, ma solo povertà. ♦ 19. dibonaire: dal fr. debonnaire, in L alternato a debonaire, ma 10: 9 GuAr; ♦ 20. umiliò: lett. 'abbassò, profanò'; altessa: vd. supra, v. 15. Qui in allitterazione con altera, a sottolineare ancor di più lo status della donna. ♦ 21. en: ‘in’, esito non anafonetico. In L si riscontrano 120 casi ca. (contro 1100 ess. di in); ma tutti i casi di en in L appartengono ai testi di Guittone trascritti da copisti pisani. Tuttavia: en, aretinismo, che conserva la e del lat. volg. (Serianni 2009). Notevole scrupolo del copista pisano nel rispettare questo tratto dei diall. orient.
23 - 27
'Poiché alla ricchezza d’amore nient’altro è uguale, | né una regina può rendere | ricco il re, come né quanto l’uomo umile, | né amore è manifesto a nessuna regina vostra eguale'.
Il poeta sostiene che l'unica vera ricchezza d'amore sia in possesso solo della donna da lui amata; nemmeno una regina sarebbe, pur del suo stesso rango, sarebbe capace elargire quella ricchezza a qualcuno. ♦ 23. Ch’a: es. di oscillazione grafica, per la resa della velare, tra <c-> e <ch->. ♦ 24. ni: ‘né’, è gallicismo, per la giustificazione del fr. ni < NĔC (Serianni 2009, p. 280).
♦ 25. como: ‘come’, è forma della toscana orient. (alternata con come); è tuttavia propria della trad. poetica. Ciò è confermato anche dalle attestazioni laurenziane negli autori siciliani; basso: lett. 'umile' (dal lat. humus, 'suolo').
28 - 29
'Dunque chi può eguagliare il mio dolore? | Perché colui che più perde, più assomiglia a me, disgraziato!'
La stanza termina con due versi che tornano a esprimere il lamento del poeta. Il focus ritorna sulla disforia della povertà e del dolore, sovrastanti anche l'amore. ♦ 28. ver: forma poetica apocopata.
III.
29 - 31
'Ahi, come può quell’uomo, che non ha affatto vita, | sopravvivere, grato nell’aspetto, contro il male, | così come me, - povero! - luogo d’albergo di ogni dolore?'.
La terza stanza, che si apre con un nuovo lamento, riporta l’immagine forse più nota del poeta che arde d’amore, ossia quel fuoco che brucia e non consuma, presente in Folquet de Marselha e poi in Giacomo da Lentini. Lo stesso Guittone si chiede come egli possa vivere fuori della vita, o meglio vivere in questo «foc’amoruso» che brucia ma non uccide il poeta (né la salamandra di Giacomo da Lentini). ♦ 29. con: ‘come’, forma alternativa; fiore: qui avv. 'per niente, affatto', anche in GiacLent e MontAnd (cfr. TLIO). ♦ 30. contra: sicilianismo-latinismo di larga diffusione sin dai primi secoli (Serianni 2009); for: presenti solo forme non dittongate; aderenza del copista all’uso dialettale (pisano e fior. ant.). Da tenere presente il peso della trad. aulica. ♦ 31. ogni: in alternanza con onni, si afferma su ogna, forma normale di tutto il sec. XIII.
32 - 36
'Perché se l’uomo più forte fosse ammazzato | con dolcezza tanto fortemente e tanto profondamente, | com’è in me ora il dolore, | sarebbe già morto contro ogni ragionamento. Come, povero me, riesco a vivere così tormentato?'.
Il senso dei versi sembrerebbe significare: 'tale è il dolore da me patito, che se ciò dovesse essere subito dal più forte degli uomini, egli ne morirebbe subito'. Quindi Guittone parrebbe voler rimarcare la grandezza del proprio dolore. Infatti, il paradosso, racchiuso nella domanda, comprende la compresenza di vita e morte: un dolore tanto grande da rendere quasi impossibile la vita (cfr. vv. 29 - 31). ♦ 32. fusse: forma toscano-occidentale (ma anche centr. e merid., esclusa Firenze). Ad Arezzo, si trovano le forme in -o- (Frosini); ammassato: ‘ammazzato’, verosimilmente da massa (‘mazza’), terminazione -ezza / -ezzo / -azzo: grafia sempre <ss>, a indicare una sibilante di grado forte, da notare la rima con trapassato. ♦ 35. fora: ‘sarebbe’, condizionale derivato dal piucch. indic., di area merid. e forse della Toscana orient. (Serianni 2009).
37 - 42
'Ahi, morte, fai un atto villano e fai peccato, | visto che tanto mi hai ripudiato | perché mi vedi morire da fuori | e perché io più spesso e con più forza muoia | ma nonostante te io morrò per forza | delle mie mani, | se meglio posso ancora (morire)'.
Ora il poeta apostrofa direttamente la morte, la quale solo avrebbe potuto dare eterno riposo al suo dolore (cfr. vv. 1 - 4). La morte sembra prendersi gioco di lui, lo rifiuta e pare divertirsi nel vederlo morire (spiritualmente, s'intende) più e più volte a causa della passione amorosa. Il poeta minaccia il suicidio. ♦ 40. mora: ‘muoia’, in rima con fora. Prevalgono in L le forme non dittongate di morire. ♦ 41. forsato: ‘forzato’, /z/ > /s/. In L, forsa è ricondotto a una mano fiorentina Lb1, ma non responsabile dei componimenti di GuAr. ♦ 42. melglo: ‘meglio’, lezione di V.
IV.
43 - 46
'Ho più male che altro, e ho meno - povero me! - conforto, | ché se io perdessi tutto quanto, l’onore e gli averi | e tutti gli amici e parte delle membra, | mi conforterei perché avrei ancora la vita'.
Il dramma amoroso si intensifica: c'è meno conforto, in tutto ciò, che nell'ipotesi di perdere tutto, tra onore, amici e persino membra del corpo. In un'altra occasione il poeta avrebbe ringraziato di essere ancora in vita, nonostante le disgrazie; ma, come si vedrà dai versi successivi, non è questo il caso. Possiamo ritenere di trovarci di fronte a uno di quei punti chiave che mostrano la netta differenza tra una poesia incentrata sull'io, Guittone, e una poesia di 'salvezza', quale quella di Dante. ♦ 46. conforteria: ‘conforterei’, condiz. con esito tipico del sicil. (e della tradiz. poetica).
46 - 50
'ma qui non posso, mi sbaglio | e ritornati sono in voi la forza e il sapere | il quale non fu, amore mio, da nessun’altra parte, | dunque, come posso diventare più forte e fiducioso verso il futuro?'.
Nonostante ci sia uno stato di pieno sconforto, in questi versi sembra riaffacciarsi un sentimento di riscatto: pare che la donna abbia riacquistato forza e sapere (il saber provenzale), e il poeta sembrerebbe riferirsi a lei nel chiedere come possa avere la forza di confortare se stesso. ♦ 48. forsa: ‘forza’, cfr. v. 41; savere: il binomio forsa e savere può ricordare il mezur’ e sen provenz. (ad es. cfr. Aimeric de Peguilhan, Lonjamen m’a trebalhat e malmes) ♦ 49. fu: in L è in opposizione a fo, aretinismo guittoniano. ♦ 50. podere: ‘potere’, inf. sostantivato, forma con occlusiva sonorizzata presente in aret., corton., borgh., anghiar. (cfr. Castellani 2000); cfr. GiacLent «lo non poter mi turba».
51 - 56
'Il sapere non mi aiuta e il dolore | mi stringe il cuore, | eppure conviene che io finga, e così faccio | perché mi si indica col dito e del mio male | ci si gabba ed io vivo, credo, disonorato | a mal grado del mondo e di Dio'.
Viene qui introdotto il famoso topos del gabbo (gab, gap provenzale), estremamente ricorrente nella tradizione poetica. Il poeta deve fingere se non vuole che gli altri si prendano gioco di lui per questo amore che non presenta le caratteristiche di misura, senno, forza e sapere. Forse, uno dei casi più esemplari concernenti il gabbo lo ricordiamo in Dante, nel sonetto Con l’altre donne mia vista gabbate. ♦ 51. saver: diffuso gallicismo dei primi secoli, di provenienza oltr’appenninica (cfr. Serianni); in questo caso, tant'è la forza dolorosa dell'amore, il 'sapere' come qualità non aiuta. 52. stringe: cfr. prov. destreign (in FolqMars, A vos midontç, v. 2: «cosi m destreign Amors»). ♦ 55. dizonore: resa grafica di <s> sonora.
V.
57 - 60
'Ahi bella gioia, noia e mio dolore | che momento travagliato - povero me! - fu quello | della vostra partenza, mia morte crudele, | che mutò in male tutto ciò che avevo di bello'.
Tutto torna a mescolarsi nella quinta stanza (Ai bella gioia, noia e mio dolore), ma la disforia prevale. ♦ 59. morte: difficile dire se la morte equivalga al dipartire della donna o se la morte venga qui invocata. ♦ 60. dobbro: ‘doppio’, dobblo con rotacismo ampiamente attestato nelle mani pisane in L.
61 - 66
'E, per Dio, il mio dolore è niente, | ché il vostro amore mi è crudele e infido, | poiché se io mi do tormento fortemente da una parte, | voi dall’altra serrate il chiavistello | come la più severa innamorata | che fosse mai stata messa alla prova'.
62. fello: prima attestazione in Ubertino del Bianco d'Arezzo, a. 1269 (tosc.), (TLIO).
67 - 70
'Quale beltà, valore o avere | l’uomo basso può trasmettere a donna superiore? | Ma non trovata nessuna di queste cose in me, | dunque, il ben volere fu di amore profondo'.
68. capere: per esigenza di rima e prosodia capère (aret. 'capire', 'stare, entrare con tutta la prorpia grandezza interamente in un luogo', anche fig.; cfr. TLIO).
VI.
71 - 76
'Amore pietà, per Dio! Rasserenatevi | e non guardatemi | poiché è piccolo il danno causato dalla mia morte | ma per il vostro amore senza eguali | e forse è anche per ciò mi fate ritornare in allegria, | se mai devo'.
71. mersè: ‘merzè’ (‘mercè’), /z/ > /s/, fenomeno princ. dei diall. toscano-occidentali che risale al XII sec. ♦ 73. dannaggio: dal prov. damnatge. ♦ 74. sensa: cfr. supra (v. 71). ♦ 76. deggio: ‘devo’, sicilianismo (Serianni); allegraggio: dal. prov. alegratge.
VII.
77 - 82
'Amore, amore, che sei più amaro del veleno, | non vede chiaramente | chi si pone volentieri in tuo potere: | poiché il primo e il mezzo (chi si pone per primo o in mezzo al tuo potere) ne è appesantito e inferocito, | e la fine tutto il contrario di bene, | da cui ogni mistero prende lode e biasimo.
77. veneno: forma colta, dal lat. venenum. ♦ 82. u’: ‘dove’, con chiusura protonica dell’o di ove apocopato (Serianni 2009).
Sebbene si riscontri visibilmente una famigliarità tra V e P, ci sono alcuni elementi che possono far pensare a un possibile dialogo tra R e P, mentre è altrettanto chiara la vicinanza di L e R.
TESTO CRITICO
I.
Tutto ̓l dolor ch’eo mai portai fu gioia
e la gioia neente apo ̓l dolore
del meo cor, lasso, a cui morte sochorga,
c’altro non veo ormai sia validore.
Ché pria del piacer, poco pò noia;
e poi pò forte troppo om dar tristore:
magio conven che povertà si porgha
a lo ritornator, ch’a l’entratore.
Adonqu’eo, lasso, in povertà tornato
del piò riccho aquistato
che mai facesse alcun del meo paraggio.
Sofferrà Deo ch’eo più viva ad oltraggio
di tutta gente e del meo for sennato?
Non credo già, se non vol mio dannaggio.
1 Tutto] Tucto P; ‘l] il V; dolor] dolore V; ch’eo] ch’i V k’io P; fu] fue P 2 neente] neiente V 3 del meo cor] del mio core V de lo meo core P 4 om. R; c’altro] k’altro P; veo] vegio V 5 Ché] Ké P Chemprima V; poco] pogo P; pò] può R 6 e] ma V P; pò forte troppo om] forte pò troppo on V forte pò troppo ond'ea P; dar] da V ond'ea P; tristore] tristoro V stristore P 7 magio] maggio R; conven] conviene V 8 om. P; lo] om. V; ritornator] ritornadore V R; entratore] entradore V 9 Adonqu’] Adunque V Adonqua P Adomque R; eo] om. R 10 del] e ̓l R; piò] più V P R mio R 11 che] ke P; alcun] alchuno V alcuno P; paraggio] paragio V P 12 Deo] Dio V P; ch’eo] ch’io V che R; più] pura V pur R; ad] a R 13 e] om. P; meo] mio V P R; for sennato] cor sennato P 14 credo] cierto V; vol] vuole V; mio] meo P me R; dannaggio] danagio V dampnagio P dinnagio R.
II.
Ai, lasso, che mal vidi, amaro amore,
la sovra natoral vostra bellessa
e l’onorato piacenter piacere
e tutto ben ch’è ‘n voi somna grandessa;
e vidi peggio il dibonaire core
c’umiliò la vostra altera altessa
en far noi dui d’un core e d’un volere
perch’eo ̶ più c’omo ̶ mai portai ricchessa.
Ch’a lo riccor d’amor null’altro è pare,
ni raina pò fare
ricco re, como ni quanto omo basso,
ni vostra par raina amor è passo.
Donque ch’il meo dolor pò pareggiare?
Ché qual più perde acquista in ver me lasso.
15 che] co V P; mal] male V mala P 16 natoral] naturale V natural P; bellezza] bellezza V belleza P 17 piacenter] piacentiere V piacentiero P piacente e R 18 ben] bene V R; ch’è ‘n voi] k’è voi P; somna] soma e V 19 peggio] pegio V P; il dibonaire] in dibonare P 20 altessa] alteza V alteza P 21 en far] a fore V a far P; noi] ni R 22 perch’eo] perch’io V perk’io P; c’omo] com’om V mai non P; ricchessa] richeza V riccheça P richessa R 23 riccor] ricore V richor R; è pare] appare P apare L R 24 ni] né V P R; raina] reina V P; fare] faire V 25 ricco re] rico re V riccor L richor R; ni] né V P 26 om. P; ni] né V; par raina] pare Reina V 27 Donque] Dunque V Donqua P Dumque R; meo dolor] mio dolore V; pareggiare] pareiare V 28 in] om. V
III.
Ai con pot’ om, che non à vita fiore,
durar contra di mal tutto for grato,
sì com’eo, lasso, ostal d’ogni tormento?
Ché se lo più fort’om fusse ammassato
sì forte e sì coralmente in dolciore,
com’è dolor en me, già trapassato
fora de vita contr’ogni argomento.
Come, lasso, viv’eo tormentato?
Ai morte villania fai e peccato
che·sì m’ài desdegnato
perché vedi morir opo mi fora
e perch’io più sovente e forte mora;
ma mal tuo grado eo pur morrò forsato
de le mie man, se melglo posso ancora.
29 com] come V con L P; pot’] pote L R; om] ommo V on P homo R; che] co V ki P; non à vita fiore] no di vita à fiore V 30 durar] durare V R; tutto for] tut’altro V contra suo P 31 ostal] ostale V 32 lo] nel V; fort’om] fortte V uomo; fusse] fosse V P R 33 coralmente] coralemente V; dolciore] dolzore V dolzore P 34 dolor] dolore V P 35 contr’ogni] contro ongne V contra ogn’ P contro ogni R 36 Come] Come ve P Come vi L R; viv’eo] veo P vivo L R; tormentato] congettura di M. Picone (di vita fore V di vita fiore P de vita fiore L di vita fore R) perché ci si aspetterebbe una rima in -ato. 37 fai] fia R 38 desdegnato] disdegnato V P 39 morir] monte P 40 e perch’io] perk’io P 41 grado] grato V P; eo] i’ V io P; morrò] moro V; sforzato] isforzato V isforzato P 42 de le] da le P; se melglo] se melglio V se melglo P s’eo mei L in quest’ultimo caso, si è agito per congettura: tra le varie lezioni si è accolto melglo, espungendo la negazione successiva che rendeva il verso ipermetro.
IV.
Mal ò più c’altro e men, lasso, conforto
ché s’eo perdesse onor tutto e avere,
amici tutti e dele menbra parte,
sì mi conforteria per vita avere;
ma qui non posso, poi ò di me torto,
e ritornato in voi forsa e savere
che non fu, amor meo, già d’altra parte,
donque di confortar com’ò podere?
Poi saver non m’aiuta e dolore
me pur istringie il core,
pur convien ch’eo m’atteggi, e sì facc’eo
perch’om mi mostra a dito e del mal meo
se gabba ed eo pur vivo a dizonore,
credo, a mal grado del mondo e di Deo.
43 lasso] lasso ò V 44 eo] io V P; onor] onore V; avere] aver P 44 amici tutti] e tuti amici V e tucti amici P 46 conforteria] conforterei V conforterea R; aver] aver P 47 qui] k’io P; poi] ciò P; ò] che V è P om. R 48 e] ke P; forsa] força P forzo V; e] en L; savere] saver P 49 fu] fue V P; amor meo] amore meo V meo amor P 50 confortar] comfortare V confortare P 51 Poi] E poi V; saver] R savere V; m’aiuta] m’aita V; dolore] dolor R 52 me] mi V P; pur] pura V pure P; istringie] istringe P stringie V; il] lo V el R 53 convien] convene V conven P R; ch’eo] ch’io V k’io P om. R 54 perch’om] però omo V P che perc’om R; mal] male V 55 se] V P si R; ed eo] ed io V e P; dizonore] disinore V disonore P disnore R 56 credo] creda L; a mal grado] al male grado V mal grado L R; Deo] Dio P.
VI.
Ai bella gioia, noia e dolor meo
che punto fortunal, lasso, fu quello
de vostro dipartir, crudel mia morte,
che dobbro mal tornò tutto meo bello;
ed è neente il dolor meo par Deo
ver’ che·m’è il vostro amor crudele e fello,
ché s’eo tormento d’una parte forte
e voi dall’altra più stringe ̓l chiavello
como la più distretta innamorata
che mai fosse aprovata;
che bealtà o valore o avere
pò far bass’omo in donn’alta capere?
Ma nulla d’este cose en me trovata
donque d’amor coral fu ̓l ben volere.
57 noia] innoia P; dolor] dolore V 58 fortunal] furtunale V fortimale P; fu] fue V P 50 de] di V P del R; dipartir] dipartire V P; crudel mia morte] crudele mia mortte V crudel mio amore P 60 om. R; dobbro] doblo V P; mal] male V P; meo] om. P 61 sì (se P) del meo male (mal P) mi duole (dole P) ma più par (per P) deo V 62 ver che·me] ème V P; il] al R; amor] amore V 64 dall’altra] de l’altra V 65 como] come V P R; la] ala P; innamorata] e ̓namorata V 66 fosse] fusse R 67 ché bene fa forzo dimesione d’avere V ké ben fia força dimession d’avere P 68 pò far bass’omo] talora basso omo V talor bass’on P; capere] capare V 69 ma ciò non v’agradìo già né agrata V non n’agradìo già né agradi P 70 donque] dunque V dumque L; coral] corale V; fu] fue V P; ‘l ben volere] fue bene volere V bel vedere
VI.
Amor mersè, per deo, vi confortate
ed a·me non guardate
ché picciul è per mia morte dannaggio
ma per lo vostro amor sensa paragio
e forse anche però mi ritorniate
se mai tornare deggio in allegraggio.
71 mersè] merzè V merzè P mercè R; Deo] Dio V P; confortate] comfortate V 72 ed a me] né da me V P 73 picciul] piacer P piciol V picciolo R 74 lo vostro amor] lo vostro amore V P la vostra mor L la vostra amor R 75 e forse anco per mi ritornate V e forse però ancor mi ritorniate P 76 deggio] degio V P; allegraggio] alegragio V allegragio P allegransa R
VII.
Amor, amor più che veneno amaro
non già ben vede chiaro
chi·se mette in poder tuo volontero:
che ‘l primo e ‘l mezo n’è gravozo e fero
e la fine di ben tutto ̓ l contraro
u’ prende laude e blasmo onne mistero.
77 Amor, amor] Amore, amore V P; veneno] veleno V P 78 ben] bene V om. R 79 chi se] chi si V ki si P poder] podere V P; volontero] volontiera P 80 che ‘l primo e ‘l mezo] che primo e mezo L ke ‘l prima e ‘l meo P; gravoso] già noioso P gravoso V gravoço R 81 e la] ala P 82 u’] o’ V P vi R; laude] lauda V; blasmo] blasimo V biasmo P; onne] ongne V ogne P one R; mistero] mistiero P.
Tutto ' dolor, ch'eo mai portai, fu gioia,
e la gioia neente apo 'l dolore
del meo cor, lasso, a cui morte socorga,
ch'altro non vegio ormai sia validore.
Chè, prima del piacer, poco po noia,
ma poi, po forte troppo om dar tristore:
maggio conven che povertà si porga
a lo ritornador, ch'a l'entradore.
Adonqua eo, lasso, in povertà tornato
del più ricco acquistato
che mai facesse alcun del meo paraggio,
sofferrà Deo ch'eo pur viva ad oltraggio
di tutta gente e del meo for sennato?
Non credo già, se non vol meo dannaggio.
Ahi, lasso, co mal vidi, amaro amore,
la sovra natoral vostra bellezza
e l'onorato piacenter piacere
e tutto ben ch'è 'n voi somma grandezza!
E vidi peggio il dibonaire core
ch'umiliò la vostra altera altezza
a far noi due d'un core e d'un volere,
perch'eo più ch'omo mai portai ricchezza.
Ch'a lo riccor d'amor null'altro è pare,
nè raina po' fare
ricco re, como nè quanto omo basso,
nè vostra par raina amor è passo.
Donqua chi 'l meo dolor po pareggiare?
Chè qual più perde acquista in ver me, lasso.
Ahi, con pot'om, che nonha vita fiore,
durar contra di mal tutto for grato,
sì com eo, lasso, ostal d'igne tormento?
Chè se 'n lo più fort'om fosse amassato
sì forte e sì coralmente dolzore,
com'è dolore in me, già trapassato
fora de vita, contra ogne argomento.
Come, lasso, viv'eo de vita fore?
Ahi morte, villania fai e peccato,
che sì m'hai desdegnato,
perchè vedi morir opo mi fora
e perch'io piò sovente e forte mora!
a mal tuo grato eo pur morrò forzato,
de le mie man, se mei non posso ancora.
Mal ho più ch'altro, e men, lasso, conforto:
chè s'eo perdesse onor tuttoed avere
e tutti amici e de le membra parte,
sì mi conforteria per vita avere;
ma qui non posso, poi ho di me torto
e ritornto in voi forzo e savere,
che non fue, amor meo, già d'altra parte.
Donqua di confortar com ho podere?
E poi saver non m'aiuta, e dolore
me pur istringe il core,
pur conven ch'eo matteggi; e sì facci' eo;
perch'om mi mostra a dito e del mal meo
se gabba; ed eo pur vivo a disinore,
credo, a mal grado del mondo e di Deo.
Ahi, bella gioia, noia e dolor meo,
che punto fortunal, lasso, fue quello
de vostro dipartir, crudel mia morte,
che doblo mal tornò tutto meo bello!
Sì del meo al mi dol; ma più per Deo
ème lo vostro, amor, crudele e fello;
ca s'eo tormento d'una parte forte,
e voi da l'altra più strigne 'l chiavello,
como la più distretta enamorata
che mai fosse aprovata;
chè ben fa forza dimession d'avere
talor bass'omo in donn'alta capere;
ma ciò non v'agradiò già nè v'agrata:
donque d'amor coral fu 'l ben volere.
Amor, merzè, per Deo, vi confortate,
ed a me non guardate,
hè picciol è per mia morte dannaggio,
ma per la vostra, amor, senza paraggio.
E forse anche però mi ritornate,
se mai tornare deggio, in allegraggio.
Amore, Amor, piò che veneno amaro,
non già ben vede chiaro
chi se mette in poder tuo volontero:
che 'l primo e 'l mezzo n'è gravoso e fero
e la fine di ben tutto 'l contraro,
o' prende laude e blasmo onne mistero.
1 |
L |
Tutto ̓l dolor ch’eo mai portai fu gioia |
- |
2 |
L |
e la gioia neente apo ̓l dolore |
|
3 |
L |
del meo cor lasso a cui morte sochorga, |
- |
4 |
L |
c’altro non uei ormai sia validore. |
|
5 |
L |
Ché, pria del piacer, poco pò noia |
- |
6 |
L |
e poi pò forte troppo om dar tristore: |
|
7 |
L |
magio conven che povertà si porgha |
- |
8 |
L |
a lo ritornator, ch’a l’entratore. |
- |
9 |
L |
Adonqu’eo lasso in povertà tornato |
|
10 |
L |
del piò riccho aquistato |
|
11 |
L |
che mai facesse alcun del meo paraggio, |
- |
12 |
L |
sofferrà Deo ch’eo più viva ad oltraggio |
|
13 |
L |
di tutta gente e del meo for sennato? |
|
14 |
L |
Non credo già se non vol mio dannaggio. |
- |
15 |
L |
Ai lasso che mal vidi, amaro amore, |
- |
16 |
L |
la sovra natoral vostra bellessa |
- |
17 |
L |
e l’onorato piacenter piacere |
- |
18 |
L |
e tutto ben ch’è ̓n voi somna grandessa; |
- |
19 |
L |
e vidi peggio il dibonaire core |
|
20 |
L |
c’umiliò la vostra altera altessa |
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21 |
L |
en far noi dui d’un core e d’un volere |
- |
22 |
L |
perch’eo più c’omo mai portai ricchessa. |
|
23 |
L |
Ch’a lo riccor d’amor null’altro apare, |
- |
24 |
L |
ni raina pò fare |
|
25 |
L |
riccor, como ni quanto omo basso, |
-1 |
26 |
L |
ni vostra par raina amor è passo. |
|
27 |
L |
Donque ch’il meo dolor pò pareggiare? |
|
28 |
L |
Ché qual più perde acquista in ver me lasso. |
- |
29 |
L |
Ai con pote om, che non à vita fiore, |
+1 |
30 |
L |
durar contra di mal tutto for grato, |
- |
31 |
L |
sì com’eo, lasso, ostal d’ogni tormento? |
- |
32 |
L |
Ché se lo più fort’om fusse ammassato |
- |
33 |
L |
sì forte e sì coralmente in dolciore, |
- |
34 |
L |
com’è dolor en me già trapassato |
|
35 |
L |
fora de vita contr’ogni argomento. |
|
36 |
L |
Come vi lasso vivo de vita fiore? |
+1 |
37 |
L |
Ai morte villania fai e peccato |
|
38 |
L |
che·sì m’ài desdegnato, |
|
39 |
L |
perché vedi morir opo mi fora |
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40 |
L |
e perch’io più sovente e forte mora; |
- |
41 |
L |
ma mal tuo grado eo pur morrò forsato |
- |
42 |
L |
dele mie man, s’eo mei non posso ancora. |
- |
43 |
L |
Mal ò più c’altro e men lasso conforto |
|
44 |
L |
ché s’eo perdesse onor tutto e avere |
- |
45 |
L |
amici tutti e dele menbra parte, |
|
45 |
L |
sì mi conforteria per vita avere; |
- |
46 |
L |
ma qui non posso poi ò di me torto |
- |
47 |
L |
e ritornato in voi forsa en savere |
- |
48 |
L |
che non fu, amor meo, già d’altra parte. |
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49 |
L |
Donque di confortar com’ò podere? |
- |
50 |
L |
Poi saver non m’aiuta e dolore |
- |
51 |
L |
me pur istringie il core, |
- |
52 |
L |
pur convien ch’eo m’atteggi, e sì facc’eo, |
- |
53 |
L |
perch’om mi mostra a dito e del mal meo |
-1 |
54 |
L |
se gabba ed eo pur vivo a dizinore, |
- |
55 |
L |
creda mal grado del mondo e di Deo. |
|
56 |
L |
Ai bella gioia, noia e dolor meo |
- |
57 |
L |
che punto fortunal, lasso, fu quello |
- |
58 |
L |
de vostro dipartir, crudel mia morte, |
- |
59 |
L |
che dobbro mal tornò tutto meo bello |
- |
60 |
L |
ed è neente il dolor meo par Deo |
- |
61 |
L |
ver’ che·m’è il vostro amor crudele e fello, |
- |
61 |
L |
che s’eo tormento d’una parte forte |
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62 |
L |
e voi dall’altra più stringe ̓l chiavello |
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63 |
L |
como la più distretta innamorata |
|
64 |
L |
che mai fosse aprovata; |
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65 |
L |
ché bealtà o valore o avere |
-3 |
66 |
L |
pò far bass’omo in donn’alta capere, |
- |
67 |
L |
ma nulla d’este cose en me trovata |
- |
68 |
L |
donque d’amor coral fu ̓ l ben volere. |
- |
69 |
L |
Amor mersè, per Deo, vi confortate |
|
70 |
L |
ed a·me non guardate |
|
71 |
L |
ché picciul è per mia morte dannaggio |
- |
72 |
L |
ma per la vostra mor sensa paraggio |
- |
73 |
L |
e forse anche però mi ritorniate |
- |
74 |
L |
se mai tornare deggio in allegraggio. |
|
75 |
L |
Amor, amor, più che veneno amaro |
- |
76 |
L |
non già ben vede chiaro |
- |
77 |
L |
chi·se mette in poder tuo volontero: |
- |
78 |
L |
che primo e mezo n’è gravozo e fero |
- |
79 |
L |
e la fine di ben tutto ̓l contraro |
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80 |
L |
u’ prende laude e blasmo onne mistero. |
- |
G. daresso Tuttol dolor cheo mai portai fu gioia. elagioia neente a pol dolore. delmeo cor lasso acui morte socorgha. caltro no(n) uei |
ormai[1] sia ualidore. Che pria delpiac er poco po noia. epoi po forte troppo om dar tristore. magio conuen che pouerta siporgha. aloritornator cha lentratore. Adonqueo lasso inpouer ta tornato. delpio riccho aquistato. chemai facesse alcun delmeo parag gio. sofferra deo cheo piu uiua adol traggio. ditutta gente e delmeo for sennato. non credo gia seno(n)[2] uol mio dannaggio. Ailasso chemal uidi amaro amore. lasoura natoral v(ost)ra bellessa. elonora to piacenter piacere. etutto ben ch en uoi somna grandessa. Euidi peg gio il dibonaire core. cumilio lauos tra altera altessa. enfar noi dui du(n) core e dun uolere. percheo piu[3] como m ai portai ricchessa. Chalo riccor dam or nullaltro apare. niraina po fare. riccor como niquanto omo basso. ni uostra par raina amore passo. don que chil meo dolor po pareggiare. che qual piu perde acquista inuer me lasso. Aicon pote om chenona uita fiore. durar contra di mal tutto for grato. si comeo lasso ostal dogni tormento. chese lopiu fortom fusse a(m)massato. siforte esi coralmente indolciore. co me doloren me gia trapassato. fora deuita controgni argomento. come ui lasso uiuo deuita fiore. Aimorte uillania fai epeccato. chessi mai de sdegnato. perche uedi morir opo mi |
fora. eperchio piu souente eforte mora. mamal tuo grado eo pur morro forsato. delemie man seo mei non posso ancora. Malo piu caltro emen lasso con forto. cheseo perdesse onor tutto e auere. amici tutti edelemenbra parte. simi conforteria per uita auere. Maqui non posso poi odi me torto. eritornato inuoi forsa e(n)sauere. chenon fu amor meo gia daltra parte. donque diconfortar como podere. poi sauer non mai uta e dolore. me pur istringie il co re. pur conuien[1] cheo matteggi e sifacceo. perchom mimostra adito edel mal meo. segabba edeo pur ui uo a dizinore. creda mal grado d(e)l mondo edideo. Aibella gioia noia e dolor meo. chepunto fortunal lasso fu quello. deuostro dipartir crudel mia mor te. che dobbro mal torno tutto meo bello. Edeneente ildolor meo par deo. uer chemme il uostro amor crudele efello. cheseo torme(n)to du na parte forte. euoi dallaltra piu stringel chiauello. Como lapiu di stretta innamorata. chemai fosse aprouata. che bealtà o ualore o au ere. po far bassomo indonnalta ca pere. manulla deste cose en me t rouata. donque damor coral ful ben uolere. Amor merse perdeo uiconfor [1] il ms. legge ‘conuen’, ma due segni tra <u> ed <e> sembrerebbero indicare l’aggiunta di una <i>.
|
tate. eda(m)me non guardate. che picciule permia morte dannag gio. maper lauostra mor sensa p araggio. eforse anche pero miri torniate. semai tornare deggio i(n) allegraggio. Amor amor piu cheueneno am aro. non gia ben uede chiaro. chi sse mette in poder tuo uolontero. che primo emezo negrauozo efero. elafine diben tuttol contraro. up rende laude eblasmo onne miste ro. |
G. daresso |
I. G. d'aresso |
Ailasso chemal uidi amaro amore. |
II. Ai lasso che mal vidi, amaro amore, |
Aicon pote om chenona uita fiore. |
III. Ai con pote om, che non à vita fiore, |
Malo piu caltro emen lasso con |
IV. Mal ò più c’altro e men lasso conforto |
Aibella gioia noia e dolor meo. |
V. Ai bella gioia, noia e dolor meo |
Amor merse perdeo uiconfor |
VI. Amor mersè, per Deo, vi confortate |
Amor amor piu cheueneno am |
VII. Amor, amor, più che veneno amaro |
[c. 57v]
Quictone dareço T uctol dolor kio mai portai fue gioia ela gioia neente apol dolore: delomeo corelasso acui morte sa corga. kaltro no(n) veo orma sia ualidore: ke pria del piacere pogo po noia: ma poi forte po troppo ondea stristore: magio conuen ke pouerta si porga. adonqua eolasso inpouerta torna to del piu ricco aquistato: ke mai fa cesse alcuno delmeo paragio: soffera dio keo piu uiua adoltragio ditucta gente delmio corsennato no(n) credo gia sennon uolmeo dampnagio. |
Ailasso comaluidi amaro amore: lasoura natural uostra belleça: elo norato piacentiero piace(r) : etucto ben keuoi somma grandeça. Euidi pegio indibonare core: cumilio lauostra altera alteça: afarnoi due duncore edun uolere: p(er) kio piu mai no(n) portai riccheça. kalo riccor damor nullaltro appare: ne reina pofare: riccore come ne qua(n)to homo basso: donqua kilmeo dolor po paregiare: ke qual piu p(er)de aquista inuerme lasso. |
Ai conpoton ki nona uita fiore: durar for disua uogla contra suo g(ra) to: si comeo lasso ostaldogne torm(en)to. ke selo piu forto(m) fosse ammassato: si forte esi coralmente indolçore co me dolore inme gia trapassato: fora diuita contra ognargomento. Comeue lasso ueo diuita fiore: ai morte uillania fai e peccato: ke si mai disdegnato: p(er)ke uedi monte[1] opo mi fora : p(er)kio piu sove(n)te e fo(r) te mora: mamal tuo grato io pur morro isforçato delemie man se
meglo no(n) posso ancora. [1] ‘morte’ è la lez. più probabile, ma dopo la ‘r’ c’è un'asta in più: una doppia <t>? Non la usa precedentemente. Il segno potrebbe essere una <n>, ma cfr. <morte> sopra.
|
[c. 58r]
Malo piu caltro emen lasso conforto: ke sio p(er)desse onor tucto edaue(r) etucti amici edele menbra p(ar)te: simi conforteria p(er)uita aue(r). Makio no(n) posso cioe di me torto: ke ritornato inuoi força esaue(r): ke no(n) fue meo amor gia daltra parte. donqua diconfortare como podere: poi sauer no(n) maiuta: edolore mi pure istringe il core: pur conuen kio mattegi esi facceo pero omo mi mostra adito: edel malmeo si gabba: epur uiuo adisinore credo amal grado delmondo edidio. |
Ai bella gioia innoia edolormeo: ke punto fortimale[1] lasso fue quello
diuostro dipartire crudelmio amore.
ke doblo male torno tucto bello: sedelmeo malmidole ma piu p(er)deo eme el uostro amore crudele efello. ka seo torm(en)to duna parte forte: euoi dallaltra piu stringel kiauello. come ala piu distrecta innamorata: ke mai fosse aprouata : ke ben fa força dimession daue(r): talor basson indo(n)na cape(r): no(n) ua gradio gia ne agradi do(n)que damor coral fue ilbel uedere. [1] ‘fortunale’ è possibile, ma la discrezione tra <i> ed <m>.è molto forte.
|
Amor merçe p(er)dio uiconfortate: ne dame no(n) guardate: ke piace(r) dei p(er)mia morte dampnagio. Ma p(er)louostro amore sença paragio: forse pero ancor miritornate: se mai tornare degio inallegragio. Amore amore piu ke ueleno amaro: no(n) gia ben uede kiaro: ki si mecte unpodere tuo uolontiera. kel prima elmeo ne gia noioso efe ro: alafine diben tuctol contraro: opre(n)de laudo ebiasmo ogne mistiero. |
[c. 57v]
stampa ta |
I. | |
Quictone dareço
T uctol dolor kio mai portai fue gioia |
Quictone d'Arezo Tucto l dolor k’io mai portai fue gioia |
II. | |
Ailasso comaluidi amaro amore: lasoura natural uostra belleça: elo norato piacentiero piace(r) : etucto ben keuoi somma grandeça. Euidi pegio indibonare core: cumilio lauostra altera alteça: afarnoi due duncore edun uolere: p(er) kio piu mai no(n) portai riccheça. kalo riccor damor nullaltro appare: ne reina pofare: riccore come ne qua(n)to homo basso: donqua kilmeo dolor po paregiare: ke qual piu p(er)de aquista inuerme lasso. |
Ai lasso co mal vidi, amaro amore,
|
III. | |
Ai conpoton ki nona uita fiore: durar for disua uogla contra suo g(ra) to: si comeo lasso ostaldogne torm(en)to. ke selo piu forto(m) fosse ammassato: si forte esi coralmente indolçore co me dolore inme gia trapassato: fora diuita contra ognargomento. Comeue lasso ueo diuita fiore: ai morte uillania fai e peccato: ke si mai disdegnato: p(er)ke uedi monte opo mi fora : p(er)kio piu sove(n)te e fo(r) te mora: mamal tuo grato io pur morro isforçato delemie man se meglo no(n) posso ancora. |
|
IV. | |
Malo piu caltro emen lasso conforto: ke sio p(er)desse onor tucto edaue(r) |
Mal ò più c’altro e men lasso conforto |
V. | |
Ai bella gioia innoia edolormeo: ke punto fortimale lasso fue quello diuostro dipartire crudelmio amore. |
Ai bella gioia, innoia e dolor meo, [1] cfr. nota ediz. diplomatica.
|
VI. | |
Amor merçe p(er)dio uiconfortate: ne dame no(n) guardate: ke piace(r) dei |
Amor merzé, per Dio, vi confortate, |
VII. | |
Amore amore piu ke ueleno amaro: no(n) gia ben uede kiaro: ki |
Amore, amore, più ke veleno amaro |
F. Guitton
Tuttol dolor cheo mai portai fugioia. E lagioia neente apol |
Aj lasso che maluidi amaro amore. la soura natoral uostra belle ssa. Elonorato piacente e piacere. E tutto bene chen uoi somma grandessa. Euidi peggio il dibonaire core. Chumilio lauostra al tera altessa en far ni dui dun core ⸶e⸷ dun volere. p(er)cheo piu como mai portai richessa. Chalorichor damor nullaltro apare. nerai n apo fare. richor como niquanto homo basso . niuostra par ra ina amore passo. dumque chil meo dolor po pareggiare. che qual piu p(er)de aq(ui)sta jnuerme lasso. |
Ai com pote homo che non auita fior durare contra dimal tu tto forgrato. sicomeo lasso ostal dogni tormento. che selopiu for tom fosse amassato. siforte esicoralmente i(n)dolciore come dolor enme Gia trapassato fora d(e) uita controgniar gomento co me ui lasso uiuo diuita fore. Ai morte uillania fia e pechato che simai desdegnato p(er)che uedi morir opo mi fora Ep(er)chio pio souente e forte mora ma mal tuo grado eo pur morro forsato del(le) mie man seo mei no(n) posso ancora. |
Malo piu chaltro emen lasso conforto che seo p(er)desse onor tutto eauere amici tutti e dele membra parte. Simico(n)for terea p(er) uita auere. Eq(ui) no(n) posso poi dime torto eritornato i(n) uoi forsa e sauere. Che no(n) fu amor meo gia daltra p(ar)te. du qua diconfortar como podere. poi sauere no(n) maiuta. edolor me puristri(n)gie elcore pur co(n)uen matteggi esi faccieo. Che p(er) com mimostra adito edel mal meo sigabba edeo puruiuo adisnore credo malgrado delmondo e di deo. |
Aibella gioia noia e dolor meo. Che punto fortunal lasso fu qu ello deluostro dipartir crudel mia morte. Ede neente il dolor meo pardeo. uer che me al uostro amor crudele efello. Cheseo tormento duna parte forte Euoi dalaltra piu stringie chiauello come lapiu distretta i(n)amorata. Che mai fusse ap(ro)uata. Che bealta oualore o auere pofar bassom in donnalta. capere ma nulla deste cose en me trouata dumque damor coral ful benuolere. |
Amor merce p(er)deo uiconfortate e dame no(n) guardate che picciolo p(er)mia morte dannaggio ma p(er)lauostra amor sansa paraggio eforse anche p(er)o miritorniate simai tornare deggio i(n) allegransa. Amor amor pio che ueneno amaro non gia uede chiaro. chise mette i(n) poder tuo uolontero. Che p(ri)mo emeço ne grauoço[1] (et) fero elafine debentuttolcontraro u prende laude (et) blasmo one mistero. [1] non siamo sicuri di questa <ç>.
|
F. Guitton.
Tuttol dolor cheo mai portai fugioia. E lagioia neente apol |
I. F. Guitton Tutto ̓ l dolor ch’eo mai portai fu gioia |
Aj lasso che maluidi amaro amore. la soura natoral uostra belle ssa. Elonorato piacente e piacere. E tutto bene chen uoi somma grandessa. Euidi peggio il dibonaire core. Chumilio lauostra al tera altessa en far ni dui dun core ⸶e⸷ dun volere. p(er)cheo piu como mai portai richessa. Chalorichor damor nullaltro apare. nerai n apo fare. richor como niquanto homo basso. niuostra par ra ina amore passo. dumque chil meo dolor po pareggiare. che qual piu p(er)de aq(ui)sta jnuerme lasso. |
II.
Ai lasso che mal vidi amaro amore |
Ai com pote homo che non auita fior durare contra dimal tu tto forgrato. sicomeo lasso ostal dogni tormento. che selopiu for tom fosse amassato. siforte esicoralmente i(n)dolciore come dolor enme Gia trapassato fora d(e) uita controgniar gomento co me ui lasso uiuo diuita fore. Ai morte uillania fia e pechato che simai desdegnato p(er)che uedi morir opo mi fora Ep(er)chio pio souente e forte mora ma mal tuo grado eo pur morro forsato del(le) mie man seo mei no(n) posso ancora. |
III. Ai com pote homo, che non à vita fior, |
Malo piu chaltro emen lasso conforto che seo p(er)desse onor tutto eauere amici tutti e dele membra parte. Simico(n)for terea p(er) uita auere. Eq(ui) no(n) posso poi dime torto eritornato i(n) uoi forsa e sauere. Che no(n) fu amor meo gia daltra p(ar)te. du qua diconfortar como podere. poi sauere no(n) maiuta. edolor me puristri(n)gie elcore pur co(n)uen matteggi esi faccieo. Che p(er) com mimostra adito edel mal meo sigabba edeo puruiuo adisnore credo malgrado delmondo e di deo. |
IV.
Mal ò più ch’altro e men lasso conforto |
Aibella gioia noia e dolor meo. Che punto fortunal lasso fu qu ello deluostro dipartir crudel mia morte. Ede neente il dolor meo pardeo . uer che me al uostro amor crudele efello. Cheseo tormento duna parte forte Euoi dalaltra piu stringie chiauello come lapiu distretta i(n)amorata. Che mai fusse ap(ro)uata. Che bealta oualore o auere pofar bassom in donnalta. capere ma nulla deste cose en me trouata dumque damor coral ful benuolere. |
V.
Ai bella gioia, noia e dolor meo |
Amor merce p(er)deo uiconfortate e dame no(n) guardate che picciolo p(er)mia morte dannaggio ma p(er)lauostra amor sansa paraggio eforse anche p(er)o miritorniate simai tornare deggio i(n) allegransa. |
VI.
Amor mercé, per Deo, vi confortate |
Amor amor pio che ueneno amaro non gia uede chiaro. chise mette i(n) poder tuo uolontero. Che p(ri)mo emeço ne grauoço[1] (et) fero elafine debentuttolcontraro u prende laude (et) blasmo one mistero. [1] non siamo sicuri di questa ‘ç’
|
VII.
Amor, amor, pio che veneno amaro |
Guittone darezo T Utto ildolore chimai portai fugioia. elagioia neiente Apoldolore.[1] del mio core lasso achui mortte socorga. caltro nonuegio ormai sia uali
dore. chemprima del piaciere poco po noia. mapoi fortte po tropo on da tristoro. magio conuiene che pouerta siporga. aritornadore. calentradore ¶. A dunque eo lasso jmpouerta tornato. delpiu rico aquistato. chemai faciesse Alchuno delmeo paragio. sofera dio pura chio uiua forsenato. non cierto gia seno(n) vuole mio danagio [1] Alpldolore > Apoldolore: puntino espuntivo sotto la prima <l>.
|
A i lasso comale uidi amaro amore. lasoura naturale uostra belleza. elonorato piacientiere piaciere. etuto bene chenuoi soma egrandeza. euidipe gio. ildibonaire core. chumilio lauostra Altera Alteza. Afare noi due duno core eduno uolere. p(er) chio piu como mai portai richeza.¶ Caloricore damore nullaltro epare. nereina po fare. ricore como ne quanto omo basso. neuo stra pare Reina amore passo. dunque chilmio dolore po pareiare. chequa le piu p(ro)de aquista uerme lasso. |
A icome potom(m)o conodiuita afiore. durare contra dimale tutaltro grato. sico me eo lasso ostale dongni tormento. chese nelpiu fortte uomo folle amassato. sifortte e si corale mente dolzore. come dolore inme gia trapassato. fora diuita contro ongne Argomento. come lasso uiueo diuita fore.¶ Aimortte uillania fai epecato. chesi mai disdegnato. p(er) cheuedi morire opo mifora. ep(er) chio piu so uente efortte mora. mamale tuo grato ipurmoro isforzato. dele mie mani se melglio nomposso Ancora. |
M Ale opiu caltro emeno lasso ocomfortto. chesio p(er)desse onore tuto edauere. etuti amici edelemembra partte. simi comforterei p(er) uita Auere. maqui nomposso poi chedime tortto. eritornato jnuoi forzo esauere. che nonfue amo re meo gia daltra partte. dunqua como dicomfortareopodere.¶ Epoi sauere nonmaita edolore. mipura stringie locore. purconuene chio mategi esifacie pero omo mimostra adito edelmale meo. sigaba edio pur uiuo adisinore. cre do Almale grado delmondo edideo. |
A ibella gioia noia edolore meo. chepunto furtunale lasso fue quello. diuostro di partire crudele mia mortte. chedoblo male torno tuto meo bello. sidelm eo male miduole mapiu pardeo. eme louostro amore crudele efello. casseo tormento duna parte fortte. euoi delaltra piu stringne ilchiauello.¶ Come la piu distretta enamorata. chemai fosse ap(ro)uata. chebene fa forzo dimesione da uere. talora basso omo jndonna Alta capare. macio nonuagradio gia nea grata. dunque damore corale fue bene uolere. |
A more merze p(er)dio uicomfortate. nedame nonguardate. che piciole p(er) mia mortte danagio. ma p(er)louostro amore sanza paragio. eforsse Anco pero mi ritornate semai tornare degio nalegragio. |
A more amore piu cheueleno amaro. nongia bene uede chiaro. chisimette jn podere tuo uolontero. chelprimo elmezo ne grauoso efero. elafine dibene tuto ilcontraro. oprende lauda eblasimo ongne mistero. |
Guittone darezo T Utto ildolore chimai portai fugioia. elagioia neiente Apoldolore. del mio core lasso achui mortte socorga. caltro nonuegio ormai sia uali dore. chemprima del piaciere poco po noia. mapoi fortte po tropo on da tristoro. magio conuiene che pouerta siporga. aritornadore. calentradore.¶ A dunque eo lasso jmpouerta tornato. delpiu rico aquistato. chemai faciesse Alchuno delmeo paragio. sofera dio pura chio uiua forsenato. non cierto gia seno(n) vuole mio danagio |
I. Guittone d'Arezzo Tutto il dolore ch’i mai portai fu gioia |
A i lasso comale uidi amaro amore. lasoura naturale uostra belleza. elonorato piacientiere piaciere. etuto bene chenuoi soma egrandeza. euidipe gio. ildibonaire core. chumilio lauostra Altera Alteza. Afare noi due duno core eduno uolere. p(er) chio piu como mai portai richeza. ¶ Caloricore damore nullaltro epare. nereina po fare. ricore como ne quanto omo basso. neuo stra pare Reina amore passo. dunque chilmio dolore po pareiare. chequa le piu p(ro)de aquista uerme lasso. |
II. Ai lasso co male vidi, amaro amore, |
A icome potom(m)o conodiuita afiore. durare contra dimale tutaltro grato. sico me eo lasso ostale dongni tormento. chese nelpiu fortte uomo folle amassato. sifortte e si corale mente dolzore. come dolore inme gia trapassato. fora diuita contro ongne Argomento. come lasso uiueo diuita fore. ¶ Aimortte uillania fai epecato. chesi mai disdegnato. p(er) cheuedi morire opo mifora. ep(er) chio piu so uente efortte mora. mamale tuo grato ipurmoro isforzato. dele mie mani se melglio nomposso Ancora. |
III. Ai come pot’ommo, co no di vita à fiore, |
M Ale opiu caltro emeno lasso ocomfortto. chesio p(er)desse onore tuto edauere. etuti amici edelemembra partte. simi comforterei p(er) uita Auere. maqui nomposso poi chedime tortto. eritornato jnuoi forzo esauere. che nonfue amo re meo gia daltra partte. dunqua como dicomfortareopodere. ¶ Epoi sauere nonmaita edolore. mipura stringie locore. purconuene chio mategi esifacie pero omo mimostra adito edelmale meo. sigaba edio pur uiuo adisinore. cre do Almale grado delmondo edideo. |
IV. Male ò più c’altro e meno lasso ò comfortto |
A ibella gioia noia edolore meo. chepunto furtunale lasso fue quello. diuostro di partire crudele mia mortte. chedoblo male torno tuto meo bello. sidelm eo male miduole mapiu pardeo. eme louostro amore crudele efello. casseo tormento duna parte fortte. euoi delaltra piu stringne ilchiauello. ¶ Come la piu distretta enamorata. chemai fosse ap(ro)uata. chebene fa forzo dimesione da uere. talora basso omo jndonna Alta capare. macio nonuagradio gia nea grata. dunque damore corale fue bene uolere. |
V. Ai bella gioia, noia e dolore meo |
A more merze p(er)dio uicomfortate. nedame nonguardate. che piciole p(er) mia mortte danagio. ma p(er)louostro amore sanza paragio. eforsse Anco pero mi ritornate semai tornare degio nalegragio. |
VI. Amore merzé, per Dio, vi comfortate, |
A more amore piu cheueleno amaro. nongia bene uede chiaro. chisimette jn podere tuo uolontero. chelprimo elmezo ne grauoso efero. elafine dibene tuto ilcontraro. oprende lauda eblasimo ongne mistero. |
VII. Amore, amore, più che veleno amaro |
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