BdT 29,14
Mss.: A 39, B 28, C 202, D 53, E 61, G 73, H 12, I 66, K 51, M 143, N², Q 39, R 27, S 184, Sg 82, U 29, VeAg 53, a² 106, c 40, b¹ 1, κ 97, λ 3,330 (vv. 1-2), Ripoll (incipit, I.98), BgAnoya (incipit, I.728) = Arnaut Daniel; V 25 = anonimo.
Metrica: a7' b10' c10' d10' e10' f10' (Frank 864:3). Sestina (6 coblas singulars di 6 versi, con mots-refrains alternati secondo retrogradatio cruciata, seguite da una tornada di 3 versi).
Melodia: ABCDEF (ms. G).
Edizioni: Canello 1883, p. 118; Appel 1895, p. 67; Bartsch-Koschwitz 1904, vol. II, col. 150; Lavaud 1910-11, p. 460; Crescini 1926, p. 204; Toja 1960, p. 373; Perugi 1978, vol. II, p. 619; Wilhelm 1981, p. 2; Eusebi 1982; Eusebi 1984, p. 128; Perugi 1997; D'Agostino 2009.
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I | Lo ferm voler q’el cor m’intra
no.m pot becs jes escoissendre, ni ongla de lausengier, qui pert per mal dir s’arma; e car no l’aus batr’am ram ni ab verga, sivals a frau, lai on non aurai oncle, jauzirai joi en vergier o dinz cambra. |
Il fermo volere che nel cuore mi entra non mi può becco svellere, né unghia di mettimale, che per dir male perde l’anima; e poiché non oso batterlo con ramo né con verga, almeno con la frode, andato via lo zio, godrò il piacere nel giardino o nella camera. |
II | Qan mi soven de la cambra on a mon dan sai que nuills hom non intra, anz me son tuich plus que fraire ni oncle, non ai membre no.m fremisca, ni ongla, aissi cum fai l’enfas denant la verga tal paor ai qe.il sia trop de l’arma. |
Quando mi ricordo della camera dove, a mio danno, so che nessun uomo entra - anzi con me son tutti peggio del fratello o dello zio non ho membro che non frema, neanche l’unghia, come il fanciullo davanti alla verga: tanto è il timore che le sia troppo all’anima. |
III | Del cors li fos, non de l’arma,
mas consentis m’a celat dinz sa cambra, que plus mi nafra.l cor que colps de verga car lo sieus sers lai on ill es non intra; toztemps serai ab lieis cum carns e ongla e non creirai chastic d’amic ni d’oncle. |
Al corpo le fossi, non all’anima, e mi accogliesse di nascosto nella sua camera, che più mi ferisce il cuore di un colpo di verga, poiché il suo servo là dov’ella sta non entra; sempre sarò con lei come carne e unghia e non crederò a consiglio d’amico né di zio. |
IV | Anc la seror de mon oncle
non amei tant ni plus, per aqest’arma, c’aitant vezis cum es lo detz de l’ongla s’a lieis plagues volgr’esser de sa cambra; de mi pot far l’amors q’inz el cor m’intra mieills a son vol c’om fortz de frevol verga. |
Mai la sorella di mio zio amai tanto, né di più, per la mia anima! e tanto vicino quant’è il dito all’unghia, se a lei piacesse, vorrei stare alla sua camera: può fare di me, l’amore che nel cuore mi entra, quel che fa un uomo forte con una fragile verga. |
V | Pois flori la secca verga
ni de n’Adam mogron nebot ni oncle tant fina amors cum cella q’el cor m’intra non cuig q’anc fos en cors ni es en arma; on q’eu estei, fors en plaza o dinz cambra mos cors no.is part de lies tant cum ten l’ongla. |
Da quando fiorì la secca verga e da Adamo nacquero nipoti e zii, un amore tanto fino come quello che nel cuore mi entra non credo sia stato mai né in corpo né in anima: dovunque io stia, fuori in piazza o dentro in camera, il mio corpo non si allontana da lei tanto quanto tiene l’unghia. |
VI |
C’aissi s’enpren e s’enongla
mos cors el sieu cum l’escorssa en la verga; q’ill m’es de joi tors e palaitz e cambra e non am tant fraire, paren ni oncle, q’en Paradis n’aura doble joi m’arma si ja nuills hom per ben amar lai intra. |
Così s’apprende e s’inunghia il mio corpo in lei come la scorza nella verga, poiché mi è di gioia torre e palazzo e camera, e non amo tanto fratello, genitore, o zio, che in Paradiso ne avrà doppia goia la mia anima, se mai qualcuno per Bene Amare là entra. |
T | Arnautz tramet sa canson d’ongla e d’oncle,
a grat de lieis que de sa verga l’arma, son desirat, cui pretz en cambra intra. |
Arnaut invia la sua canzone d’unghia e zio
- che sia gradita a lei che di sua verga l’anima - al suo Desiderato, il cui Pregio nella camera entra. |
1.
ferm voler. I critici rimandano concordemente al f. v. di BdT 29,17 (ferms uoler A B D H L). «Il f. v. è una frase assai frequente nei trovatori [...]. Qui l’abbiamo ancora al v. 36; e la vedremo poi dar come l’intonazione alla sestina (v. 1). Anche il Petrarca, o fosse reminiscenza trobadorica, o fosse incontro fortuito, dice: “Del mio fermo voler già non mi svoglia” (Ball. 4 a in v.); e: “Lo mio fermo desir vien dalle stelle” (Sestina 1 a , st. 4 a )» (Canello). «La frase, cara ai trovatori, diviene in Arnaut originale per il particolare accento dato all’aggettivo ferm, attributo distintivo della sua forte, immobile passione d’amore (IX, 45; XIV, 25; XV, 3; XVII, 26, 36; XVIII, 1; ecc.)» (Toja). «F. v. è costante e stabile desiderio/amore» (Eusebi). Il sintagma fu usato da molti trovatori tra l’ultimo quarto del XII secolo e la prima metà del XIII secolo. Guilhem de Saint Liedier lo usa in 234, 16 (11, 2 «Mon ferm voler ves tal que, si.m sal sains ni messa» e in 27, 5 «Trop m’i fetz en fols plais mon ferm voler desbatre»). In entrambe le occorrenze il poeta afferma la costanza del suo desiderio verso la donna amata. In Gaucelm Faidit ferm voler è presente in 167,7 (42, 4 «Si tot no l’aus mon ferm voler retraire») e in 167,62 (26, 3 «Non a fin cor d’amar ni ferm voler»). Nella prima occorrenza il poeta teme di manifestare il suo fermo volere all’amata e nella seconda rimprovera a chi si fa sopraffare dai lauzengiers la mancanza di vero desiderio e di ferma volontà. Tra i poeti contemporanei ad Arnaut Daniel il sintagma ricorre in Raimon Jordan 404,12 (31, 4 «lo ferm voler don ai greu espavensa») dove il ferm voler è realtà dolorosa e spaventosa, poiché il poeta è così devoto alla donna amata che da questo legame dipende la sua stessa vita, in Arnaut de Mareuill 30,8 (29, 5 «Al ferm voler don vos am e×us desire») dove il poeta chiede alla donna di giudicare la costanza del suo desiderio, in 30,21 (13, 2 «Fin cor e ferm voler») in cui dice di avere dalla sua la speranza, un cuore fedele e un desiderio irremovibile. Ferms volers è utilizzato in 30, 17 (28, 4 «Qu’en autra part non es ferms mos valors») dove il poeta dichiara all’amata che il desiderio e l’amore che prova per lei sono tali che il suo fermo volere non sarà mai rivolto altrove. Peire Vidal utilizza una volta il sintagma in 364,30a (33, 5 «Mon ferm voler, donn’, ai tant en vos mes») in cui dichiara l’impossibilità di allontanarsi dall’amata poiché in lei ha riposto il suo fermo desiderio. In Aimeric de Peguilhan si presenta un’occorrenza del sintagma in 10,8 (48, 6 «Ves Amor, qu’ab ferm voler») dove il ferm voler è degli ‘occhi’ e del ‘cuore’ che elevano l’onore e il benessere dell’amante. Pons de Capduoill ne fa uso in 375,18 (13, 2 «Si.l ferm voler, q’ieu ai») e, in posizione di incipit come nella sestina, in 375, 23 (1, 1 «Tant m’a donat fin cor e ferm voler»). In entrambi i casi ferm voler è usato per affermare che la forza del desiderio non lo allontanerà mai dall’amata. Il Monge de Montaudon utilizza una sola volta il sintagma in 305, 6 (19, 3 «Aitals vos son, ab ferm voler») in cui il poeta afferma che il fermo volere rende fino il suo cuore di amante; in Guillem de Cabestany ricorre in 213,6 (4, 1 «E foron ferm en vos tuich miei voler») dove si legge che tutti i desideri dell’amante sono ben saldi nell’amata. Guilhem de Saint Gregori lo utilizza due volte: nel contrafactum della sestina 233,2 (29, 5 «Q’ab ferm voler met bon pretz dinz sa cambra» e 35, 6 «S’ab ferm voler de tot bon pretz non s’arma»). Nel primo verso il poeta fa un uso metaforico di cambra per dire che nel buon prevost soggiornano fermamente tutte le virtù; nel secondo incita Mon-Berart ad armarsi di buon pregio con fermo volere per non perdere l’anima. In Guiraut de Calanson ferm voler ricorre in 243,7 (5, 1 «Q’ieu de mon ferm voler») e in Uc de Saint Circ 457,20 (16, 2 «Un jorn ferm lor voler»). In Guilhem de la Tor ferm voler è usato in 236,6 (13, 2 «Que.m fez, c’ab ferm voler») per affermare con forza il desiderio dell’amata dalla quale però è stato deluso. In Guilhem Figueira abbiamo una sola occorrenza del sintagma in 217,4b (22, 3 «Li oill e.l cors, qi son ferm d’un voler») nella stessa accezione usata da Aimeric de Peguilhan poiché il fermo volere è anche qui degli occhi e del cuore. In Peire Bremon Ricas Novas ferms volers è in 330,5 (45, 5 «Que mos ferms volers m’abriva») usato nel senso di costante e stabile desiderio verso l’amata. Gli ultimi trovatori ad aver utilizzato il sintagma sono Guiraut Riquier che vi ricorre in 248,7 (34, 3 «E portz qu’ab ferm voler»), Cerveri de Girona in 434,11 (17, 4 «mon ferm voler, on no pren maylls ne pics»), dove si scorge un’affinità con i versi di Arnaut Daniel poiché la ferma volontà del poeta non può essere scalfita da nulla e genera sincere parole d’amore e in 434a,71 (6, 1 «ab fi, ferm, franc voler humil») dove il poeta si augura di poter raggiungere il piacere sperando nella leale, umile, ferma e franca volontà del suo cuore; Austorc d’Aurillac in 40,1 (40, 5 «quar bon secors fai Dieus a ferm voler»); Bernart-Elyas in 52,4-131,1 (37, 5 «n’Elyas, fis e fermz volers»). Infine ferm voler è in 461,18 (8, 1 «d’un ferm voler[ab pl]azer d’una vida»).
intra: Come già il Böhmer, Canello accoglie nel testo entra anziché intra «ottenendo così una perfetta assonanza con verga » (Canello). «Riteniamo che entra sia la lettura giusta, e non intra della vulgata, perché entra : verja si adegua a una griglia di assonanze che oppone chiaramente ongla : oncle e arma : ch’ambra».
2.
escoissendre: «Si osservi come, presso AB, la falsa interpretazione ies escondre abbia determinato la commutazione di ies in mais » (Perugi).
4.
non l’aus batre. Non si può imporre ad Arnaut il silenzio e, a dispetto del maldicente, egli raggiungerà il suo fine, con le debite precauzioni (Lavaud, Toja).
5 a frau: «Vale: ‘di frodo, di nascosto’» (Toja). « A f. per evitare la maldicenza del lauzengier che non osa punire e per alludere a una clandestinità tristaniana» (Eusebi).
6 aurai: «Crediamo ch’esso vada risolto in aura + i (cf. ai = a + i in IX 76), ciò che pare sia stato sentito anche dai copisti di CRGQ» (Canello). «Tuttavia il riscontro è falso e l’interpretazione [di Canello] urta contro la legge del Tobler (la correzione appartiene a Lavaud, che traduce “là où je n’aurai [pour m’épier] nul oncle”)» ( Perugi).
8 vergier e cambra sono le cornici dell’amore, i simboli dell’unione sperata tra il poeta e la dama. Un duplice sfondo, dunque, quello in cui viene inscenata la vicenda amorosa nei versi di molti trovatori; da un lato una cornice di tipo naturale e paesaggistico, il giardino, dall’altra uno sfondo di tipo architettonico, la camera, riduzione metonimica di una realtà ben più ampia e simbolica ossia il palazzo o il castello. La ricorrenza di questi due elementi è evidente negli esempi di seguito riportati: Aimeric de Peguilhan ” qu’eu la tengues en cambra o en vergier ” in “Lanquand chanton li auzeil en primier” v. 30; Bertran de Born ” qan serem sol dinz cambra o en vergier ” in “Eu m’escondisc, dompana que mal non mier” v. 5; Daude de Pradas “e retendeysson li vergier ” in “Belha m’es la votz altana” v. 5; Guilhem de Saint Leidier “bosc mi semblan, e prat, vergier , rausel” in “Aissi cum es bella cill de cui chan” v. 42; Jaufre Rudel “dinz vergier o sotz cortina” in “Quand lo rius de la fontana” v. 13. Anche se il quadro-tipo paesaggistico risulta almeno numericamente privilegiato, non mancano esempi in cui ritorna il motivo della camera, inoltre raramente la camera.Certamente diversi sul piano oggettivo, i due luoghi deputati all’amore sono accomunati sul piano simbolico dall’idea di chiusura e di separatezza rispetto al mondo circostante. Si instaura, così, una sorta di opposizione tra esterno ed interno, dove l’interno si carica di aspetti positivi, essendo il luogo della gioia, del piacere e dell’intimità amorosa dei due amanti; di contro l’esterno assume un valore negativo essendo simbolo della società, del giudizio altrui, di forze che si oppongono all’amore (si ricorda che l’amore cantato dai trovatori è di tipo extra-coniugale e quindi adultero). La chiusura rassicurante e la relazione tra l’interno inteso come spazio fisico e l’interiorità del poeta, possono essere evidenziate nel gioco fonico che ricorre tra le due parole rima intra e cambra nella sestina di Arnaut Daniel. Pur non trattandosi di una vera e propria rima, il richiamo fonico è certamente presente e dalla superficie del significante rinvia alla sfera del significato, dove si esprime la relazione tra interno-interiorità ed il luogo che fa da cornice alle vicende amorose. Se da un lato questo aspetto di chiusura è rassicurante e trasforma il luogo -cambra- in un rifugio, un nascondiglio d’amore, non mancano possibili sensi negativi. La camera, infatti, diviene anche simbolo di un castello- fortezza inespugnabile. La chiusura implica, in tale prospettiva, non più protezione ed intimità, ma separazione. L’inespugnabile fortezza non è che il simbolo dell’amore stesso, della donna che il poeta sogna, desidera ardentemente ma non può raggiungere. (A tal proposito si noti il verso 3 della cobla 6 della sestina in cui la donna diviene “tors e palais e cambra”). 10In questo senso di irraggiungibilità, nel desiderio inappagato del poeta, si cela il senso profondo della lirica trobadorica. La poesia provenzale si costruisce sulle aspirazioni del poeta, sul suo desiderio d’amore inappagato, ma egli stesso si compiace del suo sogno irrealizzabile (rimandiamo al concetto di paradosso amoroso elaborato da Leo Spitzer). 11Il poeta sogna, desidera la sua dama irraggiungibile, si dispera, ma se ciò non accadesse la sua poesia, forse, non avrebbe senso e, forse, non esisterebbe. Questo senso di separazione, di irraggiungibilità rapportato al verg(i)er ci rimanda al mito del giardino- Paradiso perduto. Il giardino dei poeti, dei trovatori spesso assume i caratteri specifici del Paradiso Terrestre. Quest’ultimo rappresenta la perfezione perduta, la gioia serena cui l’uomo ambisce senza riuscire a raggiungerla. Il paradiso terrestre è quell’ ortus conclusus , quel locus deliciarum irraggiungibile e perfetto. Ancora una volta il luogo diviene simbolo dell’amore ed in un’ottica tutta cristiana dietro i profumi, le essenze dei fiori, nelle acque limpide delle sorgenti si cela l’immagine della Vergine Maria, la dama delle dame, destinataria di un amore perfetto e supremo. L’origine del mito del giardino- Paradiso che attraversa tutta la cultura europea è da ricercarsi nelle Sacre Scritture. ( Genesi II, 8 ” plantaverat [...] Dominus Deus Paradisium voluptatis a principio, in quo posuit hominem quem formaverat [...] ut operaretur et custodiret illum.) Il giardino dei trovatori è la trasfigurazione dal piano sacro- cristiano a quello profano del paradiso terrestre, il luogo in cui è custodito il segreto dell’origine della vita e dove, per volontà divina, si è realizzato il primo incontro tra uomo e donna. Il vergier diviene, dunque, simbolo dell’incontro, dell’intimità e custode del segreto d’amore. Il giardino luogo di delizie, immagine della donna, suscita il desiderio del poeta il quale, inappagato, trasferisce le proprie emozioni nei suoi versi. Ma dietro le bellezze, i profumi e le dolcezze paradisiache del giardino si cela l’influenza di un’altra tradizione, proveniente dall’oriente, che ha origine nelle pagine del Corano.( Lo stesso termine Paradiso deriva dall’antico iranico in cui il termine pairidaeza indicava i favolosi giardini dei sovrani orientali: grandi recinti attraversati da corsi d’acqua, coltivati con arbusti aromatici, alberi da fiore e da frutto e popolati da animali ed uccelli ornamentali ). Il giardino del Corano, a differenza del Paradiso terrestre, è più concreto e senza proibizioni. La sua bellezza non poteva essere eguagliata da alcun giardino esistente sulla terra e al suo interno vi sono numerose donne tutte belle, buone e vergini ed abbondano cibi e bevande deliziose. Il giardino coranico e quello biblico presentano delle analogie date dalla presenza dell’ombra, dei frutti (desiderabili e gustosi) e dell’acqua; quest’ultima rappresenta una fonte di vita. I fiumi del Corano sono corsi incorruttibili in cui scorre latte, miele e vino, mentre l’Eden è attraversato da un fiume che si divide poi in quattro corsi che bagnano la terra. Inoltre nel giardino coranico vi sono fontane e troni ornati di oro e gemme e nel complesso il luogo, nella sua architettura e bellezza, promette estasi eterna. Ancora una volta il giardino diviene trasfigurazione della donna in tutta la sua bellezza e con i suoi profumi inebria il poeta che sa di non poterla raggiungere. La camera ed il giardino da luogo-cornice d’amore, a simbolo dell’amore stesso ed infine intesi come trasfigurazione della donna (castello inespugnabile e giardino delle delizie perduto) sono elementi significativi e funzionali per la lirica trobadorica. Pur nella sua semplicità, il giardino cela una dimensione più profonda, impossibile da riassumere e da esprimere nel modo più completo: esso stesso ha dato vita a varie tradizioni, orali e scritte, tramandate attraverso la memoria. Quest’ultima ha custodito racconti mitologici che rinviano ad un intreccio di culture, di testi scritti ,di leggende popolari, di tradizioni etniche, racconti legati all’immaginario personale e collettivo.
Cambra «È propriamente la ‘camera da letto’» (Canello).
13 fraire ni oncle: «Sono espressioni convenzionali, personaggi-pretesto, come il marit o il gilos , ed esprimono un ostacolo materiale all’amore. Fraire e seror , con simile valore, sono in J. Rudel, Belhs m’es l’estius »(Toja). «Qui fratello o zio della donna oggetto del desiderio, i peggiori ostacoli all’ingresso nella cambra » (Eusebi).
14 ni ongla : Lezione preferibile diplomaticamente a neis l’ongla , perché presente in tre codici su quattro della prima famiglia e in nove su quattordici della seconda. È preferibile anche per convenienza logica «poiché il tremito della paura, invece di apparire per ultimo nell’unghia (all’estremità delle dita, che si estendono e irrigidiscono), vi apparisce anzi alle prime» (Canello). A neis l’ongla «il Canello preferì la lezione ni ongla. Essa è diplomaticamente più documentata, ma più scialba. Preferisco seguire il Bartsch, l’Appel e il Lavaud. Nel verso il poeta esprime realisticamente il tremito della paura diffuso in tutte le membra, nessuna eccettuata, sino all’estremità delle dita (ongla). Si ricordi il verso dantesco: “Non avea menbro che tenesse fermo” (Inf., VI, 24). Il Canello traduce sciattamente: “io fremo in ogni membro e nell’unghia” (p. 137), senza dar risalto alla forte negazione» (Toja).
16 Ongla è in posizione di rima solo nella sestina e nei suoi contrafacta . Arnaut Daniel si ricollega a Marcabruno che utilizza il termine all’ interno del verso in Bels m’es quan la rana chanta (v. 28 Lo bec o l’ongl o l’ala ) da cui ha ripreso anche il bec nella rappresentazione del lauzengier . Sempre all’interno del verso ongla è in 184, 2 (1, 1 Carn-et-ongla, da vos no×m voill partir e 17, 3 Carn-et-ongla, vos ai, e dompna gaia ) e la forma onglas è in 96,8 (9, 1 Car si tot el ha maiors onglas qe ors ) e in 434,15 (6, 1 e las onglas e×l pel e×ls corns mudar).
19 vv. 12-13 Le lezioni que e trop hanno dalla loro A, B e la maggioranza dei mss. Se le si adotta, si deve rapportare arma e cors al poeta. Canello rapporta queste espressioni alla dama e, secondo Lavaud, la traduzione assume un senso bizzarro: «puisse-je être près de son corps, non de son âme». Canello traduce arbitrariamente «comme s’il y avait sinon » (Lavaud). «Il Canello, p. 263, accetta la lezione del Bartsch, ricomposta sugli elementi di BCI: nol sia prop . Non sembra necessario ricorrere a una congettura, quando i mss. danno due esplicite lezioni queill sia trop e nol sia trop , ambedue ben documentate. La prima, preferita dal Lavaud, è così da lui tradotta: “telle peur j’ai qu’à elle soit trop de mon âme”. È illogico che il poeta tema che la sua donna appartenga troppo alla sua anima. È vero l’opposto: che Arnaut, cioè, ha timore che ciò non avvenga, e perciò, ne desidererebbe anche la vicinanza fisica (cfr. v. 13: Del cors li fos, non de l’arma ). La sola lezione che dia senso è, perciò, quella di CMMcSSgUcg′g″: tal paor ai nol sia trop de l’arma , seguita anche dall’Appel, che va tradotta: ‘tale paura ho di non essere abbastanza suo con tutta l’anima’» (Toja). «La traduzione del Toja è la più arbitraria perché trop non è ‘abbastanza’ e inoltre no = que , è cioè puramente espletivo, non negativo; del resto anche prop IKR è manifestamente un’innovazione facilior . Per conto nostro il glossema dana sembra dar ragione al Lavaud; d’altra parte abbiamo già dimostrato come arma è preceduto da un semplice articoloide in proclisi. È ovvio che es’arma , come aquest’arma al v. 20, si riferisce all’anima del poeta (cfr. ancora derta armaa, che doveva leggered’et’armaconeta=esta). Tutto sommato, è dunque l’interpretazione del Lavaud quella che più ci convince. [...] Anche l’evidenza raccolta ci sembra confermare la validità della nostra interpretazione. Un unico dubbio residuo: che l’oscillazioneque·l sia/no·l siaceli uniu siadativo femminile assoluto» (Perugi). «Propè lezione di IKRVe.Ag. e credo, come già Bartsch e Canello, che sia la buona lezione. È naturalmente il v. 14 a far preferireprop, verso che si congiunge in consecuzione a quello precedente con la formulazione augurativa della concessione di entrare nellacambra. E non si capisce come chi opta pertrop, dal Lavaud al Perugi, non abbia sfruttato ilmasconcessivo-avversativo di 14 ABH» (Eusebi).
20 ‘tale paura ho che non le sia troppo dell’anima’ oppure ‘tale paura ho di non esserle vicino all’anima’. In entrambi i casi si fa riferimento all’anima come “contenuto” del corpo, cioè come essenza della persona più intima, profonda e vicina a Dio.
21 E’ evidente la contrapposizione cristiana tra corpo e anima: il corpo è sede delle passioni, della carnalità e delle emozioni, l’anima della fede, dell’intelligenza e della riflessione. Qui Arnaut in un certo senso si oppone alla superiorità che la religione affida all’anima, desiderando penetrare, piuttosto, nel corpo della donna amata. Mentre i cristiani infatti sceglierebbero di entrare nell’anima dell’altra persona per poter albergare il più vicino possibile a Dio, Arnaut sceglierebbe il corpo, sede delle passioni e dell’amore carnale.
22 car :Per Eusebi invece « qu’ar non car , come suggeriscono le grafie di CFGHMQUc, il criterio della lectio difficilior e la convenienza della puntualizzazione temporale» (Eusebi).
23« Ésser carn i ungla es expresión muy frecuente en catalán para designar a quienes son muy amigos, inseparables» (Riquer).
24 seror de mon oncle: «La sorella dello zio d’Arnaldo è la madre sua; onde si vede attribuito qui ad o. il senso etimologico diavunculus = ‘zio materno’» (Canello). «La ‘sœur de l’oncle’ du poète n’est autre que sa propre mère» ( Lavaud). «È una delle più ardite espressioni del prezioso linguaggio perifrastico e metaforico di Arnaut: la s. de mon o. è, evidentemente, sua madre. Oncle qui conserva il significato originario di avunculus , zio materno» (Toja).
25In questo caso arma sembra usato più che come semplice e necessaria rima, che per qualche significato specifico. Ad ogni modo, qui per anima si dovrebbe intendere semplice l’essenza più profonda dell’uomo e come tale la più vera e importante.
26« Que tan DEM, coniugato alla commutazioneC’aixi V, sembra alludere a un fonetismo etan nell’originale» (Perugi).
27«L’esistenza della dialefe è postulata dalla variante di H e dall’inversione operata da M, ma cfr. anche le scrizioni volgra esser di SgU ed anche volgra star di V» (Perugi). 28 seca verga : «Non è ben chiaro a cosa alluda qui Arnaldo; [...] noi crediamo che l’allusione tocchi forse l’albero della scienza del bene e del male, che si disseccò per la prima colpa dell’uomo, e diede poi i semi (tre granelli) onde, attraverso molti prodigi, s’ebbe l’albero della croce e della salute del mondo. Su questo legno della croce o della redenzione s’ebbe nel medio evo una leggenda, [...] dalla quale s’ebbe anche una tardiva redazione provenzale [...]. Secondo una versione greca, anziché i tre granelli, si piantano tre tizzoni i quali dopo quaranta giorni verdeggiano; e che, secondo un altro gruppo di versioni, Iddio concede a Seth, anziché i granelli, un ramo, il quale poi rigermoglia; cosicché parrebbe che a una di queste due versioni, e probabilmente a questa seconda alludesse Arnaldo. Giova però ricordare che P. de Corbiae chiama Maria Vergine verga secca frug fazens ; e che nei Gautz di G. Folqueys c’è un luogo il quale in parte conforterebbe la spiegazione del Galvani (cioè che Arnaut “allude alla verga di Aronne”). Ivi infatti si vuol mostrare che nella verga di Aronne [...] è raffigurata la Vergine [...]. Infine, questa secca verga potrebbe essere anche quella di S. Giuseppe che sola fiorì fra quelle dei pretendenti alla mano di Maria [...]» (Canello). Lavaud cita Canello e ripropone le tre possibilità: il ramo dell’albero della vita; la mano di S. Giuseppe; la stessa Vergine Maria. «Comme l’a vu Canello, les deux vers 25 – 26, entendus ainsi, resument les deux époques de l’Histoire du monde, sous le Nouveau et sous l’Ancien Testament» (Lavaud). Toja appoggia la preferenza di Lavaud per l’interpretazione di s. v. come Maria Vergine e aggiunge: «Questo significato allegorico è ben spiegato da un passo di S. Bernardo ( Sermo de Adv. Dom. , II, 4, in Migne, PL., 183, c. 42): “Quoniam Virgo Dei Genitrix virga est, flos filius eius…. flos in quem prospicere desiderant angeli, flos ad cuius odorem reviviscunt mortui…” [...] Adamo e Maria riassumono così due ere della storia dell’umanità: l’antico e il nuovo Testamento, l’età apertasi col peccato e quella iniziatasi con la redenzione» (Toja). «II nostro contributo si limita alla citazione di Leys iv 248: ” Una reyal vergua sera / que de la razitz ysshira / de Jesse gitans una flor/ que s’en pujara sus l’aussor; / aysso mostrec que de Maria / nostre senhor Dieus nayssheria / del sem del rey David fizel / pels sieus montar lassus el cel” (il lacerto serve a illustrare l’impiego dell’Allegoria)» (Perugi).
29Leggiamo mogron con A B , perché rispetto ad esso il forondegli altri (meno C) ha l’aria di una glossa, che facilmente poteva venire in mente a parecchi copisti, indipendentemente l’uno dall’altro. Oltracciò crediamo che l’ hyssiron di C lo conforti, poiché anch’esso è una glossa e ci conferma nell’ipotesi che glossa sia il foron ; o è una mala lezione, racconciata poi alla meglio, e allora si vede che essa solo in mogron e non in foron poteva avere la sua ragione ed origine» (Canello). 30«La variante ipometra presente in MSgV (e solo in M rimediata mediante q’inz el ) parrebbe alludere a una dialefe nell’originale» (Perugi). 31Anche qui Arnaut si riferisce alla dicotomia corpo-anima, evidenziando però una concezione per cui entrambe concorrono ognuna a suo modo alla conoscenza. Mentre, infatti, nell’anima risiedono le verità intelligibili che conducono a Dio, anche il corpo diviene strumento di conoscenza attraverso i sensi. Questo verso vuole sottolineare come né corpo né anima, elementi costitutivi dell’essere umano, mai in nessun tempo e in nessun luogo, hanno conosciuto un amore come il suo verso la donna amata. 34 ni es en arma : Lavaud ritiene vi sia una gradazione discendente, che Canello non individua: «un amour pareil non seulment n’a pas esisté dans un corps et ne s’est pas manifesté au dehors, mais il n’a même pad été conçudans une âme, dans le for intérieur d’une créature» (Lavaud). La lezione del primo emistichio oscilla tra q ( u ) anc fos en cor (Appel, Lavaud, Bartsch-Koschwitz, Piccolo) e fos anc en cor(Canello, Crescini). La prima si fonda su AIKN², quattro codici, ma che valgono per due testimonianze, per la grande affinità del gruppo IKN²; la seconda ha l’autorità di 5 mss., ERSSga, tra i quali è a, copia tarda, ma spesso conservatore di buone lezioni. Nel complesso la lezione accertata dal Canello sembra la più persuasiva, anche perché mette meglio in risalto la opposizione dei concetti ( anc en cor …. ni eis en arma). In quanto alla lezione della seconda parte del verso, scartata quella scialba e incerta del Bartsch, combinata su B e C ( Non cuit qu’anc fos mais en core ni en arma ), rimane da scegliere tra ni es en arma di AUVc (Appel) e no ( n ) eis en arma di HIKN²RSga (Canello, Crescini). Nonostante la leggera prevalenza numerica delle testimonianze a favore della seconda, è preferibile la prima, non solo per l’autorità di A e per la conferma di UVc, mss. del secondo gruppo, ma anche perché la lectio difficilior meglio esprime la gradazione concettuale, come rilevarono l’Appel e il Lavaud (cfr. Appel, Chrest ., Gloss ., ne [ ni ] es [ eis ] = neys , e neppure). Il Canello ha tradotto, senza rilievo: “o in un’anima”. Arnaut vuol significare che un amore così perfetto, come il suo, non crede sia mai stato in un corpo (amore fisico) e in un’anima (amore spirituale)» (Toja). «Canello risolve Non cuig fos anc en cors, non eis en arma , interpretando non eis ‘e neanche’: il testo dei successori differisce solo per ni eis . Per conto nostro la ricostruzione di Cuiat in apertura di verso comporta la necessità di intendere ne = no come risposta all’interrogazione retorica ( ni esAUVc è una chiara innovazione, così come le varianti offerte singolarmente da C, M e dal contaminato B, quest’ultimo già preferito dal Bartsch [...] )» (Perugi). 36«La vulgata legge On qu’ill estei, fors en plaza o dinz cambra . Si noti lo schietto limosinismo pla ‘piazza’, documentato per esempio dal Meyer nel Daurel et Beton : e con ciò siamo lieti di aver sviluppato quei dubbi residui, e rivelatori, che impedivano di considerare certa la differente ricostruzione proposta nel tomo i» (Perugi). « On qu’eu estei : cfr. xvi, 33-35, luogo parallelo che induce a rifiutare qu’ill estei , ‘lei sia’» (Eusebi). 37 enongla : «Pare una creazione d’A. Daniel» (Canello). « Enongla . Il Lex ., IV, 374, dà il solo esempio di Arnaut. Il vocabolo ha tutta l’apparenza di ununicum coniato dal poeta nel suo realistico linguaggio fisico e visivo» (Toja). «El verbo enonglar parece inventado por Arnaut Daniel. A pesar de la diferente matización semántica, lo traduzco por el castellanoauñar , que registra el diccionario de Casares como sinónimo de ‘apezuñar’, que define como ‘hincar en el suelo los bueyes las pezuñas cuando suben una cuesta’» (Riquer). 38Chiaro è in questo caso il riferimento alla concezione cristiana per cui l’anima, essendo l’entità più prossima a Dio, dopo la morte fisica dell’individuo salirà nel Regno dei Cieli, mentre il corpo morirà restando sotto terra. 39 sa chanson : Ritenuta da Canello lezione migliore di son cantar , sebbene appoggiata da più codici, perché «esso è dato da quattro dei sette codici [della seconda famiglia] che hanno il vero rispetto alla disposizione delle due ultime parole di questo verso» e perché la parola chansson applicata alla sestina poteva essere considerata dai copisti un errore da correggere in cantar , mentre è estremamente difficile supporre che si sia verificato il contrario (Canello). 40 41 d’ongla e d’oncle : «Cet ordre des deux termes est bien le meilleur “parce qu’il respecte la loi de l’evoi qui est de reproduire exactement l’ordre des vers et des rimes de la dière partie de la strophe” (Canello); mais on voit aussitòt que cet ordre traditionnel des rimes (ici de la dernière str.) 4, 5, 6 demeurant à la base de l’evoi amenait nécessairement l’aance 1, 2, 3 pour les termes accouples – par rétrogradation – à ce de ces rimes. Aussi le formule de succession des six termes-rimes dans l’evoi n’est-elle pas la même que dans le reste de la pièce, et l’o a: 1,4 – 2,5 – 3,6» (Lavaud). 43In questo caso, l’interpretazione del termine arma non è univoco, in quanto essa dipende dalla trascrizione che si decide di dare anche agli altri termini. Alcuni identificano in quell’arma il sostantivo anima, considerando “verg’a” due parole distinte e dando però in questo modo una resa del periodo difficile da comprendere: “per il piacere di colei che ha l’anima della sua verga” . “Arma” non sarebbe quindi altro che l’anima cristiana. Altri invece lo interpretano come forma verbale di armare, considerando “verg’a” come un’unica parola “verga” e rendendo il verso “per il piacere di colei che arma della sua verga”. In questo ultimo caso quindi “arma” non avrebbe nulla a che fare con l’entità teologica di anima. 45 a grat de lieis : «j’écris (avec les mss. A B) a grat et non ab grat ; je crois qu’on a à faire ici à la préposition a marquant la destination, bien distincte de ab,‘avec’. Arnaut transmet son chant non pas avec la permission ou l’agrément, mais pour l’agrément, en vue du plaisir et de l’approbation de celle qu’il aime, à son ami Désiré. Celui-ci n’est pas le vrai destinataire; il doit faire parvenir la chanson qu’Arnaut ne peut ou n’ose remettre lui-même. De l’ensemble de la pièce et non pas seulement du v. 16, il semble résulter que l’approche de sa dame était, momentanément du moins, interdite à A. Daniel (à la suite de quelque maladresse, aggraveé par les propos d’un lausengier ? cf. str. 1). – Par suite de ce qui precède, ajouter la locution a grat à celles que signale Levy, IV, 171, et supprimer ab grat admis par lui d’après ce seul passage» (Lavaud). 47v. 38-39 desirat : designa Bertran de Born, secondo una glossa di H (v. diplomatica), ripresa da una chiosa del Barbieri. In tal caso la tornada sarebbe da rendere ‘Arnaut invia la sua canzone di zio e unghia, per il piacere della donna amata, all’amico Desirat’. Tuttavia non si può escudere che il verso si riferisca alla dama Canello: «Nel secondo caso, il v. 38 sarà da intendere della donna amata, e nel verga saremmo indotti a vedere un’allusione oscena; nel primo caso, che a noi pare più probabile, la donna designata nel v. 38 sarebbe una confidente e amica della donna amata. Una mediatrice cortese fra il poeta e la sua donna. E verga sarebbe allora da intendere per ‘padrona’, come ‘scettro’ per ‘regnante’». «On peut faire [a Canello] là-contre deux objections: d’abord son Desirat désigne trés vraisemblablement B. de Born; par suite, le v. 38 s’applique à la dame même d’Arnaut. D’autre part, vergane se trouve nulle part avec le sens bizarre que lui prête Canello. – Une seconde interprétation, proposée aussi par Canello, consiste à voir cette fois dans son Desirat la protectrice [...]. Je crois devoir rejeter cette interprétation moins parce que cette façon de parler est choquante (la pièce I montre qu’A. ne s’effraire pas pour si peu) que parce qu’elle est ici très inattendue, étant donné le ton du reste de la pièce. – L’interprétation que je propose rapporte sa verga à la dame elle-même: ‘elle a l’âme de sa verge’, c’est-à-dire l’âme aussi dure que la verge ou la baguette dont elle se sert, à la fois réelle (houssine pour le cheval) et métaphorique (marquant la domination de l’amour) [...]. Son Desirat = a son Desirat , le cas oblique des noms propres pouvant s’employer sans préposition comme complem. indirect [...]». Qui Lavaud cita la chiosa latina di Barbieri e scrive «B. de Born est en bon termes avec une dame surnomée ‘Mieux-que-Bien’(A mon Melhz-de-be deman… dans Domna pois, v. 47) ; A. Daniel aime et chante la même dame (VII, 67 et XVII, 33) [...]. B. de Born confie, pour le porter à Richard, duc d’Aquitaine, son sirvéntes Belh m’es quan vei camjar à un Arnautz juglars (v. 42); A. Daniel, de son côté, envoie sa chanson IV à un Bertrand (v. 49). B. de Born reproduit, dans le sirventés Non posc mudar , le rythme et les rimes d’une chansond’Arnaut (XVII) composée précisément pour ‘Mieux-que-Bien’», non giustificando il fatto che Canello non si sia attenuto a questa spiegazione. Infine, Lavaud nota « Cui pretz… intra : cui est au génitif, mais je construis directementcui pretz intra en c. et non, comme Canello, en cambra cui (dans la chambre de qui) p. intra . Le mérite ou plutôt (c’est ici la nuance exacte) la réputation de ‘Désiré’ entre, se répand jusque dans la chambre des dames. – On pourrait être tenté de comprendre que cette expression ‘son prix, son mérite entre’ revien à dire que ‘Désiré’ y entre lui-méme, mais le v. 8 s’oppose à cette interprétation» (Lavaud). «Sono versi di difficile interpretazione. La chiave si trova nell’enigma di Desirat , per il quale sono state prospettate le seguenti possibili soluzioni: [1] Desirat come senhal di Bertran de Born, amico di Arnaut. L’interpretazione si fonda sulla notizia riferita da G. M. Barbieri ( Origini cit., p. 97) che “Bertran de Born e Arnaldo Daniello furono così amici, che insieme si chiamavano l’un l’altro Dezirat “. Non è provato se la fonte del Barbieri fosse Miquel de la Tor, o come vede il Bertoni il ms. H, posseduto dal Castelvetro, che ha questa nota marginale: [ Dezirat ]idest a ’n Bertran de Born, ab cui se clamaua Deszirat . Il De Lollis, concordando col Mussafia, ritenne che “il Libro slegato del Barbieri fosse semplicemente un estratto di H”, poi precisò che la chiosa dalla quale il Barbieri ricavò la notizia relativa a Desirat si trovava fra le note di cui il compilatore della maggior parte di H aveva qua e là corredato il testo [...]. [2] Desirat come senhal riferito a una donna, la stessa amata da Arnaut, o altra persona. Il Canello difese, non senza dubbi, la prima ipotesi di questa seconda interpretazione [...]. Non è, infatti, accertata la solidità della notizia riportata dal Barbieri; non si può provare che la donna chiamata da Arnaut col senhal Mieills-de-ben (VII, 67 e XVII, 33) sia, come crede il Canello (p. 3), la stessa cantata da Bertran de Born in Domna pos de mi no· us cal , v. 47: A mon Mielhs-de-be deman . Il fatto che questo nome si trovi anche in Folquet de Marseilla e Gaucelm Faidit, come già sapeva il Canello (p. 3 n. 1 e p. 278), lascia pensare a un senhal poetico comune. [...] Non è, poi, assolutamente certo che ilBertran di Arnaut, IV, 49, sia Bertran de Born e nemmeno può essere prova sicura dell’amicizia fra i due poeti l’imitazione della canzone XVII del Daniel (ritmo e rime) da parte del trovatore di Hautefort. Fondatamente, perciò, il Kolsen dubitò delle prove addotte dal Lavaud, rilevando che la notizia del Barbieri può essere poco degna di fede, come spesso lo sono quelle delle Biografie provenzali e che, comunque, nelle poesie di Bertran de Born non si trova mai il Versteckname di Desirat . Confermando la sua tesi sulla priorità dell’attività poetica e, conseguentemente, della fama di Arnaut rispetto a Bertran de Born, il Kolsen credette che questi abbia imitato Arnaut nell’anno 1188, quando, per la sua canzone Non posc mudar un chantar non esparga (ed. Stimming, 29, 3 n. 19) prese da quella di Arnaut (XVII, Sim fos Amors de joi donar) oltreché la costruzione e le finali di rima, il senhal della donna, Mieills-de-ben . Affaccia, poi, l’ipotesi cheBertran , citato nel congedo della canzone IV di Arnaut, sia Bertran de Baux († 1181), in possibile relazione di amicizia anche col Daniel, come col cognato Raimbaut d’Aurenga e con Giraut de Bornelh. Ipotesi accettabile, ma non certamente più sicura di quella che vorrebbe sostenere l’amicizia fra Arnaut e Bertran. Le pagine del Kolsen conformano la nostra opinione che non si può provare, come voleva il Lavaud, cheDesirat sia Bertran de Born, pur non volendo escludere del tutto una possibile amicizia tra i due trovatori. L’interpretazione più prudente e veridica sembra, perciò, essere quella felicemente proposta, ma, com’è avvenuto altre volte, poi non accettata dal Canello, che, cioè, la donna amata da Arnaut e Desirat siano una stessa persona. [...] Scartando l’ipotesi apocalittica del Canello, verga non può riferirsi che alla donna amata. [...] Concludendo, il congedo della canzone è rivolto da Arnaut alla sua inflessibile amata ( Desirat ) per conquistarla e farle piacere ( a grat de lieis ), nella speranza di poter avere accesso nella sua camera, dove per ora entra solo Madonna» (Toja). 49«La vulgata legge A grat de lieis que de sa verg’a l’arma, / son Desirat, cui pretz en cambra intra . Variano tuttavia le interpretazioni, soprattutto in rapporto al significato diDesirat . [...] Tutto sommato, dunque, la critica precedente prospetta un testo unico [...] e due interpretazioni opposte. La prima è rappresentata dal Lavaud. [...] L’altra è rappresentata, con divergenze abbastanza notevoli, da Canello e Toja. [...] Da parte nostra osserviamo che: [1] al v. 38 le varianti A grat sidonz GQ:Grat de sidons M, oltre a segnalare l’intersezione sottesa, confermano che qui si parla della donna amata dal poeta; [2] desirat alterna con desirar ABN²Sa, variante che allude a un nome comune anziché proprio come, senza eccezioni, intende la vulgata. Ma se ciò è vero, allora bisogna dar ragione al Bartsch che, unico, ritenne arma verbo anziché sostantivo; [3] il v. 39 cela una diffrazione che è necessario almeno tentar di razionalizzare. A questo proposito è sulla lezione capres de ERSSga che bisogna fermare l’attenzione. Lo strano capres corrisponde al cumulo grafico tràdito da FIKNN²a per A. Daniel 15.12 dove, ricordiamo, l’originale leggeva la particella negativa cap . Che anche in questo verso il fattore dinamico sia analogo, ci sembra provato dal de che altrimenti riuscirebbe impossibile esplicare a livello di etiologia. Supponiamo, a titolo di ipotesi di lavoro – giacché più salda certezza non sembra possibile conseguire – che anche qui l’originale avesse qui·n capres de chambra : il glossema interlineare si sarebbe saldato con cap già all’altezza dell’archetipo, producendo capres → c’ab pretz (donde cui [ pretz / iois ] ABGQUc) oltre alla commutazione di de , ormai divenuto incomprensibile, in en . Si tratta, torniamo a ribadire, di un semplice tentativo, basato sulla parziale analogia con la diffrazione di 15.12. Se si accoglie questa ipotesi è il poeta stesso che, con l’ironia che gli è propria, denuncia l’impotenza del suo desiderio, ‘che non entra in nessuna camera’ (e si rilevi l’antitesi coi vv. 35-6); quanto a verja , è la stessa di fronte alla quale trema il ragazzo al v. 11 e con la quale, metaforicamente, al v. 15 l’oggettiva impossibilità di conseguire l’amore agognato flagella il cuore del poeta: qualcosa del genere aveva inteso il Lavaud, sia pure fuorviato dalla smania di un troppo minuto realismo. Ultima conseguenza della nostra proposta sarebbe naturalmente l’arma = li arma , col dativo pronominale in proclisi, ma è proprio qui che i mss. non ci favoriscono (si desidererebbe infatti il consueto ventaglio di varianti ill , lh ecc.). Concludiamo che l’aporia resta per il momento irrisolvibile» (Perugi). «Mi allontano qui da tutti gli editori che mi hanno preceduto e che hanno rispettato la lettura della tradizione: a grat de lieis ( de si Perugi) … son Desirat ( desirar Perugi). Quanto all’ambiguo de sa verj’a l’arma , credo che la polisemia grammaticale (di lei di lui) e lessicale (verga sesso) sia da mantenere» (Eusebi). «Sigo la lectura de Canello, Lavaud, Toja y Wilhelm, apoyada en buenos cancioneros y que para mí es clarísima. Perugi lee A grat de si qui de sa verja l’arma Son desirar, cui prez en chambra intra , “per il piacere di quella che della sua verga…”, y deja sin traducir el último verso. Eusebi introduce una nueva y osada lectura, basada en la palabra cledisat , ‘enrejado’, que no aparece en ninguno de los veinte manuscritos que transmiten este texto, y cree que así se hace “evidente con quanta concretezza Arnaut Daniel voglia alludere nella tornada alla retrogradatio cruciata della sestina” (véase también el artículo de Eusebi en “Cultura neolatina”, XLII, 1982, págs. 181-199). En la edición de Eusebi los dos últimos versos son: a Grant Desiei, qui de sa verj’a l’arma, / son cledisat qu’apres dins cambra intra lo que traduce: “a Gran Desio, che della sua verga ha l’anima, canto contesto a graticcio che, appreso, in camera entra”. Aun sin ser partidario de esta solución, añadiré que el catalán cledissa , en el sentido de ‘revestimiento de barras y rama que se ponía como abrigo en los castillos de madera y otras máquinas defensivas’, está bien documentado en catalán medieval» (Riquer).
Testo critico costituito sulla base di AB.
I
Lo ferm voler q’el cor m’intra
no.m pot becs jes escoissendre, ni ongla
de lausengier, qui pert per mal dir s’arma;
e car no l’aus batr’am ram ni ab verga,
sivals a frau, lai on non aurai oncle,
jauzirai joi en vergier o dinz cambra.
II
Qan mi soven de la cambra
on a mon dan sai que nuills hom non intra,
anz me son tuich plus que fraire ni oncle,
non ai membre no.m fremisca, ni ongla,
aissi cum fai l’enfas denant la verga
tal paor ai qe.il sia trop de l’arma.
III
Del cors li fos, non de l’arma,
mas consentis m’a celat dinz sa cambra,
que plus mi nafra.l cor que colps de verga
car lo sieus sers lai on ill es non intra;
toztemps serai ab lieis cum carns e ongla
e non creirai chastic d’amic ni d’oncle.
IV
Anc la seror de mon oncle
non amei tant ni plus, per aqest’arma,
c’aitant vezis cum es lo detz de l’ongla
s’a lieis plagues volgr’esser de sa cambra;
de mi pot far l’amors q’inz el cor m’intra
mieills a son vol c’om fortz de frevol verga.
V
Pois flori la secca verga
ni de n’Adam mogron nebot ni oncle
tant fina amors cum cella q’el cor m’intra
non cuig q’anc fos en cors ni es en arma;
on q’eu estei, fors en plaza o dinz cambra
mos cors no.is part de lies tant cum ten l’ongla.
VI
C’aissi s’enpren e s’enongla
mos cors el sieu cum l’escorssa en la verga;
q’ill m’es de joi tors e palaitz e cambra
e non am tant fraire, paren ni oncle,
q’en Paradis n’aura doble joi m’arma
si ja nuills hom per ben amar lai intra.
T
Arnautz tramet sa canson d’ongla e d’oncle,
a grat de lieis que de sa verga l’arma,
son desirat, cui pretz en cambra intra.
I.
Lo ferm voler q’el cor m’intra
no·m pot ies becs escoissendre ni ongla
de lausengier, qui pert per mal dir s’arma;
e car non l’aus batr’ab ram ni ab verga,
sivals a frau, lai on non aurai oncle,
iauzirai ioi, en vergier o dinz cambra.
II.
Qan mi soven de la cambra
on a mon dan sai que nuills hom non intra
anz me son tuich plus que fraire ni oncle,
non ai membre no·m fremisca, neis l’ongla,
aissi cum fai l’enfas denant la verga:
tal paor ai no·l sia trop de l’arma.
III.
Del cors li fos, non de l’arma,
e cossentis m’a celat dinz sa cambra!
Que plus mi nafra·l cor que colps de verga
car lo sieus sers lai on ill es non intra;
totz temps serai ab lieis cum carns et ongla,
e non creira chastic d’amic ni d’oncle.
IV.
Anc la seror de mon oncle
non amei plus ni tant, per aqest’arma!
C’aitant vezis cum es lo detz de l’ongla,
s’a liei plagues, volgr’esser de sa cambra;
de mi pot far l’amors q’inz el cor m’intra
mieills a son vol c’om fortz de frevol verga.
V.
Pois flori la seca verga
ni d’en Adam mogron nebot ni oncle,
tant fin’ amors cum cella q’el cor m’intra
non cuig fos anc en cors, ni eis en arma;
on q’ill estei, fors en plaz’, o dins cambra,
mos cors no·is part de lieis tant cum ten l’ongla.
VI.
C’aissi s’enpren e s’enongla
mos cors en lei cum l’escorss’ en la verga;
q’ill m’es de ioi tors e palaitz e cambra,
e non am tant fraire, paren ni oncle:
q’en paradis n’aura doble ioi m’arma,
si ia nuills hom per ben amar lai intra.
VII.
Arnautz tramet sa chansson d’ongl’e d’oncle,
a grat de lieis que de sa verg’a l’arma,
son Desirat, cui pretz en cambra intra.
![]() |
Arnautz daniels.
Lo ferm uoler qel cor mintra. nom
pot mais becs ies escondre. ni ongla.
De lausengier qui pert p(er)mal dir sar
ma. Ecar nols aus batr am ram ni ab
uerga. Siuals afrau lai on non aurai
oncle. Jauzirai ioi enuergier o dinz
cambra.
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![]() |
Qan mi souen dela cambra. On a mon
dan sai que nuills hom non intra. Anz
me son tuich plus que fraire ni oncle.
non ai membre nom fremisca ni ongla.
Aissi cum fai lenfas denant la uerga.
tal paor ai qeil sia trop delarma.
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![]() |
Delcors lifos non delarma. Mas cossentis
ma celat dinz sa cambra. Que plus mi
nafral cor que colps deuerga. Car lo si
eus sers lai on ill es non intra. totzte(m)ps
serai ab lieis cum carns (et) ongla. enon
creirai chastic damic ni doncle.
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![]() |
Anc laseror demon oncle. non amei ta(n)t
ni plus p(er) aqest arma. Caitant uezis cu(m)
es lo detz delongla. Salieis plagues uol
gresser desa chambra. Demi pot far lamors
qinz elcor mintra. Mieills ason uol com
fortz de freuol uerga.
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Pois flori la seca uerga. ni donadam mo
gron nebot ni oncle. tant fina amors
cum cella qel cor mintra. non cuig qanc
fos encors ni es en arma. Cal estet fors
enplaza odinz chambra. Mos cors nois
part delieis tant cu(m) ten longla.
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Caissi senpren esenongla. Mos cors el
sieu cum lescorssa enla uerga. Qill mes
de ioi tors epalaitz echambra. enonam
tant fraire paren ni oncle. Quen para
dis naura doble ioi marma. Si ia nuills
hom p(er)ben amar pert sarma.
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![]() |
Arnautz tramet sa chansson doncle e
dongla. Agrat delieis que de sa uerga
larma. Son desirar cui pretz en cham
bra intra.
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r.16… aissi come(n)
sa arnautz daniel.
LO ferm uoler quel cor
mintra. nom pot ges becx
escoyssendre ni ongla. de
lauzengier si tot de mal
dir sarma. e
pus nol aus
batre ab ram
ni ab uerga.
sauals afrau
lai on non
aura oncle.
iauzirai ioy
dins uergier
o dins ca(m)bra.
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Quan mi soue de la cambra. on
a mon dan sai quom del mo(n) noy intra. ans me son tug pus q(ue) nebot ni oncle. non ai me(m)bre nom fremisca ni ongla. aissi cum fai lefanz deuant la uer ga. quar paor ai nol sia trop (de) |
![]() |
Del cors li fos no(n) de larma.
larma. quem cossentis a celar
dins sa cambra. quar plus mi
nafral cors que colp de verja. q(ua)r
lo sieus sers lai ont ylh es non
intra. tostemps serai ab lieys cu(m)
carn (et) ongla. ia non creirai cas
tic damic ni doncle.
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Anc la seror de mon oncle. no(n)
amiei tan ni plusper aquest ar
arma. quaitan uezis cum es lo
detz del ongla. sa lieys plagues
uolgresser de sa cambra. de me
pot far lamors quins el cor min
tra. miels so uoler. cum fortz de
freuol verja.
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Pus floric la seca verja. ni de
adam hissiron bot (et) oncle. tan
finamors cum selha quel cor
mintra. non cug fos mai ni en
corni en arma. on quil estey o
en plan o dins cambra. mon cor
de lieys noys part tan cum ten
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Quaissisempren es longla
en ongla. mon cor en lieys cum
lescorsen lauerja. quilh mes
de ioy tors e palais e cambra.
(et) am la mais no fas cozin ni on
cle. quen paradis naura doble
ioy marma. si ia nulhs hom p(er)
ben amar lai intra.
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Arnaut tramet son cantar don
glae doncle. agrat de lieys qui
de sa verja larma. son dezirat q(ua)
pres dins cambra intra. ar(naut)z.
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… aissi come(n) sa arnautz daniel. LO ferm uoler quel cor mintra. nom pot ges becx escoyssendre ni ongla. de lauzengier si tot de mal dir sarma. e pus nol aus batre ab ram ni ab uerga. sauals afrau lai on non aura oncle. iauzirai ioy dins uergier o dins ca(m)bra.
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… aissi comensa Arnautz Daniel. Lo ferm voler qu’el cor m’intra no.m pot ges becx escoyssendre ni ongla de lauzengier si tot de mal dir s’arma; e pus no l’aus batre ab ram ni ab verga, savals afrau, lai on non aura oncle, iauzirai ioy dins vergier o dins cambra. |
Quan mi soue de la cambra. on a mon dan sai quom del mo(n) noy intra. ans me son tug pus q(ue) nebot ni oncle. non ai me(m)bre nom fremisca ni ongla. aissi cum fai lefanz deuant la uer ga. quar paor ai nol sia trop (de) |
Quan mi sove de la cambra on, a mon dan, sai qu’om del mon no y intra - ans me son tug pus que nebot ni oncle - non ai membre no.m fremisca, ni ongla, aissi cum fai l’efanz devant la verga, quar paor ai no.l sia trop de l’arma.
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Del cors li fos no(n) de larma. larma. quem cossentis a celar dins sa cambra. quar plus mi nafral cors que colp de verja. q(ua)r lo sieus sers lai ont ylh es non intra. tostemps serai ab lieys cu(m) carn (et) ongla. ia non creirai cas tic damic ni doncle. |
Del cors li fos, non de l’arma, que.m cossentis a celar dins sa cambra, f. 203 r quar plus mi nafra.l cors, que colp de verja, qu’ar lo sieus sers lai ont ylh es non intra: tostemps serai ab lieys cum carn e ongla, ia non creirai castic d’amic ni d’oncle. |
Anc la seror de mon oncle. no(n) amiei tan ni plusper aquest ar arma. quaitan uezis cum es lo detz del ongla. sa lieys plagues uolgresser de sa cambra. de me pot far lamors quins el cor min tra. miels so uoler. cum fortz de freuol verja. |
Anc la seror de mon oncle non amiei tan ni plus, per aquest’ ar arma, qu’aitan vezis cum es lo detz de l’ongla, s’a lieys plagues, volgr’esser de sa cambra: de me pot far l’amors qu’ins el cor m’intra miels so voler, cum fortz de frevol verja. |
Pus floric la seca verja. ni de adam hissiron bot (et) oncle. tan finamors cum selha quel cor mintra. non cug fos mai ni en corni en arma. on quil estey o en plan o dins cambra. mon cor de lieys noys part tan cum ten |
Pus floric la seca verja ni de Adam hissiron bot e oncle, tan fin’amors cum selha qu’el cor m’intra non cug fos mai ni en cor ni en arma: on qu’il estey, o en plan o dins cambra, mon cor de lieys no.ys part tan cum ten l’ongla. |
Quaissisempren es longla en ongla. mon cor en lieys cum lescorsen lauerja. quilh mes de ioy tors e palais e cambra. (et) am la mais no fas cozin ni on cle. quen paradis naura doble ioy marma. si ia nulhs hom p(er) ben amar lai intra. |
Qu’aissi s’empren e s’enongla mon cor en lieys cum l’escors’en la verja, qu’ilh m.es [4] de ioy tors e palais e cambra, e am la mais no fas cozin ni oncle, qu’en Paradis n’aura doble ioy m’arma, si ia nulhs hom per ben amar lai intra. |
Arnaut tramet son cantar don glae doncle. agrat de lieys qui de sa verja larma. son dezirat q(ua) pres dins cambra intra. ar(naut)z. |
Arnaut tramet son cantar d’ongla e d’oncle a grat de lieys, qui de sa verj’a l’arma, son dezirat, qu’apres, dins cambra intra. |
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arnaut daniel Lo ferm uoler quel cor mintra. No(n) pot ges becs escoissendre ni ongla. d(e)lau senger si tot p(er) mal dir sarma. Ecar no(n) laus batra(m)ra(m) ni abueria. Siuals afra u lao n(on) aurai oncle. Jauzirai ioi enu(er)geir odinz cambra. |
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Can mi soue dela cha(m)bra. On almeu deni sai q(ue) nuillz om no(n) i(n)tra. anz mi so tuit pl(us) q(ue) fraire ni oncle plus q(ue) no fai le fas de- nan lau(ir)ga. Tal paor ai qeill sia trop de marma. |
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Del cors li fos no delarma. Ecossentis ma clat dinz sa chanbra. Que plus mina- fral cor q(ue) colps de u(er)ia. Car lo seu sers. la onil es no(n) intra. d(e)lei serai aissi co(n) carnç e ongla. Eno(n) creirai castic damic ni oncle. |
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Ano(n) amei plus nitan p(er) aquest arma. Que tan uezis co(n) es lo denz del ongla. Sa lei plaghe uolgresser d(e)sa cha(m)bra. d(e)mi pot far lamors quinz el cor mintra. |
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Lo ferm uoler quel cor mintra. no(m) pot ges bec escoisendre ni ongla. de lauzenger si tot per mal.dire sarma. equar no laus batrab ram ni abuergua. siuals afrau lai on non aurai oncle. i auzirai ioi enuergier ho dins cambra. Qua mi soue dela cambra. on almeu dan sai que nuils hom non intra. ans mi son tug plus que fraire ni oncle. no(n) ai membre no fremisca ni ongla. plus que non fai lenfas deuan la uergua. tal paor ai queill sia trop demarma. Del cors li fos non de larma. e conse(n)tis ma celat dins sa cambra. que plus me nafral cor que colp deuergua. quar lo sieus sers lai on ill es non intra. de lieis cerai aisi com carns (et) ongla. eno(n) creirai casticx damic ni doncle. Anc laceror demon oncle. non amei tan niplus per aquestarma. que tan uezis com es lo detz de longla. salieis plagues uolgresser de sa cambra. demi pot far lamors quins elcor mintra. mie ils ason uol com fortz de freuol uergua. Pos floris la sequa uergua. ni den a dam. foron nebot ni oncle. tan fina mors. com cela quel cor mintra cui
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datz fos anc encors neis non enarma.on quill estei fors enpla ho dins cambra.m os cors delieis nos part tan com te lon gla Caisi senpren esenongla . mos cors en lieis com lescorsa enla ueria . quill mes de ioi tors epalais ecambra . (et) am la mais no fis cozin ni oncle .quen paradis na ura duble ioi marma. si ia nuils hom per benamar lai intra. Arnautz tramet son chantar dongle doncle. abgrat delieis que de sa ueria larma . son dezirat capres de cambra intra .Arnaut daniel. |
Lo ferm uoler quel cor mintra. no(m) pot ges bec escoisendre ni ongla. de lauzenger si tot per mal.dire sarma. equar no laus batrab ram ni abuergua. siuals afrau lai on non aurai oncle. i auzirai ioi enuergier ho dins cambra. |
Arnaut daniel. Lo ferm voler qu’el cor m’intra no.m pot ges bec escoisendre ni ongla de lauzenger si tot per mal dire s’arma; e quar no l’aus batr’ab ram ni ab vergua, sivals a frau, lai on non aurai oncle, iauzirai ioi, en vergier ho dins cambra. |
Qua mi soue dela cambra. on almeu dan sai que nuils hom non intra. ans mi son tug plus que fraire ni oncle. no(n) ai membre no fremisca ni ongla. plus que non fai lenfas deuan la uergua. tal paor ai queill sia trop demarma. |
Qua mi sove de la cambra on, al meu dan, sai que nuils hom non intra - ans mi son tug plus que fraire ni oncle - non ai membre no fremisca ni ongla, plus que non fai l’enfas devan la vergua: tal paor ai que ill sia trop de m’arma. |
Del cors li fos non de larma. e conse(n)tis ma celat dins sa cambra. que plus me nafral cor que colp deuergua. quar lo sieus sers lai on ill es non intra. de lieis cerai aisi com carns (et) ongla. eno(n) creirai casticx damic ni doncle. |
Del cors li fos, non de l’arma, e consentis m’a celat dins sa cambra, que plus me nafra.l cor que colp de vergua qu’ar lo sieus sers, lai on ill es, non intra: de lieis cerai aisi com carns e ongla e no(n) creirai casticx d’amic ni d’oncle. |
Anc laceror demon oncle. non amei tan niplus per aquestarma. que tan uezis com es lo detz de longla. salieis plagues uolgresser de sa cambra. demi pot far lamors quins elcor mintra. mie ils ason uol com fortz de freuol uergua. |
Anc la ceror de mon oncle non amei tan ni plus, per aquest’arma, que tan vezis com es lo detz de l’ongla, s’a lieis plagues, volgr’esser de sa cambra: de mi pot far l’amors qu’ins el cor m’intra mieils a son vol c’om fortz de frevol vergua. |
Pos floris la sequa uergua. ni den a dam. foron nebot ni oncle. tan fina mors. com cela quel cor mintra cui datz fos anc encors neis non enarma.on quill estei fors enpla ho dins cambra.m os cors delieis nos part tan com te lon gla. |
Pos floris la sequa vergua ni de n’Adam foron nebot ni oncle, tan fin’amors, com cela qu’el cor m’intra, cuidatz fos anc en cors neis non en arma: on qu’ill estei, fors en pla ho dins cambra, mos cors de lieis no.s part tan com te l’ongla. |
Caisi senpren esenongla . mos cors en lieis com lescorsa enla ueria . quill mes de ioi tors epalais ecambra . (et) am la mais no fis cozin ni oncle .quen paradis na ura duble ioi marma. si ia nuils hom per benamar lai intra. |
C’aisi s’enpren e s’enongla mos cors en lieis, com l’escorsa en la veria, qu’ill m’es de ioi tors e palais e cambra; e am la mais no fis cozin ni oncle qu’en Paradis n’aura duble ioi m’arma, si ia nuils hom per ben amar lai intra. |
Arnautz tramet son chantar dongle doncle. abgrat delieis que de sa ueria larma . son dezirat capres de cambra intra .Arnaut daniel. |
Arnautz tramet son chantar d’ongl’e d’oncle ab grat de lieis, que de sa veri’a l’arma, son dezirat c’apres de cambra intra. |
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Arnautz daniels xxxiiii.
Lo ferm uoler quel cor mintra. Nom po ges becs escoinssendre ni ongla. De lausen gier que pert p(er) mal dir sarma. Epois no(n) laus batrab ram ni ab uerga. Si uals afrau lai on no(n) aurai oncle. Jausirai ioi en uergier odinz cambra. Tan mi souen della cambra. Ona mon da(n)
sai que nuls no(n) intra. Amic son tut plus q(ue) fraire ni oncle. No(n) ai menbre nom fremis ca neis longla. Aisi com fai lenfans den an lauerga. Tal paor aque sia prop des arma. Del cors li fos no(n) de larma. Quen conse(n)
tis asellat dinz sa chambra. Que plus me nafral corque colps de uerga. Car lo sieus seis lai on il es no(n) intra. Delleis serai si cones caras et ongla. Eno(n) creirai castic damic ni doncle. Anc la senor de mon oncle. No(n) amei pl(us)
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ni tant p(er) aquestarma. Cai tan uezis cones
lo detz de longla. Salei plagues uolgresser de sa chambra. De mi por far lamors quinz el cor mintra. Mielz ason uol com fortz de freu ol uerga. Puois flori la seca uerga. Ni denadan foro
frantz ni oncle. Tan fin amors con cella quel cor mintra. No(n) cuig quanc fos en cors no ueis en arma. On queu estei fors en plan odins ch ambra. Mos cors nos part delei tan com ten longla. Aissi sen pren esen ongla. Mos cors en lei
com les cors en la uerga. Quil mes do ioi tors epalais echambra. Eno(n) am tant pare(n)t frai re ni oncle. Quen parauis naura s doble ioi marma. Si ia nuls hom p(er) ben amar laintra. Arnautz tramet son chantar doncle dong
la. Ab grat dellei que de sa uerga larma. So(n) desirat quab pretz dinz chambra intra. |
Arnautz daniels xxxiiii. | Arnautz Daniels xxxiiii. |
I | |
Lo ferm uoler quel cor mintra. Nom po ges becs escoinssendre ni ongla. De lausen gier que pert p(er) mal dir sarma. Epois no(n) laus batrab ram ni ab uerga. Si uals afrau lai on no(n) aurai oncle. Jausirai ioi en uergier odinz cambra. |
Lo ferm voler qu'el cor m'intra no.m po ges becs escoinssendre ni ongla de lausengier que pert per mal dir s'arma e pois non l'aus batr'ab ram ni ab verga si vals a frau lai on non aurai oncle jausirai ioi en vergier o dinz chambra. |
II | |
Tan mi souen della cambra. Ona mon da(n) sai que nuls no(n) intra. Amic son tut plus q(ue) fraire ni oncle. No(n) ai menbre nom fremis ca neis longla. Aisi com fai lenfans den an lauerga. Tal paor aque sia prop des arma. |
Tan mi soven de la cambra on a mon dan sai que nuls non intra amic son tut plus que fraire ni oncle non ai menbre no.m fremisca neis l'ongla aisi com fai l'enfans denan la verga tal paor a que sia prop de s’arma. |
III | |
Del cors li fos no(n) de larma. Quen conse(n) tis asellat dinz sa chambra. Que plus me nafral corque colps de uerga. Car lo sieus seis lai on il es no(n) intra. Delleis serai si cones caras et ongla. Eno(n) creirai castic damic ni doncle. |
Del cors li fos no de l’arma quen consentis a sellat dinz sa chambra que plus me nafra’l cor que colps de verga car lo sieus sers lai on il es non intra de.lleis serai si con es caras et ongla e non creirai castic d’amic ni d’oncle. |
IV | |
Anc la senor de mon oncle. No(n) amei pl(us) ni tant p(er) aquestarma. Cai tan uezis cones lo detz de longla. Salei plagues uolgresser de sa chambra. De mi por far lamors quinz el cor mintra. Mielz ason uol com fortz de freu ol uerga |
Anc la senor de mon oncle non amei plus ni tant per aquest’arma c’aitan vezis con es lo detz de l’ongla s’a lei plagues volgr’esser de sa chambra de mi pot far l’amors qu’inz el cor m’intra mielz a son vol com fortz de frevol verga. |
V | |
Puois flori la seca uerga. Ni denadan foro frantz ni oncle. Tan fin amors con cella quel cor mintra. No(n) cuig quanc fos en cors no ueis en arma. On queu estei fors en plan odins ch ambra. Mos cors nos part delei tan com ten longla. |
Puois flori la seca verga ni de n’Adan foro frantz ni oncle tan fin’amors con cella qu’el cor m’intra non cuig qu’anc fos en cors no veis en arma on qu’eu estei fors en plan o dins chambra mos cors no.s part de lei tan com ten l’ongla. |
VI | |
Aissi sen pren esen ongla. Mos cors en lei com les cors en la uerga. Quil mes do ioi tors epalais echambra. Eno(n) am tant pare(n)t frai re ni oncle. Quen parauis naura s doble ioi marma. Si ia nuls hom p(er) ben amar laintra. |
Aissi s’enpren e s’enongla mos cors en lei com l’escors’ en la verga qu’il m’es de joi tors e palais e chambra e non am tant parent fraire ni oncle qu’en paravis n’aura doble ioi m’arma si ia nuls hom per ben amar la intra. |
VII | |
Arnautz tramet son chantar doncle dong la. Ab grat dellei que de sa uerga larma. So(n) desirat quab pretz dinz chambra intra. |
Arnautz tramet son chantar d’oncle d’ongla ab grat de.llei que de sa verga l’arma son desirat qu’ab pretz dinz chambra intra. |
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Arnautz daniels L o ferm uoler quel cor mintra. Nom po t
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no(n) laus batrab ram ni ab uerga. Siuals afrau
lai on non aurai oncle. Jausirai ioi en uergier o dins cambra. Q an mi souen della cambra on a mondan sai
que nuls* no(n) intra. Amic son tut plus que fraire ni oncle. No(n) ai membre nom fremisca neis lo(n)** ga. Aissi com fau lenfans denan la uerga. Tal paor a que sia prop de sarma. D el cors li fos non de larma. Quem cosentis a
sellat dinz sa chambra. Que plus me nafral car que colps de uerga. Car lo sieus sers lai on il es no(n) intra. Delleis serai si con es carns et ongla. Eno(n) creirai castic damic ni doncle. A nc la seror de mon oncle. No(n) amei plus ni
tant per aquestarma. Caitan uezis com es lo detz de l ongla. Sa lei plagues uolgresser de sa cha(m) bra. De mi pot far lamors quinz el cor mintra. Miels a son uol com fortz de freuol uerga. P uois flori la seca uerga. Ni de nada(m) foro fr
aire ni oncle. Tan fin amors co(m) cella q(ue)l cor mintra. No(n) cuitz qanc fos en cors no neis en arma. On queu estei fors en plan o dins cha(m) bra. Mos cors nos part delei tan co(m) ten lo(n)gla. A issi sen pren esen ongla. Mos cors en lei
co(m) les cors en la uerga. Quil mes de ioi tors e palais echambra. Eno(n) am tant paret fraire ni oncle. Quen parauis n aura doble ioi mar ma. Si ia nuils hom per ben amar laintra. A rnautz tramet son chantar doncle dongla.
Ab grat dellei qe de sa uerga larma. Son desir at qab pretz dinz cha(m)bra intra.
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I | |
Lo ferm uoler quel cor mintra. Nom po t ges becs escoinssendre ni ongla. De lau sengier que pert per mal dir s arma. Epuois no(n) laus batrab ram ni ab uerga. Siuals afrau lai on non aurai oncle. Jausirai ioi en uergier o dins cambra. |
Lo ferm voler qu'el cor m'intra no.m pot ges becs escoinssendre ni ongla de lausengier que pert per mal dir s'arma e puois non l'aus batr'ab ram ni ab verga sivals a frau lai on non aurai oncle jausirai joi en vergier o dins chambra. |
II | |
Qan mi souen della cambra on a mondan sai que nuls no(n) intra. Amic son tut plus que fraire ni oncle. No(n) ai membre nom fremisca neis lo(n) ga. Aissi com fau lenfans denan la uerga. Tal paor a que sia prop de sarma |
Can mi soven de la chambra on a mon dan sai que nuls non intra amic son tut plus que fraire ni oncle non ai membre no.m fremisca neis l'ongla aisi com fai l'enfans denan la verga tal paor a que sia prop de s’arma |
III | |
Del cors li fos non de larma. Quem cosentis a sellat dinz sa chambra. Que plus me nafral car que colps de uerga. Car lo sieus sers lai on il es no(n) intra. Delleis serai si con es carns et ongla. Eno(n) creirai castic damic ni doncle. |
Del cors li fos no de l’arma que.m consentis a sellat dins sa chambra que plus me nafra’l cor que colps de verga car lo sieus sers lai on il es non intra de leis serai si con es carns et ongla e non crerrai castic d’amic ni d’oncle. |
IV | |
Anc la seror de mon oncle. No(n) amei plus ni tant per aquestarma. Caitan uezis com es lo detz de l ongla. Sa lei plagues uolgresser de sa cha(m) bra. De mi pot far lamors quinz el cor mintra. Miels a son uol com fortz de freuol uerga. |
Anc la serror de mon oncle non amei plus ni tant per aquest’arma c’aitan vezis con es lo detz de l’ongla s’a lei plagues volgr’esser de sa chambra de mi pot far l’amors qu’inz el cor m’intra mielz a son vol com fortz de frevol verga. |
V | |
Puois flori la seca uerga. Ni de nada(m) foro fr aire ni oncle. Tan fin amors co(m) cella q(ue)l cor mintra. No(n) cuitz qanc fos en cors no neis en arma. On queu estei fors en plan o dins cha(m) bra. Mos cors nos part delei tan co(m) ten lo(n)gla. |
Puois flori la seca verga ni de n’Adam foro fraire ni oncle tan fin’amors con cella qu’el cor m’intra non cuitz qu’anc fos en cors no neis en arma on qu’eu estei fors en plan o dins chambra mos cors no.s part de lei tan com ten l’ongla. |
VI | |
Aissi sen pren esen ongla. Mos cors en lei co(m) les cors en la uerga. Quil mes de ioi tors e palais echambra. Eno(n) am tant paret fraire ni oncle. Quen parauis n aura doble ioi mar ma. Si ia nuils hom per ben amar laintra. |
Aissi s’enpren e s’enongla mos cors en lei co l’escors’en la verga qu’il m’es de joi tors e palais e chambra e non am tant parent fraire ni oncle qu’en paravis n’aura doble joi m’arma si ja nuls hom per ben amar la intra. |
VII | |
Arnautz tramet son chantar doncle dongla. Ab grat dellei qe de sa uerga larma. Son desir at qab pretz dinz cha(m)bra intra. |
Arnautz tramet son chantar d’oncle d’ongla ab grat de lei que de sa verga l’arma son desirat qu’ab pretz dinz chambra intra. |
Melodia tratta da: Las cançons dels trobadors. Melodias publicadas per Ismael Fernández de la Cuesta. Textes établits par Robert Lafont. Amb una revirada alemanda, anglesa, castelhana e francesa. Tolosa, Institut d'estudis occitans, 1979.
Links:
[1] http://www.rialto.unina.it/ArnDan/29.14(sinottica).htm
[2] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=blog/13
[3] http://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.5232/0082?sid=a4754fd1b1d408a3e4f28ecf056c8017
[4] http://m.es
[5] http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b8419245d/f141.image.r=chansonnier%20I.langEN
[6] http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b60007960/f129.image.r=%20Chansonnier%20proven%C3%A7al%20arnaut%20daniel.langEN
[7] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/?q=blog/0
[8] https://letteraturaeuropea.let.uniroma1.it/sites/default/files/Arnaut%20Daniel%20-%20Lo%20ferm%20voler%20qu%27el%20cor%20m%27intra%20%28Silvia%20Argurio%29.mp3