Testo critico

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Bon casament’é (pero sen gramilho
ena porta do ferr’!) ũa tendeira,
e direivos com’e de qual maneira,
pera ricome que non pod’aver
filho nen filha: pode-la fazer                                   5
con aquela que faz cada mes filho.

E de min vos dig’, assi ben mi venha:
se ricome foss’e grand’alg’ouvesse,
<e parentes chegados non tevesse>
a quen leixar meu aver e mia erdade,                   10
eu casaria, dig’a De<u>s verdade,
con aquela que cada mes emprenha.

E ben seria meu mal e meu dano,
per bõa fe, e mia meosventura
e meu pecado grave sen mesura,                         15
pois que eu con atal molher casasse,
se ũa vez de min non emprenhasse,
pois emprenha doze vezes no ano!

11 digades
 
 
v. 1: Lapa afferma in apparato (p. 356): “o sentido da cantiga, sobretudo nos dois versos iniciais, não está bem claro”; a tal proposito emenda il primo verso editando Bon casament’é, pera Don Gramilho. A sostegno della sua congettura individua un errore ottico nella trascizione di sen dove il copista avrebbe potuto confondere il nome proprio Meen per sen, poichè “na Tabela de Erros Monaci há 3 casos de ‘s’ en lugar de ‘m’”. A mio avviso questo intervento non è necessario poiché il senso generale del componimento è comprovato proprio dal significato allusivo del primo verso. Secondo la lettura che offre Lapa si considera la porta do ferr’ del secondo verso solo come toponimo (una delle principali porte medievali di Lisbona, situata in un luogo di attivo commercio), mentre è proprio su quest’ultima che si costruisce l’intento satirico dell’autore: la porta indica certamente il luogo fisico lusitano, ma in questo caso sta ad indicare metaforicamente l’organo genitale femminile. Infatti, proprio come la porta senza un chiavistello che la chiuda dall’interno resta aperta a chiunque voglia varcare la soglia, sia all’entrata che all’uscita, così la tendeira appare incline ad avere rapporti sessuali in modo licenzioso, tanto da rimanere spesso incinta, come si spiegherà nel seguito del testo. Una tale circostanza sarebbe dunque da sfruttare da parte di chi, nobile ma sterile, non può avere eredi. Il primo ad aver fornito questa lettura ai primi due versi del componimento è stato A. Roncaglia, il cui intervento è oggi fruibile in Glanures; un’altra proposta è stata più recentemente offerta da Â. Correia in Correia/Gramilho.
v. 9: il codice V non tramanda questo verso, dunque ho accolto a testo la congettura di Lapa.
v. 11: ho ritenuto necessario emendare De<u>s per esigenze di significato. È errore frequente del copista trascrivere des in luogo di deus, probabilmente per errore di fraintendimento di compendio (vd. lo stesso fenomeno in 79,4; 79,33).