Giustificazione di α3 (ARa) e approfondimento vv. 37-38: le varianti dout e redout

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A
R
Z
a
 
Mt
T
 
F
 
K
V
X
 
B
O
S
 
C
U
  Dame, je ne redouc mais plus
  Dame, je nen redout mais plus
  Dame, je ne redout mais riens 
  Dame, jou ne redout mais plus

 
  Dame, je ne ne dout mez rien 
  Dame, je ne douc mais riens plus

 
  Dame, je ne douc mais riens plus
 
  Dame, je ne dout més riens plus
  Dame, je ne dout rienz plus                    -1
  Dame, je ne dout més riens plus

 
  Dame, je ne dout mais riens plus
  Dame, je ne dout mais riens plus
  Dame, je ne redout riens plus

 
 Douce dame, ne dout tant rien 
 Dame, je ne redous tant rien 
  puis ke tant fail a vous amer.
  puis que tant fail a vous amer.
  puis ke tant fail a vous amer.
  puis que tant fail a vous amer.

 
  que tant que faille a vos amer.
  ke tant ke faille a vous amer.

 
  ke tans me faille a vous amer.
 
  fors tant que faille a vous amer.
  més tant que faille a vous amer.
  fors tant que faille a vos amer.

 
  fors tant ne faille a vous amer.
  fors tant que faille a vos amer.
  fors que ne faille a vos amer.

 
  ke je ne faille a vos amer.
  ke je ne faille a vos ameir.
  v. 37 v. 38

 

L’oscillazione che la tradizione manoscritta presenta in corrispondenza del v. 37 tra dout (mss. BCFKMtOTVX) e redout (mss. ARSUZa) pare costituire un dato per nulla banale: in nessun altro dei componimenti del re di Navarra, difatti, una forma risulta variante dell’altra[1]. Ciò si deve, con ogni probabilità, al loro scarto metrico, nonché al valore, solo parzialmente sovrapponibile, dei due verbi. Nell’afr. douter, difatti, potevano ancora essere ravvisate entrambe le accezioni ereditate dal lat. DUBITARE – der. di DŬBIUS “dubbio, incerto”, a sua volta da avvicinare a DŬO “due” – il quale già nella tarda antichità, probabilmente a seguito di evoluzione dal primitivo “essere incerti, essere insicuri di qualcosa”[2], si era arricchito del significato secondario di “temere” [3]. Redouter, al contrario, pare relazionarsi fin dalle sue prime attestazioni unicamente all’accezione seriore[4], della quale poteva presentare una sfumatura intensiva (“craindre fort”[5]), svanita in seguito alla specializzazione di douter su “dubitare”[6]. Se da un lato, dunque, douter “dubitare, temere” e redouter “temere, temere fortemente” possono essere considerati equivalenti solo in determinati contesti, dall’altro il più ampio spettro semantico dell’afr. dout può essere correlato al numero di occorrenze rilevate: presso i trovieri la forma redout risulta infatti minoritaria[7]. Redout si può dunque ritenere lectio difficilior, eppure difficilmente può essere fatta risalire al vertice dello stemma. Per quel che riguarda il gruppo α, la sola lezione ammissibile recante la variante redout è quella dei mss. ARa Dame, je ne redouc mais plus, la quale, tuttavia, si ritiene debba aver avuto origine proprio in α3. Se essa fosse stata presente già a livello di α1 (mss. ARZa), Z (Dame, je ne redout mais riens) trascriverebbe riens in luogo di plus. Ma se da un lato pare difficile ipotizzare che Z abbia innovato con lezione (riens) comune a tutta la tradizione non ARa, dall’altro una contaminazione in errore (: -us) risulta altrettanto dubbia, così come, tra l’altro, è da considerare improbabile che la medesima corruttela possa essersi generata nel ramo α2 (Mt: Dame, je ne ne dout mez rien) in maniera indipendente. La dipendenza di Mt e Z da due antecedenti distinti (cfr. supra, nn. 2 e 3) rende altresì problematico congetturare in α la lezione ipermetra Dame, je ne redout mais riens plus (+1). Essa comporterebbe l’indubbio vantaggio di render conto delle lezioni tràdite dagli altri testimoni del gruppo senza ricorrere a relazioni di tipo orizzontale (T ripristinerebbe il corretto computo metrico trascrivendo dout in luogo di redout; i mss. ARa eliminando riens), ma d’altro canto ne conseguirebbe una soppressione autonoma da parte di Mt e Z del rimante corretto plus. In definitiva, si ritiene maggiormente verosimile presumere in α la lezione di Z Dame, je ne redout mais riens: trasmessa in α1 e α2 (si può supporre che la lezione di Mt ne ne dout scaturisca da un errore del copista nel trascrivere ne redout), essa sarà stata successivamente corretta a livello di α3 (ARa)[8]. Altri limitati casi in cui nei mss. ARa si riscontra una lezione che si oppone a Z o al resto della tradizione sono di seguito riportati:

-v. 19: i mss. Ra (A lacunoso) riportano les clés; Z trasmette le clef (cfr. infra);
-v. 23: i mss. Ra (A lacunoso) sono gli unici a riportare la lezione el front in luogo di a l’uis;
-v. 25: la lezione di Aa ki est et maus si oppone alla lezione ki est mais di Z (ipometro). R tramanda la lectio singularis qui est mauvés (cfr. infra);
-v. 48: la lezione tres grant di a (AR non tramandano l’invio) si oppone a grief di Z (ipometro).
Ad ogni modo, quel che comunque è possibile asserire a fronte di lezione erronea in α – sia essa Dame, je ne redout mais riens (: -us) o Dame, je ne redout mais riens plus (+1) –, è che a monte del subarchetipo sia lecito presumere Dame, je ne dout mais riens plus (mss. BFKOTX), unica lezione ammissibile (fatta salva la singularis di S) del gruppo β.
 
Quanto detto può inoltre contribuire a determinare l’eziologia della diffrazione riscontrabile al v. 38. Difatti, messe da parte le lezioni che possono ragionevolmente non venire prese in considerazione ai fini della ricostruzione testuale (la isolata di F, la deteriore di MtT, per cui cfr. supra, n. 3, e, per ragioni stemmatiche, quelle di V e dei mss. afferenti a β3, con B, S, V anch’essi latori di singulares), è possibile notare come le superstiti puis ke tant fail (gruppo α; mss. ARZa) e fors tant que faille (gruppo β; mss. KOX) vengano rette in maniera univoca da, rispettivamente, redout e dout: una corrispondenza che, in virtù della priorità accordata alla variante dout, sembrerebbe consentire il rifiuto di puis ke tant fail a vous amer. A questa considerazione è possibile aggiungere che presumendo d’altro canto a monte di α fors tant que faille a vos amer, una corruttela di fors a livello del subarchetipo potrebbe dar conto delle lezioni di α1 (puis ke tant fail) e α2 (que tant que faille): l’antecedente di ARZa trascrive puis, non paleograficamente distante, venendo indotto all’inversione tra tant e que e a rimodulare il verbo sulla base della nuova congiunzione subordinante; quello di MtT sostituisce banalmente fors con que. Per quel che riguarda il ramo β, coerentemente con lo stemma proposto, si può d’altronde supporre una evoluzione simile: fors tant que (faille a vos amer) (mss. KOX) ---->  fors tant ne (ms. B; sostituzione di que con ne) ----> fors que ne (ms. S; sostituzione di tant con que) ---->   ke je ne (mss. CU; sostituzione di fors con je e inversione con ke). Per la singularis di F ke tans me (faille a vous amer) si possono ipotizzare relazioni di dipendenza con que tant que di MtT (α2) o fors tant ne di B, mentre per la lezione tràdita da V mès tant que (faille a vous amer), cfr. supra, n. 4. In definitiva, si ritiene plausibile far risalire la varia lectio del v. 38 alla lezione tramandata dai mss. KOX e, dunque, presumere a monte di α Dame, je ne dout mais riens plus| fors tant que faille a vos amer.
 
 
 

[1] Si fa riferimento alle liriche attribuite al troviero da Wallensköld (éd.) 1925: dout (ind. pres.) si ravvisa in RS 1521, L 240.1 (v. 30), RS 360, L 240.36 (v. 38), RS 6, L 240.49 (v. 19), RS 510, L 240.56 (v. 30), RS 714, L 240.22 (v. 12), RS 906, L 240.52 (v. 5); redout in RS 1521, L 240.1 (v. 20), RS 2126, L 240.16 (v. 13), RS 1800, L 240.29 (v. 22). Le due forme si riscontrano inoltre in RS 308, L 240.5 (dout al v. 21, redout al v. 28), annoverata tra le liriche di attribuzione dubbia. 
[2] Cfr. FEW, iii, p. 170. D’altra parte già in lat. DŬBIUS poteva altresì significare “rischioso, pericoloso”.
[3] Lo stesso si verifica in gran parte del dominio romanzo medievale: cfr. il provenzale doptar, il galego-portoghese duvidar, il castigliano dubdar, il catalano dubtar, l’italiano dottare (il moderno dubitare è voce dotta), per i quali risultano correnti entrambe le accezioni.
[4] Nel Roman de Troie si riscontra tuttavia redoter nel significato di “douter à son tour”: cfr. FEW, iii, p. 169.
[5] godefroy, x, p. 512.
[6] Non si hanno notizie certe circa la collocazione temporale del fenomeno. Tuttavia, in mfr. (1350-1600) “temere” costituisce ancora l’accezione più frequente: cfr. FEW, iii, p. 170. 
[7] Il rapporto tra il numero di occorrenze rilevate per le due forme è di circa 1 a 1,5.
[8] Non necessariamente tramite contaminazione: la vistosità dell’errore, unitamente ai vincoli rimici e metrici, sembra legittimare l’ipotesi della congettura.