Commento

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Riguardo il “Dieus aydatz”, scritto in lingua provenzale, si è molto dibattuto circa la sua attribuzione. Bartsch ed altri studiosi del genere dell’alba hanno ritenuto di designare come autore  Raimon de las Salas, contrariamente all’altro filone di studiosi che attribuisce a Bernart Matri, poeta della prima generazione trobadorica, la paternità del componimento[1]. La figura di Raimon de las Salas è sicuramente più marginale in un ampio contesto di grandi poeti trobadorici. Circa la sua figura abbiamo infatti poche notizie, ad esempio da un documento ufficiale di natura burocratica sappiamo che viveva a Tolone, mentre nella sua canzone “No.m puosc partir”, dedicata a Rambalda de Baus, abbiamo un elemento cronologico non indifferente in quanto la donna destinataria visse negli anni intorno al 1240. Da qui possiamo dunque dedurre che Raimon de las Salas operò nella prima metà del XIII secolo, localizzato appunto nella zona mediterranea della Francia. Altre informazioni sono deducibili della sua “Vida”, in cui oltretutto afferma di voler  trattare il genere dell’alba (che non necessariamente coincide con il componimento “Dieus aydatz”). L’opera da noi presa in esame è composta di tre coblas unissonans composte di quindici versi con l’aggiunta di un refrain di sette versi. Componimenti simili a livello metrico[2] sono riscontrabili anche in Giraut de Bornelh, con cui il Raimon de las Salas sembra avere molti aspetti in comune. Possiamo inoltre notare che la canzone è composta da una fronte tripartita ed una sirma monorime, aspetto piuttosto raro nella lirica provenzale, mentre il refrain è asimmetrico rispetto alla strofa. Stando ad un’altra ipotesti si potrebbe considerare il “Dieus aydatz” un insieme di versi lunghi con due rime al mezzo, secondo il modello del Leys d’amors, ma non abbiamo attestazioni di altri componimenti redatti con questa stessa formula rimica e sillabica. Già a partire dall’incipit si possono riscontrare dei punti di contatto con il “Reis glorios” ed è difficile pensare che si tratti di una mera coincidenza. Il “Reis glorios” è formato da strofe di quattro decasillabi con l’aggiunta di un verso di refrain di sei sillabe. Il componimento di Raimon de las Salas si struttura in coblas con ventidue versi brevi, sul modello di Giraut de Bornelh e risulta perciò verosimile che il “Dieus aydatz” sia imitazione del  “Reis glorios” e non il contrario. Non possiamo avanzare altre ipotesti sulla comunanza metrica dei due testi, poiché in generale le albas non presentano particolari degni di nota a livello metrico-formale. Se però tralasciassimo per un momento la possibilità di attribuire a Raimon de las Salas il titolo di autore e accettassimo soltanto Bernart Marti, il quale allude spesso a Giraut de Bornelh, potremmo supporre che questi due, non sappiamo chi fu il primo, abbiano scritto entrambi un’alba, che come genere letterario rappresentava ancora una via non battuta, fatta eccezione per l’alba bilingue di Fleury. La produzione di Bernart ci è giunta grazie ad y di Avalle, più in particolare grazie ad «e», il quale rappresenta il modello dei manoscritti provenzali esemplati in Italia. Raimon de las Salas non è presente in y, ma questo non significa che non possa aver composto il “Dieus aydatz”. Nemmeno in questo caso abbiamo prove sufficienti da poter attribuire il componimento all’uno o all’altro autore, a maggior ragione se consideriamo il fatto che molti componimenti di Raimon de las Salas sono confluiti nel corpus di Bernart Marti. Lo stemma codicum perciò risulta bipartito anche sulla base delle difficoltà riscontrate in merito all’attribuzione, notiamo però che in nessun testimone è presente per esteso il refrain di seconda e terza strofe[3]. Ci appresteremo di seguito a fornire un breve commento degli aspetti più salienti del “Dieus aydatz”:
  • possiamo distinguere due o tre voci narranti, in cui la prima è quella della donna o forse dell’amante, la seconda della “gaita”, mentre la terza ritrova la voce della donna;
  • Dio viene spesso nominato e ,come afferma Wilson Poe[4], “ la sua menzione in un amore illecito è il presupposto per un’alba profana”;
  • playssoditz” è qui riferito al canto degli uccelli, ma nella lirica trobadorica è una forma poco attestata;
  • vv.19-20 = è simile all’Alba di Fleury[5];
  • vv.21-22 = deve essere interpretato come il sorgere del Sole ad oriente sul mare;
  • vv.27-30 = troviamo la “gaita” che esorta l’amante a fuggire e subito dopo invita gli amanti ad accomiatarsi;
  • vv.30-31 = “enselatz” è un denominale da «selha» dalla base  <*IN SELLA, ma molto raro nella lirica trobadorica;
  • vv.35 = “maritz” qui si trova al plurale solamente per ragioni metriche.
  • L’ambientazione è chiaramente primaverile, contrapposta a quella cupa di tipo monastico. Nella cobla iniziale abbiamo l’invocazione a Dio, che ben presto lascerà spazio all’argomento profano;
  • Nella seconda cobla è molto accentuata la componente esortativa, tipica anche di molti altri refrain. La sfera di significati sembra appartenere a quella sessuale. Infatti si tratta dell’importanza del commiato degli amanti, che oltretutto è un diffuso topos letterario utilizzato sino ai Romeo e Giulietta;
  • Nella terza cobla viene descritto il momento il cui arriva il marito della donna e vengono sollecitati gli amanti a fuggire. Qui si fa molta leva sulla dimensione del “guardare”, che somiglia proprio allo “scrutare” in ambiente militaresco, affinché si possa fuggire dal nemico. Nella cobla è la donna a parlare, la quale si rivolge alla “gaita” esortandola a compiere il suo dovere e a mentire se qualcuno chiedesse in merito ai due amanti.
Come si è potuto notare, il Dieus aydatz è rappresentativo del genere dell’alba in ambiente trobadorico, è un testo piuttosto esplicito e caratterizzato da una dimensione teatrale, data dall’alternarsi dei personaggi che prendo parola nelle diverse coblas.
 
[1] C. Pulsoni, Dieus aydatz (BdT 409,2), in Studi di filologia romanza offerti a Valeria Bertolucci Pizzorusso vol. II, Pacini editore, 2007, pp.1306-1307.
[2] aabc/aabc/aabc/ddd, ee/a/ffff.
[3] C. Pulsoni, Dieus aydatz (BdT 409,2), in Studi di filologia romanza offerti a Valeria Bertolucci Pizzorusso Vol. II, Pacini editore, 2007, pp.1318-1320.
[4] Ibidem, p.1326.
[5] Considerato che tra il Dieus aydatz e l’alba di Fleury intercorrono circa due secoli, è molto probabile che i canti di scolta fossero diffusi in questo periodo con modalità molti simili. Questo risolverebbe in primo luogo il problema circa una eventuale, e forse indubbia, mediazione tra i due testi presi in esame. Entrambi provvisti di tre strofe e di refrain, rime simili, andamento trisillabico e ricorrenza di termini come ad esempio “giorno, guardia, alba”. Il Dieus aydatz sembra quindi partire dalla stessa idea di Abbone, ovvero la rifunzionalizzazione del canto di scolta per trarne fuori un nuovo risultato. Il nemico di questa alba profana dunque non è più il Demonio, ora la scolta deve avvisare gli amanti in questa dialettica verticalizzante.